sabato 30 luglio 2011

La Dea di Sardara

di Mikkelj Tzoroddu

Entriamo subito nel vivo, col dire che il bucranio simboleggia la capacità inseminatrice dell’uomo. In effetti, il bucranio, nel suo significato apparente è la rappresentazione della testa del bue con i suoi principali attributi, ovvero del toro. Ma, il toro è animale riproduttivo per eccellenza, al quale si ricorre per la fondamentale, quotidiana necessità del latte per l’alimentazione. Anche la testa dell’ariete ricorre, in quel novero di espedienti simbolici, con la stessa frequenza, perché anch’esso è mezzo indispensabile per la quotidiana razione di latte per l’alimentazione. Pertanto, senza l’assolutamente necessario contributo di questi due preziosi animali, tutte le umanità di tutte le epoche, forse, non sarebbero sopravvissute o almeno, non interamente. La stessa umanità dei nostri giorni non ne può fare a meno. 
La dea di Mas Caplier                      La dea di Sardara
Quindi l’ariete ed il toro rappresentano, soprattutto, forza soprannaturale di generazione e alimentazione; soltanto poi e per gli effetti indispensabili di quella alimentazione “divina”, essi risultano essere patrocinatori della vita. Ma, uno degli attributi principali della Dea e della donna (forse fin dagli inizi del Paleolitico superiore) non è proprio quello di madre nutrice, rappresentata con i seni traboccanti del prezioso nutrimento?. E, quale migliore patronato può essere ad esse accostato, se non il potentissimo toro (od ariete), per esaltare in massimo grado quella loro funzione? Pur tuttavia, il bucranio, cioè la testa del toro, è proprio il simbolo che rappresenta la funzione fecondatrice dell’uomo, certo idealmente esaltata dall’accostamento con la bestia.

sabato 23 luglio 2011

Dai colonialisti nell'Università italiana in Sardegna origina l'opposizione all'insegnamento in lingua sarda e al bilinguismo.

