lunedì 30 marzo 2009

Torna lo stemma sardo ed è bagarre

Come è ovvio, ogni volta che c’è un atto riguardante la simbologia della Nazione sarda, si aprono discussioni raramente pacate e il più delle volte i toni si fanno aspri. Personalmente trovo assai naturale che ciò capiti in una terra, come la Sardegna, in cui è forte il sentimento di appartenenza e spesso legittimo il sospetto che il giacobinismo di sinistra e il nazionalismo granditaliano di destra, in questo uniti, vogliano denazionalizzare la Sardegna.
Capita così che il recente provvedimento del governo sardo di restituire alla Regione autonoma della Sardegna il suo stemma sia stato guardato con diffidenza, quasi si trattasse della restaurazione di un oscuro passato. È successo che con una delibera del 24 marzo, la Regione abbia revocato la decisione presa nel 2005 dalla giunta Soru di sostituire con la bandiera sarda lo stemma adottato nel 1952. Secondo il mio modesto parere, niente da eccepire nella sostanza, non fosse per il fatto che la decisione fu presa senza abrogare il vecchio stemma e senza legiferare in proposito.
Invece di sollecitare un decreto del presidente della Repubblica che abolisse quello del 1952 e introducesse la bandiera dei Quattro mori anche come stemma, il governo Cappellacci ha preferito reintrodurre la doppia simbologia identitaria: quella dello stemma e quello della bandiera sarda, la cui definizione è stabilita con legge del parlamento sardo.

Leggi tutto
Nelle foto: la bandiera nazionale e lo stemma baschi

sabato 28 marzo 2009

Come il centrodestra fu contagiato dal vetero-marxismo

Che la lingua sia considerata un epifenomeno della cultura dai discendenti consci o inconsci dal marxismo è cosa persino scontata. La lingua, insomma, sta alla cultura come il fischio di un treno sta a questo, o come un rumore sta ad un ingranaggio in azione. È un dato più o meno importante (secondo chi lo osserva), ma non influisce sulla cultura. Si capisce, perciò, perché nel programma elettorale di Renato Soru nel 2004 la lingua sarda fu rubricata sotto la voce Cultura e perché in quello di quest’anno si legga questa frase: “Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua storia”. Una frase in cui, come si vede, la lingua sarda è “sottintesa”, come si conviene ad un epifenomeno.
Nella prima edizione del programma, come ricorderanno i lettori di questo blog, la frase era, correttamente, questa: “Una terra è il suo paesaggio, la sua cultura, la sua lingua, la sua storia, la sua musica”. Che Soru abbia, come dicono suoi amici, subito questa cancellazione o che ne sia stato artefice, magari per buona pace con gli “epifenomenisti” della coalizione, solo lui lo sa e, tutto sommato, ha poca importanza. Resta il fatto che un miscuglio di vecchio positivismo e vetero-marxismo ha avuto la meglio. Naturale, data la provenienza della intellettualità che Soru ha scelto come consigliera.
Meno naturale, e anzi piuttosto incomprensibile, è che di questa riduzione della lingua sarda a ciliegina (magari saporita) sulla torta Cultura, si sia fatto corresponsabile il centro-destra che, di tutto può essere sospettato salvo che di derivare da una cultura positivista e vetero-marxista. Eppure anche nel programma elettorale del presidente Cappellacci, questo vizietto ha un suo momento di gloria. Il capitolo che comprende gli annunciati provvedimenti a favore della lingua sarda è titolato: “Valorizzazione della cultura”. Riesce difficile immaginare che nella équipe autrice del programma ci fossero infiltrati. Non resta, così, altro che supporre come la egemonia culturale della sinistra ex comunista abbia esteso le sue ali anche su territori a lei inconsueti.
Ho esaminato il programma di Cappellacci dal punto di vista della ricorrenza di alcune parole chiave che, personalmente, a me interessano più di altre e che attengono alla qualità delle profferte autonomiste. E così si scopre che la parola identità (naturalmente riferita alla Sardegna) compare 8 volte, popolo sardo 6 volte, e per due volte insiste sulla riscrittura di un nuovo Statuto speciale, vi compare anche la parola nazione riguardante la Sardegna. Questo per dire che tali quantità di parole chiave significano, quanto meno, che esse sono nel lessico comune del programma e di chi lo ha stilato.
Diventa perciò incomprensibile come, per quanto riguarda uno degli elementi fondanti della nostra identità nazionale, si siano cedute le armi ad una concezione positivista e vetero-marxista della lingua. Forse il cedimento è inconsapevole, attuato perché “così ormai si dice”. Il che non è meno sintomatico di una caduta nella rete dell’egemonia culturale di figli e nipoti del Pci.

venerdì 27 marzo 2009

Archeologia: invito alla pacatezza

di Pierluigi Montalbano

Da anni il mondo archeologico che osservo dall'interno e dall'esterno mi lasciano l'amaro in bocca. Le polemiche per dettagli infinitesimali ormai non si contano più. Con tutte le problematiche che si sono presentate negli ultimi 10 anni continuo a leggere battibecchi, insinuazioni, commenti sarcastici e altro ancora da parte di studiosi, ricercatori, docenti, scrittori e appassionati.
La Sardegna e la sua storia ci inseriscono tutti nella stessa barca e bisogna sforzarsi di remare tutti verso una direzione che valorizzi le nostre origini... non il contrario!
Pittau, Sanna e tutti gli altri, che non cito per correttezza, amano la Sardegna e amano la storia. Sarei molto più felice se aprendo un blog o un giornale di cultura o assistendo ad un convegno, potessi leggere o ascoltare un discorso sereno, costruttivo, positivo.
Diamoci tutti da fare, a partire dai nomi più illustri, per favore.


Caro Montalbano, come non darle ragione? Leggo nella sua tesi sulle navicelle nuragiche la cui lettura consiglio a tutti: "Il dovere primario di ciascun ricercatore è il dubbio: induce a escogitare nuove ipotesi, per poi vagliarle e magari rielaborarle ancora, ma che spinge sempre a cercare più in là, a superare quelle "invalicabili" Colonne d’Ercole che sono ovunque, perché in noi stessi. Istoria nell’antica lingua greca vuole dire inizialmente proprio investigazione, indagine. Persino solo su un dubbio. Bisogna essere disposti poi a ragionarci, a discuterne e a cercare conferme o smentite, magari impastate insieme."
Se il clima corrente nella ricerca, come dovrebbe essere, fosse questo, il tono delle discussioni non potrebbe non essere sereno, costruttivo, positivo. Si dà il fatto che, generalmente parlando, così non sia. Né lo è mai stato. Il fatto è che, prima dell'irrompere di Internet nelle case, le discussioni interessavano solo i loro protagonisti e arrivavano alle nostre orecchie decisamente attutite e per lo più incomprensibili. L'accesso alla rete ha prodotto, in questo ambito, due fenomeni importanti: la facilità di pubblicazione di ipotesi nuove che prima trovavano chiuse le porte della comunicazione; l'arroccamento dei titolari di verità considerate assolute e una loro pulsione alla scomunica di ipotesi che non abbiano il bollo accademico.
Nel suo piccolo, questo blog è uno specchio di questi due fenomeni. Io credo che sia compito precipuo delle istituzioni culturali di muoversi secondo i criteri da lei illustrati. E sono convinto che, se così facessero, non solo i toni della discussione sarebbero costruttivi, ma ne guadagnerebbe la qualità della ricerca. E, in più, cadrebbe il sospetto che l'arroccamento accademico nasconda inconfessabili difese di status acquisiti.

