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giovedì 20 settembre 2012

Perbacco, quante cose dice quel frammento a Monte Prama

Foto dal sito Viaggi e vacanze in Sardegna
 di DedaloNur

Su invito di rsroberto nella discussione Dalle stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama ripropongo il mio invito a riflettere sul frammento di scarto di lavorazione delle statue. Questa è la notizia riportata da Rendeli, in La Profezia sul Passato p. 243-244 nota 4, da cui estrapolo il brano seguente:

Esiste poi una seconda via che lega il gruppo statuario a uno spazio consacrato di carattere civile piuttosto che funerario, più precisamente un edificio che potrebbe essere un tempio a megaron situato a qualche centinaio di metri di distanza o, in alternativa, da ricostruire nell’area delle tombe. Massimo Pittau, in un suo recente lavoro, propone la ricostruzione di una aedes nella quale i cosiddetti “pugilatori” potrebbero avere la funzione di “colonne-telamoni” (Pittau, 2008, pp. 27-30). Nel primo caso si scioglierebbe il legame fra area funeraria e complesso statuario, legame che C. Tronchetti e P. Bernardini ritengono molto forte e che viene avvalorato dal rinvenimento nella tomba 6 di un frammento di scarto di lavorazione di uno scudo: dunque appare  difficile sciogliere questo nesso (4).  (4): Questa notizia, presente nel diario di scavo redatto da Carlo Tronchetti, mi è stata ricordata da Paolo Bernardini in una sua comunicazione personale. Ringrazio entrambi: il primo per avermi concesso, con la consueta disponibilità e amicizia, la lettura del diario; il secondo per avermi ricordato questo fatto e per essere stato sottoposto a una lettura di questo testo con successiva, stimolante discussione di alcuni punti chiave del discorso.

Difficilmente potrò prender parte alla discussione. Quindi ribadisco preventivamente alcune mie considerazioni.

mercoledì 19 settembre 2012

Sos Nurakes e le città nuragiche

di Mikkelj Tzoroddu

Abbiamo appreso da una scorreria sul web, come il signor Mario Galasso, che pare molto addentro alle “cose sottomarine”, riferisca d’aver notato anni addietro, a duecento metri dalla riva, di fronte all’insediamento nuragico di Sant’Imbenia, nella Baia di Porto Conte, delle strutture circolari alte qualche decina di centimetri, poste ad una profondità di m. 2,5, che gli fecero pensare ad abitati nuragici (egli li chiama capanne nuragiche). Prendiamo atto (con ritardo per nostra colpa) della segnalazione, che il Galasso dice essere stata inoltrata inutilmente alla sott’intendenza di Sassari, e noi commentiamo: povero signor Galasso, non sapeva che a dirigere quell’ufficio, pagata, ebbene sì, anche con il suo danaro, era apaticamente stanziata la sviscerata amante dei Ciprioti, altrimenti nota come Nostra Signora della Soprintendenza? Ma noi, facciamo subito nostra la notizia che riteniamo carica di conseguenze per il prosieguo della riscrittura della davvero vetusta storia del Continente Sardegna. Acquisiamo pertanto il dato del Galasso circoscritto, così come rilasciato, dai semplici dati esplicitati, però sufficienti a permetterci di affermare che: in tal caso circa nel 750 a.C., quelle strutture si trovavano allo stesso livello del mare.
Orbene, siccome il saggio uomo non costruisce nulla al livello del mare, evidentemente esso, all’atto della “posa della prima pietra”, si trovava distante da quel punto. E, siccome il Nurake è una struttura destinata a rimanere in eterno (da quel poco che abbiamo potuto capire dei Nurakes) il mare, in quella circostanza d’inizio costruzione, doveva trovarsi non semplicemente distante, ma molto distante. Ora, essendo la percezione della risalita del mare (secondo il nostro parere) molto ben presente a qualsiasi cultura umana marinara dall’Ultimo Massimo Glaciale in qua, ed in particolare negli ultimi quindicimila anni (e, aggiungiamo, soprattutto per tutta quella terra emersa che definimmo Sardegna Paleolitica nella sua sì variegata manifestazione geomorfica), era evinte ai Sardiani, che il Nurake dovesse costruirsi molto lontano dal mare, anzi e meglio, dovesse essere costruito in un luogo che risultasse molto in alto rispetto al livello del mare. E, quale poteva essere una altezza di sicurezza? Secondo un parere che abbiamo elaborato fin dalla prima occasione in cui ponemmo in essere queste elucubrazioni, non può essere meno di sette-otto metri, meglio se dieci! Consideriamo però, come ciascun sito abbia le sue peculiarità e questa non può considerarsi pertanto una regola generale.
Bene, se prendiamo il luogo nominato dal Galasso e guardiamo (sulla carta nautica) verso il mare aperto, ci accorgiamo che a circa un miglio marino (m. 1852) trovasi l’inizio del limite di profondità proprio dei dieci metri, il che significa (a nostro parere) che del complesso che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, fu iniziata la costruzione prima di 4500 anni fa. Ma, quanto prima? Beh, noi crediamo che, per la Baia di Porto Conte, una altezza sul livello del mare di assoluta sicurezza, per quei tempi, dovesse essere rappresentata dai venti metri. E, sì, il limite di tale profondità trovasi a circa 1,5 miglia marine cioè a circa m. 2778 dal punto indicato dall’ormai nostro signor Galasso. Ed, in tale corrispondenza, in termini temporali, siamo andati indietro di circa 7000 anni dall’oggi. Quindi, l’inizio della costruzione dela struttura che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, può essere avvenuta anche settemila anni fa. Con buona pace delle asfittiche intellettualità che sono ancora ferme all’adorazione dei 3500 anni fa, senza aver mai, assolutamente, effettuato una pur minima ricerca per verificare e confermare tale data: essa fu rilasciata dall’obnubilato sapere di qualcuno e fu semplicemente fatta propria da tutta quella congerie di nanetti che stettero per decenni, ma ancora sono, accovacciati ed imploranti sotto il tavolo, a nutrirsi delle poche briciole di cultura che il caso fa loro cadere addosso. Si tenga presente che nel contributo scritto per questo blog nell’ottobre 2011 abbiamo scritto, suscitando il più negligente disinteresse (chiediamo venia per il voluto pleonasmo), essere nostra opinione (che ci deriva da una precisa elucubrazione su alcuni dati molto più circostanziati di questi buttati giù in un attimo senza prenderci nessun tempo, se non per dare un’occhiata qua e là) che la datazione del primo Nurake dovesse essere posta prima di ottomila anni fa, il quale dato si avvicina, guardate un po’, a quello testé scoperto!
Ergo, il momento in cui gli incapaci immaginano di far arrivare qualche straccione da qualsiasi dove (intorno al 1000 a.C.), proprio nella progredita città nuragica di Sant’Imbenia, quel popolo Sardiano, Grande Maestro Dell’Architettura, era ivi stanziato da moltissimi secoli, forse anche quaranta!
Caro ed attento lettore, considera un po’ se questo dato (che crediamo posto molto vicino alla realtà, il quale siamo disposti a discutere (magari fosse) con chicchessia) possa ancora permettere, a quei taluni, che tu profumatamente paghi perché ti diano onesta contezza di un lavoro intelligente, ben impostato, scientificamente condotto, senza badare a soddisfare nepotismi mentali, di raccontare amenità, dannose per te e per la riscrittura della storia della tua isola, ma certo utili a puntellare i loro ormai traballanti scranni.

