mercoledì 24 settembre 2008

Ma, per leggere non bisogna saper leggere?

di Michele Zoroddu


Questa vuole essere una nota, circa il metodo messo in campo nella ricerca della verità, nel dibattito sull’uso della scrittura da parte degli antichi Sardi del II millennio a.C.
Pur con il rischio di apparire banali, ricordiamo come qualsiasi tema, fra quelli che si intenda trattare con professionalità, abbia bisogno di una conoscenza profonda. Ma tale conoscenza può maturare solo dopo anni di ricerca sui testi e sul campo, non disgiunta da un confronto continuo e diretto con gli specialisti.
Abbiamo anche noi letto lo scritto comparso sul quotidiano l’Unione Sarda, il giorno 11 luglio u.s. che titolava: "Scritte nuragiche? Mistero millenario".
Esso riepilogava il percorso di ricerca di Gigi Sanna il cui risultato fu: i Sardi sapevano scrivere.Si arguisce che il Sanna pervenne a quella conclusione dopo anni di studio (in parte condotti con Gianni Atzori) sulle scritture medio orientali del periodo in questione e sulla identificazione di alcune di esse con i caratteri che sottendono alla decifrazione, tra gli altri, di molti documenti dell’arte sarda, conosciuti fino al momento come semplici prodotti d’artigianato rivestiti di fregi ed ornamenti.
Ora noi riteniamo che, ove si voglia mettere in discussione le conclusioni del Sanna, si abbiano due strade da seguire.
La prima consiste nello studio sistematico della materia, nelle sue molteplici sfaccettature, per tanti anni fino a raggiungerne una padronanza completa. Alla fine di questo percorso sarà possibile, eventualmente, contestare i risultati ottenuti dallo studioso.
La seconda la si percorre, immediatamente, trovando uno studioso di incontestabile esperienza, maturata negli studi sulle scritture ideografiche, sillabiche ed alfabetiche. Egli deve naturalmente aver sottoposto ad analisi approfondita il testo “Sardôa Grammata. Il dio unico del popolo nuragico
Ebbene sullo stesso quotidiano, il giorno successivo appariva un nuovo articolo con un titolo: "I Nuragici scrittori? «Nessuna prova»", ed un occhiello: "Per gli archeologi i segni non sono un mistero".
Anche se il soprattitolo non facesse presagire nulla di buono, abbiamo però creduto si fosse addivenuti a percorrere la seconda strada appena indicata, vista la vicinanza temporale col precedente scritto.
Invece ci accorgemmo che la persona contattata per verificare la giustezza delle deduzioni del Sanna non era un ricercatore dalla vasta preparazione sul piano linguistico e studioso di lingue orientali, ma un archeologo. Ora gli archeologi sono professionisti certo preparati, ma volerli sobbarcare dell’impegno di improvvisarsi esperti negli antichi sistemi di scrittura, ci sembra veramente sovrumano. E cosa avrebbe potuto rispondere un archeologo, al quale fu sempre insegnato che il Sardo giammai imparò a scrivere, pur esso vivendo in un contesto in cui tutti i popoli, con i quali era in contatto, conoscevano la scrittura?
Che certo i Sardi dell’antichità erano degli illetterati e pertanto le conclusioni del Sanna fossero da rigettarsi come fantasiose. E così è stato. Troviamo che la parte fuori luogo di questo contesto non risieda nella risposta negativa dell’archeologo, ma piuttosto nell’aver posto la domanda a chi, per sua formazione scolastica e curriculum professionale, non aveva alcun titolo per fornire una risposta obiettiva ed oggettiva.
Oltre a ciò vogliamo rimarcare la erroneità metodologica nel contrapporre al singolo Sanna non una, ma ben quattro persone. Infatti oltre il primo furono coinvolti, nella richiesta di un giudizio, altri quattro studiosi i quali, ancora, appartenevano alla categoria degli archeologi.
Ci pare perfino pleonastico aggiungere che anche gli altri studiosi siano andati fornendo la stessa risposta negativa del primo, ma ciò è semplicemente frutto di una formazione monocorde, rivelandosi tale fatto, in definitiva, un danno per la cultura sarda.

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