di Mario Carboni

Il dibattito nato dall'opposizione della Commissione lingua sarda dell'Università di Sassari di insegnare in sardo le materie dei corsi per insegnanti che devono insegnare in sardo e nelle alloglotte nelle scuole ha fatto scandalo e fatto emergere posizioni colonialiste e auto colonizzanti che si pensava fossero state sconfitte da tempo. Alle critiche arrivate in massa e ben argomentate ha cercato di rispondere contraddittoriamente il Rettore con vari comunicati e dichiarazioni.
L'attivismo mediatico del Rettore ha quasi però messo in scarsa luce le responsabilità dei veri protagonisti di questa politica parruccona e antisarda, quasi che sia il Rettore l'unico responsabile mentre invece cerca di coprire altri che si nascondono dietro di lui e dietro lo scudo dell'Università di Sassari quasi che essi siano l'Università e non semplici professori e con idee sbagliate o quantomeno fortemente criticabili sul piano politico. La questione quindi non è il Magnifico, che fa il parafulmine della situazione, ma il gruppetto della Commissione lingua che lancia il sasso e nasconde la mano. Il Magnifico li difende e ci mette la faccia. Alcuni di questi sono italiani. Cioè non di nazionalità sarda. Perché sia chiaro che mentre siamo tutti cittadini della Repubblica, ci sono i cittadini di nazionalità sarda, italiana, austriaca, slovena ecc. La Repubblica italiana è uno stato plurinazionale.
Per non aprire a equivoci, sono e sono stati migliaia gli italiani che sono venuti ad abitare, a lavorare, a insegnare in Sardegna ad amare la nostra terra anche più di noi sardi e che hanno contribuito e continuano a contribuire al nostro progresso e spesso contrastando assieme a noi e a volte più di noi il colonialismo che ancora ci opprime. Hanno spesso messo su famiglia e aziende o esercitato insegnamenti e professioni, anche le più umili, divenendo sardi come noi e arricchendo la nostra vita sociale e la nostra nazione. 
Il colonialismo linguistico è proprio l’espressione più alta del colonialismo politico ed economico. Allora se c’è il colonialismo esistono anche i colonialisti. Non si è mai visto colonialismo senza colonialisti, eppure essi sono proprio di carne ed ossa e in Sardegna pascolano benissimo anche se ci fanno danno. Ebbene, leggendo degli scritti di alcuni di questi professori sbarcati in Sardegna e valutando le loro posizioni di politica linguistica, cioè esclusivamente politiche anche se paludate da auto affermata scientificità, non si può forse dire che siano posizioni classiche da colonialisti linguistici ? E’ purtroppo ancora attuale il classico verso  del Manno “benian sentza caltzones e si nd’andaiant gallonados". Dietro una scientificità tutta da dimostrare emergono virulente e antiche posizioni politiche contrarie al sardo e alle lingue di minoranza come invece stabilito dalle linee che impegnano lo Stato italiano al rispetto della Convenzione internazionale sulle minoranze nazionali sottoscritta col Consiglio d’Europa. Essendo l’Università di Sassari competenza esclusiva dello Stato italiano e non regionale, credo che sia il caso di rappresentare al Consiglio d’Europa la violazione del Trattato da parte dell’Università di Sassari, per le posizioni discriminatorie assunte verso la lingua sarda che programmerebbero l’insegnamento non veicolare nei corsi per insegnanti in lingua sarda, inviando la denuncia  per conoscenza ai Ministeri dell’Università e dell’Interno. Il Ministero dell’Interno, a nome del Governo, infatti ogni anno invia una relazione sull’applicazione del Trattato che indica i sardi come minoranza nazionale da tutelare con precisione. Una osservazione inviata da Su comitadu pro sa limba sarda ha già causato una rettifica di un precedente rapporto goverrnativo con la puntuale presa in considerazione dal Ministero che ha corretto e rinviato il rapporto al Consiglio d'Europa.
Invito questi professori a leggere o rileggere i punti del trattato riguardanti l’insegnamento delle lingue di minoranze nazionali tutelate. Inoltre per entrare nella discussione mi sembra di ricordare che ci sia stato un accordo con la Regione affinché una commissione paritetica riformulasse il progetto.
Allora perchè oggi annunciare di pubblicare il vecchio piano (che poi è un indice incompleto ) e difenderlo a spada tratta? Perché riconfermarlo nei principi criticati compreso il rifiuto dell’uso veicolare del sardo e delle alloglotte nei corsi e la ghettizzazione nei laboratori? Ma nell’intervista a Pillonca il Rettore non ha affermato che avrebbero insegnato il sardo veicolare al 50% come richiesto dal Piano triennale? Non mi sembra che abbia smentito l’intervista. Leggo sopratutto in internet dichiarazioni contraddittorie. Probabilmente i professori, questi veramente nazionalisti italiani estremisti e antisardi, compreso qualcuno con cognome sardo, sembrano irriducibili e con atteggiamento politico contrario al sardo veicolare avranno protestato contro il Rettore che ha cercato inizialmente una mediazione e una ragionevole marcia indietro. Questo gruppetto di professori, per essere più chiaro e per non entrare in campi che non sono miei, fanno politica, solo politica. Cosa più che legittima ma allora non tirino in ballo le “prerogrative” universitarie, ricerca o autonomia, entrino nella discussione politica e politicamente si confrontino.
E’ chiaro che quando la lingua accende confronti così aspri è perchè in ballo è la principale questione politica cioè la sovranità della Sardegna, il nuovo Statuto e la prospettiva generale di avanzamento dell'autogoverno dei sardi, della Natzione sarda per entrare nel futuro con più libertà e da sardi coscienti della propria identità distinta. Ma i professori lanciano il sasso e nascondono la mano.
Ed è la politica tradizionale e ben conosciuta dagli anni ’70 contro la lingua sarda e il bilinguismo che invece è l’obiettivo del movimento linguistico sardo. Come tutti spero che nel prossimo piano con l’introduzione anche a Sassari seguendo l'esempio virtuoso di Cagliari che già lo fa, dell’insegnamento veicolare e frontale nei corsi e non solo nei laboratori almeno a 50% , almeno abbiano il buon senso di togliere  i 10.000 euro per il caffè già previsti! Questa è la questione ridotta all'essenziale politico.
Risolta questa risolto tutto. Le altre argomentazioni sono  argumentos de malos pagadores. Per quanto riguarda il nuovo Statuto un suggerimento al Rettore …si lu potzu tocai.. Riservare alla Regione un posto nel Consiglio d’Amministrazione. Credo che lo dovrebbe anche esigere la Regione ma non sembra lo abbia fatto. Del resto la Regione è ormai uno dei maggiori finanziatori oltre allo Stato centrale e centralista del quale l’Università dipende. A chi si nasconde nel dibattito in internet dietro il muretto a secco del pseudonimo, anche se è una tradizione delle discussioni in rete e quindi generalmente accettata, dico che forse sarebbe il caso di presentarsi con nome e cognome e prendersi ognuno la responsabilità delle proprie idee con un confronto aperto, democratico e rispettoso delle altrui opinioni.