martedì 11 settembre 2012

Dalle stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama

--> di Atropa Belladonna

Dal punto di vista dell’analisi macroscopica, stilistica e iconografica, gliene hanno fatte di tutti i colori, manco il materiale si era riusciti a capire: osso, avorio o steatite invetriata? Adesso gliene han fatte di tutti i colori  dal punto di vista microscopico (1). È come se ad un umano facessero NMR, TAC, PET e analisi del DNA. Nell’introduzione, il sigillo viene definito chiaramente scarabeo e non più scaraboide: del resto i fianchi incisi e la morfologia del dorso lasciavano pochi dubbi sul dovuto upgrade. E finalmente si parla con linguaggio preciso e sintetico: “The chemical analyses of the glaze matrix and of the embedded crystal inclusions, together with the detailed characterisation of the texture of the glaze-body system, confirm the compatibility of the scarab with the glazed-steatite Egyptian production, and specifically with the Egyptian scarabs of the New Kingdom”.  
La composizione e la manifattura rimandano alla tecnica egizia del Nuovo Regno (1550-1070 a.C. ca.), come del resto l’analisi formale. Come è del resto vero per lo scarabeo dell’obelisco e, sospetto, per quelli dei complessi  nuragici di Nurdole  e  S’ Arcu e is Forros. Sull’altro scarabeo considerato egizio, quello di S. Imbenia, nulla posso dire: ne conosco solo il dorso (Figura).
E adesso? certo, lo scarabeo della tomba XXV può essere tranquillamente più vecchio della tomba stessa: nessuno usa scarabei per datare contesti, passano troppo facilmente tra le generazioni. Ma le datazioni all’VIII e al VII secolo sono cascate come paletti muffiti e non sarà più così facile affermare che necropoli e statue non possono essere più vecchie dello scorcio finale del VII secolo, come era stato fatto proprio sulla base di un’affrettata datazione dello scarabeo.

