sabato 22 settembre 2012
Unu millione
Eris note amus brincadu su millione de bisitas. No isco pro ite, ma so cuntentu
Quella insana voglia bonapartista
L’articolo
114 della Costituzione italiana afferma che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Prima del 2001, quando con i
suoi soli voti (4 in più) il centrosinistra approvò la riforma di questo e
degli altri articoli del Titolo V, la Costituzione del 1948 affermava che “La Repubblica si riparte in Regioni,
Province e Comuni”. La trasformazione non è da poco, visto che vi si
riconosce, 53 anni dopo la approvazione della Carta italiana, “una posizione paritaria a tutti gli enti
costitutivi della Repubblica” fino ad allora un quasi sinonimo di Stato. È
una affermazione che irrita, e non poco, gli adoratori del centralismo bonapartista,
fra i quali il costituzionalista Michele Ainis che oggi sul Corriere della sera si scandalizza
perché così “lo Stato ha la stessa
dignità del Comune di Roccadisotto” (fra l’altro inesistente) e parla di “sprezzo del ridicolo”.
giovedì 20 settembre 2012
Perbacco, quante cose dice quel frammento a Monte Prama
Foto dal sito Viaggi e vacanze in Sardegna |
di DedaloNur
Su invito di
rsroberto nella discussione Dalle
stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama ripropongo il
mio invito a riflettere sul frammento di scarto di lavorazione delle statue.
Questa è la notizia riportata da Rendeli, in La Profezia sul Passato p. 243-244 nota 4, da cui estrapolo il
brano seguente:
“Esiste poi una seconda via che lega il
gruppo statuario a uno spazio consacrato di carattere civile piuttosto che
funerario, più precisamente un edificio che potrebbe essere un tempio a megaron
situato a qualche centinaio di metri di distanza o, in alternativa, da
ricostruire nell’area delle tombe. Massimo Pittau, in un suo recente lavoro,
propone la ricostruzione di una aedes nella quale i cosiddetti “pugilatori”
potrebbero avere la funzione di “colonne-telamoni” (Pittau, 2008, pp. 27-30). Nel
primo caso si scioglierebbe il legame fra area funeraria e complesso statuario,
legame che C. Tronchetti e P. Bernardini ritengono molto forte e che viene
avvalorato dal rinvenimento nella tomba 6 di un frammento di scarto di
lavorazione di uno scudo: dunque appare difficile sciogliere questo nesso (4). (4):
Questa notizia, presente nel diario di scavo redatto da Carlo Tronchetti, mi è
stata ricordata da Paolo Bernardini in una sua comunicazione personale.
Ringrazio entrambi: il primo per avermi concesso, con la consueta disponibilità
e amicizia, la lettura del diario; il secondo per avermi ricordato questo fatto
e per essere stato sottoposto a una lettura di questo testo con successiva,
stimolante discussione di alcuni punti chiave del discorso.”
Difficilmente
potrò prender parte alla discussione. Quindi ribadisco preventivamente alcune
mie considerazioni.
mercoledì 19 settembre 2012
Sos Nurakes e le città nuragiche
di Mikkelj Tzoroddu
Abbiamo appreso da una scorreria sul web, come il signor Mario Galasso, che pare molto addentro alle “cose sottomarine”, riferisca d’aver notato anni addietro, a duecento metri dalla riva, di fronte all’insediamento nuragico di Sant’Imbenia, nella Baia di Porto Conte, delle strutture circolari alte qualche decina di centimetri, poste ad una profondità di m. 2,5, che gli fecero pensare ad abitati nuragici (egli li chiama capanne nuragiche). Prendiamo atto (con ritardo per nostra colpa) della segnalazione, che il Galasso dice essere stata inoltrata inutilmente alla sott’intendenza di Sassari, e noi commentiamo: povero signor Galasso, non sapeva che a dirigere quell’ufficio, pagata, ebbene sì, anche con il suo danaro, era apaticamente stanziata la sviscerata amante dei Ciprioti, altrimenti nota come Nostra Signora della Soprintendenza? Ma noi, facciamo subito nostra la notizia che riteniamo carica di conseguenze per il prosieguo della riscrittura della davvero vetusta storia del Continente Sardegna. Acquisiamo pertanto il dato del Galasso circoscritto, così come rilasciato, dai semplici dati esplicitati, però sufficienti a permetterci di affermare che: in tal caso circa nel 750 a.C., quelle strutture si trovavano allo stesso livello del mare.
