martedì 31 maggio 2011

La "nuova politica" vince. Servirà anche alla Sardegna?

I vincitori delle elezioni comunali in Sardegna (ma anche fuori a quel che mi pare di capire) sono i portatori sani di nuova politica, il che non garantisce di per sé una buona politica. Sono, come dire, il frutto di una ribellione di massa alla politica intesa come patrimonio delle opposte nomenclature. Gli apparatnik dello schieramento vincente fingono di guidare la ribellione e quelli dello schieramento perdente trovano consolazione nell'essere vittime di uno strano fenomeno meteorologico: il vento contrario.
Ci sono, nel complesso di quelli della Sardegna, risultati, diciamo così, conservatori, determinati cioè dal confronto e dallo scontro fra schieramenti classici, egemonizzati dal Pd da una parte e dal Pdl dall'altra. Ma qua e là ce ne sono di improntati ad una rivolta contro, appunto, le nomenclature. A Olbia contro quella del Pdl, a Cagliari contro quella del Pd. In Gallura, l'apparatnik pidiellino è riuscito nella missione impossibile di disfarsi di un sindaco popolare e vincente e di regalarlo al centrosinistra; nella capitale sarda, il Pd ha tentato di imporre un candidato malvisto nel resto del centrosinistra che, a sua volta, ha scelto come candidato sindaco una giovane speranza della sinistra cosiddetta radicale che è stato poi diventato primo cittadino di Cagliari.
Ma nei centri più piccoli è successo anche dell'altro in fatto di novità. A Sinnai, dove il centro-destra si era già liquefatto, si sono confrontati la sinistra radicale e una curiosa alleanza fra Pd, finiani, Udc, Partito sardo e Riformatori sardi, alleanza che ha vinto. A Dorgali, un sardista ha sconfitto un centrosinistra che sembrava inaffondabile. Ad Orosei si sono affrontate tre liste, una dell'ex sindaco espresso da una parte del Pd appoggiata da Renato Soru, una formata dal Pd e dal Pdl con l'appoggio della federazione nuorese del Partito democratico, e una terza civica, capeggiata da un consigliere regionale dei Riformatori sardi. Ha vinto questa.
In giro ci sono anche altri tentativi, alcuni riusciti, di uscire dalla gabbia dello scontro Pdl-Pd e anche di quello fra centrosinistra-centrodestra. Frutto, forse, di quella che una volta si chiamava “anomalia sarda” e della cui esistenza da conto l'amico Adriano Bomboi nel sito dei Nazionalisti sardi. Sia come sia, quest'aria di nuova politica c'è e si avverte. Il problema è a questo punto capire in quale direzione soffia, nel momento in cui è urgente che la Sardegna affronti la questione del Nuovo statuto speciale. Le vecchie nomenclature, a destra come a sinistra, sono in preda alla paralisi totale. Il centrodestra ha in mano da anni una moneta (una articolata proposta di nuova costituzione sarda, che è diventata anche disegno di legge in Senato) che non vuole e forse non sa come spendere. Anche il centrosinistra ha in mano la stessa moneta: il disegno di legge di quell'Antonello Cabras che il Pd ha cercato di imporre come candidato a sindaco di Cagliari.
Questo centrodestra e questo centrosinistra si guardano in cagnesco, incapaci di fare la prima mossa, e intanto si avvicina il tempo in cui sarà lo Stato ad imporre le nuove regole dell'autonomia regionale. Possibile che una questione di tanta importanza debba restare imbalsamata, sotto gli sguardi spenti degli opposti apparatnik?
Certo, non c'è dubbio che la più grande responsabilità l'abbiano la maggioranza e le sue incertezze, ma nessuno impedisce alla minoranza – soprattutto oggi che si sente sempre più futura maggioranza – di assumere l'iniziativa che i propri avversari non riescono a prendere. Si può sperare che la batosta da un lato e la vittoria dall'altra siano motrici di qualche seria iniziativa a favore della Sardegna?

sabato 28 maggio 2011

L'antica Phoinikia fu la mitica Atlantide?


di Stella del Mattino e della Sera

Il termine greco dell'epos omerico Phoinikes compendia strutture del commercio e delle interrelazioni con il milieu indigeno profondamente diverse tra loro e attribuibili di volta in volta, e non necessariamente in scansione cronologica, ad Aramei, Filistei, Cipro-levantini, Euboici, e Phoinikes delle città delle Fenicia, in una fase antecedente l'assunzione del potere del re di Tiro sulla regione congiunta dei Tirii e dei Sidonii, ossia nella prima metà del IX sec. a.C.[…]. Col termine Fenici ci riferiremo invece allo sviluppo di insediamenti che, a partire dalla seconda metà dell'VIII secolo, traducono in ambito occidentale i modi urbanistici di tradizione vicino-orientale o più precisamente Tirii [..]”.
Questo tema d’esame di Raimondo Zucca non mi faceva dormire la notte: i Phoinikes dovevano essere dei bei tipi, ma soprattutto la Phoinikia doveva essere un vero e proprio Eden: Euboici e Filistei, Cipriani e Levantini, Aramei e Phoinikes di Fenicia, che, dimentichi degli odii razziali e delle differenze di linguaggio, si unirono in piena democrazia (la Phoinikia non fu mai un dispotico impero) con un unico intento. Quale? Non si sa, ma di certo volevano andare in Sardegna con ogni mezzo (come si vede in figura), portandosi nello zaino l'alfabeto. Questo giardino incantato si estendeva almeno almeno come quel tratto rosso in figura: fu forse la Phoinikia la mitica isola di Atlantide? Le colonne d'Ercole nel loro continuo spostamento verso ovest si posarono anche qui? .
Difficile dirlo, con quel cocktail di genti i documenti che hanno lasciato sul loro cammino sono illeggibili. Forse per questo i Sardi fecero il casino che sappiamo con le lettere dello zaino: “segni grafici che non sono altro che lettere alfabetiche fraintese”. Che ne fu della dorata Phoinikia? Anche questo non si sa, ma bando ai rimpianti perché subito dopo comparve un personaggio notevole: “questo Fenicio, uomo audace, sempre alle prese, nel suo spirito, con i problemi della navigazione; dentro di lui, senza tregua, agitava le acque dell’Oceano” . Come ci dice Paolo Bernardini “tra il IX e l’VIII sec. a.C., i Fenici, all’apice della loro egemonia commerciale, concepiscono e realizzano la spinta mercantile verso l’Occidente mediterraneo nel giro di meno di duecento anni, sulle nere e agili navi cantate da Omero, mercanti e coloni si stabiliscono nell’Egeo, nell’Africa settentrionale, nelle grandi isole mediterranee, in Iberia”.
Non se ne avrà a male il ricercatore di Sassari se gli rubo anche il pistolotto finale: “E’ tempo di chiudere; insieme ai Fenici –e ai Cartaginesi vittoriosi– vi ringrazio per la cortese attenzione e ospitalità che mi avete rivolto e vi dico arrivederci ad un prossimo incontro”.

venerdì 27 maggio 2011

Apellu a sos candidados a sìndigu: cara a sa limba sarda

Su Comitadu pro sa limba sarda at ghetadu custu apellu a sos candidados a sìndigu de Casteddu, Iglesias e Sìnnai chi domìniga s'ant a cunfrontare in su ballotàgiu:

Su Comitadu pro sa limba sarda est cumbintu chi sa polìtica linguìstica in favore de sa minoria linguìstica sarda tèngiat unu caràtere cumpartzidu e chi s'eletoradu, in su pessu suo, podet premiare o nono s'impinnu cuncretu de sos partidos e de sos amministradores in custu setore crìticu pro s'identidade natzionale de sos sardos.
Su “Comitadu pro sa limba sarda” at notadu sa mancàntzia belle totale, in sos programas eletorales e in sas decraratziones de voluntade de sas listas e de sos candidados a sìndigu de totu sas fortza polìticas e alliàntzias de tzentrudestra, de tzentrusinistra o indipendentes, de argumentos chi pertocant sa limba sarda.
Su Comitadu pro sa limba sarda, cunforma a sa Lege 482/ 99, "Normas in matèria de tutela de sas minorias linguìsticas istòricas ", pedit
a sos candidados a sìndigu  de Casteddu  e de Sìnnai :
s'impinnu, in casu de eletzione, a creare s'Isportellu linguìsticu comunale e a finantziare comente si tocat una polìtica linguìstica comunale, comente ant giai fatu in comunas medas a beru de sa Sardigna.
a sos candidados a sìndigu de  Iglèsias :
semper cunforma a sa Lege 482/99, una decraratzione de impinnu a tales chi su Cussìgiu comunale delìmitet territorialmente sa Comuna de Iglèsias comente apartenente a sa minoria linguìstica sarda e si creet s'Isportellu linguìsticu comunale.
a su sìndigu elèghidu de Carbònia :
s'impinnu a sa delimitatzione territoriale de sa Comuna de Carbònia, chi como non b'est, comente rechedet sa lege 482/99, cunditzione pro pòdere otènnere sas providèntzias de sa lege matessi e abèrrere s'Isportellu linguìsticu comunale, atuende una polìtica linguìstica comunale pro sa minoria linguìstica sarda.

E se il sardo non fosse una lingua straniera?

di Tonino Bussu

La lingua sarda bisogna insegnarla in sardo!
Mentre in Sicilia si decide di introdurre l‘insegnamento del dialetto siciliano nelle scuole di ogni ordine e grado, in Sardegna, dopo 63 anni di autonomia speciale e a 14 anni dall’approvazione della legge regionale n. 26 sulla valorizzazione della lingua e cultura sarda, non si riesce a decidere l’uso della lingua sarda nelle scuole.
Si sostiene infatti che prima bisogna formare gli insegnanti e così, nel piano regionale triennale per la lingua sarda , avevano stabilito che la formazione dei formatori, all’università, avvenisse metà in lingua italiana e metà in lingua sarda. Si doveva insomma introdurre l’uso veicolare della lingua sarda che significa poter insegnare tutte le materie in lingua. Sembra una scelta rivoluzionaria, mentre è la scelta più normale che si possa fare, a meno che i professori universitari non considerino il sardo una lingua straniera per cui bisogna insegnarla in italiano.
E in effetti pare che per alcuni docenti dell’università di Sassari il sardo debba essere trattato alla stessa stregua di una lingua straniera perché pare chi stiano facendo una lotta agguerrita per far passare la linea che i formatori di lingua sarda bisogna formarli in lingua italiana.
E’ una prova lampante che, dopo tanti bei discorsi sulla lingua sarda, siamo in uno stato di imperante colonizzazione culturale e quindi, se a Sassari insistono su questa linea e se passa la scelta di imparare il sardo in italiano, sarà un ulteriore colpo mortale alla lingua sarda, sarà una scelta antistorica e antisarda che dimostrerà quanto siamo lontani dall’avere non l’indipendenza, ma neanche l’autonomia piena se rinunciamo ad uno dei punti cardine su cui si fonda l’essere sardi, l’essere popolo e nazione.
A questo punto le forze veramente autonomistiche e nazionalitarie dovrebbero ribellarsi e iniziare una vertenza permanente affinché si decreti la fine della scuola italiana in Sardegna e si arrivi alla istituzione della Scuola sarda.
Speriamo che le voci che corrono su queste intenzioni all’università di Sassari, siano solo voci lontane che svaniscano nel nulla come le immagini e i ricordi di un brutto sogno.

giovedì 26 maggio 2011

Flotta sarda, la rivolta degli schiavi

Questa volta è possibile che vada meglio che nel 1944 e 1945, quando la Sardegna, non ancora regione a statuto speciale, tentò di darsi un embrione di flotta navale ed aerea. La Sardamare e Airone furono rase al suolo rispettivamente dalla Tirrenia e dalla nascente Lai (Linee aeree italiane) e, naturalmente, dal Governo provvisorio, quello di Ivanoe Bonomi, se non sbaglio. Ruoli diversi, oggi, naturalmente. Al posto della Camera di commercio di Cagliari (che deliberò la costituzione della società di trasporti) c'è la Regione sarda, nel ruolo della Tirrenia (in via di privatizzazione) ci sono la Moby di Onorato e altri due grandi armatori, al posto di Bonomi c'è Berlusconi.
Quel che sembra cambiato è il clima politico e culturale e, insieme ad esso, la consapevolezza che l'autonomia non va gridata e rivendicata ma esercitata. C'è in giro, è vero, la tentazione di dar ragione agli armatori pur di dar torto al governo sardo e alla sua decisione di metter su la “flotta sarda”, ma si tratta di piccoli riflessi pavloviani che non avranno molta storia. Anche l'unica critica un po' più seria (“Saranno i sardi a pagare di tasca loro questa avventura”) cozza contro l'assicurazione che costi e ricavi saranno pari. La diffidenza è naturalmente giustificata, ma perché non sia un semplice pregiudizio bisogna contrapporre conti a conti.
È da manuale del buon colonizzatore la reazione esagitata del cagnolino a cui si tenta di togliere l'osso. Variano, con lo scorrere dei giorni, il tono e la virulenza. Si passa dal contentino dato alla rivolta degli schiavi attraverso l'abbassamento di una tariffa definita fino ad allora intoccabile alla minaccia: “Voglio vedervi questo inverno quando ritirerò le mie navi dalla rotta”. C'è il ricatto: “Se non abolite questa flotta sarda, io e i miei amici ritireremo l'offerta di acquisto della Tirrenia” e c'è l'invettiva da padrone della Compagnia delle Indie: “Non si può più restare in silenzio; con rabbia e amarezza ripeto che questa politica demenziale, demagogica e qualunquista, condotta dalla Regione sta affondando il turismo in Sardegna. La propaganda di queste settimane equivale a scoraggiare i turisti che vogliono venire nell’isola”. Il tutto condito con avvertimenti dal significato oscuro: “Eppure in questi anni abbiamo sempre offerto collaborazione e sostegno al presidente [dell'autorità portuale di Olbia, NdR] tutte le volte che ha avuto bisogno. Ora questo attacco nei nostri confronti cambia tutto e noi non siamo più disponibili a lasciar passare in silenzio qualunque cosa accada nei porti del nord Sardegna”.
Onorato cerca anche di giocare la carta della solidarietà che i sardi dovrebbero provare: la flotta sarda mette a rischio 1.500 dipendenti della Moby; “dati alla mano, in questi giorni di gran parlare della flotta sarda Moby ha registrato una perdita consistente di prenotazioni, tra 7.000 e 8.000 al giorno, in genere sono il doppio”. Quasi che ai trentamila operatori turistici in Sardegna faccia ribrezzo accudire a chi viene in vacanza snobbando le navi di Onorato. Da vicerè delle Indie qual si pensa, egli minaccia il commissariamento dell'autorità portuale di Olbia, rea di aver salutato con favore la creazione della flotta sarda. Insomma, come si sarà capito, intorno alla questione della flotta sarda si gioca una partita che è sì economica (ma c'è anche chi giudica un gran regalo quello che Onorato e i suoi farebbero alla Sardegna andandosene), ma soprattutto di dignità. Se gli imprenditori sardi di oggi mostrassero di avere il coraggio che ebbero i loro colleghi di 67 anni orsono saremmo tutti più tranquilli, ben oltre l'esperimento temporaneo della flotta sarda. Ma l'importante è che la Regione abbia preso gusto nella riconquistata dignità nazionale: di navi, belle, capienti, veloci sono pieni i mari e ce ne faremo una ragione se i loro armatori non sono napoletani o italiani in genere.