G. Artioli, I. Angelini, F. Nestola, New milarite/osumilite-type phase formed during ancient glazing of an Egyptian scarab, 2012, Applied Physics A, DOI 10.1007/s00339-012-7125-x

lunedì 10 settembre 2012

Anfora con scritta di S'Arcu 'e is Forros. Garbini: in filisteo - fenicio. No, in puro nuragico


I grafemi dell'anfora di Villagrande Strisaili
di Gigi Sanna
Ora non si 'nasconde' più, non si ignora più e non si fa finta di nulla. Le sorprese sulla scrittura dell'età del Bronzo finale e del I Ferro in Sardegna non arrivano da fonti di 'cialtroni' e/o di 'falsari' ma sempre di più dalle fonti ufficiali. Anzi esse si enfatizzano persino con annunci di rivoluzioni di conoscenza storica attraverso canali impensabili sino a qualche mese fa. Persino con comunicazioni di illustri studiosi in sedi prestigiosissime come l'Accademia Nazionale dei Lincei. Chi l'avrebbe mai detto!
Sappiamo ora attraverso un articolo dell'archeologa M. Ausilia Fadda e una scheda sintetica dell'orientalista G. Garbini (1) che nel sito nuragico di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili è stato rinvenuto un grosso frammento di anfora contenente per buona parte della superficie diversi segni di scrittura 'incisa dopo la cottura' del recipiente (2). La Fadda presenta una foto con i frammenti dell'anfora, in parte ricomposta e la illustra affermando che il testo in caratteri filistei e fenici si trova sulla spalla di un'anfora cananea (3) databile tra il IX e l'VIII secolo a.C. E aggiunge infine due informazioni date per certe, anzi certissime. La prima: è il documento più antico lasciato da genti del Levante. La seconda: purtroppo si tratta di un tipo di scrittura ancora indecifrato'.
Le cose però non stanno proprio così, a Villagrande Strisaili nessuno 'lascia' niente e non c'entra per niente la scrittura filistea e tanto meno il codice di scrittura fenicio. E vedremo perché. [sighi a lèghere]

mercoledì 5 settembre 2012

Il fatto è che i nuragici sapevano scrivere


L’articolo di domenica scorsa, I filistei smemorati, ha suscitato alcune decine di commenti, solo pochi dei quali sul merito: la scoperta a Arcu de is forros di una iscrizione attribuita ai filistei. Naturalmente non me ne dolgo, per due ordini di ragioni. Il primo è che, una volta pubblicato, un articolo – e persino un libro – cammina con le sue gambe e prende strade ignote al suo autore. Il secondo ordine di motivi riguarda la mia evidente incapacità di mettere a fuoco l’argomento. Tento, così, di farlo, tralasciando questioni, certo importantissime, che gli sono, però, collaterali.
Figurarsi se non ho presente un aspetto della nostra storia passata, quella degli Shardana, che è fondamentale per conoscere chi eravamo o non eravamo. Dico soltanto, su questo, che della questione esistono diverse letture e diverse interpretazioni e che una di esse, eretica rispetto alla vulgata corrente, è stata illustrata non in un articoletto su un blog, ma in un convegno internazionale promosso dalla Università di Haifa. Voglio dire che la relazione (e le pezze d’appoggio scientifiche) di Giovanni Ugas hanno almeno la stessa dignità delle poche righe apodittiche di un paio di altri studiosi. Come l’hanno, del resto, i lavori di molti altri studiosi che hanno spesso (troppo poco spesso) onorato questo blog.
Ma nei pressi di Villanova Strisaili, a Arcu de is forros, si è di fronte a qualcosa di diverso, capace di confermare, con la voce dell’ufficialità, la tumulazione di uno stereotipo: i protosardi non scrivevano, i protosardi sono stati trascinati nella storia da popoli venuti da lontano. A chi segue questo blog (quasi un milione di visite in tre anni e mezzo) la faccenda non è certo ignota: ha seguito gli articoli di Gigi Sanna ed è a conoscenza delle reazioni che i loro articoli hanno suscitato, prima di isterica negazione, poi di tentati approcci dialettici, quindi di insultante derisione, in fine di silenzio tombale. Recentemente ci sono stati ripensamenti, non ancora un dietro front, ma un timido approccio alla questione “scrittura nuragica” con o senza virgolette. Difficile negare che la capacità di Sanna di non arrendersi al dileggio abbia provocato questo cambiamento di approccio, ma non ancora la fine della pratica del nascondimento: la barchetta di Teti, il coccio di Pozzomaggiore, la “rotella” di Palmavera, fra gli altri oggetti visibilmente scritti.
Il recente articolo di Maria Ausilia Fadda e di Giovanni Garbini su Archeologia Viva, pur con le reticenze degli autori, i loro salti logici, i loro silenzi, i contorcimenti compiuti davanti al bellissimo reperto, una cosa tira fuori con chiarezza: agli inizi del Primo millennio avanti Cristo nel centro Sardegna si conosceva la scrittura. Essi affermano che il coccio cananeo con scrittura filistea è dell’VIII secolo e secondo la signora Fadda, la data è certa perché lo strato su cui giaceva è certamente databile. Secondo un amico archeologo, si tratta di una buona approssimazione, ma non di una certezza, visto che difficilmente un oggetto di tanto pregio non avrebbe seguito la vita e le sorti dei frequentatori del santuario nato mezzo millennio prima. E seguendo queste sorti avanzato strato dopo strato. Decisiva sarebbe la datazione della scritta.
Ma non è questo che, poi, conta molto. Conta che i nuragici di allora erano dentro la storia e fuori della preistoria. Cosa che Gigi Sanna afferma da tempo e che ora trova una “conferma accademica”. In due loro interventi, centrati come sempre e come sempre rarissimi, Pietro Murru e Maimone si chiedono e ci chiedono di che natura sia il tarlo divoratore che si nasconde dietro la disistima mostrata da tanti archeologi. Secondo me, si tratta del tarlo della solitudine. I tentativi della dr Fadda prima di spostare Sirilò (alle porte di Orgosolo) in pieno Supramonte per dire che lì erano arrivati i romani, oggi di mettere i filistei al centro dell’Ogliastra a far da direttori dei lavori dei nuragici, nascono dalla paura che qualcuno possa pensare ai nuragici e ai post nuragici come degli isolazionisti. Gente chiusa, refrattaria ai contatti e alle contaminazioni.
E pensare che le basterebbe convincersi che quelle navicelle nuragiche (una bellissima è stata trovata a Arcu de is forros) non erano semplice lampade votive, ma riproduzione in scala di navi naviganti e questi suoi timori svanirebbero nel nulla.   

