La vicenda di 20 disoccupati di Orgosolo ha conquistato in questi giorni il rilievo che i media di solito riservano a drammi collettivi di più ampie dimensioni: quello dei lavoratori dell'Alcoa, della Legler o del petrolchimico di Portotorres, per esempio. La cosa può avere due chiavi di lettura. Una ottimista: la stampa ha compreso che il dramma della disoccupazione ha la stessa intensità, che si tratti di pochi o di molti individui. L'altra, pessimista, è che a prevalere sono i significati ideologici della vertenza. Ed è questa che, purtroppo, è confermata dal poco rilievo dato ad altri drammi che di abbattono su poche persone.
Ed è confermata nel caso dei 20 disoccupati di Orgosolo, membri di una cooperativa, Rinascita 70, che nacque per impulso del Pci e della Cgil con lo scopo di cambiare l'utilizzo delle terre pubbliche, allora esempio di “comunismo primitivo” per la resistenza che le comunità opponevano alla creazione della “proprietà perfetta”. Il “comunismo primitivo” era (ed è) visto come ostacolo alle magnifiche sorti e progressive, non cooptabile in un progetto economico che presupponga investimenti sulla terra.
Per affidare molte centinaia di ettari di terre comunitarie, gravate di uso civico, si tentò allora di abrogare questi usi con una delibera del Consiglio comunale di Orgosolo. La Regione, naturalmente, non poté consentire a questa decisione e fissò in 25 anni il termine scaduto il quale le terre concesse alla cooperativa avrebbero dovuto tornare alla comunità, legittima proprietaria di su comunale. I termini sono scaduti da tempo e i cooperatori si sono detti “disposti” a restituire i terreni in loro affidamento a condizione che la Regione sarda approvasse un piano per il rimpiego dei soci. Il reintegro non può naturalmente essere in alcun modo condizionato: chi ha ricevuto un prestito non può porre alcuna condizione per onorare il suo debito. Non così per chi si sente ideologicamente dalla parte del diritto.
Rinascita 70 fu una importante motrice di sviluppo per molti anni, fino a quando non ce la fece più e dovette chiudere battenti. La sua crisi fu fra le ispiratrici della decisione del governo Soru di proporre alle comunità interessate il cosiddetto Progetto Supramonte che avrebbe dovuto servire sia a salvare posti di lavoro sia a creare uno sviluppo articolato in vari settori. L'accettazione del Progetto fu molto contrastata, ma alla fine ci fu da parte di Orgosolo, Dorgali, Urzullei e Oliena che, però, fece subito marcia indietro.
Il fatto è che il Progetto Supramonte non fu mai elaborato e tutto alla fin fine si è ridotto alla idea di creare una serie di cantieri forestali, compreso quello che avrebbe dovuto accompagnare alla pensione una ventina di soci della Cooperativa. A quel che pare, il governo Cappellacci non avrebbe introdotto nella Finanziaria in corso di discussione il protocollo di intesa fra comuni e Regione che avrebbe dovuto portare al cosiddetto Progetto Supramonte, che tuttavia non esiste. E insieme al protocollo sarebbe sparita la creazione del cantiere tanto sospirato dai soci della Rinascita 70.
Di qui l'occupazione del comune e il rilievo dato dai media alla questione e la mobilitazione della Cgil, del Pd e dell'amministrazione comunale. Alla riunione che benedisse la nascita della Cooperativa – scrive La Nuova – partecipò anche Luciano Lama, allora segretario del maggiore sindacato italiano.
Quasi che questo fatto fosse di per sé garanzia della economicità dell'impresa, certezza di sviluppo economico e stabilità di lavoro produttivo. Conosco e stimo molti dei 20 disoccupati orgolesi che cercano un salario e non troverei affatto scandaloso che la Regione decidesse di aiutarli. Così come dice di voler soccorrere coloro che restano senza lavoro in altri campi: dai dipendenti di un Supermarket in crisi ai giovani intellettuali impiegati negli uffici comunali della lingua sarda. Non esistono o non dovrebbero esistere persone garantite per ragioni di appartenenza.
Ma di qui a premere a che la Regione sia obbligata a far finta di finanziare un cantiere ad personas come se stesse finanziando un progetto di sviluppo, la distanza è enorme. Un sindaco, dando la sua solidarietà ai venti disoccupati orgolesi, ha parlato di assistenzialismo e un altro ha sottolineato come sia meglio l'assistenzialismo piuttosto che la disoccupazione. Certo che sì: purché si abbia l'onestà di dirlo, senza sollevare un polverone politico-ideologico intorno ad un progetto che difficilmente potrebbe essere finanziato, visto che non c'è. Ed anche in quel caso, sarebbe poi difficile sostenere che il diritto al lavoro esiste solo per chi sia garantito dalla appartenenza politica.
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