mercoledì 25 maggio 2011

Come mandare gambe all'aria l'unità dei sardi

Manovrare una mole di consensi come quelli ottenuti dal Comitato antinucleare, quasi novecento mila elettori, è una tentazione irresistibile per il bestiario politico. Qualcuno, infatti, non ce l'ha fatta a resistere e cerca di indirizzarlo verso fini diversi da quelli per cui è nato. Il “Comitadu sì NoNucle”, come si sa, è sorto per organizzare una battaglia trasversale contro la installazione in Sardegna di centrali nucleari e siti di stoccaggio delle scorie. Punto è basta. Oggi è in piena mutazione, e sta cercando di utilizzare in una scelta partigiana il consenso ottenuto in tutto l'arco delle sensibilità politiche e culturali esistenti in Sardegna.
Qualche giorno fa, al Comitato arrivò questa mail dal parlamentare dell'Italia dei Valori, Federico Palomba: “Carissimo Bustianu [Cumpostu, coordinatore del Comitato, NdR], Italia dei Valori coglie con apprezzamento e gratitudine il permanente impegno del nostro Comitato SiNoNucle anche per i referendum del 12 e 13 giugno. Comprendiamo che esso possa formalmente essere limitato ai due temi del nucleare e dell'acqua per il pluralismo politico del Comitato; ma noi possiamo auspicare che il SI' si estenda anche al terzo, quello sul legittimo impedimento”. Da notare l'accenno al “permanente impegno del nostro Comitato SiNoNucle anche per i referendum del 12 e 13 giugno”, impegno evidentemente conosciuto ad una ristretta cerchia ma non a tutti gli aderenti e certamente non a me.
Scrissi al Comitato queste parole: “Carissimi amici, da aderente al Comitato seguo con una certa apprensione i tentativi fatti da uomini politici e da partiti di dettare linee diverse da quelle che hanno mosso tutti noi a dar vita, chi con dedizione totale chi in modo fisicamente meno partecipato ma con uguale passione, a un vincente movimento contro le centrali nucleari in Sardegna e lo stoccaggio qui di scorie. Questo era il nostro obiettivo e questo è stato raggiunto. Avverto il rischio che la dilatazione del nostro "oggetto sociale" vanifichi l'unitarietà di intenti che ci ha animato.
Nessuno di noi, credo, avrebbe gradito che la volontà del popolo sardo di pronunciarsi nel nostro referendum fosse stata diluita in un voto aperto a tutti gli elettori della Repubblica. Parimenti, sento profondamente ingiusta la chiamata del popolo sardo a pronunciarsi in un eventuale referendum riguardante gli elettori italiani. La nostra volontà l'abbiamo espressa, che siano gli italiani a fare altrettanto, se referendum sul nucleare ci dovesse essere. Ma non avrei niente da obiettare se la maggioranza del nostro Comitato valutasse opportuno, per attinenza di argomento, invitare i sardi anche a quel voto eventuale.
Ma basta lì. Non vedo che cosa c'entri il referendum italiano sull'acqua e ancora meno che senso abbia quello sul legittimo impedimento. Se su taluni aspetti della cosiddetta privatizzazione dell'acqua le diverse nostre posizioni potrebbero forse coincidere, sulla questione legittimo impedimento il mio disinteresse è totale. E non ho alcuna intenzione di far parte di un Comitato che, per il sì o per il no, volesse impegnarsi.
Perdonerete la franchezza, ma il mio sì ad impedire la nuclearizzazione della Sardegna (parte di un bel sogno di un mondo libero dal nucleare) è un sì libero che non tollera ingabbiamenti politici e ideologici, né a priori né a posteriori.
E invece, sabato sera, il “comitato esecutivo” ha deciso di ingabbiare tutti, chi è d'accordo e chi non è d'accordo con la dilatazione di un impegno condiviso a cose che condivise non sono. Questa la delibera del comitato centrale del Comitato di cui da questo momento non faccio più parte:
In merito ai 4 referendum abrogativi che i sardi saranno chiamati a votare il 12-13 giugno, dei quali uno sul nucleare, due sull’acqua pubblica ed uno sul legittimo impedimento, delibera:
  • Di impegnarsi nella campagna referendaria agendo come entità costituita ed indipendente, in collaborazione anche con altri comitati, associazioni o organizzazioni con le quali è possibile condividere momenti di impegno, modi, metodi e contenuti.
  • Di impegnarsi, con la stessa decisione, serietà ed assiduità dimostrate nel referendum consultivo regionale, nella promozione del SI nel referendum contro il nucleare e nei due referendum contro la privatizzazione dell’acqua.
  • Di ribadire, in merito al referendum sul legittimo impedimento, che il comitato condivide l’esigenza di rendere tutti i cittadini uguali davanti alla legge, indipendentemente da come verrà argomentato o utilizzato il referendum nell’attuale momento politico.”
Quel momento alto e esaltante di unità dei sardi, che ha riempito di fierezza e di orgoglio evidentemente solo a parole e per secondi fini il bestiario politico, si frantuma, scomponendosi in partigianerie di partito. Che cosa triste e, soprattutto, che rabbia aver creduto che quella dimostrazione di concordia potesse modificare il settarismo partitico che campa e si ingrassa solo se riesce a dividere i sardi fra i partigiani di questo o quel principe in guerra alla Corte di Madrid.

martedì 24 maggio 2011

Piano triennale della lingua: via libera del Governo sardo

Alcune delle perplessità sull'azione del governo regionale in materia di lingua sarda, avanzate su questo blog e in quello di Roberto Bolognesi, trovano risposta in un comunicato della Giunta di questo pomeriggio. Quel che segue ne è il testo integrale:

Conferenza della lingua sarda a Fonni
La Giunta Regionale, su proposta dell’assessore della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport, Sergio Milia, ha dato il via libera al Piano Triennale degli interventi  2011-2013, per la promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna.  Nel nuovo Piano si punta molto sulla scuola e sulla famiglia, oltre ai media, per la comunicazione, per la promozione dell’informazione in lingua sarda. Ci sarà inoltre un sostegno ai premi di poesia, al sardo curriculare nelle scuole, agli sportelli linguistici. Interventi mirati per la  creazione di opere didattiche, traduzione di opere di prestigio e investimenti per le Università.
Per l’assessore Milia era importante, sentito l'Osservatorio regionale per la cultura e la lingua sarda, portare avanti un progetto articolato che facesse seguito a quanto stabilito durante la recente “Conferenza Regionale della Lingua Sarda”, svoltasi a Fonni.
Il Piano triennale è uno strumento di programmazione sui temi dell’identità e della lingua regionali con il quale si vuole realizzare un’equilibrata diffusione, nel territorio regionale, delle iniziative a favore della cultura e della lingua dei sardi, stimolando l'elaborazione e l'attuazione di progetti e programmi di sperimentazione.
Con strumenti normativi più adeguati e funzionali ci sarà una netta distinzione operativa tra lingua e cultura sarda, salvaguardando alcuni progetti in ambito culturale di particolare interesse e rilievo. Il Piano triennale degli interventi di promozione e valorizzazione della cultura e lingua sarda 2011-2013, sarà presentato al Consiglio Regionale per l’acquisizione del parere da parte della Commissione consiliare competente e alla Conferenza Permanente Regione-Enti locali.
Tra i progetti, anche quello per interventi a favore della lingua sarda fuori dalla Sardegna e all’estero, lo sportello linguistico regionale, l’Atlante linguistico multimediale della Sardegna, con la promozione di tutte le varietà linguistiche della Sardegna e l’acquisizione dei diritti per il web di opere di traduzione di classici della letteratura internazionale in sardo, dall’italiano o da altre lingue e di opere didattiche per l’apprendimento della lingua sarda