Orbene, siccome il saggio uomo non costruisce nulla al livello del mare, evidentemente esso, all’atto della “posa della prima pietra”, si trovava distante da quel punto. E, siccome il Nurake è una struttura destinata a rimanere in eterno (da quel poco che abbiamo potuto capire dei Nurakes) il mare, in quella circostanza d’inizio costruzione, doveva trovarsi non semplicemente distante, ma molto distante. Ora, essendo la percezione della risalita del mare (secondo il nostro parere) molto ben presente a qualsiasi cultura umana marinara dall’Ultimo Massimo Glaciale in qua, ed in particolare negli ultimi quindicimila anni (e, aggiungiamo, soprattutto per tutta quella terra emersa che definimmo Sardegna Paleolitica nella sua sì variegata manifestazione geomorfica), era evinte ai Sardiani, che il Nurake dovesse costruirsi molto lontano dal mare, anzi e meglio, dovesse essere costruito in un luogo che risultasse molto in alto rispetto al livello del mare. E, quale poteva essere una altezza di sicurezza? Secondo un parere che abbiamo elaborato fin dalla prima occasione in cui ponemmo in essere queste elucubrazioni, non può essere meno di sette-otto metri, meglio se dieci! Consideriamo però, come ciascun sito abbia le sue peculiarità e questa non può considerarsi pertanto una regola generale.
Bene, se prendiamo il luogo nominato dal Galasso e guardiamo (sulla carta nautica) verso il mare aperto, ci accorgiamo che a circa un miglio marino (m. 1852) trovasi l’inizio del limite di profondità proprio dei dieci metri, il che significa (a nostro parere) che del complesso che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, fu iniziata la costruzione prima di 4500 anni fa. Ma, quanto prima? Beh, noi crediamo che, per la Baia di Porto Conte, una altezza sul livello del mare di assoluta sicurezza, per quei tempi, dovesse essere rappresentata dai venti metri. E, sì, il limite di tale profondità trovasi a circa 1,5 miglia marine cioè a circa m. 2778 dal punto indicato dall’ormai nostro signor Galasso. Ed, in tale corrispondenza, in termini temporali, siamo andati indietro di circa 7000 anni dall’oggi. Quindi, l’inizio della costruzione dela struttura che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, può essere avvenuta anche settemila anni fa. Con buona pace delle asfittiche intellettualità che sono ancora ferme all’adorazione dei 3500 anni fa, senza aver mai, assolutamente, effettuato una pur minima ricerca per verificare e confermare tale data: essa fu rilasciata dall’obnubilato sapere di qualcuno e fu semplicemente fatta propria da tutta quella congerie di nanetti che stettero per decenni, ma ancora sono, accovacciati ed imploranti sotto il tavolo, a nutrirsi delle poche briciole di cultura che il caso fa loro cadere addosso. Si tenga presente che nel contributo scritto per questo blog nell’ottobre 2011 abbiamo scritto, suscitando il più negligente disinteresse (chiediamo venia per il voluto pleonasmo), essere nostra opinione (che ci deriva da una precisa elucubrazione su alcuni dati molto più circostanziati di questi buttati giù in un attimo senza prenderci nessun tempo, se non per dare un’occhiata qua e là) che la datazione del primo Nurake dovesse essere posta prima di ottomila anni fa, il quale dato si avvicina, guardate un po’, a quello testé scoperto!
Ergo, il momento in cui gli incapaci immaginano di far arrivare qualche straccione da qualsiasi dove (intorno al 1000 a.C.), proprio nella progredita città nuragica di Sant’Imbenia, quel popolo Sardiano, Grande Maestro Dell’Architettura, era ivi stanziato da moltissimi secoli, forse anche quaranta!
Caro ed attento lettore, considera un po’ se questo dato (che crediamo posto molto vicino alla realtà, il quale siamo disposti a discutere (magari fosse) con chicchessia) possa ancora permettere, a quei taluni, che tu profumatamente paghi perché ti diano onesta contezza di un lavoro intelligente, ben impostato, scientificamente condotto, senza badare a soddisfare nepotismi mentali, di raccontare amenità, dannose per te e per la riscrittura della storia della tua isola, ma certo utili a puntellare i loro ormai traballanti scranni.
Abbiamo appreso da una scorreria sul web, come il signor Mario Galasso, che pare molto addentro alle “cose sottomarine”, riferisca d’aver notato anni addietro, a duecento metri dalla riva, di fronte all’insediamento nuragico di Sant’Imbenia, nella Baia di Porto Conte, delle strutture circolari alte qualche decina di centimetri, poste ad una profondità di m. 2,5, che gli fecero pensare ad abitati nuragici (egli li chiama capanne nuragiche). Prendiamo atto (con ritardo per nostra colpa) della segnalazione, che il Galasso dice essere stata inoltrata inutilmente alla sott’intendenza di Sassari, e noi commentiamo: povero signor Galasso, non sapeva che a dirigere quell’ufficio, pagata, ebbene sì, anche con il suo danaro, era apaticamente stanziata la sviscerata amante dei Ciprioti, altrimenti nota come Nostra Signora della Soprintendenza? Ma noi, facciamo subito nostra la notizia che riteniamo carica di conseguenze per il prosieguo della riscrittura della davvero vetusta storia del Continente Sardegna. Acquisiamo pertanto il dato del Galasso circoscritto, così come rilasciato, dai semplici dati esplicitati, però sufficienti a permetterci di affermare che: in tal caso circa nel 750 a.C., quelle strutture si trovavano allo stesso livello del mare.