mercoledì 25 marzo 2009

Caro Sanna, ecco il tuo "tallone d'Achille"

di Massimo Pittau

Caro Gigi Sanna,
tu ha sbagliato a prendertela con me anziché con altri. Non sono stato io infatti a dimostrare che le cosiddette “placchette di Tzricottu” non sono affatto bronzi nuragici, ma sono semplicemte ornamenti di armatura bizantina, bensì è stato Paolo Benito Serra; non sono stato io a dimostrare che i segni che vi compaiono non sono affatto segni alfabetici, dato che, dividendo verticalmente in due la faccia, l’una parte è perfettamente speculare con l’altra (e questo non può avvenire in nessuna scrittura), ma è stato Rubens D’Oriano.
Se io ho aderito alle tesi di questi due studiosi è segno che le loro argomentazioni mi hanno convinto, le tue no.
Ricordo di avertelo detto in una comunicazione privata e oggi te lo dico pubblicamente: il punto debolissimo di tutte le tue argomentazioni relative alla lingua dei Nuragici, il tuo “tallone d’Achille” è questo: tu ignori completamente tutto ciò che in 80 anni hanno scritto su questo argomento numerosi linguisti di professione e alcuni di chiarissima fama, B. Terracini, G. Bottiglioni, C. Battisti, V. Bertoldi, G. Alessio, G. Devoto, M. L. Wagner, G. Rohlfs, J. Huschmid, G. B. Pellegrini, J. H. Wolf e, modestamente, M. Pittau (autore del libro di 232 pagine «La Lingua Sardiana o dei Protosardi», Cagliari 2001, Editore Gasperini). Invece tu avresti dovuto prendere contatto con gli scritti di questi linguisti, almeno per confutarli, anche per non pretendere di assumere la parte del primo ed unico scopritore dell’America.
Che valore scientifico hanno le argomentazioni basate su notazioni esclusivamente epigrafiche – dato ma non concesso che queste siano tutte vere e non fasulle - le quali non facciano almeno un qualche riferimento alle sicuramente accertate notazioni fonetiche, morfologiche e semantiche acquisite dai linguisti di professione intorno alla lingua dei Nuragici?
Se tu questi linguisti non li avessi ignorati del tutto e invece li avessi letti e meditati, non saresti arrivato ad affermare – fra l’altro - che il vocabolo nurac (composto da due sole sillabe!) implica “due radici, una semitica e l’altra indoeuropea”…
Sempre con cordialità Massimo Pittau

martedì 24 marzo 2009

Le origini illiriche di Aristanis

di Alberto Areddu

Tempo fa sul Blog si era discusso della proposta di ridenominare il Golfo di Oristano con l’appellativo di “Golfo dei Fenici”. Rintervengo ora, proponendo all’attenzione del curatore e dei cultori, un estratto, aggiornato dal mio libro, sulle origini del nome della città. Il poleonimo di Oristano appare in antico in una forma (Aristianis limne, nel geografo bizantino Giorgio Ciprio) che si ripresenta tuttoggi nel dialetto comune: Aristanis; la deformazione in Oristano è successiva (a partire da geografi toscani del xii sec.). L’interpretazione che ne fa un toponimo africaneggiante per l’uscita in -an (Terracini), come quella che lo vorrebbe un indimostrabile prediale da tale Aristius (De Felice; Pittau) hanno poco fondamento; un suff. -anis ritorna infatti nel sostrato (cfr. ad es. Lesanis). Lo spiritus loci dovrebbe indirizzarci a fornire invece un etimo confacente alle caratteristiche, abbastanza particolari, del territorio. Oristano sorge a pochi km. dalla costa all’interno dell’omonimo golfo, in vicinanza dello stagno di S. Giusta, ma la denominazione di “portu” nel Medioevo fa presumere una sua maggiore prospicenza alla costa. Una prima nostra interpretazione ci potrebbe spingere a vedere nelle forme riportate dei geografi toscani: Arestagno, Aristanno un indizio di una durevole continuità dal lat. stagnum (cfr. Spano sull’individuazione da ‘stagno’); ma se l’interpretazione è motivata geograficamente, non lo è altrettanto linguisticamente: dal lat. stagnum avremmo ottenuto nel sardo *stannu, e non vedendosi il motivo della perdita della geminata, meno ancora si comprenderebbe un Ari- iniziale romanzo. La chiave illirica può invece darci maggiori risposte; qui, come nel celtico, esiste un prefissuale ar- (celt. are-, ari- ‘presso’; cfr. anche umbro ar- per ad-) “presso”, che ritorna peraltro in altri toponimi sardi; presso dunque di che cosa? La risposta più confacente: un’ ‘imboccatura’: cfr. all’uopo antico indiano ustha- ‘labbro, bocca’, così anche avestico aošta-, aoštra- (<*əus), lat. ōstium ‘entrata, imboccatura sul fiume’ (= slav. *ustьje); antico slavo usta ‘bocche’; slavo *ustьje 'imboccatura'; antico slavo ustьna, sloveno ûstna ‘labbro' (dalla stessa base si confrontino le città tracie di Ostaphos, Ostudizos). Discorso solidale credo vada fatto per la località turistica olbiese di Porto Ìstana. Anche qui verosimilmente ritroviamo un *usta ‘imboccatura’ che originariamente doveva apparire isolatamente come *Ust-ana ‘luogo dell’imboccatura’ -> ‘porto’, poi replicato tautologicamente con la definizione di Porto. Dunque sia Oristano “che sorge presso un porto”, sia Porto Istana ci possono testimoniare che la forma *Ùstana indicasse nella lingua nuragica il ‘porto largo’ (cfr. lettone uosts masch, uōsta femm. ‘porto’). La resa i/u si inserisce in quegli adeguamenti fonetici di u esotici, verosimilmente [ü], della latinità coi prestiti, e nel successivo passaggio del segmento iniziale us- poco frequente a quello logudorese is- (: i-stare, i-schire). Secondo lo Spano, un altro Aristani/Aristanno si sarebbe trovato nel territorio di Olbia (forse in reg. Astaina si recepisce il documentato Aristana). Riguardo l'uscita in -is, che parrebbe latina, faccio presente che la presentano parole sicuramente prelatine come Kalaris/Karalis, Lesanis, Etis, Seunis, Sipontis, e per le quali ho trovato forti connessioni illiriche. Al momento non ho trovato tracce di *usta in area illirica, ma non è detto che salti fuori; foneticamente si adatterebbe la località di Shtanë (anticam. Stana), registrata dalle carte albanesi, che però non è località balneare. Riguardo poi la toponomastica odierna albanese essa ha subito notevoli influssi da quella slava (gli albanesi erano pastori in continua migrazione per i Balcani), e molto oggi si discute su quanto sia esterno e quanto sia originario.

domenica 22 marzo 2009

No, caro Pittau no, così non va

di Gigi Sanna

Caro Pittau. Devo essere molto sincero. Non sono d’accordo quasi su nulla di quello che scrivi nel tuo recente libretto (Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monti Prama, Edes Sassari 2009). Non sono d’accordo se non in un dato solo: che i cosiddetti Guerrieri stavano in un tempio. In questo sì. Del resto lo aveva già sostenuto autorevolmente G.Lilliu e, se permetti, nel piccolo anch’io. Ma ne parlerò in un prossimo intervento, con riferimenti puntuali alla tipologia della costruzione, alla datazione delle statue e all’identità dei Giganti. Per il momento mi limito a parlare sulla scrittura nuragica. Semplicemente e per linee essenziali, data la natura sempre ‘distensiva’, più informativa che ‘tecnica’ del Blog.
Procedo da questo argomento anche perché partire dalla conoscenza della scrittura paleosarda è un prerequisito per capire anche il resto. Tutto il resto. In primis. Mi meraviglio davvero che tu ti meravigli che gli studiosi in fondo ti snobbino a proposito della scrittura ( p. 49). E tu che fai ? Va bene Gasperini, va bene qualcuno della nomenclatura. Ma gli altri? Se solo li avessi nominati, con il loro nome avresti fatto presente che esistono ben 45 documenti sui quali ora poter far leva per capire un po’ di più (o forse molto) della cultura cosiddetta nuragica. E avresti evitato certi errori basati su inveterati pregiudizi.
Ti sei dimenticato di Tzricotu di Cabras, di S.imbenia di Alghero, di Is Loccis Santus di S.Giovanni Suergiu, di Pallosu di S.Vero Milis, di San Pietro di Bosa, di Orani 1 e di Orani 2, di Pitzinnu di Abbasanta, di Aiga di Abbasanta, di Perdu Pes di Paulilatino, di Pirosu Su Benatzu di Santadi, del ‘nuraghetto’ de Su Cungiau de is Mongias di Uras, ecc.ecc.? Ti sei dimenticato di tutto il mio repertorio dei segni? Dei segni protosinaitici, protocananei, ugaritici, ‘protocananei’ o fenici arcaici? Sembra proprio di sì.