Ma che bella cornice di un quadro bianco

di Daniel Sotgia

Mi trovavo per lavoro nel quartiere di Ozieri, San Nicola, quando mi sono imbattuto in uno dei tanti cartelli stradali di color marrone, stante ad indicare la presenza, di lì a cento metri, del Nuraghe “Sa Mandra ‘e sa Jua”. Conoscevo di fama questo sfortunato Nuraghe: sfortunato per aver subito, a dolu mannu nostru, la malaugurata sorte di insistere proprio in un terreno sul quale, 3500 anni dopo la sua realizzazione (decennio più, decennio meno), l’uomo avrebbe realizzato un’opera di edilizia popolare simile a un alveare, più che a una casa.
Il Nuraghe a oggi emerge da un cumulo di spazzatura, e fino a ieri a stento se ne intravvedevano i massi più alti, soffocato com’era dal fieno che in primavera tormenta le mie giornate, e non solo le mie, per questa maledetta allergia da fieno.
Nelle foto: il nuraghe nella cornice di case popolari
(da Wikimapia)
Chi si avventura alla ricerca di questo Nuraghe, trilobo e circondato da un bel villaggio di capanne, si troverà di fronte un obbrobrio, dovuto al pessimo intervento di restauro che ha subito (ennesima sfortuna del Nuraghe), in tempo alquanto recenti. Nel sito del comune di Ozieri si legge:
«Il restauro ha interessato soprattutto la struttura muraria della torre centrale. Questa, completamente interrata, presentava solo metà del paramento esterno della torre (A), con conci rimossi in epoca recente. È stato utilizzato un argano per rimontare le pietre onde procedere ad un incastro morbido dei conci crollati. Questi sono stati collocati previa analisi della posizione di caduta e delle dimensioni in relazione alla struttura residua. L'ultimo filare è costituito da conci raccolti nell'area per permettere di stabilizzare l'anello sottostante, in quanto non più ancorato al paramento interno della struttura
Con buona pace di ogni studioso di restauro, ogni studioso dell’ingegneria e via dicendo. L’intero apparato murario risulta murato a calcestruzzo e negli spazi tra una pietra e l’altra, pietre di più piccole dimensioni sono poste a chiudere le connessure. Niente di più orrendo.
Il prof. Arch. Laner, dello IUAV di Venezia ha più volte ripreso il brutto intervento che ha rovinato questo bell’esempio di Santuario Nuragico, e ha più volte richiesto all’Amministrazione comunale e alla Sovrintendenza di ricevere materiale informativo e relazioni di scavo sui lavori eseguiti al Nuraghe. Scrive Laner:
«Ricordo – correva l’anno 1995 – che i 450 milioni spesi dall’Amministrazione di Ozieri avevano lo scopo di riconciliarsi con uno strazio urbanistico, (sopra il sito archeologico è stato realizzato il quartiere satellite e popolare di S. Nicola), e di legittimarlo culturalmente. Dei risultati di quegli scavi chiesi spesso l’esito sia al Comune sia alla Soprintendenza, senza avere mai risposta! Nemmeno il rilievo del Nuraghe – ammesso che sia stato eseguito – sono riuscito ad avere! Come dire, normale Amministrazione ed atavici ritardi dei resoconti di scavi» [1]
Una nota che acutizza ancora di più, se mai fosse possibile e necessario, lo sfregio e il malcostume imperante, che in Italia tende a sottomettere la cultura all’esigenze dell’uomo, è la recinzione realizzata su un lato che incornicia e introduce al sito nuragico: realizzata in pietra di trachite, consiste in due ingressi resi importanti dalla presenza di due pilastri per ciascun ingresso, costituiti ognuno da quello che dovrebbe essere un Nuraghe, o quantomeno una spirale che vuole richiamare le fattezze del Nuraghe corredato di rampa atta alla costruzione (peccato che di Nuraghes simili non ne esista uno nemmeno a volerselo inventare!). L’unica cosa che mi ha fatto venire in mente, e cito ancora il Prof. Laner, è la frase “Nuraghe macchina di se stesso”, per la teoria che vuole il monumento realizzato grazie a una rampa interna. Vedo questa recinzione come la degna cornice di un quadro bianco, reso tale dall’intervento prepotente e pretestuoso dell’uomo-rovina-di-se-stesso.
Nessuna conclusione renderebbe giustizia al dolore e allo smarrimento che si prova a percorrere gli ambienti del Nuraghe Sa Mandra ‘e sa Jua, ma se qualcosa si può fare è bene farla, se qualcosa si può dire, è bene dirla!

[1] Franco Laner – Sa ‘Ena. Sardegna preistorica. Dagli antropomorfi ai telamoni di Monte Prama. Condaghes Edizioni, 2011. pag. 81

lunedì 23 maggio 2011

Novità dalla Spagna


In Spagna, non è successo solo che abbia perso il Partito socialista e vinto il Partito popolare. È capitato anche che i nazionalisti catalani di Convergencia i Unío abbiano conquistato la capitale, Barcellona, dopo una trentina d'anni di governo socialista. Ed è successo che in Euskadi gli indipendentisti baschi di Bildu (Riunirsi in eukera) siano il secondo partito dopo il Partito nazionalista basco e il primo nella regione di Guipúzcoa. Insieme i due partiti, l'uno radicale l'altro moderato superano il 55 per cento.

domenica 22 maggio 2011

Lingua sarda e lobby sassarese: chi vincerà?

Non è detto che riesca a farcela, ma non si può certo dire che la lobby contraria alla lingua sarda radicata nell'Università di Sassari non ce la stia mettendo tutta. Tre gli obiettivi di fondo: a) usare i fondi pubblici per fini diversi (o contrari) all'uso veicolare del sardo nella preparazione dei futuri insegnanti; b) delegittimare la limba sarda comuna e qualsiasi altro standard; c) devitalizzare l'Ufficio regionale della lingua sarda.
Nessuna malvagità, credo, né un perverso complotto contro la lingua sarda e le altre lingue della Sardegna che, anzi, la lobby pensa di preservare riducendole ai dialetti costitutivi. Quindi niente Limba sarda comuna ma neppure qualsiasi altro standard che metta in crisi la visione dialettale del sardo. Secondo questa scuola, che giustamente Roberto Bolognesi definisce dedita ad attività antisarde, il sardo è una lingua residuale che i linguisti studiano come reperto da vivisezionare prima che ineluttabilmente diventi archeologico. Questa è scienza: il resto è fanatismo ideologico e i suoi adepti minoritari nella società sono dei “lingua-invasati”. I dati statistici, che attestano i sardo-parlanti al 68,4 per cento e coloro che non lo parlano ma lo comprendono al 29 per cento, sono per questa lobby dati falsificati e poco importa che suoi aderenti abbiano preso parte attiva alla ricerca socio-linguistica che tali dati hanno ricavato.
Niente di male in questo astio: la cultura italiana è zeppa, da destra a sinistra, di intellettuali e di linguisti che hanno un sommo disprezzo delle lingue minorate e che adorano i dialetti come espressione di folclore. Che la lobby sassarese sia in linea con essa è un suo diritto. Ma non si capisce con quale faccia tosta pretenda che la mano pubblica, la Regione e lo Stato, impieghi i pochissimi denari stanziati per la lingua sarda per finanziare questa lobby e la sua attività contro la lingua sarda. Questa pretesa mi ricorda tanto la richiesta fatta da un docente che avrebbe voluto impiegare un miliardo e mezzo di lire dei primissimi stanziamenti della legge regionale 26 per la lingua sarda al fine di studiare se la lingua sarda davvero esistesse.
È dal passato Piano triennale per la lingua e la cultura (quello firmato dall'assessore del governo Soru, Maria Antonietta Mongiu) che la lobby sassarese è in sofferenza: in quel piano si stabilì, non senza fortissime resistenze di chi considerava la lingua un epifenomeno della cultura, non solo la conferma della Limba sarda comuna come lingua in uscita della Amministrazione regionale, ma anche che i soldi destinati alla lingua sarda, per essa servissero. L'assessora produsse dei dati sconcertanti sull'uso (vogliamo dire inappropriato?) fatto nelle due università sarde dei denari destinati alla cultura, alla lingua sarda e alle altre lingue alloglotte: si preferì, per dire, restituire i soldi piuttosto che usarli, come comandava la legge, per il sardo veicolare.
Per chi si fosse messo all'ascolto solo ora, veicolare il sardo significa usare il sardo per insegnare sia il sardo sia le altre materie. Sembra una cosa da nulla, ma per farlo bisogna sapere il sardo o se no impararlo. E questo alla lobby non va. Va tanto poco che è da tempo in fermento per cancellare dal nuovo Piano triennale, pronto da diversi mesi ma ancora lontano dall'aula del Consiglio regionale che deve approvarlo, quanto l'assessore della cultura Milia e l'Osservatorio della lingua hanno stabilito: “usare la lingua sarda in forma veicolare nello svolgimento di attività e discipline previste dai curricula scolastici”. In altre parola, i soldi servono a questo, se no no.
Un grande risultato della battaglia che i “lingua-invasati” da molti anni conducono. La lobby sassarese ha non poche entrature nel Consiglio regionale e mi aspetto che faccia valere la sua influenza per smantellare le parti del Piano triennale che sono inevitabilmente destinate a limarle le unghie in cui si impigliano i denari pubblici. Tutto sta nella coerenza dell'assessore della cultura e nel suo convincimento che la strada del sardo veicolare è quella giusta. Un lavorio sotterraneo, lobbystico per l'appunto, si è intanto proposto un primo obiettivo: devitalizzare al massimo s'Ufìtziu regionale de sa limba sarda che ha supportato l'assessore nelle sue scelte. Magari trovando, nelle pieghe della procedura burocratica, il modo di piazzare quanti, meno “lingua-invasati”, siano più sensibili alle esigenze dei lobbisti.