Orbene, siccome il saggio uomo non costruisce nulla al livello del mare, evidentemente esso, all’atto della “posa della prima pietra”, si trovava distante da quel punto. E, siccome il Nurake è una struttura destinata a rimanere in eterno (da quel poco che abbiamo potuto capire dei Nurakes) il mare, in quella circostanza d’inizio costruzione, doveva trovarsi non semplicemente distante, ma molto distante. Ora, essendo la percezione della risalita del mare (secondo il nostro parere) molto ben presente a qualsiasi cultura umana marinara dall’Ultimo Massimo Glaciale in qua, ed in particolare negli ultimi quindicimila anni (e, aggiungiamo, soprattutto per tutta quella terra emersa che definimmo Sardegna Paleolitica nella sua sì variegata manifestazione geomorfica), era evinte ai Sardiani, che il Nurake dovesse costruirsi molto lontano dal mare, anzi e meglio, dovesse essere costruito in un luogo che risultasse molto in alto rispetto al livello del mare. E, quale poteva essere una altezza di sicurezza? Secondo un parere che abbiamo elaborato fin dalla prima occasione in cui ponemmo in essere queste elucubrazioni, non può essere meno di sette-otto metri, meglio se dieci! Consideriamo però, come ciascun sito abbia le sue peculiarità e questa non può considerarsi pertanto una regola generale.
Bene, se prendiamo il luogo nominato dal Galasso e guardiamo (sulla carta nautica) verso il mare aperto, ci accorgiamo che a circa un miglio marino (m. 1852) trovasi l’inizio del limite di profondità proprio dei dieci metri, il che significa (a nostro parere) che del complesso che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, fu iniziata la costruzione prima di 4500 anni fa. Ma, quanto prima? Beh, noi crediamo che, per la Baia di Porto Conte, una altezza sul livello del mare di assoluta sicurezza, per quei tempi, dovesse essere rappresentata dai venti metri. E, sì, il limite di tale profondità trovasi a circa 1,5 miglia marine cioè a circa m. 2778 dal punto indicato dall’ormai nostro signor Galasso. Ed, in tale corrispondenza, in termini temporali, siamo andati indietro di circa 7000 anni dall’oggi. Quindi, l’inizio della costruzione dela struttura che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, può essere avvenuta anche settemila anni fa. Con buona pace delle asfittiche intellettualità che sono ancora ferme all’adorazione dei 3500 anni fa, senza aver mai, assolutamente, effettuato una pur minima ricerca per verificare e confermare tale data: essa fu rilasciata dall’obnubilato sapere di qualcuno e fu semplicemente fatta propria da tutta quella congerie di nanetti che stettero per decenni, ma ancora sono, accovacciati ed imploranti sotto il tavolo, a nutrirsi delle poche briciole di cultura che il caso fa loro cadere addosso. Si tenga presente che nel contributo scritto per questo blog nell’ottobre 2011 abbiamo scritto, suscitando il più negligente disinteresse (chiediamo venia per il voluto pleonasmo), essere nostra opinione (che ci deriva da una precisa elucubrazione su alcuni dati molto più circostanziati di questi buttati giù in un attimo senza prenderci nessun tempo, se non per dare un’occhiata qua e là) che la datazione del primo Nurake dovesse essere posta prima di ottomila anni fa, il quale dato si avvicina, guardate un po’, a quello testé scoperto!
Ergo, il momento in cui gli incapaci immaginano di far arrivare qualche straccione da qualsiasi dove (intorno al 1000 a.C.), proprio nella progredita città nuragica di Sant’Imbenia, quel popolo Sardiano, Grande Maestro Dell’Architettura, era ivi stanziato da moltissimi secoli, forse anche quaranta!