domenica 2 settembre 2012

I filistei smemorati


La lenta marcia di avvicinamento di archeologi sardi all’idea che i nuragici scrivessero può esser letta con ottimismo o anche con il fastidioso dubbio che sia ormai irreparabile la inadeguatezza della nostra scuola archeologica. Per indole, propenderei per l’ottimismo: in fondo sono passati appena quattro anni da quando questo blog, solitariamente, ha cominciato a pubblicare notizie e articoli sulle scoperte che venivano fatte di iscrizioni nuragiche. Quattro anni fa, la vulgata archeologica sarda produceva fondamentalmente luoghi comuni offensivi e immotivati del tipo “si tratta di falsi” e sillogismi come questi: “La scrittura è roba da città e da stato, i nuragici non avevano stato né città, ergo…” o “I vinti non hanno scrittura, i nuragici sono dei vinti, ergo…”. Nella vulgata, erano ospitate anche affermazioni apodittiche quali “i nuragici non avevano bisogno di scrivere”.
Certo, nessuno dei negatori arrivò, allora, a concepire inarrivabili affermazioni come questa, riguardante alcuni reperti archeologici: Essi non recano “alcuna traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura”. Ma qui parla un ministro e non a tutti è concessa una profondità concettuale che solo quel ruolo assicura. Chi ha seguito questo blog negli ultimi tempi, sa che la “scrittura nuragica”, con o senza virgolette, è argomento di un articolo di Paolo Bernardini  e di due articoli di Giovanni Ugas scritto per questo sito. La scrittura nuragica, non mi interessa ora dire come, è insomma stata affrancata dal silenzio o peggio dalla negazione assoluta.
Da qualche giorno, ai due archeologi si sono uniti l’ex soprintendente di Nuoro e direttrice degli scavi a Arcu de is forros, Maria Ausilia Fadda, e l’esperto di filologia orientale, Giovanni Garbini. Su Archeologia viva, la dottoressa Fadda ha scritto un articolo tanto bello e informato nella descrizione di cioò che è stato trovato negli scavi di Arcu de is forros (circa 7 km a nord di Villagrande Strisaili) quanto raffazzonato e ambiguo nella interpretazione di uno straordinario reperto, quello di cui si occupa Stella del mattino e della sera. Una cosa, lei e Garbini l’affermano: quell’anfora cananea del 700 aC è scritta con lettere filistee incomprensibili. Secondo l’archeologa nuorese, la scritta potrebbe essere “la matrice linguistica del protosardo”.
Tralasciando la ambiguità di quel “matrice linguistica” che il protosardo avrebbe trovato nell’VIII secolo in una scritta filistea, resta il fatto che i protosardi, malamente come potevano fare delle scimmie copiatrici, scrivevano. Senza città e senza stato. Secondo Garbini, come detto, l’epigrafe è indecifrabile. Quei filistei del 700 aC, insomma, a contatto con i lontani isolani, avevano dimenticato come scrivere lettere comprensibili ai posteri. Capite perché è fondato il dubbio che la confusione sia grande. Ho come l’impressione che, per ripicca o per altro, c’è chi vorrebbe leggere, per dire, ควาย (bufalo in lingua tai) servendosi dell’alfabeto latino, concludendo, così, che si tratti di segni incomprensibili.
La scritta sull’anfora è quella che trovate in testa a questo post. Nella mia ignoranza, ci vedo un pugnaletto nuragico così come lo ha visto l’amico Stella, e come segnalo qui accanto. Forse è dunque vero, in filisteo non si capisce. E se si usasse il nuragico (con tutto quell’armamentario di segni che Gigi Sanna da anni ci suggerisce)? Coraggio, amici archeologi: molti di voi hanno fatto il gran passo, ammettendo che i nuragici scrivevano. Compite un altro piccolo passo e usate la griglia che potete trovare anche in questo blog.

