di Efisio Loi
È la terza volta che mi imbatto in Gianfranco Sabattini che polemizza sulla ‘Dottrina della statualità’ di Francesco Cesare Casula: due volte sull’Unione Sarda e una su questo blog. La sequenza è stata la seguente: Unione, blog, Unione. Tutto in meno di un mese. Devo confessare che la parte più ostica è stata la seconda. Non ho mai ringraziato un giornale per i limiti imposti dallo spazio tiranno ed ineludibile, ma questa volta devo farlo. Se, in meno di un mese come ho detto, mi fossero capitati altri due mattoni come quello del 24 maggio sul blog, giuro che non avrei più letto una virgola di Gianfranco Sabattini.
È interessante invece continuare a leggerlo per vedere come evolve il suo pensiero. Ho notato un ammorbidimento nella sua verve polemica, sull’Unione di ieri, domenica 6 giugno. La domenica precedente c’era stato un articolo, sempre sull’Unione, di Gianfranco Pintore che ristabiliva un minimo di ‘par condicio’ (mamma mia cosa mi tocca dire) sulla pagina ‘Commenti e Opinioni’. Stranamente neanche un rigo, sul maggiore quotidiano sardo, del prof. Casula. Sarà il professore che non ‘cura’? O sarà il professore a non essere ‘curato’? Mah! Bisognerà venirne a capo perché potrebbero essere i primi effetti del bavaglio sulla stampa contro cui si battono con sprezzo del pericolo i giornalisti, non solo dell’Unione Sarda, ma dell’Italia intera.
Un’altra cosa ho notato: nei virgolettati di Sabatini, riportanti gli scritti di Casula, in tutti gli articoli citati, compare sempre il seguente: “l’epopea risorgimentale come l’atto procreativo di una nuova entità statuale unitaria, falsando il dato acquisito di uno stato preesistente da cinquecento trentasette anni, originato in Sardegna nel 1324 con attributo di regno, e, per fortuna, ampliatosi fino a fagocitare col tempo quasi tutte le statualità isolane e continentali, dandosi, alla fine, la forma costituzionale repubblicana”.
Questo è un concetto preso e ripreso continuamente dall’esponente dell’Università di Cagliari, per rimarcare la protervia dello ‘Storico di Sardegna’ nello sminuire il valore dell’epopea risorgimentale nella costruzione dello stato italiano che, evidentemente, nel 1324 non avrebbe potuto beneficiarne. Ma è a quel per fortuna che si vuole impiccare Francesco Cesare Casula, come se avesse voluto dire: “che culo abbiamo avuto ad ampliarci e a fagocitare tutto quanto per formare l’Italia unita perché, solo da questo e per il fatto di essere noi Sardi gli antesignani dello stato odierno, possiamo ricavarne, dallo stato italiano, prebende e benefizi tali da garantirci per il futuro.”
Solo che quel fortuna non ha il significato espresso in quel modo volgare, di cui mi scuso, ma ha il significato che gli attribuiva Machiavelli, di sorte, alea, destino, divina provvidenza o dite voi come meglio vi pare.
A parte queste sottigliezze accademiche, il tasto su cui continua battere Sabattini, nonostante Gianfranco Pintore abbia cercato di fargli capire che non è il caso, è che la Storia, la maiuscola la si evince dal suo dire, si fa con lo studio delle dinamiche sociali che, ça va sans dire, solo marxiste possono essere. E perché non con lo studio delle tradizioni locali? Dell’andamento climatico che influenza la produzione e l’economia più in generale? Del fatto che il clero sardo, a differenza di quello veneto e lombardo, non ha preso parte attiva alla formazione di uno spirito identitario della comunità? Ma si rende conto Sabattini che Casula parla d’altro? E le cose di cui parla possono essere sottoposte a verifica da chiunque, tanto è vero che i suoi accademici colleghi che lo avversano si guardano bene dall’intervenire? Pseudo scienze le chiamava Croce, le pezze d’appoggio che l’economista Sabattini utilizza nel suo argomentare.
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