sabato 21 maggio 2011

Tuvixeddu e le altre vergogne

di Daniel Sotgia

Una sentenza del Consiglio di Stato ha bloccato le mire dell'imprenditore Cualbu sui colli cagliaritani di Tuvixeddu, Tuvumannu-Monte della Pace e Is Mirrionis. Tutti gli improperi che si possono rivolgere a quell'uomo (poco uomo tanto imprenditore) sono, a mio avviso, assolutamente inutili. Cagliari, Tuvixeddu, è solo la più eclatante (eclatante in Sardegna, al di là del mare non gliene fotte una fava a nessuno) testimonianza del grado di imbarbarimento che l'uomo ha raggiunto, dacché egli è comparso sulla faccia della Terra. Neanche Gengis-Kan, neanche Attila, neanche Dario I di Persia o il suo successore Serse I dimostrarono un grado di ignoranza becera e arrogante come lo stiamo dimostrando noi.
Dicevo: Tuvixeddu è solo il caso più clamoroso. Ogni angolo della Sardegna denuncia un totale stato di abbandono nella tutela del patrimonio storico-artistico che ne correda quasi per intero il territorio. Dal nord, dalle realtà archeologiche della Gallura, per percorrere tutto un immaginario itinerario che vada a toccare i settemila templi nuragici.
Per citare qualche caso vicino alla mia realtà, credo che il più indicativo sia quello di Olbia: una città che, a testimonianza dei resti archeologici trovati e risalenti a ogni epoca possibile e immaginabile, riveste da millenni un'importanza capitale nei traffici marittimi del Mediterraneo, e si trova oggi a dover combattere contro un totale disinteresse da parte della stragrande maggioranza dei cittadini, i quali sembrano non battere ciglio di fronte allo scempio che si rinnova ogni giorno quando, transitando sopra la circonvallazione per la Costa Smeralda, si percorre il cosiddetto "viadotto Nuraghe": non è un nome datogli per celebrare la cultura di un popolo. No. Quel nome gli è stato dato semplicemente perché il viadotto passa esattamente sopra un nuraghe, soffocandolo e privandolo dell'importanza che in realtà riveste!
Ho sempre pensato a quale sarebbe la reazione della Chiesa di oggi se una strada sormontasse una semplice chiesa di paese, privandola del sole, dell'aria, dell'importanza sacrale che è insita in ogni edificio di culto.
A Olbia ci sono millanta casi di scempio. Basta anche solo andare al palazzo del comune e alla sua sinistra (destra per chi lo guarda di fronte) si vedranno i resti dell'antico lastricato romano, misericordiosamente risparmiato dalla furia asfaltatrice dell'uomo moderno.
Vogliamo parlare di Oschiri? Cito un caso poco noto ai più: al cimitero comunale, intitolato a San Demetrio martire di Antiochia, corrispondeva un importantissimo sito prenuragico e nuragico, con un tempio a megaron, sul quale è stata poi realizzata l'attuale chiesa demetrina, un nuraghe di cui oggi rimane solo il profumo, un pozzo sacro, utilizzato oggi per attingere l'acqua per il bestiame, un villaggio prima nuragico, poi romano, poi bizantino, quindi medievale con, sicuramente, un cimitero riferibile a ogni successiva sovrapposizione di civiltà a quella precedente.
Per fare spazio a un ampio parcheggio che servisse la nuova ala del cimitero comunale, si è pensato bene di sbancare, arbitrariamente, una bella fetta di terreno, che a occhio non sarà inferiore almeno ai 200 mt quadri. Lascio a voi immaginare cosa può essere andato perduto in questa violenza perpetrata ai danni della storia della Sardegna, non solo a quella di Oschiri.
Voglio precisare che sono altrettanto sicuro del fatto che, anche qualora dovessimo sostituire il nome del paese, questa situazione è senz'altro adattabile a qualunque comune della Sardegna: in ogni zona dell'Isola è ravvisabile un problema di questo tipo, e probabilmente anche più grave.
Termino questa breve nota con una grande amarezza.
Qualcuno poi chiede a "noi" ragazzi il motivo per cui decidiamo di andare a studiare nelle università non sarde e poi, spesso e volentieri, non torniamo a casa per mettere a servizio (di chi???) le nostre competenze acquisite fuori.

Credibili nel referendum, snobbati nel voto. Perché?