venerdì 31 agosto 2012

La Signora in giallo

di Stella del Mattino e della Sera

Dove arriva lei spunta il mistero. Una navicella fantasma a Teti, uno scarabeo nel ripostiglio di S’Arcu e is Forros che è lì in modo “inconsueto e inspiegabile” (1). Scritte indecifrabili al nuraghe Nurdole (1). Una Tanit più vecchia dell’epoca Cartaginese (1) (aiuto! vuoi vedere che quel simbolo è più antico??!! noooooo).
A un certo punto non ce la fa più e chiede aiuto ad un epigrafista di fama universale. Che invece di dipanare la nebbia la infittisce (gli epigrafisti son fatti così). Allora ecco che a S’Arcu e is Forros spunta un’anfora Cananea, in mezzo a un po’ di pentolini Nuragici, con una bella scritta di quelle lunghe lunghe. L’Epigrafista la decifra così:
1. segni incisi dopo la cottura (dove e quando? non si sa) su un’anfora Cananea dell’ VIII sec. a.C.
2. I segni sono Filistei e Fenici
3. Un segno (e dico ben un segno signori!) uguale ad un segno presente su un ostrakon di Ascalona, una città Filistea
4. Scrittura indecifrabile
5. Indica forse la matrice linguistica del protosardo (ma perché, se è Filistea, Fenicia e indecifrata?)
Certo che quella scritta è incasinata forte! altro che i mix di Sanna, le fanno un baffo.
Tanto che c’è, il duo vuota il sacco e confessa anche che a S’Arcu e is Forros c’è una lima Nuragica con un paio di letterine incise e sul muro esterno del nuraghe Nurdole ci sarebbero 4 segni di scrittura in fila, che l’Epigrafista non è in grado di leggere. Però, udite, udite, vuole dire che i Filistei erano presenti quando il nuraghe fu costruito! Ma che….? A Nurdole poi c’è un’altra bazzeccola di uno scarabeo Egizio col nome di Amenhotep III e la crittografia di Amun, con un amuletino con segni di scrittura senza significato (sarà Filistea?).  Signora in Giallo: tanto che c’era gliel’ha fatta vedere al professore la navicella scritta?
P.S.: per me in quella scritta sul caraffone Cananeo ci hanno infilato un pugnaletto Nuragico, per fare casino e senza significato (freccia rossa)

(1) M.A. Fadda, S'arcu 'e is Forros, Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna (con scheda di Giovanni Garbini), Archeologia viva, n.155 settembre-ottobre 2012, pp.46 -57

mercoledì 29 agosto 2012

L’evento della luce dei fori apicali del nuraghe Ruju di Torralba

Nuraghe Ruju di Torralba
del Gruppo Ricerche Sardegna 

Come sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli archeologi, delle strutture di carattere militare; eppure in questi ultimi anni la loro unica funzione di fortezza è venuta meno, sostituita gradualmente da altri ruoli, come quello di magazzini o residenze reali.
Pochissimi cattedratici hanno ipotizzato che fossero templi, il più noto fra questi è sicuramente il Prof. Massimo Pittau. Sono ormai storici gli studi di Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come prova della funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari eventi che accadono periodicamente all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi chiamato “fenomeno della luce dal foro apicale”. Gli eventi all’interno del nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono da loro scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nuraghe Is Paras di Isili (Zedda 1992) e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad un accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del toro” (G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011). 
L’evento in questione si verifica quando il sole, nei giorni del solstizio d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno così particolare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra attraverso il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice della cupola costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala, oppure la base della camera (Is Paras di Isili). [sighi a lèghere]