Leggi tutto
Nella foto: la scritta di Aidu Entos

Modello nuragico ed elogio della lumaca

di Carlo Carta

Caro Eliseo,
parto dalla fine delle tue perplessità nella risposta che mi dai, e cioè: siamo sicuri che i giovani abbiano preso realmente coscienza? Beh di sicurezze, tu m’insegni, il Popolo Sardo nella sua millenaria storia, ne ha avute ben poche. A cominciare da Hampsikorra, passando per G.M. Angioy e per finire ai nostri giorni. Altrimenti spiegami diversamente questa triste ineluttabilità del destino dei Sardi. Questo secondo me è il vero problema.

Leggi tutto

sabato 21 marzo 2009

Reperti "etruschi" di Allai: qualcosa si muove

Eppure (qualcosa) si muove. Ricordate la vicenda dei ciottoli iscritti di Allai, di cui questo blog si è a lungo occupato? Le ultime due volte che se ne è interessato, è stato per scrivere una lettera aperta al ministro dei Beni culturali e per sollecitare i lettori a sottoscrivere una richiesta di notizie allo stesso ministro. La lettera fu firmata da una trentina di persone e spedita a Bondi. Su Facebook la richiesta "Vogliamo sapere che fine han fatto i reperti etruschi" è stata firmata (ad oggi) da 113 persone.
Su L'Unione sarda di stamani, un articolo firmato da Alessia Orbana, riferisce: "È stata aperta un'inchiesta sui reperti trovati anni fa nel territorio di Allai. La notizia arriva direttamente dalla segretaria del ministro ai Beni culturali Sandro Bondi al quale si è rivolto, con una nota scritta, un gruppo di persone che vuole vederci chiaro su una vicenda che sta assumendo quanto mai i contorni di un giallo. Prima infatti la battaglia per il riconoscimento dell'autenticità di questi reperti, messa in dubbio dalla Sovrintendenza, poi il sequestro degli stessi e ora la mancanza di notizie su che fine abbiano fatto.
Della vicenda è stata interessata la Procura della Repubblica di Oristano. Questa per ora l'unica certezza. Arriva direttamente dal Ministero al quale si sono rivolti per un intervento trentaquattro firmatari di una nota (residenti in vari centri, Carbonia, Olbia, Nuoro, Roma, Ladispoli, Mönchengladbach per citarne alcuni). Inoltre della vicenda si discute anche su Facebook (il social network più usato al mondo) dove il dibattito sui reperti di Allai vede iscritte oltre cento persone
" (Vedi l'intero articolo)
Qualcosa, dunque, si muove. Io spero vivamente che l'indagine della Procura di Oristano sia destinata a fare luce sul vero "giallo" come lo definisce l'Unione, la scomparsa, cioè, dei reperti. Ma temo che così non sia e che la impenetrabile torre d'avorio della Soprintendenza archeologica (insensibile a qualsiasi richiesta di chiarezza) si attenda dalla magistratura conforto e pretesti alla sua inazione.

venerdì 20 marzo 2009

Zona franca di Portovesme ed ecco lo sviluppo

di Mario Carboni

L’autonomismo sardo, a partire dalle idee espresse dal Movimento antiprotezionista del quale fu principale artefice Attilio Deffenu ed al quale aderì anche il giovane Antonio Gramsci, fu liberale e liberista, solidarista e rivolto alla soluzione dei bisogni popolari come alla necessità di creazione di una classe dirigente ed imprenditoriale capace di sviluppare la Sardegna e portarla alle stesse condizioni di progresso delle migliori regioni europee.
Gli antiprotezionisti ed in seguito i sardisti e gli autonomisti cattolici erano convinti che abbattendo ogni ingiusta e protezionista barriera doganale, fiscale, amministrativa e politica, imposta dall’esterno e ponendo questi poteri di competenza di un Parlamento dei sardi, in un più ampio quadro federale, si potesse dar corpo al libero sviluppo dell’economia isolana, vista come fortunata per le opportunità insite nell’essere isola centrale nel Mediterraneo occidentale.
La necessità della libertà doganale e fiscale, cardine economico di un vero Statuto di Autonomia speciale, è stata proposta in seguito dal grande movimento autonomista del primo dopoguerra, anche come recupero dei diritti statuali persi con la perfetta fusione del 1848 che aveva ridotto anche dal punto politico ed istituzionale la Sardegna a colonia interna dello Stato italiano divenuto in breve autoritario e fascista e riproposta nel secondo dopoguerra.
Il cammino dell’autonomia speciale della Sardegna è stato tracciato principalmente dall’area liberal-democratica, sardista e cattolico solidaristica della Sardegna, violentemente contestato e sabotato dal blocco socialcomunista sia nella Consulta che nella Costituente del 1948, tanto che dell’originale progetto liberale, liberista e solidarista dei sardisti e dei cattolici sardi sopravvisse nell'art. 12 dello Statuto che prescrive la creazione in Sardegna di punti franchi.
Leggi tutto

giovedì 19 marzo 2009

Selezione universitaria e cose di casa nostra

di Alberto Areddu

Intervenendo sul Corriere della sera (6 febbraio) in merito ai criteri di valutazione e selezione del personale docente in ambito universitario, Cesare Segre, nota figura di intellettuale e insigne filologo, si esprime contro i tre criteri al vaglio del CUN (comitato universitario nazionale): 1) la mole di articoli; 2) il prestigio delle riviste su cui uno pubblica; 3) l'"impact factor" (cioè le citazioni).
Segre liquida il primo ricordando che Einstein pubblicò pochissimi articoli e rivoluzionò il mondo, mentre "spesso siamo inflazionati da poligrafi che pubblicano 2/3 libri all'anno e non modificano niente". Riguardo al secondo, osserva che dietro il manto di comitati editoriali dai nomi altisonanti, nelle riviste, anche importanti, in realtà a comandare c'è solo il direttore con le sue preferenze e le sue idiosincrasie. Per il terzo criterio è facile osservare che un autore che abbia cento recensioni negative finirebbe per avere più visibilità di uno che ne abbia e molte meno e positive.
Ora, ripensando ai fatti di casa nostra e sintonizzandoci un attimo sul I° criterio, vorrei osservare che accrescere la propria mole di interventi non è cosa granché difficile: basta trovare uno che si presti a darti del filo da torcere. Uno studioso dice una cosa, un altro lo critica, il primo reagisce, l'altro controbatte, e via così il gioco è fatto. Tra gli anni '80 e '90 alcune nostre riviste d'allora si offersero come palcoscenico alla polemica tra due studiosi che si accapigliavano per questioni minute.
L'altergo sembrava, per il lettore, giunto a un punto di non ritorno e tralignato quasi nel duello rusticano, quando toh in una miscellanea in onore del più anziano dei due, ecco che ti compare ossequioso e con un dovizioso intervento l'altercatore più giovane. Uno immagina che i due segretamente si fossero riappacificati, macché finito quel Festschrift, quei due hanno ricominciato a rimbeccarsi e la cosa stucchevolmente prosegue ancora oggi. Certo era impossibile che andassero d'accordo, diversi per indole e formazione: uno di origine provinciale e patrocinato dalla DC, l'altro invece figlio urbano della tecnocrazia rampante.
Sia quel che sia, dandosi importanza e considerandosi, pur nella comune disistima, si erano dati -coscientemente o no- dei titoli, delle fiches da gettare sul piatto del mercato della mole di studi. Fosse stato uno dei due un ignoto, l'altro avrebbe al limite usato il sistema della nota a fondo pagina o come più probabile l'avrebbe bellamente ignorato. Quante di queste polemiche siano poi studiate a tavolino non saprei dirvelo.
Dunque uno dei mali dell'odierna classe di intellettuali italiani e sardi è la falsa litigiosità. A ciò s'aggiunga l'autorefenzialità baronale ("le cose che ho scritto io sono le più importanti e delle novità non mi curo"); vi vorrei invitare alla lettura di alcuni casi paradigmatici, accaduti in ambito etruscologico, e sui quali erudisce Carlo d'Adamo nel suo bel sito; lo studioso di potere si crea degli eidola, dai quali non ama recedere una volta sottoposto a critiche stringenti, perché ciò comporterebbe ammissione di colpa (e perdita di lucrosi guadagni) e ha due soli strumenti per fare ciò: il silenzio (che viene imposto ai suoi sodali e gregari) spesso su documenti di scarso accesso al pubblico, oppure l'ammiccamento benevolo, curiale e compiacente per tener buono il criticante (magari gli manda i suoi libri e articoli gratis a casa, per dirne una, con tanto di dedica).
Insomma per tornare a Segre e alla selezione: "il rimedio non sta nel rendere il giudizio pubblico, e perciò contestabile se fazioso, sta nel ricorrere ai giudizi di altri specialisti, magari mediante un dibattito. Ognuno metta in gioco la propria competenza". Cosa che appare però difficile nell'odierno panorama italiota, assai restio a sottoporsi alla critica da più fuochi.