Caro ed attento lettore, considera un po’ se questo dato (che crediamo posto molto vicino alla realtà, il quale siamo disposti a discutere (magari fosse) con chicchessia) possa ancora permettere, a quei taluni, che tu profumatamente paghi perché ti diano onesta contezza di un lavoro intelligente, ben impostato, scientificamente condotto, senza badare a soddisfare nepotismi mentali, di raccontare amenità, dannose per te e per la riscrittura della storia della tua isola, ma certo utili a puntellare i loro ormai traballanti scranni.
domenica 16 settembre 2012
Sa Catalugna indipendente diat sighire a fàghere parte de s'Unione Europea
de Sarvadore Serra (*)
In intro de su dibàtidu abertu subra
de sa possibilidade, pro una Catalugna indipendente, de abbarrare in s'Unione
Europea. Horitzò Europa (assòtziu
trasversale, apartìticu, catalanista e europeista chi s'est formadu in Catalugna
in su 2007). at fatu unu comunicadu in ue ponet in duda chi s'Ispagna
sigat a èssere membru de deretu prenu de sa UE. Custu assòtziu at giai fatu
un'istùdiu subra de sa possibilidade de ampliamentu
internu de s'Unione Europea, elaboradu dae su professore Antoni Abat, de s'Univesidade de Stanford, e
presentadu in su mese de freàrgiu de su 2010.
Cunforma a custu istùdiu, sa
Catalugna est unu territòriu de sa UE, de su mercadu comunu, de sa zona èuro e
de s'ispàtziu Schengen, chi "interessat totu sa legislatzione de
s'Unione ". In custu sentidu, su status de una Catalugna
indipendente eventuale in intro de sa UE diat èssere una "chistione
chi diat chèrrere negotziada politicamente, cun s'interessu a li dare una
solutzione pro evitare chi sa crisi de s'èuro aumentet".
Manifestu indipendentista |
Cun custa premissa, pro Horitzó Europa un'indipendèntzia
ipotètica de Catalugna diat chèrrere nàrrere chi "su Rennu de Ispagna de como si diat
partzire in duos Istados noos". Una situatzione chi, segundu
s'istùdiu, "non b'at nudda chi asseguret chi s'Istadu ispagnolu
nou resurtadu dae custu protzessu diat sighire a èssere membru de
s'Unione Europea in sas matessi cunditziones de como, e nemancu chi s'Istadu
catalanu nou diat dèvere cumintzare su protzessu de adesione
a sa UE moende dae zero".
Cunforma a custu istùdiu, "s'Ispagna noa, mancari mantenende su
nùmene suo, si diat agatare cun
37 milliones de abitantes e diat
dèvere torrare a negotziare sas cunditziones suas de adesione a sa
UE, comente su nùmeru de eurodeputados, su votu in su Cussìgiu o su
cuntributu a su bilàntziu comunitàriu". A s'àtera ala, una "Catalugna indipendente diat
èssere erede de s'Ispagna betza
e diat tènnere sos matessi
deretos e doveres, in dae in antis de s'Unione Europea, de
s'Ispagna noa". "Duncas ", cuncruit s'istùdiu, diat
torrare a negotziare sos tèrmines de s'adesione de sa Catalugna, ma non si diat pònnere in duda sa continuidade
de s'Istadu catalanu in intro de s'Unione Europea.
sabato 15 settembre 2012
Saremar o Antitrust? Ma il sardismo è in grado di governare nel 2012?
di Adriano Bomboi (*)
Pur non vedendo alternative valide nell'insieme dell'indipendentismo, non da oggi ritengo che il
sardismo abbia perso la sua spinta propulsiva nell'offrire tutte quelle soluzioni che nell'ultimo
secolo sono diventate parte del patrimonio politico ed intellettuale Sardo. Il sardismo ha
cessato di ragionare sulle soluzioni strutturali e si è rintanato nelle suggestioni del passato. Il
dibattito regionale attorno al tema della “Flotta Sarda SPA” è solo uno dei vari esempi che si
potrebbero fare al riguardo. L'aver pensato che poche navi pagate dai contribuenti avrebbero
potuto invertire la drammatica situazione dei trasporti dell'isola è stata una operazione
alquanto ingenua e forse persino irresponsabile. Purtroppo nel nostro gruppo non ci eravamo
sbagliati.
L'intero nazionalismo Sardo oggi dovrebbe chiedersi a che punto è la riflessione sul tema della
Costituente: le riforme sono o non sono la chiave di volta per lo sviluppo sociale ed economico
Sardo? Io credo che pochi lo abbiano compreso. Le poche proposte di riforma dello Statuto
Sardo continuano a rimanere non aggiornate alla realtà culturale ed economica del 2012 e,
oltre ad esse, ben 13 partiti Sardi (fra autonomisti e indipendentisti) non riescono a produrne
di nuove, tantomeno ad alimentare un dibattito.
sardismo abbia perso la sua spinta propulsiva nell'offrire tutte quelle soluzioni che nell'ultimo
secolo sono diventate parte del patrimonio politico ed intellettuale Sardo. Il sardismo ha
cessato di ragionare sulle soluzioni strutturali e si è rintanato nelle suggestioni del passato. Il
dibattito regionale attorno al tema della “Flotta Sarda SPA” è solo uno dei vari esempi che si
potrebbero fare al riguardo. L'aver pensato che poche navi pagate dai contribuenti avrebbero
potuto invertire la drammatica situazione dei trasporti dell'isola è stata una operazione
alquanto ingenua e forse persino irresponsabile. Purtroppo nel nostro gruppo non ci eravamo
sbagliati.