giovedì 21 luglio 2011

Insegnare il Sardo. Ma in Sardo

di Francesco Casula

Fra l’Università di Sassari e la Regione è scoppiata la pace. Dopo mesi di acute polemiche, fra l’Assessore alla Pubblica Istruzione Milia e il rettore Mastino è stato raggiunto un accordo: l’Ateneo sassarese, nei Corsi di formazione degli insegnanti, per il 50%, utilizzerà il sardo come lingua veicolare, mentre i laboratori si terranno interamente in limba. Per mesi, Sassari sembrava opporsi con forza a tale ipotesi. Che si sia addivenuti a un accordo è positivo. Sbaglia però chi pensasse che il conflitto sia totalmente composto: alla sua base infatti non c’è il problema della Limba sarda comuna, come apparentemente parrebbe, quanto una diversa concezione del Sardo, del suo ruolo e della sua funzione.
Da una parte vi sono gli accademici sassaresi –e non solo- che sostanzialmente considerano la Lingua sarda come un “bene culturale”, da conservare, proteggere e tutelare. Una sorta di “bronzetto nuragico”. Dall’altra vi è tutto il movimento che in tutti questi decenni si è battuto per il bilinguismo, che sostiene il Sardo come lingua viva, da studiare e imparare certo, specie attraverso i nostri poeti e scrittori, per conoscere la cultura e la civiltà che essa sottende; ma anche e soprattutto per utilizzarla, come strumento di comunicazione, in ogni occasione della vita e dunque anche a livello ufficiale e non solo in situazioni private e familiari. Scrivono i docenti dell’Università di Sassari:” Pessamus chi chene litteradura, chene s’istudiu de sas usantzias e de s’istoria, chene sabidoria, chene limbazos, sa limba no esistit, est unu nudda, unu battile, unu trastu calesisiat”.
Si tratta di affermazioni giuste e assolutamente condivisibili da tutti: tanto da essere persino scontate. E, dunque, neppure da discutere, perché, come ci consigliano i latini, “De evidentibus non est disputandum”. Da dibattere vi è invece tutta la politica linguistica. A partire da questo presupposto: senza l’uso sociale la lingua sarda rischia di essere una lingua artificiosa e sostanzialmente morta. Di qui la necessità non solo dell’insegnamento del Sardo in Sardo ma dell’utilizzo del Sardo come lingua veicolare per insegnare anche tutte le altre materie. Di qui la necessità che il Sardo irrompa in modo organico, come lingua coufficiale in tutti i media (giornali, libri, Radio-TV, Internet), nella toponomastica, nella pubblicità.