martedì 17 marzo 2009

Soru al microtomo del Pd: fu un illuminista

L’analisi con cui il Pd sta spiegando a se stesso e ai sardi la sua pesante sconfitta è, per così dire, un luogo pubblico, dal momento che i giornali ne danno resoconto. Non ostante ciò, soprattutto chi non lo ha votato, non può non entrarvi in punta di piedi, cercando di capire in che cosa il maggior partito di opposizione è diverso da quel che era, quando governava.
Nella assemblea che si è svolta a Sassari e di cui dà conto La Nuova Sardegna, in mezzo a ragionamenti che riguardano quel partito ce ne sono tre che ci riguardano tutti come cittadini sardi. Cito tra virgolette quanto è scritto: “Quello di Soru viene definito come un “riformismo illuminato, dove il cambiamento viene spiegato e offerto al popolo da una sola persona”; “Agli occhi dei sardi è arrivata una trasformazione dal volto deformato, con tratti eccessivamente identitari: il vellutino come simbolo di appartenenza”; “Il messaggio che arrivava dallo schermo era un “Ci penso io”. Questa è la grande forza del Berlusconismo. Perché la Sardegna doveva essere refrattaria? Perché la ventata di centrodestra qui doveva arrivare meno impetuosa che altrove?”.

Leggi tutto

lunedì 16 marzo 2009

Caro Sanna, all'origine tutte le scritture sono pittografiche

di Herbert Sauren

Caro Gianfranco,
ho ricevuto e letto la nota pubblicata da Gigi Sanna e letto l’alfabeto dei testi nuragici. Non so se l’articolo annunciato sarà accessibile in Internet, ma mi piacerebbe averne una copia in Pdf. Alcune mie considerazioni:
1. E’ buona cosa chi il collega consideri di accettare la fonte delle lingue semitiche per una parte delle iscrizioni ritrovate in Sardegna. Sa già che queste lingue hanno molte consonanti.
2. La tesi secondo cui le lettere provengono da immagini non è del tutto nuova. Tutte le scritture sono pittografiche al momento della loro nascita. La funzione diversa dei segni è essenziale, geroglifica, un segno=una parola; sillabica, un segno=una sillaba; o alfabetica, un segno=un fonema. Suppongo che egli voglia parlare di una scrittura alfabetica.
3. Le lettere rappresentano unicamente una parte della decifrazione, bisogna conoscere i fonemi. A questo punto, è difficile e spesso falso registrare le lettere secondo l’alfabeto ebraico. Questo alfabeto non possiede che 22 segni, mentre altri alfabeti, come quello di Ugarit ad esempio, possiede 30 segni e la famiglia delle lingue affini all’arabo attuale possiedono più fonemi. Ci sono molte altre liste alfabetiche.
4. Nessuna scrittura resta senza cambiamenti durante l’evoluzione. Le iscrizioni in Sardegna hanno probabilmente una evoluzione di secoli o anche d’un millennio. La forma e la funzione delle lettere cambia. Uno studio della storia della scrittura in una regione data deve partire dalla decifrazione delle iscrizioni e non per imporre una lista di lettere.
Aggiungo una lista alfabetica basata sui numeri romani. (Per leggerla)

domenica 15 marzo 2009

Cappellacci, la lingua sarda e il digitale

di Alberto Areddu

Alcuni mesi fa si è completato il passaggio dell'isola al segnale in digitale, che permette alla gran parte dei sardi e poi permetterà agli italiani, di poter non solo vedere programmi a una qualità superiore al precedente segnale, ma anche di poter dialogare colla TV a un livello più dirompente di quanto si faccia col computer (che le persone anziane e non solo, non conoscono e necessita di lunghi corsi specialistici). Disporre di ciò e non pensare all'uso che la Regione potrebbe farne, è ridurre il proprio sguardo all'immediato contingente.
Visto che ormai ci si sta inoltrando verso quella democrazia elettronica che salta a piè pari l'intermediazione di gruppi e organizzazioni (le quali però poi ritornano in fase di organizzazione del consenso, vedi il caso Obama), semplifica la comunicazione e azzera i costi, penserei che non sarebbe male, riguardo la vexata quaestio della lingua dei Sardi, interpellarli questi sardi. Cappellacci tramite Baire (la nuova assessora alla cultura) potrebbe sondare la popolazione residente se veramente è interessata all'esistenza di una lingua unitaria o specifica per la Sardegna, che non sia l'italiano (viste le manifestazioni di "diversità" e "specificità", inserite nel programma elettorale, che Pintore ci ha da poco ricordato). Una volta che il sondaggio-voto risultasse positivo, come preventivabile, per i sostenitori della idea di una lingua sarda, passato qualche tempo, l'elettorato televisivo potrebbe venire sottoposto alla domanda realmente cruciale, e cioè di indicare una scelta fra le varie proposte all'ordine del giorno (riassumo al momento le papabili):

1) Due lingue diversificate (logudorese-campidanese), con rispetto delle minoranze (proposta Blasco Ferrer)
2) Una lingua basata su criteri d'ambito linguistico e politico, articolata sui principi della cosiddetta lingua sarda unificata o comune (proposta Corraine)
3) Una lingua basata su criteri di selezione di isoglosse linguistiche particolari, mediane tra le due principali componenti (proposta Corongiu)
4) Una lingua basata sul dialetto di Cagliari, perché centro di attività economiche e quindi naturalmente propulsivo per un reale sviluppo della struttura linguistica sarda (idea mia)

E' ben evidente che prima di decidere in merito l'elettorato interconnesso necessiterebbe di un discreto tempo per prendere una decisione, leggere la pubblicistica in merito, seguire dibattiti. Finite le discussioni si voterebbe, e in base agli esiti, la giunta Cappellacci potrebbe sentirsi, proprio a seguito di questo contatto del tutto democratico, legittimata e in forze per dare vita al progetto che riscontrasse maggiore successo, investendo risorse su di esso.

sabato 14 marzo 2009

E' nel messaggio nuragico la vera autonomia sarda

di Eliseo Spiga

Gli uomini e le donne che si riconoscono in queste parole sono fermamente decisi a salvare il sardismo dal naufragio in cui è stato fatalmente coinvolto il Partito sardo d'azione. Sulle scogliere del berlusconismo.
Non a salvare l'incerta e pretestuosa ideologia di un partito, ma la principale espressione ideale e morale dei Sardi degli ultimi duecento anni. A salvare, quindi, l'enorme patrimonio di cultura, le esperienze di lotta in tutti i campi, la capacità di dedizione e di sacrificio dei sardisti, da Giovanni Maria Angioy, primo fondatore del sardismo moderno, fino a Emilio Lussu. In altre parole, a salvare i valori universali che hanno sostenuto l'aspirazione insopprimibile dei sardi ad una società di uomini giusti, saggi e coraggiosi. Una società d'abbondanza ma non sovrabbondante. Di uomini liberi, e capaci di decidere il proprio destino individuale e quello della società, e, quindi, in grado di assumere direttamente le responsabilità dell'autogoverno senza l'impiccio di Re, Autocrati e altri Minchioni.