Voti degli schieramenti a Cagliari
Quanti hanno commentato il risultato del referendum antinucleare in Sardegna hanno messo in rilievo che si è trattato di un cosciente esercizio di sovranità del popolo sardo. Qualcuno si è forse lasciato andare all'enfasi, non dando a “sovranità” il significato pieno della parola, cosa di cui è possibile si penta quando se ne dovesse render conto. Ma sono convinto, con i più, che di consapevolezza sovranista si tratti. È vero che ogni volta che si va a votare si esercita la sovranità che risiede nel popolo, ma un conto è scegliere un partito o un candidato, altro conto è andare a votare sapendo che non si decide alcunché e si esprime un sentimento o una coscienza collettiva per niente scontati.
E allora viene da chiedersi com'è che questa voglia di sovranità sarda non si traduce anche in consensi per movimenti o partiti che della sovranità (fino all'indipendenza che ne è ritenuta lo sbocco) fanno argomento di battaglia politica ed elettorale. Prendiamo la capitale della Sardegna dove, oltre che per il referendum, si è votato per il Comune. Non si ha ancora il numero degli elettori cagliaritani che hanno detto la loro sul nucleare, ma non deve essere dissimile da quello dei votanti per il Comune: 97.805. (Alle 22 di domenica, la percentuale degli elettori per il Comune era del 43,69 per cento; quella dei partecipanti al referendum era del 47,3 per cento).
Vedete qui sopra i voti ottenuti dagli schieramenti. Qui non sono considerati quelli ottenuti dai candidati a sindaco. Insieme, gli indipendentisti, ma insieme non erano, superano di poco il 2 per cento. Eppure, si deve proprio ai movimenti indipendentisti, e in particolar modo a Sardigna natzione e al suo leader Bustianu Cumpostu, se non altro l'idea del referendum e la capacità di coalizzare in un Comitato partiti, movimenti politici e culturali, politici, amministrazioni comunali, intellettuali, artisti, circa ottomila persone. E di rendere credibile questo movimento spontaneo davanti al Governo e al Parlamento sardo, tanto credibile da spingere il presidente della Regione ad abbinare referendum e elezioni comunali e a fare, cosa inedita, una forte campagna promozionale del referendum.
Che cosa fa sì, allora, che le stesse persone, non solo ritenute affidabili e rispettate, ma la cui leadership culturale e morale è indiscussa, possano guidare processi come quello cui abbiamo partecipato e al momento del voto abbiano neanche 1.700 consensi nelle elezioni comunali in una città in cui almeno 90 mila persone hanno sposato quella idea di sovranità? Sappiamo bene tutti che i meccanismi del consenso elettorale hanno spesso niente a che fare con il consenso culturale o di immagine e che quanti in una campagna elettorale investono pochi soldi non vincono, vince chi ne investe molti. Ma questa è solo una delle ragioni possibili e neppure la principale.
Sta di fatto che sulla questione nucleare gli indipendentisti sono stati ritenuti credibili e affidabili dagli stessi elettori che tali non li hanno considerati in quanto candidati ad amministrare. È una questione che dovrebbe spingerli a riflettere non tanto sulla adeguatezza delle parole d'ordine, ormai lessico familiare per gran parte dei sardi, quanto sulla capacità di organizzare programmi e progetti credibili intorno a quelle parole d'ordine. Capacità che, a giudizio degli elettori, non esiste. Molti, me compreso, hanno sempre pensato che i buoni risultati mancavano perché non esisteva unità fra gli indipendentisti. Sbagliavo io e chi l'ha pensata come me. L'unità oggi esiste, ma i risultati complessivi sono inferiori alla somma dei voti ricevuti dalle singole sigle nel passato: come si è visto, 1,9% a Cagliari, 0,64% a Olbia. Forse il timore di identità perduta, forse uno spirito di setta, quello che fa diffidare prima di tutto dei più vicini, oppure che cosa?
Resta il fatto che se l'idea sovranista mette radici nella società altrettanto non fanno i movimenti che l'interpretano. Nell'euforia dei risultati referendari, oggi è un proliferare di proposte di estendere questa esperienza ad altre questioni. C'è chi pensa al referendum in Italia sul nucleare, chi pensa a quello sulla cosiddetta privatizzazione dell'acqua e c'è vorrebbe senza pudore buttarla direttamente in politica politicante cercando voti per il referendum sul legittimo impedimento. Ma le proposte più gettonate sono quelle di referendum sulle basi militari e sui tre o cinque radar che si vogliono impiantare intorno all'Isola.
Sembrano, o meglio sono, obiettivi che incidono su competenze di pertinenza dello Stato e sono così considerati in grado di mettere in mora sia il centralismo sia la sovranità che lo Stato non vuole compartire con la Sardegna. Credo che, come già è capitato nel 1987 col referendum contro la base statunitense dalla Maddalena, né il Governo (nessun Governo) né la Corte costituzionale accetterebbero referendum di questo genere. Ma c'è, a monte, un possibile pronunciamento dei sardi in linea con la loro voglia di sovranità: quello su uno Statuto speciale che definisca le competenze di ordine federale dello Stato e affidi tutte le altre alla Sardegna. Una proposta simile di Statuto già esiste, ma niente impedisce al mondo sovranista, molto più ampio di quello indipendentista, di mettersi d'accordo su un altro testo di uguale o superiore pregnanza.
Quel che i partiti non riescono a fare, dopo anni di dibattiti fra sordi, può farlo un movimento come quello che ha portato al referendum e ai suoi risultati.

venerdì 20 maggio 2011

Giovanni Pettinato è morto. E con lui le risposte sul frammento di Mogoro

Giovanni Pettinato
Giovanni Pettinato se ne è andato ieri a 77 anni. Insieme al grande assiriologo, primo a decifrare la lingua di Ebla, se ne va forse irrimediabilmente la possibilità di dare una risposta alla domanda che su questo blog abbiamo spesso sollevato: "Che cosa è il frammento di Mogoro sui cui il professor Pettinato credette si vedere dei segni coneiformi?". L'ultima volta che ne abbiamo parlato è stata il 18 aprile di quest'anno, tirando in ballo l'operato del soprintendente Marco Minoja e la relazione che egli fece al Ministero dei beni culturali, raccontando, fra l'altro, due cose gravissime.
La prima è che del frammento non si hanno tracce se non in una fotografia o, meglio nella fotocopia di una fotografia. La seconda è che alla Soprintendenza non è riuscito di mettersi in contatto con il prof. Pettinato per chiedergli conto del riconoscimento di "segni cuneiformi" fatto nel 1995. Non sapremo mai se l'assiriologo avrebbe confermato o smentito quel suo giudizio. 
Il frammento di Mogoro
Una vicenda, questa, che al di là di ogni altra considerazione, dà il senso della strafottenza di quell'organo dello Stato e del disprezzo con cui vengono considerati i cittadini. 
Non tutto è forzatamente destinato a scomparire con il professor Pettinato: egli ha lasciato allievi che certamente sono in grado di mettere a frutto i suoi insegnamenti. Ma certo avrebbero bisogno di vedere quel coccio scomparso, o in carne e ossa o, almeno, attraverso una fotografia meglio definita dell'unica che circola e che per vie misteriose è arrivata fino a noi. Nella sua infelice risposta, frutto delle informazioni ricevute dalla Soprintendenza cagliaritana, il sottosegretario Giro promise ai due senatori, Sbarbati e Massidda, che lo interrogavano: "Sono in corso ricerche in proposito". Dal giorno sono trascorsi giusto quattro mesi.
Sarebbe considerato un pregiudizio supporre che dopo la scomparsa di Giovanni Pettinato la ricerca del frammento di Mogoro non avrà alcuna accelerazione?

giovedì 19 maggio 2011

La lingua sarda e gli ectoplasmi autoassolutori

di Roberto Bolognesi (*)