mercoledì 20 luglio 2011

I bronzetti dell´etá del bronzo

di Atropa Belladonna

Mi son sempre chiesta come va questa cosa che i bronzetti sardi risalgano all´etá del ferro, secondo molti con assolutezza incontrovertibile. Il che li rende, secondo gli stessi (o quasi) molti di prima, assolutamente non nuragici, perché i nuragici sono quelli che costruirono i nuraghi e che mai e poi mai produssero bronzetti. Ma, chiese una volta un ingenuo utente di un noto forum sulla Sardegna, l´etá del bronzo non viene prima di quella del ferro? Franco Campus, Valentina Leonelli, Fulvia Lo Schiavo si sono occupati di recente di questo argomento (1), portando nuovi dati-certi in almeno tre casi- e facendo una lista dei reperti che danno importanti indizi in quel senso. In quale senso, mi si chiederá? Nel senso che i bronzetti iniziarono ad essere prodotti ben prima di quanto si credesse finora e cioè almeno tra il bronzo recente e quello finale. La stratigrafia del pozzo sacro di Funtana Coberta (Ballao), pubblicata da Maria Rosaria Manunza (2), aveva già parlato chiaro: i frammenti di bronzi figurati, tra cui un piedino di bronzo e la testa magnifica qua a lato, risalgono al bronzo recente/bronzo finale.  Altre due recenti testimonianze, certe, provengono dal santuario di Matzanni e dal nuraghe Cuccurada di Mogoro: nel primo un frammento di bronzetto pertinente al bronzo finale (il sito non fu frequentato dopo quell’ epoca); nel secondo un bottone figurato in bronzo rappresentante una scena di caccia, attribuile secondo la stratigrafia ed i materiali associati al bronzo finale. A fianco di queste tre testimonianze, definite sicure e recenti, una serie di indizi che puntato nella stessa direzione: i bronzetti del sacello del nuraghe Pitzinnu di Posada; il busto di un bronzetto nel ripostiglio di Monte Sa Idda di Decimoputzu ; il frammento di bronzetto nel ripostiglio di Badde Ulumu di Usini; il bronzetto di capotribù dal sacello della torre centrale del
nuraghe Sa Mandra ’e sa Giua di Ossi. “In sintesi, dai dati a nostra disposizione l’attività fusoria in Sardegna può considerarsi dominante fra l’età del Bronzo recente e finale, quando i nuragici appresero le diverse tecniche e le applicarono immediatamente (anche di ciò vi sono le prove stratigrafiche e di contesto) nella produzione di manufatti originali, d’uso e cultuali” Segue una interessantissima disquisizione sui rapporti tra Sardi ed Etruschi e tra Sardi e resto del Mediterraneo, nella stessa epoca ed in quella immediatamente successiva. Tanto da far concludere agli autori “Dal quadro delineato sembra che nel momento di maggior crisi interna nel Bronzo finale gli interessi commerciali dei nuragici si siano rivolti preferibilmente verso la parte occidentale del Mediterraneo dove hanno avuto l’importante ruolo di impulso nella trasmissione di idee e tecniche che essi stessi avevano potuto apprendere alcune centinaia di anni prima, divenendo così parte attiva nelle trasformazioni politiche e sociali del periodo successivo”.
(1) Franco Campus, Valentina Leonelli, Fulvia Lo Schiavo, 2010, La transizione culturale dall'età del bronzo all'età del ferro nella Sardegna nuragica in relazione con l'Italia tirrenica, Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale F / F2 / 6,
(2) M.R. Manunza, 2008, La stratigrafia del vano a di Funtana Coberta (Ballao - CA), in www.fastionline.org/docs/FOLDER-it-2008-120.pdf.

martedì 19 luglio 2011

È il tipico Senato federale "all'italiana"...