Leggi tutto

venerdì 13 marzo 2009

Yes, ja faghet

de Roberto Bolognesi

Ja, faghet, ja!
Semus 630 scritos a "vogliamo che i nostri figli studino il sardo a scuola" e 480 a "boleus/cherimos su sardu in sa scola".
Semus pagos o medas?
Si pensamus ca in Facebook bi sunt a su mancu 20.000 sardos, semus pagos.
E si pensamus ca casi su 90% de sos sardos, comente resurtat dae sa circa sotziulinguistica coordinada dae sa Prof.ssa Oppo, cherent su sardu in sa scola, semums pagos meda!
Ma non est gai chi tocat a pensare.
Tocat a pensare ca semus bastantes pro incumentzare una revolutzione curturale: sa prima revolutzione sarda.
Si nos movimus totus ... ma non bi chergio ne-mancu pensare a su chi diat sutzeder: tando sa cosa diat esser bella e fata.
630 babbos e mamas diant andare a faeddare a sa scola: "Po imparai su sardu a is picioccheddus in sa scola, tocat chi nci siant maistus chi ddu podint insenniai e duncas chi ddu scipiant fueddai e scriri. Poi tocat puru chi custu insenniamentu bengat inseriu in su POF de sa scola (bastat chi in su Collegiu de is docentis unu maistu si ndi pesit a ddu domandai).S' atru est cosa chi benit de sei a segunda de su livellu de cumpetentzia chi tenint is pipius, ma est cosa de importu a partiri de su fueddai e sceti a pustis ligi e scriri."(messagiu de Tin Dal a su grupu: "vogliamo che i nostri figli studino il sardo a scuola")
A bi pensades: 630 scolas inue faghent letziones de sardu?
Ma naramus chi si nde movant solu 63 e ca custos resessant a fagher mover sa scola de su figiu.
Tando diamus a tenner 63 scolas inue is pitzinnos studiant su sardu e ateras materias in sardu.
E custa diat esser gia de se una cosa bella e importante meda.
Ma e sa formatzione de is dotzentes?
Si 63 scolas ponent impari sa fortza issoro, faghet a organizare cursos de formatzione de livellu internatzionale e, pro donni singula scola, a baratu puru!
Tocat a pensare ca totu sos studios de sa grammatica de su sardu sunt fatos in logu angenu, ma puru ca sos istudiosos chi los ant fatos sunt amigos mannos de su sardu e ddis iat a agradare a benner a Sardinnia.
E sos pitzinnos de 63 scolas formant giá unu mercadu interessante pro sos editore sardos: diat fagher a pubblicare su materiale didaticu chi serbit (e non esistit) a unu pretziu normale.
E 63 scolas diant esser un'esempru de importu mannu pro totu is ateras scolas e ... pro sos politicos.
Si unu de is 10 iscritos a custo grupos si movet, sa revolutzione partit.
Ello ca non faghet? Ja faghet, ja!

giovedì 12 marzo 2009

Colada Pasca, a cumintzamus a lu pesare su Movimentu?

de Antonimaria Pala

Su pasu istitutzionale dèpidu a sas votatziones pro s’annou de su Parlamentu Sardu est agabadu. In custas dies, sa Sardigna tenet torra unu Parlamentu e una Giunta noa. Totu cussos chi, onni unu a manera sua, sunt impinnados, in sa gherra pro su sarvamentu, s’amparu, sa normalizatzione e sa crèschida de sa limba sarda, ant su dovere de sighire su traballu de isprone a sa polìtica linguìstica chi in custos annos at agabadu s’andera simbòlica, pro pigare cussa de su fràigu e de su traballu de onni die.
Su prus de nois in custas votatziones at fatu sa parte sua, sustenzende, in tantas maneras sas pessones e sas listas o impinnende·si in manera direta in s’eletzione. Custu nos at postu in contierra (mancu male, pro chistiones de democratzia) intra partidos, listas e coalitziones e fitianu finas in intro de sugetos polìticos matessi. Sèmpere in manera libera e legìtima. Onni unu at fatu pro sa limba su chi at pòdidu, su chi at cumpresu, su chi li est pàrfidu prus giustu relatende·si a sa fortza, a sa cultura polìtica, a sa bisione de su mamentu istòricu e finas a su contu de sa cumbènia eletorale.
Como b’at unu guvernu, espressadu dae sa majoria, e un’àtera parte chi sena gàrrigos de guvernu ma cun àteros còmpitos istitutzionales de rapresentàntzia e controllu, at a sètzere in Casteddu. Ambas perras tenent sa responsabilidade, in sos logos de sas detzisiones, chi sunt finas in foras de su palatu, de si fàghere intèrpretes de sos isetos de sos sardos. Sa limba a bisu meu est su bisòngiu primàrgiu de sa gente nostra.
A sos chi ant sos redinagos de s’amministratzione e a cussos chi tenent su foete pro si apònnere, depimus pompiare. Pro sighire polìticas in ala a sa limba e a su bilinguismu, cungruidas finas a como, e pro nde elaborare àteras chi sigant su caminu a chirru a s’ufitzialidade prena e cumpreta de sa limba, in onni mamentu de sa vida.
Dae cando sunt agabadas sas votatziones in sos cuntatos intre sos chi faghent cosas de limba e sos pagos chi ant pigadu positzione pùblica, non si faghet àteru (deo puru so de cussos) si no su de nàrrere chi est ora de sighire a fàghere. O finas “est ora de fàghere”, “tocat de cumintzare dae sa gente”, “semus generales sena esèrcitu”... E àteros propòsitos sàbios, chi tocat de acostiare a mòvidas cuncretas.
Su movimentu linguìsticu ispontàneu, fatu de sardos disterrados, intelletuales, operadores de limba, mastros a onni livellu, iscritores, poetas e citadinos amantiosos, at tentu su mèritu de obrigare sa polìtica, si no a pònnere in su centru de sos programmas issoro sa limba, nessi a fàghere fronte a sa contraditzione e s’omissione distrata e fitianu finas rea in sos cunfrontos de custa chistione, torrada in buca a totus, finas posca de sa campagna istitutzionale, ripresa prus male chi non bene dae s’imprenta sarda.
A chie no at sighidu in fatu tocat de li pedire contos, a chie at fatu pagu tocat de li nàrrere a sighire a in antis. Ma no si podet, mancu cherfende, torrare in segus!
Ma comente?
Non creo chi su traballu finas bonu chi si faghet cun sos mèdios de internet abastet a cunvertire sa cunvergèntzia e s’elaboratzione de sas trumas in dibata, in òperas de cabale. Ne mancu pesso chi abastent - mancari siant de impreare e de importu mannu - sos giassos internet chi sunt abertos a s’impreu, e galu prus pagu b’at de dare afidu a sos artìculos isolados, chi pro limùsina e amistade, onni milli annos, benint publicados dae sos cotidianos sardos, tropu impinnados a imbentare realidade, intames de la contare sena lanas, omissiones, ismèntigos e trampas.
Tocat chi su movimentu pro sa limba diventet su “MOVIMENTU DE SA LIMBA.”
Chi siat unu sogetu polìticu organizadu, chi siat una domo de elaboratzione de istrategias cuncretas pro pesare s’ufitzialidade de su sardu. Chi sa gente si bi potzat iscrìere, apat manera de nàrrere su chi pessat, ascurtende sas cosas dae chie las narat in fide bona e cun mèdiu obietivu e iscientìficu. Tocat de impreare totu sas energias, sas leges, sas sensibilidades polìticas sena esclusiones e chìrrias de làcanas “ideales”. Tocat de chircare intro de una domo comuna, s’àndala sarda a chirru a su benidore de sa limba. Chi no tenet modellos pretzisos de copiare, chi no tenet sa cumbintzione chi abastet una lege ebia, chi non tenet prus tempus de pèrdere in partiduras de variantes chi no esistint, chi est capatze de chirriare su faeddu, s’impreu setoriale, s’iscola e sa literadura, ma abarrende in intro de unu cussertu, mancari fatu de tantas boghes, chi apat sa cuncòrdia de unu sonu.
A nos bidimus a cara a pare in pessu chi nche colat Pasca de abrile pro cumintzare a pesare su MOVIMENTU?