L'intero nazionalismo Sardo oggi dovrebbe chiedersi a che punto è la riflessione sul tema della
Costituente: le riforme sono o non sono la chiave di volta per lo sviluppo sociale ed economico
Sardo? Io credo che pochi lo abbiano compreso. Le poche proposte di riforma dello Statuto
Sardo continuano a rimanere non aggiornate alla realtà culturale ed economica del 2012 e,
oltre ad esse, ben 13 partiti Sardi (fra autonomisti e indipendentisti) non riescono a produrne
di nuove, tantomeno ad alimentare un dibattito.
venerdì 14 settembre 2012
Il popolo che celebra le sconfitte
di Francu Pilloni
Esiste un popolo davvero strano sul
nostro pianeta che celebra le vittorie altrui, ovverosia le proprie sconfitte.
Si dice che viva circoscritto sul suo territorio da vari millenni, tutto
compreso nel cercare di comprendere (scusate il gioco di parole) la propria
angoscia esistenziale. Da come ho iniziato il mio discorso qualcuno arguirà che
si tratta di un excursus storico vero e proprio, oppure di uno studio
specialistico di antropologia, di quelli, per intenderci, in cui vene passata
al microscopio ogni più piccola manifestazione quotidiana, comprese le
eventuali rughe d’espressione della fronte che esprimono perplessità di fronte
alla realtà, come pure la piega amara del disincanto riservata alla visione del
futuro personale e collettivo. No, non è così: si tratta solamente del racconto
di una realtà per altro non ignota, questa volta esaminata da un punto di vista
estemporaneo, se non paradossale, come paradossale vi sarà sembrato il titolo
di questa comunicazione. In parole povere, è come se guardassimo alla via che
frequentiamo tutti i giorni non con i piedi sull’asfalto della strada, ma da
sopra un campanile o, meglio ancora, come se vedessimo la città, il nostro
quartiere o il paesello dall’alto, affacciati dal cesto di una mongolfiera così
che i parametri più evidenti delle cose non sono più l’altezza delle stesse e i
colori, ma la distanza e la relativa collocazione spaziale, poiché il colore
dominante sarà quello dei tetti o dei prati.
mercoledì 12 settembre 2012
Milliones in Catalugna pedende indipendèntzia. E nois isetende late dae su mariane
Belle duos milliones de catalanos sunt falados eris a sas carreras e a sa pratzas
de Bartzellona pro pedire s'indipendèntzia. Est a nàrrere chi cada
bator eletores, unu fiat manifestende pro “Catalugna, istadu nou de
Europa”, ponende fatu a sa mutida fata dae sa Assemblea Nacional
Catalana. Fiat, comente si cumprendet, una manifestatzione unitària
chi at collidu paris totu sas fortzas polìticas, dae su tzentru
dereta de Convergencia a sa manca indipendentista a sos
“eco-sotzialistas” de Iniciativa. Custa est s'imposta torrada a
su tentativu, fatu dae su Guvernu de Madrid, de pedire a sa Catalugna
una tzessione de soverania in càmbiu de unu imprèstidu de dinare.
Dinare chi, de àteru, narant sos catalanos, “est dinare nostru”.
Pro cumprèndere sa
chistione, bastat de cunsiderare chi in Catalugna s'istadu ispanniolu
collit prus dinare de su chi dassat pro chi sos catalanos si potzant
guvernare. E pro custu, su presidente de sa Generalitat Artur Mas at
a addobiare a còitu su primu ministru de Madrid Rajoy, pro
cuntratare unu raportu fiscale nou. Mas, in pratza eris non bi fiat:
“Non potzo pedire s'indipendèntzia in su mentras chi so andende a
tratare cun Rajoy” at naradu. E at annantu finas chi est bènnida
s'ora de l'intregare a sa Catalugna istruturas de un'istadu.
Si sos catalanos,
dae sa manca a sa dereta e dassende a banda sos natzionalistas
ispanniolos, a sa crisi li torrant custa imposta, forte e sena dudas,
milli chilòmetros a levante, in Sardigna cale est s'imposta sarda a
una crisi econòmica chi paret sena essida? Mìgias de operajos dae
cabu de susu a cabu de giosso faghent su chi podent pro sarvare su
traballu semper prus a arriscu. Dae Portu Turre a Nuraxi Figus, dae
Portu Vesme a Otzana su desertu industriale s'est mandighende su chi
bi fiat. Una morte annuntziada non dae como, si non dae annos e
annos. Tropu còmodu est a lis ghetare sas neghes de custu disacatu a
sa polìtica chi, balla!, neghes nde tenet. Sa responsabilidade est
de totu sa classe dirigente sarda, dae sa polìtica a sa sindacale a
sa culturale a sa imprenditoriale.