di Giovanni Masala

Ho letto su Repubblica di ieri la notizia del Senato federale formato da 250 senatori eletto a "suffragio universale e diretto su base regionale" e ai cui "lavori potranno partecipare senza diritto di voto, altri rappresentanti  delle Regioni e delle autonomie locali". Premetto che la formulazione è molto vaga e che un vero Senato federale (in tedesco: Bundesrat) è tutt'altra cosa.
Cito da Wikipedia: "Nell'ordinamento costituzionale tedesco il Bundesrat non può essere propriamente considerato il secondo ramo del parlamento accanto al Bundestag. La provenienza dei suoi membri, non eletti a suffragio universale ma esponenti dei governi dei vari Länder, impedisce che il Bundesrat rivesta il ruolo di seconda camera di un sistema tipicamente bicamerale. Il Bundesrat è composto dai delegati dei governi dei vari Länder (da noi Regioni).  Nel Bundesrat (Senato federale) siedono i membri dei governi di ogni singola Land (Regione).  Ogni Land è rappresentato nel Bundesrat da un numero di delegati determinato sulla base del numero dei suoi abitanti. Ogni Land può avere da un minimo di 3 ad un massimo di 6 delegati per un totale di 69 delegati che compongono il Bundesrat. La sua composizione è infatti determinata dalle elezioni regionali che si svolgono nei vari Länder e poiché la scadenza temporale delle elezioni regionali è diversa da Land a Land, i membri del Bundesrat vengono rinnovati a rotazione, ogni volta che in un Land si tengono elezioni regionali". 
E qui sta il trucco di Calderoli. Infatti, essendo in Germania il Senato federale composto dai presidenti e assessori dei governi regionali ha attualmente una maggioranza di centro sinistra mentre la Camera dei deputati (Bundestag) è di centro destra. Il Senato federale a là Calderoli invece sottrae, anziché dare, potere alle nostre Regioni e somiglia tanto al fascismo. Il Senato federale alla tedesca invece, composto solo da alcune decine di membri, rappresenta quindi una vera soluzione democratica, evita la creazione di una seconda camera costosissima per il contribuente e rappresenta un vero federalismo.
Ma è mai possibile che un ministro della Repubblica non sappia cosa è un vero Senato
delle Regioni?
Incredibile ma vero!

domenica 17 luglio 2011

I pani della tradizione

di Giorgio Valdès

Mi riferisco alle considerazioni personalmente espresse il 23 Novembre 2010  in merito al significato della stele delle tombe dei giganti, da me interpretato come immagine dell’apparato genitale femminile ed alla sua similitudine prospettica con il pane chiamato “Cabùde de Mores”.
In tale occasione l’amico Giuseppe Mura aveva scritto un commento, richiamando un altro tipo di pane illustrato da Salvatore Dedola nel suo libro “i Pani della Sardegna”.
Si tratta dell’”Acchiddu a duas concas” di Benetutti, che Giuseppe interpreta come riproduzione del membro maschile con i testicoli rappresentati dalle spirali.
Per quanto sia piuttosto evidente il riferimento ad un organo sessuale, ritengo tuttavia che la forma di questo pane non si riferisca al membro maschile bensì all’apparato sessuale femminile.
A tale proposito mi ricollego per un attimo alle tradizioni dell’antico Egitto, con cui intrattenevamo nel bene e nel male strettissimi rapporti e conseguenti scambi culturali che credo dovrebbero essere indagati più approfonditamente.
Gli egizi erano soliti imbalsamare anche gli apparati genitali delle donne decedute, quando si trattava di persone di rango; e non è un’usanza che deve sorprendere perché nella terra dei faraoni, come peraltro anche in Sardegna, si aveva la chiara percezione che in essi fosse racchiuso il segreto della vita e per converso dell’auspicata rinascita.
L’ideogramma (o determinativo) riproducente la “vulva” (Betrò: Geroglifici”), è significativo delle conoscenze anatomiche possedute dagli imbalsamatori egizi ed in realtà la sua raffigurazione è analoga alla schematizzazione più frequente degli organi femminili che si trova nelle riviste scientifiche di settore e su internet.
Le due spirali rappresenterebbero allora le ovaie. Ritengo pertanto che il petroglifo che appare sulla domus de janas dell”Ariete” a Perfugas, non abbia niente a che fare con le corna di questo animale e tale ipotesi è probabilmente confermata dall’immagine, estremamente significativa, di un portello tombale rinvenuto a “Castelluccio”, in Sicilia.
Se le mie supposizioni dovessero risultare credibili, pani come ”s’Acchiddu a duas Concas” e “su Cabude de Mores” costituirebbero, a parte qualsiasi altra considerazione, formidabili testimonianze di tradizioni intatte ed ultra millenarie.

