Le cause della bassa propensione alla crescita e allo sviluppo della Sardegna
di Gianfranco Sabattini
1. E’ vero che i sardi sono sempre stati vittime della loro autoctonia? E’ difficile rispondere a questo interrogativo. Al riguardo, il Professor Francesco Cesare Casula, in Breve storia della scrittura in Sardegna (1978), sostiene che il rifiuto del nuovo dei sardi è da ricondursi alla mancata affermazione di uno spirito autonomistico nelle élite culturali, politiche ed imprenditoriali che di tempo in tempo hanno rappresentato la Sardegna a livello politico e sociale. E la mancata affermazione dello spirito autonomistico deriverebbe da due eventi negativi che avrebbero determinato una traumatica interruzione, sia della crescita materiale, che dello sviluppo culturale e politico della Sardegna.
Il trauma avrebbe tratto origine da una sconfitta e da una perdita. La prima sarebbe derivata dalla sconfitta dei Giudicati e, segnatamente da quello di Arborea, da parte dei catalano-aragonesi; mentre la seconda sarebbe derivata, non tanto dalla rinuncia nel 1847, a seguito della perfetta fusione con gli altri Stati della federazione del Regno Sardo-Piemontese, all’autonomia del Regno di Sardegna, che era valsa ad assicurare ai sardi una individualità storica, ma dalla perdita, nel 1861, del Regno stesso. Ciò perché quest’ultimo sarebbe stato sacrificato sull’altare dell’Unità d’Italia.
Due eventi, la sconfitta giudicale e la perdita del Regno, che avrebbero determinato una automatica interruzione della crescita e dello sviluppo dei sardi e una deviazione della loro evoluzione verso esiti disfunzionali. Fatto, quest’ultimo, che sarebbe servito a differenziare la Sardegna dalle altre regioni italiane sino ad originare, dopo il 1946, il “pacchetto rivendicativo” con il quale i sardi avrebbero dovuto riparare ai danni subiti a seguito della sconfitta dei Giudicati e dalla perdita del Regno. Com’è noto, la rivendicazione è stata tacitata con la concessione all’Isola dello Statuto speciale e di trasferimenti straordinari di risorse da parte dello Stato italiano. Tuttavia, malgrado l’ottenimento dello Statuto speciale e dei trasferimenti straordinari, la Sardegna è rimasta al “palo”. Perché?
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9 commenti:
Il prof Sabattini scrive:
. I sardi del XIX secolo, pur dotati di una loro individualità storica assicurata dall’autonomia del loro Regno, non hanno avuto, però, per cause tutte interne , la forza sociale ed economica per sottrarsi ai rapporti di condizionamento insorti dentro la nuova realtà statuale.
Sono d'accordissimo con questo passo. Però non posso far a meno di notare che nel manifesto programmatico dell'Irs è proprio il riscontro della debolezza congenita dell'isola e di noi sardi ad aprire al discorso indipendentista. Lo lessi un po di tempo fa. Se ben ricordo v'era scritto che quale che fosse lo stato sovrano, a causa d'un insieme di fattori era giocoforza che gli interessi e l'identità dei Sardi ne fossero fagocitati. E' così con l'Italia, fu così con la Spagna ovviamente in modi ed epoche diversissime.
A questo punto verrebbe così da chiedersi (come gli stessi indipendentisti fanno) se non sia appunto la nostra mancanza "dipendenza" da altri stati la vera causa interna e centrale delle nostre debolezze.
Sempre Prof Sabattini scrive:
il principio di sussidiarietà si è tradotto in una riproposizione degli antichi limiti del funzionamento dell’organizzazione istituzionale regionale.
Qui chiederei al Professore se non pensa che questo effetto fosse del tutto prevedibile per via della leva fiscale ancora saldamente in mano allo stato. Il principio si sussidarietà, sopratutto verticale, mi pare abbia senso solo se agli enti regionali e locali è concessa ampissima autonomia impositiva. Senza di questa il principio di sussidarietà diviene un auto senza benzina.
Quindi forse, se si arriverà al federalismo fiscale non è ancor detto che non s'inneschi quel virtuosismo che è pure la ratio del Principio in questione. La Regione reperendo e utilizzando da sè le risorse, e con la piena responsabilità e competenza per la leva fiscale farà fronte in prima persona ai bisogni della collettività, con l'intervento dello stato centrale (e del famoso fondo perequativo) solo se tale intervento si dovesse rivelare inadeguato.