Neghe ca est totu sa
classe dirigente sarda chi at chertu custa industrializatzione sena
isperu, chi at mandigadu una cantidade de dinare bastante a fàghere
pròspera sa Sardigna, chi s'ischiat chi non podiat durare tempus
meda. Ma neghe, mescamente, ca no at postu mente a unu disignu cale
si siat pro sarvare sa Sardigna dae unu disacatu chi fiat a sas
bistas. Ne a manca ne a dereta, ne sos sindacados ne sos
imprendidores e prus pagu puru sos intelletuales cunventzionados cun
sa polìtica, s'est cumpresa una cosa: s'Istadu italianu no est e nen
podet èssere una imposta torrada a unu problema, s'istadu italianu
est su
problema de sa Sardigna. Pensare chi s'istadu italianu siat a gradu
de nde bogare sos pees dae sos disacatos de Alcoa, Vinyls, Otzana,
Nuraxi Figus e dae totu sas àteras crisis est un'alluinu: podet
campare una classe dirigente compradora e dipendente, ma non podet
isorvere sos anneos e sas traschias de chie est a puntu de pèrdere
su traballu. Mìgias de persones e de famìllias chi sunt che a sos
angioneddos pedende late a su mariane.
martedì 11 settembre 2012
Dalle stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama
-->
di Atropa Belladonna
Dal
punto di vista dell’analisi macroscopica, stilistica e iconografica, gliene
hanno fatte di tutti i colori, manco il materiale si era riusciti a capire:
osso, avorio o steatite invetriata? Adesso gliene han fatte di tutti i colori dal
punto di vista microscopico (1). È come se ad un umano facessero NMR, TAC,
PET e analisi del DNA. Nell’introduzione, il sigillo viene definito chiaramente
scarabeo e non più scaraboide: del resto i fianchi incisi e la morfologia del
dorso lasciavano pochi dubbi sul dovuto upgrade.
E finalmente si parla con linguaggio preciso e
sintetico: “The chemical analyses of the
glaze matrix and of the embedded crystal inclusions, together with the detailed
characterisation of the texture of the glaze-body system, confirm the
compatibility of the scarab with the glazed-steatite Egyptian production, and
specifically with the Egyptian scarabs of the New Kingdom”.
La
composizione e la manifattura rimandano alla tecnica egizia del Nuovo Regno
(1550-1070 a.C. ca.), come
del resto l’analisi formale. Come è del resto vero per lo scarabeo dell’obelisco
e, sospetto, per quelli dei complessi nuragici
di Nurdole e S’
Arcu e is Forros. Sull’altro scarabeo considerato egizio, quello
di S. Imbenia, nulla posso dire: ne conosco solo il dorso (Figura).
E adesso? certo, lo scarabeo della tomba XXV può
essere tranquillamente più vecchio della tomba stessa: nessuno usa scarabei per
datare contesti, passano troppo facilmente tra le generazioni. Ma le datazioni
all’VIII e al VII secolo sono cascate come paletti muffiti e non sarà più così
facile affermare che necropoli e statue non possono essere più vecchie dello
scorcio finale del VII secolo, come era stato fatto proprio sulla base di
un’affrettata datazione dello scarabeo.
G.
Artioli, I. Angelini, F. Nestola, New
milarite/osumilite-type phase formed during ancient glazing of an Egyptian
scarab, 2012, Applied Physics A, DOI 10.1007/s00339-012-7125-x
lunedì 10 settembre 2012
Anfora con scritta di S'Arcu 'e is Forros. Garbini: in filisteo - fenicio. No, in puro nuragico
I grafemi dell'anfora di Villagrande Strisaili |
Ora
non si 'nasconde' più, non si ignora più e non si fa finta di
nulla. Le sorprese sulla scrittura dell'età del Bronzo finale e del
I Ferro in Sardegna non arrivano da fonti di 'cialtroni' e/o di
'falsari' ma sempre di più dalle fonti ufficiali. Anzi esse si
enfatizzano persino con annunci di rivoluzioni di conoscenza storica
attraverso canali impensabili sino a qualche mese fa. Persino con
comunicazioni di illustri studiosi in sedi prestigiosissime come
l'Accademia Nazionale dei Lincei. Chi l'avrebbe mai detto!
