I vincitori delle elezioni comunali in Sardegna (ma anche fuori a quel che mi pare di capire) sono i portatori sani di nuova politica, il che non garantisce di per sé una buona politica. Sono, come dire, il frutto di una ribellione di massa alla politica intesa come patrimonio delle opposte nomenclature. Gli apparatnik dello schieramento vincente fingono di guidare la ribellione e quelli dello schieramento perdente trovano consolazione nell'essere vittime di uno strano fenomeno meteorologico: il vento contrario.
Ci sono, nel complesso di quelli della Sardegna, risultati, diciamo così, conservatori, determinati cioè dal confronto e dallo scontro fra schieramenti classici, egemonizzati dal Pd da una parte e dal Pdl dall'altra. Ma qua e là ce ne sono di improntati ad una rivolta contro, appunto, le nomenclature. A Olbia contro quella del Pdl, a Cagliari contro quella del Pd. In Gallura, l'apparatnik pidiellino è riuscito nella missione impossibile di disfarsi di un sindaco popolare e vincente e di regalarlo al centrosinistra; nella capitale sarda, il Pd ha tentato di imporre un candidato malvisto nel resto del centrosinistra che, a sua volta, ha scelto come candidato sindaco una giovane speranza della sinistra cosiddetta radicale che è stato poi diventato primo cittadino di Cagliari.
Ma nei centri più piccoli è successo anche dell'altro in fatto di novità. A Sinnai, dove il centro-destra si era già liquefatto, si sono confrontati la sinistra radicale e una curiosa alleanza fra Pd, finiani, Udc, Partito sardo e Riformatori sardi, alleanza che ha vinto. A Dorgali, un sardista ha sconfitto un centrosinistra che sembrava inaffondabile. Ad Orosei si sono affrontate tre liste, una dell'ex sindaco espresso da una parte del Pd appoggiata da Renato Soru, una formata dal Pd e dal Pdl con l'appoggio della federazione nuorese del Partito democratico, e una terza civica, capeggiata da un consigliere regionale dei Riformatori sardi. Ha vinto questa.
In giro ci sono anche altri tentativi, alcuni riusciti, di uscire dalla gabbia dello scontro Pdl-Pd e anche di quello fra centrosinistra-centrodestra. Frutto, forse, di quella che una volta si chiamava “anomalia sarda” e della cui esistenza da conto l'amico Adriano Bomboi nel sito dei Nazionalisti sardi. Sia come sia, quest'aria di nuova politica c'è e si avverte. Il problema è a questo punto capire in quale direzione soffia, nel momento in cui è urgente che la Sardegna affronti la questione del Nuovo statuto speciale. Le vecchie nomenclature, a destra come a sinistra, sono in preda alla paralisi totale. Il centrodestra ha in mano da anni una moneta (una articolata proposta di nuova costituzione sarda, che è diventata anche disegno di legge in Senato) che non vuole e forse non sa come spendere. Anche il centrosinistra ha in mano la stessa moneta: il disegno di legge di quell'Antonello Cabras che il Pd ha cercato di imporre come candidato a sindaco di Cagliari.
Questo centrodestra e questo centrosinistra si guardano in cagnesco, incapaci di fare la prima mossa, e intanto si avvicina il tempo in cui sarà lo Stato ad imporre le nuove regole dell'autonomia regionale. Possibile che una questione di tanta importanza debba restare imbalsamata, sotto gli sguardi spenti degli opposti apparatnik?
Certo, non c'è dubbio che la più grande responsabilità l'abbiano la maggioranza e le sue incertezze, ma nessuno impedisce alla minoranza – soprattutto oggi che si sente sempre più futura maggioranza – di assumere l'iniziativa che i propri avversari non riescono a prendere. Si può sperare che la batosta da un lato e la vittoria dall'altra siano motrici di qualche seria iniziativa a favore della Sardegna?