Così il Principio di Sussidarietà sarà pienamente attuato.
Sino ad allora, rimarrà il rischio (come ha scritto qualcuno) che il principio di sussidarità venga utilizzato come un jolly da parte degli enti inefficenti e costantemente bisognosi di soccorso.
tanto più che, come molti costituzionalisti lamentano, non esiste un autorità giuridica a cui sia demandato il doppio giudizio che l'attuazione del principio di sussidarietà presuppone:
1) accertare che l'azione dell'ente sia inefficace
2) accertare che l'azione sussidaria dello stato, ed a un livello più alto dell'UE, sia più efficace di quella dell'ente.
mi pare che, non essendo mai stata per ovvie ragioni presa in troppa considerazione la proposta di demandare tale compito alla C.Cost.
tutto sia lasciato alla discrezionalità politica e che dunque, abbia ragione chi (non ricordo purtroppo l'autore) paventasse che l'attuazione del principio di sussidarietà (lasciato totalmente in mani allo Stato) possa risolversi in uno strisciante assolutismo dello Stato: decide infatti lui, come, quando, se intervenire.
Voglio esprimere il mio pensiero al riguardo anche se sarò tacciato di semplicismo. I sardi sono un popolo come tutti gli altri, né migliore né peggiore di altri. La presunta bassa propensione a crescere e svilupparsi é, a mio parere, del tutto inesistente e si basa sul niente. La storia dimostra che quando i sardi hanno avuto la possibilità di autogovernarsi si é innescato un processo di sviluppo. Sviluppo che é stato prontamente interrotto dai successivi dominatori. Cosa si pretende dai sardi, sottoposti al dominio spagnolo, piemontese e italiano?
Basta andare a vedere cosa é successo alla Maddalena di recente. Le strutture abbandonate dalla Marina e riqualificate, anche con i soldi della Regione,anziché essere restituite al popolo sardo e ai maddalenini nello specifico, sono state date in concessione per 50 anni alla padana Marcegaglia, che ha un solo merito:essere presidente della Confindustria. I sardi che si sono presentati sono stati esclusi a priori con argomentazioni risibili. E' questa la bassa propensione dei sardi allo sviluppo? Ma va là!
Del resto, lo stesso prof. Sabatini (a meno che non si tratti di un caso di omonimia; intal caso chiedo scusa in anticipo)si é adoperato personalmente per impedire lo sviluppo dei sardi. Ricordo che ai tempi del grande dibattito sull'istituzione della zona franca in Sardegna, un certo prof. Sabatini dell'Università di Cagliari, con un ardore degno di miglior causa, si batté "eroicamente" contro la sua istituzione.
C'é un solo modo per perseguire l'emancipazione dei Sardi, anche se all'inizio non saranno tutte rose e fiori, e questo é l'indipendenza politica. Tutto il resto sono palliativi, come quelli che permettono al malato di sopravvivere, ma non gli consentono mai di alzarsi dal letto d'ospedale.
@ Maimone
Sono ovviamente d'accordo sulla natura ne migliore ne peggiore dei sardi rispetto agli altri popoli. non mi pare sia semplicismo, se non si presuppongono tare razziali o sociali è l'unica cosa che si possa dire.
La nostra debolezza nasce dalla dialettica tra l'insularità e la "sovranità alloctona" espressione politically correct che m'è venuta in mente adesso per dire che siamo governati da altri....
Quando all'insularità si aggiunge il peso di una sovranità esterna e quindi il baricentro politico è allontanato dall'isola l'insularità da opportunità si trasforma in estraneità e barriera, e le decisioni politiche saranno non partecipate ma eterodirette da altrove.
Le elite insulari graviteranno atorno alle elite esterne, portandosi appresso la società sarda.
è il nostro schwerpunkt...il nostro punto critico.