Sappiamo
ora attraverso un articolo dell'archeologa M. Ausilia Fadda e una
scheda sintetica dell'orientalista G. Garbini (1) che nel sito
nuragico di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili è
stato rinvenuto un grosso frammento di anfora contenente per buona
parte della superficie diversi segni di scrittura 'incisa dopo la
cottura' del recipiente (2). La Fadda presenta una foto con i
frammenti dell'anfora, in parte ricomposta e la illustra affermando
che il testo in caratteri filistei e fenici si trova sulla spalla di
un'anfora cananea (3) databile tra il IX e l'VIII secolo a.C.
E aggiunge infine due informazioni date per certe, anzi certissime.
La prima: è il documento più antico lasciato da genti del
Levante. La seconda: purtroppo si tratta di un tipo di
scrittura ancora indecifrato'.
Le
cose però non stanno proprio così, a Villagrande Strisaili nessuno
'lascia' niente e non c'entra per niente la scrittura filistea e
tanto meno il codice di scrittura fenicio. E vedremo perché. [sighi a lèghere]
mercoledì 5 settembre 2012
Il fatto è che i nuragici sapevano scrivere
L’articolo
di domenica scorsa, I
filistei smemorati, ha suscitato alcune decine di commenti, solo
pochi dei quali sul merito: la scoperta a Arcu de is forros di una iscrizione
attribuita ai filistei. Naturalmente non me ne dolgo, per due ordini di
ragioni. Il primo è che, una volta pubblicato, un articolo – e persino un libro
– cammina con le sue gambe e prende strade ignote al suo autore. Il secondo
ordine di motivi riguarda la mia evidente incapacità di mettere a fuoco
l’argomento. Tento, così, di farlo, tralasciando questioni, certo
importantissime, che gli sono, però, collaterali.
Figurarsi
se non ho presente un aspetto della nostra storia passata, quella degli Shardana,
che è fondamentale per conoscere chi eravamo o non eravamo. Dico soltanto, su
questo, che della questione esistono diverse letture e diverse interpretazioni
e che una di esse, eretica rispetto alla vulgata corrente, è stata illustrata
non in un articoletto su un blog, ma in un convegno internazionale promosso
dalla Università di Haifa. Voglio dire che la relazione (e le pezze d’appoggio
scientifiche) di Giovanni
Ugas hanno almeno la stessa dignità delle poche righe apodittiche di un
paio di altri studiosi. Come l’hanno, del resto, i lavori di molti altri
studiosi che hanno spesso (troppo poco spesso) onorato questo blog.
Ma nei
pressi di Villanova Strisaili, a Arcu de is forros, si è di fronte a qualcosa
di diverso, capace di confermare, con la voce dell’ufficialità, la tumulazione
di uno stereotipo: i protosardi non scrivevano, i protosardi sono stati
trascinati nella storia da popoli venuti da lontano. A chi segue questo blog
(quasi un milione di visite in tre anni e mezzo) la faccenda non è certo
ignota: ha seguito gli articoli di Gigi Sanna ed è a conoscenza
delle reazioni che i loro articoli hanno suscitato, prima di isterica
negazione, poi di tentati approcci dialettici, quindi di insultante derisione,
in fine di silenzio tombale. Recentemente ci sono stati ripensamenti, non
ancora un dietro front, ma un timido approccio alla questione “scrittura
nuragica” con o senza virgolette. Difficile negare che la capacità di Sanna di non arrendersi al dileggio abbia provocato questo cambiamento di
approccio, ma non ancora la fine della pratica del nascondimento: la barchetta
di Teti, il coccio di Pozzomaggiore, la “rotella” di Palmavera, fra gli altri
oggetti visibilmente scritti.
Il
recente articolo di Maria Ausilia Fadda e di Giovanni Garbini su Archeologia Viva, pur con le reticenze
degli autori, i loro salti logici, i loro silenzi, i contorcimenti compiuti
davanti al bellissimo reperto, una cosa tira fuori con chiarezza: agli inizi
del Primo millennio avanti Cristo nel centro Sardegna si conosceva la
scrittura. Essi affermano che il coccio cananeo con scrittura filistea è
dell’VIII secolo e secondo la signora Fadda, la data è certa perché lo strato
su cui giaceva è certamente databile. Secondo un amico archeologo, si tratta di
una buona approssimazione, ma non di una certezza, visto che difficilmente un
oggetto di tanto pregio non avrebbe seguito la vita e le sorti dei
frequentatori del santuario nato mezzo millennio prima. E seguendo queste sorti
avanzato strato dopo strato. Decisiva sarebbe la datazione della scritta.