giovedì 14 luglio 2011

Punkt, Punkt, Komma, Strich - fertig ist das Mondgesicht!

di Stella del Mattino e della Sera

La notizia è del 2007 [1]: contrariamente a quanto fin qui creduto, Tharros  non conobbe il periodo di massimo splendore e orafa raffinatezza durante il dominio fenicio-punico-romanizzante. Bensí  verosimilmente  in epoca bizantina. Il ritrovamento di 4 matrici bronzee per modani da sbalzo, con i quali si fabbricavano in serie guarnizioni in lamina d´oro o d´argento, nel Sinis di Cabras parla chiaro e dice una sola parola: altomedievale. 
 
"La lettura corretta del tema iconografico del reperto, la cui sagoma originaria ad “U” diritta esige una rotazione di 180° rispetto all’ immagine grafica e fotografica ad “U” rovescia pubblicata (Sanna, 2004), consente di apprezzare, a partire dal basso, un motivo decorativo a punti e virgole, dato da un arco di cerchio periferico, chiuso nella parte sommitale da una concavità a V, il cui specchio interno è campito da due elementi fitomorfi stilizzati, simmetrici, con fusti subtriangolari, cuneiformi, e chiome a rami fogliati. Al centro del modano la decorazione si compone di altri due alberi stilizzati, graficamente analoghi ai precedenti, ma con un numero minore di fronde; essi si affiancano, simmetrici, ad un motivo ad “U” rovescia sagomata, ottenuto a punti e virgole, che racchiude un altro elemento vegetale. Altri tre analoghi alberelli occupano lo specchio superiore della matrice in corrispondenza della base rettilinea, delimitata da un motivo a fascetta rettangolare profilata, predisposta per un foro mediano, quale sede di un chiodino o di un rivetto.P.B. Serra, 2007



La lettura dei simboli tracciati con la ben nota tecnica dei punti e virgola (kommaahnliche Striche und Punkte o piú concisamente Punkt-Komma Ornamentik), seppure sia maturata la convinzione che la tavoletta bronzea di Tzricotu A1 sia una copia recente, tratta verosimilmente dal calco di un originale antico, non puó che portare ad una sorprendente conclusione. Come ci dice il medievalista Paolo Benito Serra [1]: “La realizzazione accurata dell´ornato del manufatto suggerisce, peraltro, la presenza nel Sinis di un atelier urbano, forse statale, verosimilmente a Tharros, dotato di maestranze specializzate in tecniche orafe di estrema precisione, che realizzava e commercializzava insieme ai prodotti finiti anche matrici e modani da sbalzo per oggetti e gioielli, quali  segni distintivi di rango e dello status sociale di appartenenza”.
Il prof. Serra, con ardita manovra, capovolge la tavoletta, per portarla alla sagoma originaria, ma poi ne legge il contenuto iconografico partendo dal basso. Che bisogno c´era di capovolgerla allora? Nel suo ardimentoso tentativo di sconfessare una volta per tutte una precedente lettura, gli scappa perfino una parolaccia. Professore, non si dice “cuneiforme” parlando delle tavolette di Tzricotu, evvia, è vietato! Ma lo sa che lei è una bella sagoma originaria? 
[1]P.B. Serra, Su alcune matrici in bronzo di linguette altomedievali decorate a “punti e virgole” dalla Sardegna, in Orientis radiata fulgore, la Sardegna nel contesto storico e culturale bizantino, Atti del Convegno di Studi (Cagliari 2007) a cura di L. Casula, A. Corda, A. Piras, Cagliari Pontificia Facoltà di Teologia della Sardegna, 2008, pp. 313-351.