mercoledì 22 agosto 2012

Calendari Nuragici LuniSolari

di Giancarlo Melis

A fine giugno di una decina d'anni fa, poco dopo le sei del mattino durante l'ora della mia corsa quotidiana, dopo aver terminato una salita, lo sguardo spaziava in direzione dei monti verso ovest. Una grande luna piena occupava l’orizzonte. Bellissima, quasi incredibile nella sua magnificenza - pensavo – mentre continuavo ad osservarla prima di affrontare un altro tornante alla mia destra. Svoltando, il mio stupore non venne a mancare perché di fronte a me vi era il grande disco solare da poco sorto che si stagliava enorme nel cielo. Volgevo lo sguardo alternativamente ad est e ad ovest per osservare i due astri fronteggiarsi per un fugace momento nel loro pieno splendore(1) e il mio pensiero fu: "Iside è riuscita a ritrovare tutti i pezzi del suo sposo e a ricomporre Osiride." 
Una domanda mi posi allora: I nuragici conoscevano la misura del fallo di Osiride? Conoscevano cioè quel segmento/numero che metteva in relazione i fenomeni solari e lunari e i rispettivi calendari per poter dare origine a un nuovo ciclo temporale più o meno lungo?
Una positiva ed esauriente risposta ci è stata data e documentata da Mauro Peppino Zedda con le sue illuminanti ricerche. La tenacia dell’autore nel perseguire le sue iniziali intuizioni, malgrado il disinteresse del mondo accademico tradizionalista, ha aperto una grossa breccia nell’oscurità del periodo nuragico. L’autore si pone giustamente anche un’altra domanda: quali stelle di prima grandezza avevano, in quel periodo, una declinazione compatibile con l’orientamento dei nuraghi? Perché il collocare/costruire nuraghi che incorporano le posizioni dei lunistizi e le direttrici dei solstizi faceva si che, oltre a soddisfare le necessità calendariali, gli stessi fungessero da gnomoni per l’osservazione del tempo del cielo e per annottare il grado/tempo di variazione del sorgere o tramontare eliaco/draconico delle costellazioni, delle stelle e dei pianeti, in particolare quelli che fungevano e tuttora fungono da segnatempo, singolarmente Venere, Giove e Saturno o in coppia in occasione delle periodiche congiunzioni (es. Giove Saturno ogni venti anni). [sighi a lèghere]

lunedì 6 agosto 2012

Scrittura nuragica. Il magnifico Toro alato o Bue Api di Villaurbana

Il bellissimo toro alato di Villurbana

di Gigi Sanna

Il Corpus delle iscrizioni nuragiche dell'età del bronzo finale, dopo la recente testimonianza epigrafica della pietra 'lingam' di Terralba, contenente la sequenza delle parole ' 'AG/ HE'/ NUL (1), si arricchisce di un ulteriore stupefacente documento epigrafico che tende a mutare radicalmente i precedenti e a confermare in pieno i nuovi orizzonti e gli scenari storico culturali già intravisti con l'esame delle decine e decine di documenti analizzati in questo blog e altrove (2).
Quali sono questi nuovi orizzonti conoscitivi che riguardano la storia della Sardegna tra l'età del bronzo medio, finale e l'età del ferro (XVI - IV/III secolo a.C.)? Ripetiamolo ancora una volta. Essi riguardano la religione, la cultura scritta, l'architettura, la scultura, la composizione umana della società cosiddetta 'nuragica'. In particolare sono caratterizzati: (sighi a lèghere)

giovedì 26 luglio 2012

Spunta il dossier scrittura nuragica: e va tutto a gambe all’aria

di Stella del Mattino e della Sera


[...] danno la misura di quanto velocemente nuovi documenti  entrino a far parte del dossier sulla “scrittura“ nuragica […] Boom!! 
[…] Io ho scoperto i primi segni di scrittura sui reperti nuragici nel lontano 1967 inseriti poi nella mia tesi di laurea[...] Boom al quadrato!!
Questa volta il famigerato Gigi Sanna non c’entra, né c’entra la candida Atropa - che si fa fregare da falsari di stato i quali mettono apposta reperti scritti in bacheche di musei. Chi pronuncia le parole impronunciabili sono due archeologi medagliati e tutto: Paolo Bernardini e Giovanni Ugas. Come spesso accade quando si infrange un tabù e complice la canicola, la frase proibita - scrittura nuragica – rischia di diventare il tormentone dell’estate. Il tutto mentre il principale indiziato si arrostisce al mare. Ci sono solo alcuni problemi di orientamento (vd. figura): grecizzante Ugas, in tunica con spacco laterale, ci propone il nome AISHA per lo spillone di Antas  (bello, lo suggerirò a mia nuora per la nascitura!); più sobrio, seppur elegante, Bernardini, nei rossi colori dei Fenici. Gira e rigira, l’odioso manufatto nuragico più che uno spillone è una vera e propria spina nel fianco degli  Ermeneuti.
Non conta: la pista greca ha qualche difficoltà, dice Bernardini, ma può andare uguale. L’importante è prescindere “dalle sconclusionate e deliranti affermazioni che impestano una certa pseudocultura locale” . Però mi sembra che si prescinda anche da ciò che il dr. Minoja ha fatto dire al dr. Giro: [..]come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura[..]. E’ lecito quindi derivare che Bernardini e Ugas non scrivono testi scientifici? Un qualche dubbio ci assale, perché in quale testo scientifico si può mai scrivere certe frasi?
a. [..]La stele iscritta e il più piccolo frammento di iscrizione da Nora,  con la loro datazione fluttuante tra l’XI e il IX-VIII sec. a.C.[..]
b. [..]Non sarà lecito, in ogni caso, utilizzare la presenza o l’assenza dell’esperienza scrittoria come criterio ideologico di valutazione della complessità e maturità di una cultura; non sarà banale ricordarlo in un’epoca che ancora molto fatica a liberarsi dai ceppi atroci del colonialismo e del razzismo [..]