mercoledì 11 marzo 2009

Movimento per la lingua: ajò, riprendiamo

Nel movimento per la lingua sarda, non sono molti ad essersi accorti che le elezioni ci sono state, che hanno dato l’esito che hanno dato, che la battaglia per il sardo va ripresa urgentemente partendo dalla realtà dei fatti. Questo non toglie, ci mancherebbe, che sul piano delle convinzioni politiche personali o di gruppo è lecito battersi perché questa realtà dei fatti sia cambiata alla scadenza di questo governo sardo.
Uomini politici già ne preparano le condizioni, alcuni utilizzando strumenti formali (dichiarando, per esempio, illegittima la formazione della Giunta), altri servendosi dei più beceri strumenti di propaganda Quarantottesca (il governo servo dei padroni massoni, clericali, affaristi, mattonari), altri ancora preparandosi ad una dura opposizione nel parlamento sardo. C’è anche chi, esprimendo una giusta avversione all’infelice proposta di Berlusconi di far votare nel parlamento italiano i soli capigruppo, pensa di ricavarne vantaggi qui in Sardegna. A parte le iperboli usate dagli usignoli dell’imperatore (purtroppo per loro solo ex), tutto legittimo e persino doveroso. Nella sua modestia, questo blog, come si conviene ad una voce libera, preso atto che ha vinto Ugo Cappellacci, eserciterà un controllo puntale e critico degli atti del suo governo.
Ma la questione della lingua che c’entra? C’è qualcuno che, aspettandosi provvedimenti dannosi per la lingua, vuole starsene in disparte adottando a sua pratica il tanto peggio tanto meglio? Forse che c’è qualcuno per il quale la caduta di Renato Soru si è trascinata dietro la speranza di una seria politica linguistica. Anche l’apertura di questo fronte è meglio del silenzio. Silenzio che dà una pessima impressione del movimento per la lingua, autorizzando i più stolti degli oppositori alla lingua (spesso più interni allo schieramento alleato a Soru che esterni) a gioire nell’aver indovinato: “Questa è tutta gente che sta con la lingua per via delle prebende e dei finanziamenti”.
Nel programma con cui Cappellacci ha vinto, sulla questione della lingua c’è scritto:
“La Sardegna è una “nazione” con proprio territorio, propria storia, propria lingua, proprie tradizioni, propria cultura, propria identità ed aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, ed assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell’isola del prenuragico ad oggi... Per questo, coltiva e gestisce in sovranità la propria eredità culturale, materiale e immateriale, in un ordinamento istituzionale di cui la Regione autonoma della Sardegna si dota.
“... l’obiettivo prioritario del nostro programma è quello di ripartire, attraverso processi di ampia concertazione con gli attori, della tutela e valorizzazione del patrimonio di identità, di storia, di lingua, di cultura, di tradizioni e di produzioni del popolo sardo con strumenti normativi che possano assicurarne conoscenza e fruibilità oltre ad una loro riproposizione in chiave moderna ed attuale attraverso l’uso delle nuove tecnologie.
[Si vuole] realizzare un sistema di incentivi per la valorizzazione della lingua e della cultura a favore dell’editoria, delle arti, dell’associazionismo, del marketing, della comunicazione e informazione, della formazione e di ogni attività che supporti il patrimonio identitario dei sardi.

Personalmente avrei desiderato meno affermazioni di principio e più dettagli. Sono, comunque, posizioni decisamente importanti e nuove in una cultura politica dominata fino ad ora da un giacobinismo stomachevole, superato solo da Soru e da qualche altro, come Paolo Pisu, per dire, purtroppo oggi fuori dal Consiglio. Il problema che si pone ora ad un movimento per la lingua che decida di metter da parte i piagnistei è quello di tallonare il nuovo Assessorato della Cultura e di invitare l’assessora Lucia Baire al rispetto del suo programma.
Se il movimento si ricomponesse, e tornasse ad essere quello che è stato, una società di persone che non ti chiedeva de sos chie ses? per accoglierti, dovrebbe a mio parere chiedere un immediato confronto con l’assessora.
Su quest o blog, in un gruppo di discussione in Facebook, il movimento per la lingua potrebbe ricompattarsi e concordare il “dossier lingua sarda” da presentare alla Regione.

martedì 10 marzo 2009

Coladas sas eletziones, torramus aunidos pro sa limba

In un’artìculu de carchi die faghet in Diariulimba, Roberto Bolognesi narat una cosa giusta, in mesu de àteras giustas issas puru: “Immoi benit mali meda a torrai a acapiai is amigantzias e is alliantzias chi serbint po mandai a innantis sa pelea nostra”. No isco si, su chi so a puntu de nàrrere, est a gradu de torrare amighèntzias e alliàntzias. E però deo bi provo, moghende dae unu cussideru meu pessonale.
Roberto narat chi deo apo votadu a Cappellacci/Berlusconi. Chi unu natzionalista-soveranista che a mia apat botadu su capu de su guvernu italianu, est una cosa chi non bi pìtzigat ne a muru ne a gianna. E si in mesu de sa pelea eletorale, totu est cussentidu, finas a nàrrere chi sos sardos deviant isseberare intre Soru e Berlusconi, agabadas sas eletziones, sa propaganda la podimus finas pònnere a un’ala. Renato Soru no at telefonadu a Berlusconi pro si cuntentare de sa bìnchida de sas eletziones: s’est sapidu chi aiat bintu Cappellacci. E s’ex vitze presidente de su Guvernu sardu at integradu sas craes de Villa Devoto no a Berlusconi si no a Cappellacci.
At a èssere Cappellacci a guvernare, in bonu o in malu l’amus a bìdere, sa Sardigna. Deo l’apo botadu? “Tecnicamente” eja, ma est un “effetto collaterale”. Su matessi chi aiat tentu su votu de unu de su Pdci pro Soru e su muntone de ex democristianos chi abitant su tzentru manca; o unu comunista de Rifondatzione votande pro su partidu de Di Pietro, chi sa manca no ischit mancu a cale ala istat. “Effetto collaterale” duncas de un’issèberu, su meu, de torrare a votare Partidu sardu de pustis chi, in su 1989, s’impostada de bator o chimbe tiradores francos de s’alliadu suo Pci, ait fatu botzare sa prima lege pro sa limba sarda.