La maddalena è calzante. Vi si doveva svolgere il g8: spostato; la stessa decisione di farci svolgere la Vuitton cup è stata calata dall'alto con lo spostamento (immorale ) di qualche milione di euro gia impegnati per alleviare le pene dei lavoratoti del Sulcis. Tra l'altro, non conosco i dati complessivi di quella manifestazione, ma posso testimoniare come il penultimo giorno di regata a La Maddalena ci fossero sì e no 300 persone (più Cappellacci). Spero che questa costosa vetrina si risolva in un buon investimento. A me è sembrato uno spreco; han mangiato alcuni traghettatori e pochi altri.
Il punto è che si tratta di decisione prese a tavolino dall'alto, e come tale rischia d'essere inadatta e inefficace.
diversamente si ottiene quando gli affari nascono dal basso....
con stupore ho appreso di Malta come di una tra le più cospicue flotte mercantili al mondo. L'adesione di quelle piccole isole ha permesso all'UE di divenire la prima flotta mercantile al mondo.
Certo si tratta navi solo formalmente maltesi. Fanno scalo a Malta anche perchè tra sicilia e malta passa un cospicuo traffico mercantile: il 75% delle merci del mediterraneo. Godono di una posizione vantaggiosa.
però in regime di totale indpendenza i maltesi hanno trovato l'humus per far sì che le società che si occupino dell'accoglienza alcuni armatori, rimanessero sull'isola o vi abbiano importanti distaccamenti. Evitando così chee non spsostassero il proprio centro gravitazionale nelle isole Britanniche per es., e garantendo quindi un buon sviluppo per questi affari.
x Dedalonur
ti ringrazio per il tuo intervento. Hai interpretato perfettamente anche il mio pensiero. Io non ci sarei riuscito. Il vero problema sono i vincoli che ci vengono posti (imposti) dall'esterno che trasformano l'insularità in un problema. Con un vero reale autogoverno la nostra insularità sarebbe invece una grande risorsa, che ci permetterebbe di aprirci al mondo come oggi, purtroppo, non siamo. Io credo che molte caratteristiche, psicologiche e culturali, del sardo d'oggi, che cercano in tutti i modi di spacciare per tare,derivino dall'incontro-scontro tra la nostra grande voglia di aprirci al mondo e l'impossibilità concreta di poterlo fare. E questo, in un certo qual modo, ci rende infelici, abulici e fatalisti.
Bomboi Adriano.
Concordo con la vostra lettura, ma non si tratta solo di fatalismo di fronte all'apparente insormontabilità degli ostacoli (tra cui appunto le istituzioni centrali), c'è pur sempre il fattore psicologico e sociologico che fa condizionare a vicenda tutti i soggetti del "recinto"...quasi fosse un enorme esperimento con animali da laboratorio chiusi in una teca di vetro isolata rispetto alle altre (almeno in apparenza, su questo fattore). Segnalo al riguardo un breve articolo: La sindrome di Stoccolma del Popolo e della Politica Sarda http://www.sanatzione.eu/2009/10/la-sindrome-di-stoccolma-del-popolo-e-della-politica-sarda/
Valuto l'idea ma per adesso non posso definirmi un indipendentista duro e puro alla Irs. Prima vorrei vedere un progetto economico e che bilancio alla mano ce la si possa fare da soli.
Comunque sia, questa analisi mi pare sia oggettiva e pertinente al tema proposto dal Prof. Sabattini:
dall'articolo di Bomboi
"il politico Sardo, smidollato e persino meno furbo di quanto si pensi, non capisce che dando potere al centralismo inibisce al suo stesso territorio di svilupparsi. Così i suoi figli nasceranno in un luogo disagiato e che magari non ha neppure una strada decente su cui camminare"
Permettetemi di esprimere la mia esperienza personale nel mondo del lavoro.
Ho avuto la fortuna di inserirmi per anni in Gruppi di Lavoro tra tecnici a livello nazionale, con un rappresentante per regione.
La mia presenza nella fase iniziale fu piuttosto titubante, forse perché permeata (o presunta) di quei non-valori che state delineando, come l'abulia e lo scarso spirito di iniziativa e, perché no, dai preconcetti che ancora gravano nei nostri confronti come sardi.
Ebbene, vi assicuro che in breve tempo sono riuscito a rimuovere titubanze e preconcetti, creandomi il dovuto spazio e la considerazione dei colleghi. Sono convinto che ciò sia dovuto alla nostra capacità di facile inserimento nella società moderna; purtroppo, trppo spesso, ci mancano davvero le opportunità.
Giuseppe Mura
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