lunedì 23 luglio 2012

Supercercatoredicocci, un po' per celia, un po' per irritarsi


di Mikkelj Tzoroddu

Abbiamo trovato il Supercercatoredicocci e ve ne diamo conto, con qualche nostro commento:
17 lug 2009 – Intervista di “Antika notizie” a Rubens D’Oriano: “Lo abbiamo intervistato per voi e oggi vi presentiamo la prima parte del nostro interessante colloquio con: questo autentico luminare dell’archeologia sarda”.
D. Il progetto più importante su cui ha lavorato?
R. Lo scavo del tunnel sotto il porto di Olbia: 380 m di lunghezza, 20 di larghezza, 4 di prof. media […]
Ci si chiede: ma “questo autentico luminare dell’archeologia sarda” è, forse, alle dipendenze di un’impresa di lavori stradali?  Egli poi continua
[…] ove sono stati rinvenuti 24 relitti romani e medievali, e il loro restauro e esposizione nel Museo di Olbia, nonché l’allestimento complessivo dello stesso Museo.
E, per quanto riguarda i relitti casualmente presenti, è cosciente del fatto che egli (insieme a tutta la sottintendenza) in questo ritrovamento non ha avuto nessun ruolo, ma il merito deve essere riconosciuto alla casualità della messa a punto del progetto del tunnel?
D. Il suo sogno nel cassetto?
R. (dopo averne fornito uno, ndr)  Se posso esprimerne un altro: vorrei non vedere più in canali televisivi, almeno del cosiddetto servizio pubblico, trasmissioni che danno fiato a ridicole panzane (dalla Sfinge ai “segreti” dei Templari passando per Atlantide, le linee di Nazca, i “misteri” dell’Isola di Pasqua, ecc.) che fanno strazio di ogni metodo scientifico di ricerca storica e archeologica, trasmettendo allo spettatore come vere o verosimili assurde ridicolaggini e ponendo qualsiasi dilettante sul piano degli studiosi professionisti.
Osserviamo: capperi! E ci si chiede: ma “questo autentico luminare dell’archeologia sarda” (come ama farsi definire nell’intervista), come può esprimere un giudizio improntato a sì greve pressapochismo, su una così importante vastità di interessanti tematiche? Di professione fa il tuttologo? Vediamo come esso, trasportato da esagerata alterigia - certo rinvigorita dalla invereconda definizione attribuitasi -  ritenga che solo chi opera (o dovrebbe operare con successo) quale cercatore di cocci ad Olbia, sia da porre «sul piano degli studiosi professionisti».  Ove altri si occupino della Sfinge, dei Templari, ecc., trasmettono solo assurde ridicolaggini! Dalla compostezza, dal rispetto per l’altrui lavoro, dall’arguto discernimento, dalla profonda disamina, che traspaiono da tale dichiarazione (fuori tema tra l’altro), abbiamo finalmente compreso quale debba essere la modalità di offrirsi al mondo, di “un autentico luminare dell’archeologia sarda”.   

sabato 21 luglio 2012

Ma io insisto: i nuraghi furono fortezze

di Giovanni Ugas

Nel suo blog, Mauro Peppino Zedda risponde al mio articolo Nuraghi, Shardana, scrittura ed altre questioni pubblicato su questo blog. Questa la mia replica:

Su Mulinu, Villanovafranca. Dal sito "Sardegnacultura"
Sorvolo sul tono offensivo con cui ti rivolgi a coloro che non la pensano come te, dando un’impressione che contrasta con tua onestà e generosità. Ciò premesso, tu non tieni conto del fatto basilare che in archeologia, i manufatti rinvenuti negli scavi sono gli elementi fondamentali per stabilire la cronologia e la funzione delle architetture. Gli scavi dicono che i nuraghi non furono utilizzati come templi dall’età del Bronzo medio e recente sino al I Ferro (per alcuni altri al Bronzo finale, ma faresti bene a leggerti il mio articolo sul I Ferro). Tutti gli altri elementi, quali ad esempio le caratteristiche architettoniche e il contesto ambientale, confermano senza equivoci lo stesso assunto. Passo ad esaminare le singole osservazioni.
1. Zedda riconosce che i nuraghi sono costruiti come le torri ma, anziché assegnare ad essi la funzione di edifici fortificati, li considera templi. Egli per giustificare la sua idea afferma: “Le mensole oltre che nei castelli sono presenti sia nelle chiese che nei campanili medievali, ma aggiungerei anche nei minareti musulmani e negli edifici sacri indù, la presenza di mensole in un edificio non è la prova che l’edificio sia una fortezza”. A parte la differenza cronologica tra gli edifici nuragici e le chiese medioevali e moderne, non tenuta in conto da Zedda, dal suo ragionamento consegue la domanda: chi ha copiato sul piano stilistico-formale, la fortificazione dalla chiesa o viceversa? Tutti gli architetti risponderanno: la chiesa dalle fortificazioni. 