Sighi a lèghere

lunedì 9 marzo 2009

L'identità è però una cosa buona

Andrea Lai sta suscitando su un suo articolo un interessante dibattito intorno alle questioni dell’identità che spero non sia sfuggito ai lettori di questo blog. I termini della questione non sono nuovi, risalgono almeno all’affermazione dei giacobini e alla sconfitta dei girondini durante la Rivoluzione francese.
Da un lato l’accentramento, la negazione assoluta della pluralità delle culture e delle identità all’interno dello Stato, la titolarità di diritti in capo ai cittadini e la inesistenza di popoli diversi dal francese. Dall’altra parte apertura a qualcosa di simile al moderno federalismo, con tutto ciò che essa comporta.
Credo che di ciò Lai sia consapevole e dunque passiamo ad altro. Penso che Lai abbia ragione a prendersela con “l’identità” immobile, autoriproducentesi e quindi chiusa. Ma, salvo alcuni nostalgici del bel tempo passato, gli altri hanno in mente una identità dinamica, fatta di meticciati, di reciproche acculturazioni cominciate nel paleolitico e ancora in corso. Anche per questo, personalmente ho in forte sospetto l’etnicismo e sono convinto sostenitore, invece, del nazionalismo sardo, frutto, appunto, non di purezze identitarie e/o etniche. Se si esaminano le cose senza i paraocchi imposti dalla filosofia del dominio, le cose diventano più chiare. Il dominio ha inventato gli stati-nazione, confondendo stato con nazione, per rendere buona la nazione statuale e pessimo il nazionalismo di popoli diversi dal maggioritario.
L’identità nazionale è, così, ben diversa dalla identità etnica: questa, in virtù della pretesa purezza, può produrre guerre. Le cosiddette guerre nazionali sono in realtà guerre fra stati che pretendono di essere nazioni. Non è stata la nazione italiana a invadere l’Abissinia, è stato lo Stato italiano. Le nazioni, dal Kosovo alla Croazia a Timor Leste, non hanno scatenato guerre, le hanno subite. Il loro progetto non è stato espansionista, questo è il marchio dello Stato. È vero anche che sono le etnie represse ad entrare in conflitto, spesso armato, con gli stati di riferimento.
Parliamo quindi di identità nazionali che, ha ragione Andrea Lai, non sono una identità solo ma diverse identità. Ma sono identità sarde. Se a un abitante di Firenze chiedi che cosa è ti dirà “Sono fiorentino”, quasi mai “Sono toscano”. Se la stessa cosa chiedi a uno di noi si sentirà rispondere “Sono sardo”, più raramente “Sono olianese”. Qualcosa vorrà pur dire. Vuol dire, a mio parere, che il senso di appartenenza a una comunità nazionale è più forte del senso di appartenenza ad una comunità etnica o, come diceva Michelangelo Pira, ad una delle trecentosettanta “microetnie” che popolano la Sardegna.
Certo, anch’io, come tutti sono “io”, ho una identità personale, ma mi sento più sicuro sapendo e pensando che insieme ad una identità personale possiedo una identità collettiva, l’unica capace di resistere a chi desidererebbe tanto che i sardi fossero chentu concas e chentu berritas individualiste, invece che individuali.

sabato 7 marzo 2009

Schiavi (al momento) di giuochi imposti

di Micheli Tzoroddu

Nell’intervento di Francu Pilloni sono proiettate le problematiche che abbiamo vissuto ed ancora stiamo sopportando. Dopo tanti anni di ricerca addivenimmo alla scrittura del nostro primo libro. Appena pronto ci siamo recati alla mostra del libro di Roma e ne abbiamo mostrato lo stampato al primo editore sardo incontrato. Fu immediata la sua disponibilità, ma la remunerazione sarebbe stata dal 5 al 10% del prezzo di copertina. Considerando che con una simile ricompensa mai avremmo potuto continuare i nostri studi, decidemmo di fare gli editori di noi stessi.
Ora, il nostro lavoro, orientato alla riscrittura della preistoria e storia antica della Sardegna, non è appetibile ad un pubblico continentale, per cui ci collochiamo fra gli editori sardi, anzi siamo il più piccolo fra essi e ci sentiamo investiti in pieno delle problematiche messe in chiaro dal Pilloni. Ma ciò che qui si vuole stigmatizzare è che, pur essendo i contenuti del testo corroborati da oltre 200 richiami bibliografici facenti capo alle maggiori riviste scientifiche e ad oltre 70 testi classici e recenti, tuttavia la cultura sarda dominante ha manifestato un banalmente tiepido interesse verso il nostro saggio, che pure mette in chiaro aspetti certo inediti e fondanti nei riguardi di una lettura critica degli antichi sardi accadimenti.
Ma se ciò poteva essere nelle previsioni di chi andava a scardinare cementate acquisizioni, siamo invece rimasti veramente sorpresi dal rifiuto manifestatosi da parte delle organizzazioni culturali isolane (ma anche da notevoli individualità sarde operanti in simili contesti continentali), alle quali abbiamo fatto omaggio del testo per avere un riscontro privato o ufficiale della sua valenza: nessuna ha manifestato di accettare o respingere i risultati della ricerca, documentandoci tale situazione in quegli ambiti, essere ben lontana e tanto disinteressata delle tematiche che attengono alla stessa origine dei soggetti che ne fanno parte. Gli stessi ambienti tuttavia registrano quotidiani, appassionati commenti del genere narrativo, ove spesso sardo è il solo sapore dell’autore.
Pertanto, non crediamo ci si possa lamentare della inarrestabile perdita di identità, poniamo, de su Campidanesu, al quale viene propinata una impersonale appiattita omologazione pseodoculturale che fa molti proseliti in continente. Ivi il vocabolo “cultura” ha da anni assunto un’accezione tristemente monca: canzonette, abbigliamento, romanzi, cinema, talvolta di dubbia qualità. Tutti i dibattiti incentrati sulla sardità, sul recupero della lingua nel quotidiano, anche miranti alla ricerca di una sua universale codifica, sui valori che sono il portato della antichissima tradizione, rischiano di essere puro sfoggio accademico, se non recepiti da quelle entità che si definiscono crogiuolo, elaborazione e diffusione delle istanze intellettuali della comunità.
Esse dovrebbero invece essere fertile terreno dei germogli che da più parti contribuiscono a riportare alla mente le grandiosità create, dal Paleolitico in qua, dal vissuto senza pari degli antichissimi nostri avi. Certo la politica (in questo caso quella commerciale) giuoca il suo ruolo ma, ove si opponga, la testa del singolo può decidere il futuro. Purtroppo ciò costa fatica ed essa paga a lunga scadenza.

venerdì 6 marzo 2009

Il nucleare mette a nanna la ragione

E’ proprio inevitabile che una sconfitta elettorale comporti la completa eclissi della ragione e lo spostamento delle capacità raziocinanti dal cervello alle viscere? Venti giorni fa abbiamo votato per eleggere il parlamento sardo e un governo, cosa assolutamente normale tant’è che succede, di solito, ogni cinque anni. C’è chi vince e c’è chi perde, in una alternanza che in Sardegna è quasi una regola: una volta vince il centro-sinistra (Palomba), la volta dopo vince il centro-destra (Pili), poi il centro-sinistra (Soru) ed ora il centro-destra (Cappellacci).
Segno che la democrazia, anche se acciaccata da brutte leggi elettorali, resiste e che non è alle viste l’apocalisse descritta dai perdenti siano di sinistra siano di destra, in questa messa a nanna della ragione assolutamente intercambiabili. Adesso sono i perdenti di turno a lanciare grida di allarme: Cappellacci (anzi Berlusconi, burattinaio del primo) renderà le coste sarde come Rimini, e immaginano che Soru abbia inventato le politiche paesaggiste, come se prima di lui non ci fossero stati Floris e Cogodi; aumenteranno le servitù militari, come se in Sardegna si fosse atteso Soru per impugnare l’esorbitante carico di basi e servitù; cancellerà la grande ricchezza dei beni culturali sardi, come se Soru abbia mai combattuto la protervia centralista di Stato e soprintendenze; e altre simili nefandezze, possibili perché il popolo bue ha scelto Cappellacci anziché Soru.
L’ultima nefandezza è quella che riguarda la costruzione di quattro centrali nucleari in Sardegna. Se la capacità di raziocino tornasse nella sua sede naturale, dassende chietas sas intrannas, uno si chiederebbe (lascio da parte ogni ragionamento sull’idea che così si dimostra di avere del popolo sardo nemico): ma come si farebbe a trasportare fuori dalla Sardegna l’immensa quantità di energia prodotta?
Ma vediamo come è nata questa ennesima bufala che sta provocando ondate di indignazione fra chi si sente tanto sconfitto da non badare a spese in fatto di furori ideali e civili.