martedì 12 luglio 2011

Dieci fiumi per me posson bastare

di Alberto Areddu

Il Dosa dalle ricche acque Quelli che ci sbarellano tra Lidia e Paesi Baschi, si son mai chiesti cosa ci dice l'idronomastica sarda? Credo proprio di no. Essendo un argomento scabroso, non l'hanno mai voluto affrontare, e chissà quante concordanze col basco e quante col misterioso lidio avrebbero trovato!!! E bello sarebbe sentire quel che direbbe il Wolf che sostenuto dalle Università tedesche per sostenere che i Paleosardi erano tutto tranne che indoeuropei, non ci ha però voluto dire che cosa poco poco fossero in alternativa. E siccome amo arrampicarmi sugli irti specchi, me lo sono affrontato io, il tema. Con che risultati? Mah c'è sicuramente dell'indoeuropeo (magari non tutto è facilmente relazionabile al Paleobalcanico) ma c'è sicuramente anche del Paleobalcanico (pregreco, greco e traco-illirico). Il discorso sarebbe comunque lungo, io l'ho appena iniziato. Eccone qua, deprivate di qualche sale e annotazioni bibliografiche referenti, alcune nugae, con piccole aggiunte al saggio. Posson bastare, o vogliamo dimenticare?

Berissai, (fiume di Seulo) da cfr. col fiume albanese Berishe
Diara: ricorda l'alb. dhiarë ‘sentiero da capre, tratturo’ o Tšaroj/Tearos/Tiarantos ‘fiumi traci’ (*ter- ‘attraversare’), Tiarai (Anatolia tracia) Tiera (f. lucano)
Dosa/Flumendosa: Pittau e Blasco pensano che derivi da Flumen de Osa, che si ritrova altrove nelle forme Osa, Osu, Ossalla ecc... Rilevo tuttavia che l’Angius (nell'Ottocento) non lo chiama mai Osa, ma sempre Dosa, e il Fara lo chiama Dosum (nel 1400) onde per cui non lo sottrarrei a un cfr. succosamente interessante con alb. dosë ‘scrofa’ (voce considerata d’origine ie, che finisce quasi per coincidere con l’interpretazione dello Spano, che al significato semitico di dosen ‘fertile, pingue’ lo allacciava per le ricche acque); non sorprenda la denominazione 'scrofa' per un fiume: abbiamo altri casi in area balcanica, nei pressi di Salerno e in Inghilterra abbiamo il Sow affluente del Trent ; si ritrova poi come secondo elemento nell'idronimo Pappadosa (cfr. l'altro fiume Pappalope che probm. conserva l'illirico lope 'vacca'). A Isili si conserva il termine dosu/dossu 'maiale', ma Isili, dove si parla l'arbaresca/arromaniska, è centro di immigrazioni zingaresche balcaniche e la voce potrebbe risalire a questi (peraltro indatabili) input arbaresci.
Oba: nome di torrente, da cfr. con alb. hov ‘spingersi con forza avanti, attaccare, balzare’; abbiamo inoltre la fonte dalle ricche acque di Obistis/Ubisti (Nuoro, Pittau) con il tipico suffisso illirico - iste; per Blasco, Paleosardo, 112-133, Oba andrebbe invece con basco hobi 'gola' (che ahilui presuppone un Gob-)
Pirano: può andare con l’etnico degli Pirusti, tribù illirica; alb. pirë ‘ubriaco, che assorbe’ (dal verbo pi ‘bere’); Piran città istriana, con nei pressi il fiume Dragogna (noto in antichità come Argaonte, Argone), attestata in antico come Piranum (Am. Rav. 5,14)
Rémule (f. di Irgoli), da confrontare con alb. rrymë, rrem 'corrente d'acqua, canale', località albanese di Rremull
Sara: f. di Arbatax, il collegamento più evidente è con l’idronimo trace Sara ‘corso, torrente, fiume’ (cfr. ant. ind. sarā ‘fiume, corrente’)
Simana: ricorda f. alb. Seman; il cal. Simeri e quello siculo Simeto, relitti sostratici; ill. Semnus (Lucania)
Sisa: ‘nero’?, cfr. quando detto su sisaja
Tara: (f. di Vignola) e frequente onomastico Taras, da cfr. con alb. e messapico taras (‘veloce, rapido’), che sarebbe alla base del NL di Taranto, di fondazione illirico-messapica; in Albania abbiamo Tare. Base diffusa anche in area celtica