Mi è venuto un dubbio.
E se a convincere il Prof. Maninchedda ad evocare l’ectoplasma dell’On. Lupinu non fosse stata un’improvvisa fregola primaverile, con annessa nostalgia e solidarietà tra filologi dell’università italiana di Sardegna, ma qualcosa di molto più concreto?
Internet est peus de su tzilleri de bidda: prima o poi si viene a sapere tutto. Guardatevi il seguente passo tratto dal Piano triennale per la Lingua Sarda (piano triennale limba-2011).
- Finanziamento alle Università di Cagliari e Sassari per l’espletamento di corsi universitari.
Le due Università di Cagliari e Sassari destinatarie del finanziamento di cui sopra, affiancate o coadiuvate, ove lo ritenessero opportuno, da consorzi interuniversitari, istituti, fondazioni, associazioni, enti pubblici, agenzie formative o enti di formazione, centri studi, dovranno programmare corsi di formazione con un’attività didattica che fornisca agli insegnanti della scuola dell’infanzia, primaria e secondaria una serie di conoscenze culturali, scientifiche, linguistiche, didattiche e di competenze operative di base per usare la lingua sarda in forma veicolare nello svolgimento di attività e discipline previste dai curricula scolastici e per sviluppare una solida competenza plurilingue e pluriculturale negli allievi.”
Notate quell’ “usare la lingua sarda in forma veicolare”: complimenti all’Assessore Sergio Milia!
In quel sintagma, c’è contenuta tutta la questione. E cioè la fine dei soldi facili per i burloni sassaresi che spacciavano per corsi di cultura sarda i corsi sulle erbe medicinali e sulla filosofia (im)morale, rigorosamente in italiano. Adesso li dovrebbero tenere in sardo!
Anche il Clan dei Sassaresi, per poter accedere ai finanziamenti per la tanto detestata limba (Pecunia non olet!), dovrebbero organizzare dei corsi in cui si usa il sardo come lingua veicolare. Ce li vedete questi Sardi-che-parlano-male-l’italiano esprimersi in quella lingua che loro rifiutano per l’orgoglio di sentirsi Sardi-che-parlano-male-l’italiano? Pecunia non olet, ma vale anche Lavorare stanca!
Questi esperti di necrologia del sardo non si sono mai presi la briga di imparare a parlarlo. Ti sanno sciorinare le etimologie più fantasiose –e inutili– ma non lo sanno parlare.
Ecco da dove viene questa foia da riesumazione delle proprie autoassoluzioni (“Sono casi paradigmatici di questa tendenza quei dibattiti pubblici in cui si alzano impetuose le richieste alla scuola o all’università di intervento a difesa del dialetto, spesso proprio da parte di persone che, autodefinitesi dialettofone, confessano poi – a chi perfidamente lo domanda loro – di rivolgersi ai propri figli in italiano.”): “Non all’università italiana di Sardegna bisogna rivolgersi per i corsi di sardo, ma alle famiglie!
Perché allora si debba lasciar ingozzare di euroziminu  l’accademia cionfraiola di Tatari Mannu per i suoi corsi di italiano, proprio non si capisce!
E ancora meno si capisce il silenzio assordante del Comitadu pro sa Limba Sarda su questa questione.
Maninchedda riesuma un attacco perfido alla LSC, oltre che pieno di menzogne, ma su comitadu si nd’abbarrat kietu. Non sarà mica che “l’essere schierati a destra o a sinistra” è un’anacronismo soltanto quando si tratta di criticare la sinistra?
Io non ho mai mostrato nessuna pietà nei confronti della sinistra italiana, quando si è trattato di scegliere tra noi sardi e loro. Non posso dire la stessa cosa per i miei amici di destra, quando si tratta di cantarle ai nemici della limba schierati partiticamente dalla loro parte.
(*) Dal suo blog


Che nell'articolo dell'amico Roberto Bolognesi ci sia una punta di malignità è possibile ma assai poco probabile. Per una serie di ragioni che elenco brevemente:
  • La disattenzione delle Università di Sassari e di Cagliari nei confronti della lingua sarda sta in alcune cifre che già ho pubblicato (Lingua sarda e Università. Numeri da spavento) l'8 luglio 2008: hanno dovuto restituire allo Stato e alla Regione un fracco di euro non spesi per la promozione del sardo, veicolare e no, per cui li avevano ricevuti. 
  • Prima di lasciare il suo posto di assessore, Lucia Baire tentò di tagliare gli stanziamenti per il sardo, conservando 800 mila euro alle università, premiando un lavoro non fatto. Su Comitadu pro sa limba sarda protestò e in un incontro con la Commissione bilancio, fu assicurato dal presidente Paolo Maninchedda che i tagli non ci sarebbero stati e che i finanziamenti alle università sarebbero stati tolti. I tagli al sardo furono ridimensionati, ma le università continuarono a ricevere gli immeritati finanziamenti. 
  • Si segnalano master universitari di lingua sarda fatti in italiano. In uno di essi, un docente (pagato) si lasciò scappare: "Fattemi parlare in francese, in inglese, in tedesco, ma non in sardo. Non lo conosco".
  • Il Piano triennale di cui parla Roberto è stato approvato dall'Osservatorio della lingua sarda, dall'Assessore ma non ancora dal Consiglio regionale. A quel che si sa, le pressioni di una parte dei linguisti e non solo loro perché sia cancellato l'obbligo dell'uso veicolare del sardo sono fortissime e non è detto che siano anche resistibili, visto che la politica è nello stesso tempo proponente e legiferante.

Detto questo, caro Bolognesi, non mi pare generoso da parte tua criticare tanto aspramente Su Comitadu pro sa limba sarda: non mi pare che abbia mai, nel passato, dato prova della parzialità di cui lo rimproveri. [zfp]

mercoledì 18 maggio 2011

I risultati definitivi del referendum antinucleare

Si sono concluse le operazioni di verifica per il referendum consultivo regionale sul nucleare in Sardegna che, con i SI al 97,13%, attestano la netta contrarietà dei sardi all’installazione di centrali atomiche nell’isola. All’appello mancava ancora qualche sezione dell’Ogliastra che, stamane, ha comunicato i risultati al Servizio elettorale della Direzione generale della Presidenza della Regione.
In attesa che il dato venga formalizzato dagli uffici territorialmente competenti, i voti contrari al nucleare sono 848.691 a fronte delle 25.026 preferenze a favore, pari al 2,86% degli elettori, e da una percentuale minima dello 0,01% rappresentata dal totale delle schede bianche e nulle.
Nel Cagliaritano i SI hanno raggiunto il 96,66% (287.952 voti), mentre la percentuale dei NO si è fermata al 3,33% (9.925 voti). Nella provincia di Carbonia-Iglesias i SI sono il 95,89% (75.364) contro il 4,10% dei NO (3.228). Nel Medio Campidano i SI raggiungono il 97,77% (55.304) a fronte del 2,22 % dei NO (1.261). In provincia di Nuoro i SI sono il 97,70% (83.110 voti), mentre i NO si fermano al 2,29% (1.948). Nell’Ogliastra i SI sono il 97,53% (30.141) e i NO il 2,46% (763). In Gallura i SI sono pari al 96,39% (72.936 voti) contro il 3,60% dei NO (2.729).
Nell’Oristanese – provincia dove si è registrata la più alta percentuale di voti contrari alla presenza di centrali - i SI salgono al 98,17% (86.307) e i NO si fermano all’1,82% (1.608), mentre in provincia di Sassari i SI si attestano sul 97,78% (157.577 voti) a fronte del 2,21% dei NO espressi da 3.564 votanti.

L'emblema del Museo di Nuoro, altro che decorato. E' scritto (II parte)

Questa la seconda parte dell'articolo dedicato alla pietra trovata a Nurdole e che il Museo archeologico di Nuoro ha scelto come suo emblema. Gigi Sanna, nel primo articolo aveva preso le mossa dalla didascalia posta ad illustrare lo straordinario reperto.
di Gigi Sanna 

Sequenza 7 - Anche qui analizzeremo i segni uno per uno. Il segno a zig zag altro non è che il solito segno di yh ripetuto 4 volte e seguito dal numero 7 (le sette lineette oblique). Quindi in virtù della conoscenza della simbologia numerica precedente ricaviamo per una terza volta, l'espressione (ancora una volta variata graficamente) Forza di Yh santo (4 + yh (r.) + 7). Ma dal momento che non è possibile l'espressione senza il determinativo, cioè la voce yh con esclusione del segno commentatore 'h', lo scriba, con notevole arte del depistaggio e quindi del riporto nascosto dei segni, pone nel rettangolo successivo sei lineette differenti per obliquità e accostate alle precedenti al di fuori della figura geometrica. Si viene a formare così il motivo a V rovesciata. Questo offre, ripetuto, l'elemento che mancava e dal quale l'espressione con il nome 'sacro' non può prescindere. Quindi Forza di YH (r.) Santo Lui (r.), come si può vedere più chiaramente ...

martedì 17 maggio 2011

Che cosa fare con l'unità dei 900 mila al referendum?