Leggi tutto

giovedì 5 marzo 2009

Ma è l'identità che serve alla lingua o è vero l'inverso?

di Andrea Lai

Caro Gianfranco,
mi imponevo una riflessione sulla questione della lingua e dell'identità sarde: vorrei sottoporla a te e a chi vuole discuterne, sempre che non sia troppo sgangherata.
In Sardegna, oggi, quali sono i termini della questione? Si parte da un'identità sarda, esistente e definita, e si vuole difendere la lingua come strumento e veicolo di questa identità? Oppure non esiste un'identità sarda, ed allora si difende la lingua perché si vuole creare questa identità?
Guardando i giovani (è una prospettiva limitata, lo so: ma i giovani sono il futuro), mi sto convincendo per la seconda. In primo luogo penso che non esista una ed una sola "identità sarda". I giovani si sentono europei, italiani e sardi senza alcun conflitto: insomma, a me sembra che condividano diverse identità, non una sola. Parlano in italiano (almeno, di solito, specie nelle città), ma usano il sardo per fare battute, per scherzare, per imprecare ecc.
Mi domando a questo punto se la questione della lingua sarda impostata in termini di standardizzazione e di scuola non sia il progetto di un élite culturale ristretta, che poco interessi ai nostri giovani.
Di più: mi domando se questo sardo standardizzato (non importa quale standardizzazione si difenda) e impacchettato in libri scolastici di testo non possa determinare una crisi di rigetto nei giovani, che non si riconoscerebbero più in quella lingua. Con buona pace di tutti quelli che teorizzano che la standardizzazione sia l'unica via per salvare la lingua.
Non è forse successo che qualcuno si è preso un'ubriacatura con la sangria catalana? Voglio dire che si è adottata - in modo secondo me acritico - una prospettiva per la quale la lingua tutelata deve assumere i ruoli che sono della lingua dominante (l'italiano). Questo, si pensa, dovrebbe rivitalizzare anche l'uso parlato. Il punto è che questo non è per niente scontato, anzi...
Potrebbe succedere, infatti, che il tutto si risolva in una burocratizzazione della lingua: si chiede ai parlanti di "sacrificarsi" e di aderire, con uno slancio militante, alle ragioni che stanno alla base del codice standardizzato, ciò che può portare a una castrazione degli usi spontanei, proprio perché la gente in quel codice non si riconosce. E' già successo.
Parlare una lingua minoritaria, così, diventa un modo per dire che si è diversi, non una risposta a reali esigenze di comunicazione. Il rigetto, specie da parte dei giovani, è dietro l'angolo.
Forse, allora, sarebbe opportuno interrogarsi sul perché in una società possano coesistere due codici: cioè, quanto sia opportuno cercare di affiancarli e renderli simili, oppure lasciare a ognuno di essi spazi vitali che poco si sovrappongono, in una sorta di ecosistema.

mercoledì 4 marzo 2009

All'inizio l'alfabeto nuragico era solo pittografico. Poi...

di Gigi Sanna

Io ritengo che la ormai cospicua documentazione di scrittura nuragica (oltre 45 documenti), sorta a partire dalla tavolette di Tzricotu nel 1995, possa consentire un discorso e una trattazione più ampia e sicura dell’alfabeto nuragico; anche più specifica ed articolata di quanto fosse possibile appena cinque anni fa. Infatti, le due pietre scritte della capanna di Perdus Pes di Paulilatino, la pietra scritta del Nuraghe Pitzinnu di Abbasanta, l’iscrizione, sempre su pietra, trovata presso il Nuraghe Aiga, l’iscrizione dell’architrave dell’entrata del vano superiore dello stesso nuraghe (con altre iscrizioni ancora), consentono di capire meglio in diacronia l’evolversi delle lettere alfabetiche che, da pittografiche (ora con valori logografici ora con valori acrofonici), diventano sempre più schematiche sino a non comprendersi più (da parte di noi lettori moderni, naturalmente) il punto di partenza, ovvero la forma grafica d’origine.
Che l’alfabeto nuragico all’inizio fosse interamente pittografico non sembra da porsi in discussione, data la sua sicura ascendenza ‘protosinaitica’, come dimostrano in particolare le lettere ‘aleph, daleth, hē, waw, yod, kaph, lamed, nun, ayin, resh, šin, taw attestate nei vari documenti (v. Alfabeto nuragico 2008).

Leggi tutto

martedì 3 marzo 2009

Libro, libro mio ma quanto mi costi

di Francu Pilloni

In un post dei giorni scorsi, Alberto Areddu osserva (con disgusto) da un punto di vista culturale i paradossi editoriali delle “fanzine” sarde, fenomeni che assumono l’aspetto di vere e proprie scorrerie se vengono analizzati in campo più propriamente economico. Scorribande che non violano nessuna legge penale o fiscale, tanto per essere chiari, ma che sempre bardane sono.
Siccome i paradossi di cui si parla sono libri, è curioso vedere quanto costa oggi in Sardegna la produzione industriale di un libro medio, di circa 160 pagine, copertina a 4 colori, testo di un colore senza foto, rilegato con cucitura a filo refe in brossura (cioè non con copertina rigida), formato di circa 15x20 cm (o 14x21, oppure 13x22, o pressappoco)...

Leggi tutto

domenica 1 marzo 2009

In Monte Prama su Tempru de Sardus Pater

Est essidu pagas chidas como “Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama” de Massimo Pittau (edes, 20 €), unu libritu de 78 pàginas, prenu de fotografias galanas meda, tiradas a sas istàtuas de sos Gigantes dae Domenico Canu, Edmondo Lay e Salvatore Salis. In sa coberta de palas e passim in intro unos disinnos de comente, a su nàrrere de Massimo Pittau, diat dèvere èssere istadu su Tempru chi istangiaiat sas istàtuas etotu.
Paris cun s’istùdiu chi li dat su tìtulu a su libru, duos iscritos chi sos letores de custu blog giai connoschent: “I sardi nuragici e la scrittura: i vinti non lasciano archivi” e “L’eroe Ampsicora era sardo, non cartaginese” e un’àteru cun su tìtulu: “Tertenia/Tyrsenia, terra dei Tyrseni/Tirreni”.
Ite contat, duncas, s’autore de s’istùdiu? Naradu in curtzu, pro lassare a sos letores su praghere de iscòberrere prus a finu sa tesi de Pittau:
- Su Tempru de Monte Prama est su chi sos sardos aiant pesadu a su Deus issoro, cuddu Sardus Pater numenadu finas dae s’antigòriu. De cada sorte est unu de sos tempros chi pro onorare su Deus si podet dare ant a èssere istados fraigados.
- Pittau imàginat su tempru comente chi siat unu Prostylos de traditzione grega, in uve 24 istàtuas fiant postas a in ghìriu de sa de 25, pesada a Sardus Pater. Custa fiat posta in su tzentru a s’ala contrària a s’intrada; sas àteras fiant 8 in fundu, 8 a manca e 8 a dereta, fortzis a poderare sa coberta de su fraigu mannu.
- Sa istatuas sunt de su VI sègulu gasi e totu che a su Tempru, fatu, si podet dare, de pustis chi sos sardos aiant bintu s’esèrtzitu cataginesu de Malco, pagu prus o mancu in su 539-534 in antis de Gesu Gristu.
- Sos chi finas a como sunt istados cussiderados “modellos de nuraghes”, agatados in mesu de sas ruinas, modellos non sunt si non su chi abarrant de sas culunnas de su Tempru.
- Istàtuas e tempru sunt istadas fatas a cantzos (sos prus minudos diant dèvere èssere de s’istàtua de su Sardus Pater) nessi treghentos annos de pustis sa nàschida de Gristu. Devent èssere istados sos cristianos de pustis su decretu famadu de Tessalonica de su 380.
Est capitadu totora chi sos istùdios de Massimo Pittau siant rutos che codina manna a pilisare s’aba sulena de unu paule e paris cun custa sas seguresas chi pariant giai in butzaga. At a capitare cun custu libritu puru, ba de bi pònnere iscummissa.