Ma non
è questo che, poi, conta molto. Conta che i nuragici di allora erano dentro la
storia e fuori della preistoria. Cosa che Gigi Sanna afferma da
tempo e che ora trova una “conferma accademica”. In due loro interventi, centrati
come sempre e come sempre rarissimi, Pietro Murru e Maimone si chiedono e ci
chiedono di che natura sia il tarlo divoratore che si nasconde dietro la
disistima mostrata da tanti archeologi. Secondo me, si tratta del tarlo della
solitudine. I tentativi della dr Fadda prima di spostare Sirilò (alle porte di
Orgosolo) in pieno Supramonte per dire che lì erano arrivati i romani, oggi di
mettere i filistei al centro dell’Ogliastra a far da direttori dei lavori dei
nuragici, nascono dalla paura che qualcuno possa pensare ai nuragici e ai post
nuragici come degli isolazionisti. Gente chiusa, refrattaria ai contatti e alle
contaminazioni.
E
pensare che le basterebbe convincersi che quelle navicelle nuragiche (una
bellissima è stata trovata a Arcu de is forros) non erano semplice lampade
votive, ma riproduzione in scala di navi naviganti e questi suoi timori
svanirebbero nel nulla.
domenica 2 settembre 2012
I filistei smemorati
La
lenta marcia di avvicinamento di archeologi sardi all’idea che i nuragici
scrivessero può esser letta con ottimismo o anche con il fastidioso dubbio che
sia ormai irreparabile la inadeguatezza della nostra scuola archeologica. Per
indole, propenderei per l’ottimismo: in fondo sono passati appena quattro anni
da quando questo blog, solitariamente, ha cominciato a pubblicare notizie e
articoli sulle scoperte che venivano fatte di iscrizioni nuragiche. Quattro
anni fa, la vulgata archeologica sarda produceva fondamentalmente luoghi comuni
offensivi e immotivati del tipo “si tratta di falsi” e sillogismi come questi:
“La scrittura è roba da città e da stato, i nuragici non avevano stato né
città, ergo…” o “I vinti non hanno scrittura, i nuragici sono dei vinti,
ergo…”. Nella vulgata, erano ospitate anche affermazioni apodittiche quali “i
nuragici non avevano bisogno di scrivere”.
Certo,
nessuno dei negatori arrivò, allora, a concepire inarrivabili affermazioni come
questa, riguardante alcuni reperti archeologici: Essi non recano “alcuna
traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in
tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto
la scrittura”. Ma qui parla un
ministro e non a tutti è concessa una profondità concettuale che solo quel
ruolo assicura. Chi ha seguito questo blog negli ultimi tempi, sa che la
“scrittura nuragica”, con o senza virgolette, è argomento di un articolo di Paolo
Bernardini e di due articoli di Giovanni
Ugas scritto per questo sito. La scrittura nuragica, non mi interessa ora
dire come, è insomma stata affrancata dal silenzio o peggio dalla negazione
assoluta.
Da
qualche giorno, ai due archeologi si sono uniti l’ex soprintendente di Nuoro e
direttrice degli scavi a Arcu de is forros, Maria Ausilia Fadda, e l’esperto di
filologia orientale, Giovanni Garbini. Su Archeologia
viva, la dottoressa Fadda ha scritto un articolo tanto bello e informato
nella descrizione di cioò che è stato trovato negli scavi di Arcu de is forros
(circa 7 km a nord di Villagrande Strisaili) quanto raffazzonato e ambiguo
nella interpretazione di uno straordinario reperto, quello di cui si occupa Stella
del mattino e della sera. Una cosa, lei e Garbini l’affermano: quell’anfora
cananea del 700 aC è scritta con lettere filistee incomprensibili. Secondo
l’archeologa nuorese, la scritta potrebbe essere “la matrice linguistica del
protosardo”.
Tralasciando
la ambiguità di quel “matrice linguistica” che il protosardo avrebbe trovato
nell’VIII secolo in una scritta filistea, resta il fatto che i protosardi,
malamente come potevano fare delle scimmie copiatrici, scrivevano. Senza città
e senza stato. Secondo Garbini, come detto, l’epigrafe è indecifrabile. Quei
filistei del 700 aC, insomma, a contatto con i lontani isolani, avevano dimenticato come scrivere lettere comprensibili ai posteri. Capite perché è fondato il dubbio
che la confusione sia grande. Ho come l’impressione che, per ripicca o per
altro, c’è chi vorrebbe leggere, per dire, ค
ควาย (bufalo in lingua tai) servendosi
dell’alfabeto latino, concludendo, così, che si tratti di segni incomprensibili.
La scritta sull’anfora è quella che
trovate in testa a questo post. Nella mia ignoranza, ci vedo un pugnaletto nuragico
così come lo ha visto l’amico Stella, e come segnalo qui accanto. Forse è
dunque vero, in filisteo non si capisce. E se si usasse il nuragico (con tutto
quell’armamentario di segni che Gigi Sanna da anni ci suggerisce)? Coraggio,
amici archeologi: molti di voi hanno fatto il gran passo, ammettendo che i
nuragici scrivevano. Compite un altro piccolo passo e usate la griglia
che potete trovare anche in questo blog.
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