Uno stormo di mosche cocchiere è già lì, pronto a rovinare la festa della raggiunta unità dei sardi, o rivendicando al proprio schieramento la vittoria del sì nel referendum antinucleare o cercando di dettare l'agenda del che cosa i sardi dovranno fare domani. C'è la giovane deputata convinta che il suo partito abbia il merito di aver costretto gli altri a muoversi, ci sono i multicolori verdi italiani che consegnano ai media d'oltremare l'interpretazione autentica del voto dei sardi e c'è l'europarlamentare dal cognome sardo che tenta di intruppare dietro le sue opinioni i quasi novecento mila “no al nucleare”. Che si tratti di miserie sarà evidente a chi vorrà leggere l'elenco degli aderenti al Comitato promotore del referendum.
Ma è il segno che questo momento di unità del popolo sardo su un obiettivo di dichiarata sovranità non avrà vita facile. Ha stravinto il sì con il 97,14 per cento, un plebiscito, si potrebbe dire, se in quella parola non si annidasse un significato storicamente e politicamente ambiguo. E, come tutti, ne sono felice e fiero. Ma il senso di questo voto non cambierebbe, dal punto di vista dell'esercizio della sovranità, se il risultato fosse stato diverso o persino contrario. Quel che conta è che sei sardi su dieci hanno deciso di dire la loro su un tema di tanta importanza e di indicare alla politica una via che essa da sola non è in grado di percorrere per le sue divisioni.
Spero proprio di essere in errore, ma sta forse in questo il rischio che la politica, intendo quella dei partiti, trovi il modo di vanificare la voglia di sovranità espressa domenica e lunedì. Del fatto che questo rischio sia reale o solo frutto di un timore infondato ci accorgeremo quando il Parlamento sardo dovrà affrontare la scrittura del nuovo Statuto speciale che dovrebbe essere il punto di incontro fra la politica e l'interesse dei sardi per la loro sovranità.
L'argomento principe dei tiepidi e dei contrari ad uno Statuto nuovo è che la “gente” non ha interesse alle riforme in genere e a questa in particolare. È un topos della politica lo sbandierare ai quattro venti che la “gente” è interessata solo agli aspetti materiali della propria esistenza. Ma è una “menzogna vitale” diffusa solo per nascondere la incapacità o l'insensibilità delle classi dirigenti (non solo quella politica) che, per questo, non si mobilitano per discutere con i cittadini e per coinvolgerli in scelte, come appunto la nuova Carta della Sardegna, ritenute non vitali. L'azione e la mobilitazione del Comitato contro il nucleare hanno dimostrato quanto falso sia il pregiudizio circa l'apatia dei sardi difronte a questioni che non li tocchino materialmente e personalmente.
Perché si potesse raggiungere il quorum del 33 per cento, il presidente del governo sardo ha abbinato il referendum alle elezioni comunali e lo stesso governo ha fatto una cosa inconsueta, propagandando il referendum sui media con un importante impegno di denaro. Ma credo sia stata soprattutto la mobilitazione del Comitato coordinato da Bustianu Cumpostu, più di duecento incontri nei paesi con i cittadini, a produrre la straordinaria partecipazione al referendum, quasi il 60 per cento in tempi in cui l'ipertrofia referendaria ha creato profonda disaffezione.
Come amministrare la dichiarazione di interesse dei sardi per la loro sovranità? E come fare in modo che questa volontà non sia guastata da possibili settarismi, da protagonismi di gruppo o di partito, dalla tentazione di considerare gli 855 mila sì una sorta di massa di manovra per fini diversi dai due pronunciamenti, uno contro il nucleare in Sardegna e uno a favore della capacità di decidere? Non è un problema da poco, ma credo possa trovare soluzione nel considerare che sei sardi su dieci hanno dichiarato la loro volontà di essere uniti intorno ad un obiettivo condiviso. Forse, si tratta solo di trovare insieme ai sardi (e non al posto loro) obiettivi da raggiungere.

L'emblema del Museo archeologico di Nuoro. Decorato? No, scritto (III)

di Gigi Sanna
(Dedicato a Maria Giulia Amadasi)

La didascalia del Museo - Iniziamo questo articolo partendo dalla interessante didascalia del Museo di Nuoro riguardante l'oggetto. Sarà bene tenerla presente (le enfasi sono le mie) perché intendiamo ritornarci e riprenderne il tenore alla fine di un articolato e completo esame epigrafico che faremo su di esso.
"Il blocco di trachite con incisioni proveniente dal Nuraghe-santuario di Nurdole ad Orani (NU), è l’emblema scelto per rappresentare il Museo Nazionale Archeologico di Nuoro nel suo sito web istituzionale. La scelta nasce dalla oggettiva straordinarietà del reperto e dalla volontà di esprimere, attraverso il segno grafico, la preminenza del tema “del sacro” nelle sale dedicate alla Civiltà Nuragica nell’attuale allestimento museale. Sul piano materiale si tratta - infatti - di uno dei numerosi blocchi del coronamento del Nuraghe Nurdole che, caso del tutto unico in Sardegna, sono caratterizzati da una decorazione incisa. Sul piano simbolico, il reperto è un segno della “sacralità del quotidiano”, in quanto le incisioni sono, in parte, quelle del motivo della pintadera, ossia del timbro usato dai Sardi nell’Età del Ferro per decorare il pane ovvero il corpo, forse in occasioni cerimoniali'.

Valori dei segni e dei simboli - La lettura di Loghelis e di Nurd 2 (1), nonché della pintadera di Barumini(2), insieme a quanto già sappiamo sui singoli simboli fonetici della scrittura nuragica (3), ci hanno permesso di confermare il valore dei segni delle cosiddette 'decorazioni' nuragiche.
In particolare oggi sappiamo, molto meglio di qualche anno fa:
  • che i segni possono essere iterati (ripetuti) sia con lo scopo di offrire ulteriore senso al documento sia di creare 'intensificazione', ovvero di dare maggior energia e forza vitale alla parola rappresentata dal segno stesso...

lunedì 16 maggio 2011

Orgogliosi del popolo sardo

UNITI SI VINCE – DUE SI CHIARI DA PARTE DEL POPOLO SARDO
SI - CONTRO IL NUCLEARE
SI – AL DIRITTO DI DECIDERE
UN MESSAGGIO SARDO A TUTTO IL MONDO - “FOR A WORLD NUCLEAR FREE”

C'e' un sottomarino giallo in rada, pronto a salpare per emergere in tutti i continenti del mondo, attende il messaggio che la Sardegna lancera' al mondo dopo il referendum cel 15-16 maggio contro il nucleare. E' un sommergibile a propulsione sonora, partira' dalla Sardegna spinto dalla musica dei Beatles e dal canto a tenore, marcera' a passo di Rock e Dillu, alimentera' i suoi motori con la musica dei continenti che tocchera'. Una navicella shardana sara' la sua guida di superficie e lo scotera' fino al largo. Bonu viagiu e bona sorte a unu mundu prenu de pitzinnos sanos e alligros.
Tra qualche ora quel sottomarino potrà prendere il largo, il messaggio “FOR A WORLD NUCLEAR FREE” attende solo la ratifica legale. Il messaggio è scritto con il linguaggio universale della musica e raggiungerà tutte le popolazioni che vogliono un altro tipo di interrelazione con la madre terra.
Sarà un grande messaggio che parte da un piccolo popolo, che ha però una grande storia e che, capendo l’importanza del proprio habitat, in passato ha anche divinizzato la sua mammai terra e oggi mantiene con essa una relazione di rispetto come si conviene tra figlio e madre.
Il messaggio non è solo una risposta politica alla scelta scellerata del governo italiano ma è una scelta di vita che ha valore universale.
Siamo orgogliosi del NOSTRO POPOLO, siamo figli della grande Sardegna.

BUSTIANU CUMPOSTU - Coordinadore Provvisorio
Oristano 16/05/2011