martedì 17 luglio 2012

Nuraghi, Shardana, scrittura ed altre questioni

 di Giovanni Ugas
 
1. Ancora sulla funzione dei nuraghi - Sono molte le questioni archeologiche ancora da approfondire e conoscere, ma tante altre sono oramai chiare alla scienza archeologica. Gli studi di Pais, Taramelli, Lilliu, Contu e tanti altri archeologi hanno ampiamente dimostrato, attraverso l’analisi dei complessi archeologici, delle caratteristiche ambientali, delle forme architettoniche e dei manufatti ivi rinvenuti, non solo la pertinenza cronologica dei nuraghi all’età del Bronzo, ma anche la loro funzione di edifici fortificati, usati come residenze di capi, nettamente differenti dalle case monocellulari, coperte di frasche dei villaggi. 
Fig. 1 - Tavola di segni alfabetici
Tra i nuraghi esiste una gerarchia di articolazioni (torri singole, bastioni pluriturriti, bastioni con cinta esterna turrita) che può essere spiegata in maniera soddisfacente soltanto presupponendo una parallela articolazione sociale. Soprattutto il numero limitato (soltanto una cinquantina tra le migliaia), dei nuraghi con bastione difeso da una cinta turrita esterna, che potevano ospitare una consistente guarnigione di soldati, presuppone l’esistenza di autorità gerarchicamente superiori di capi che stavano al vertice della comunità.
Ovviamente, in quanto residenze (fortificate) di capi, esattamente come i palazzi residenziali dell’Egeo e del Vicino Oriente, i nuraghi erano abitati e infatti vi si trovano i resti relativi alle diverse funzioni e attività quotidiane, quali le strutture per le riserve alimentari e idriche, avanzi di cibo e strumenti per ottenerlo, le armi dei guerrieri (frombolieri, spadaccini, arcieri, lancieri) e così via. Semmai come nei palazzi micenei e orientali, nei nuraghi poteva esserci un angolo di sacro (si pensi al megaron). Detto ciò, le persone che nonostante gli incontrovertibili dati della ricerca archeologica, insistono ciecamente nel ritenere che i nuraghi fossero templi dovrebbero cercare di rispondere, tra i tanti altri, a questi quesiti:

martedì 10 luglio 2012

Qualcuno saprebbe dirci che cos'è?


di Franco Vacca

Vorrei porre all'attenzione di tutti i lettori di questo blog, un documento che io reputo importante.
Il documento in questione è stato ritrovato all’interno di un nuraghe in località Villa Sant’Antonio da un signore di cui momentaneamente preferisco non il fare il nome, è stato denunciato regolarmente alla Soprintendenza. Metto a disposizione di tutti voi queste foto e chiedo lumi su cosa possa essere, io un’idea me la sono già fatta, credo si tratti di scrittura nuragica, molto ben scritta tra l’altro.

sabato 7 luglio 2012

Sardi e Shardana: Le ragioni dell’identità e la questione di El Ahwat

di Giovanni Ugas
A metà del mese scorso, Giovanni Ugas ha parlato  in Israele del ruolo degli Shardana del Vicino Oriente e della identificazione degli Shardana coi Sardi.
La relazione (El Ahwat Shardana and Sardinia) è stata svolta in un convegno promosso dalla Università di Haifa. Quello che segue è il testo in italiano della relazione del dottor Ugas.
Prima di iniziare, ringrazio il prof. Avraham Ronen e il prof. Adam Zertal  per l’invito a partecipare a questo convegno nella bella e panoramica sede dell’Università di Haifa. Questo invito mi  richiama l’indimenticabile esperienza di scavo di el Ahwat vissuta nel 1997 e nel 2000 insieme ai miei allievi dell’Università degli Studi di Cagliari e ai validi collaboratori di Zertal, Dror Ben Yosef, Nirit Lavie Alon, Raphael Kimchi, Amit Romano, Oren Cohen e Avi Sa’id. Allo stesso modo, non posso scordare la gentilezza e l’accoglienza di tanti  altri studiosi israeliani  a cominciare dal compianto prof.  Michael Heltzer.
Finora sono decisamente limitate le ricerche sul terreno che hanno portato a individuare le tracce degli Shardana nel Vicino Oriente. Ricordo quelle di Moshè Dothan e di Jonathan Tubb. Non so se Adam Zertal avesse l’obiettivo di trovare a el Ahwat  un insediamento degli Shardana, certo è che la sua indagine ha aperto una nuova strada investigativa sul  campo che si innesta sull’antico percorso teorico avviato da De Rougée e da Chabas, quello dell’origine occidentale degli Shardana, troppo affrettatamente messo in disparte dall’archeologia e dalla storiografia dopo gli studi del Maspero. Con questo intervento, che procede lungo un analogo orientamento, intendo riproporre molto rapidamente il mio pensiero sulle problematiche dell’origine degli Shardana, sui loro possedimenti nel Vicino Oriente e sul significato di El Ahwat. [sighi a lèghere]