Ma i sardi del periodo nuragico erano davvero i famosi e temibili Shardana? Il professor Giovanni Ugas, archeologo e insegnante di archeologia nell'Università di Cagliari è convinto di sì. E alle vicende dell'antico popolo di Sardegna dedica da tempo la sua attenzione, lavorando alla scrittura di un testo che, senza dubbio, farà molto rumore. Con il professor Ugas ho avuto una intervista di cui oggi pubblico la prima parte. Nella seconda parte, domani, si parlerà di scrittura ai tempi degli shardana e di lingua sarda.
D. Fra quanti e sono sempre più numerosi, si interessano di archeologia c'è molta attesa per il suo libro sugli Shardana. A che punto è?
Il lavoro è da qualche tempo in dirittura d’arrivo e mi spiace che per varie ragioni non sia ancora uscito dalle stampe. Spero (e che sia la volta buona) che il libro veda la luce entro i primi mesi del prossimo anno.
D. Mano a mano che procede lo studio, e la sua traduzione in iscritto, trova punti deboli o punti che rafforzano la sua convinzione che Shardana e Sardi fossero, in un certo lungo momento della storia, lo stesso popolo?
A mio avviso, le più recenti investigazioni archeologiche, storiche ed epigrafiche consentono una più chiara lettura della problematica relativa ai Popoli del mare, benché non siano pochi i nodi ancora da sciogliere. I miei studi, già dai primi anni novanta, mi hanno indotto a ritenere che non debbano esserci dubbi sul fatto che gli Egizi del Nuovo Regno, così come più tardi i Fenici, abbiano impiegato la grafia Shrdn per indicare gli abitanti della Sardegna.
D. Si è fatta un'idea del perché ci sia resistenza ad accettare quel che per lei è una certezza?
Negli anni settanta, anch’io avevo diverse perplessità riguardo all’identificazione degli Shardana. Ora, pur essendo io ben saldo nelle mie convinzioni, è comprensibile che altri siano di parere diverso. Ciò dipende sia dalla formazione delle persone, sia dalla conoscenza della problematica. Dunque, capisco chi non la pensa come me. D’altronde, l’incertezza che regna sull’argomento in Sardegna è più o meno la stessa che si riscontra fuori dall’isola. Attualmente, vi sono studiosi stranieri molto quotati che ritengono che gli Shardana non provenissero dalla Sardegna, ma nel contempo per altri studiosi stranieri, non meno credibili, dicono che gli stessi guerrieri del Verde Grande vanno riconosciuti nei Sardi costruttori dei nuraghi. Ancora prevalgono i sostenitori del “no”, cioè dell’ipotesi che gli Shardana non fossero originari della Sardegna. Spero di poter convincere i lettori del contrario, ma non ho la pretesa di pensare che tutti gli studiosi che si occupano della questione interpretino allo stesso modo gli elementi che io considero prove.
In ogni caso, ciò che non è giustificabile è l’utilizzo strumentale di questo interessante mistero della storia. C’è chi, nella nostra isola, addita i sostenitori dell’identificazione degli Shardana con i Sardi come individui afflitti patologicamente di un inguaribile sardismo. D’altra parte, coloro che negano tale identità sono talora accusati di essere estranei ai valori sociali dell’isola e schiavi della politica romana. E’ un atteggiamento del tutto inaccettabile. Infatti occorrerebbe concludere allo stesso modo che gli studiosi extrainsulari identificano i Sardi con gli Shardana perchè fautori dell’indipendenza della Sardegna!
Se i Sardi vogliono rivendicare l’autodeterminazione non hanno bisogno di richiamarsi agli Shardana come gli Israeliti al Vecchio Testamento.
Parimenti è un’assurdità pensare che coloro i quali negano l’equazione Sardi = Shardana siano spinti a questa conclusione perché avversi al sardismo. In effetti, chi pensa che i Sardi debbano dipendere politicamente da Roma può farlo anche nel caso del riconoscimento dei Sardi con gli Shardana.
Sentirsi Sardo e non Italiano, Italiano e non Sardo, oppure Sardo e Italiano ad un tempo, è un atto di consapevolezza personale che non ha bisogno di un sostegno storico archeologico a posteriori. La questione sul ruolo dei Sardi nell’età dei nuraghi è ben altra cosa rispetto alla disputa se sia giusto rivendicare la piena autonomia e la stessa indipendenza della Sardegna o sostenere la totale o parziale dipendenza dei Sardi dalla politica di Roma.
D. La società che in Sardegna si era prodotta con la civiltà nuragica doveva essere ben diversa da quella descritta da chi immagina i Sardi di allora poco meno che genti in costante "guerra civile", le une contro le altre, costrette ad asserragliarsi nei nuraghi per difendere i propri beni. Una immagine smentita dalle sue ricerche?
Il cammino che porta alla conoscenza della società protosarda al tempo dei nuraghi è tutt’altro che concluso, come emerge dagli studi sull’archeologia dell’ultimo quarantennio. Nel mio lavoro L’alba dei nuraghi ho cercato di spiegare le ragioni della straordinaria, inconsueta, moltiplicazione dei nuraghi (circa 7/8000) e villaggi (2500/3000) intorno al 1200-1150 a. C. L’esistenza di residenze fortificate di capi (i nuraghi) con guarnigioni più o meno grandi di guerrieri, non implica necessariamente una situazione di conflittualità permanente. Le condizioni di equilibrio erano fondate su una struttura politica i cui ruoli erano definiti da una gerarchia dinastica fondata su invalicabili vincoli parentelari matrilineari. Anzi, il mantenimento della stessa struttura politica, per oltre 600 anni dal 1600 al 1000 a. c., e il progressivo accrescimento demografico, sino a raggiungere il culmine di circa 500-750 mila abitanti, sono segni inequivocabili di condizioni di stabilità politica e di relativo benessere economico, derivanti dalla presenza di comunità prevalentemente pacifiche.
Certo, non è escluso che vi siano stati scontri tribali soprattutto ai confini tra i tre principali popoli dell’isola, gli Iliesi, i Balari e i Corsi, ma i guerrieri avevano il compito primario di garantire la signoria del capo nei confronti degli abitanti del suo distretto cantonale o di quello tribale, più che di ampliarne i confini territoriali. Non è certo un caso che i villaggi del Bronzo recente e finale siano sistematicamente privi di difese murarie. Peraltro proprio i villaggi per primi, in caso di guerra, avrebbero dovuto subire le devastazioni, ma ciò non appare affatto allo stato attuale delle ricerche. Solo negli ultimi tempi del Bronzo finale, il rifascio dei bastioni dei nuraghi e la sopraelevazione dell’ingresso, come avviene nel sito di su Nuraxi a Barumini, segnalano l’avvento di tempi difficili anche per le possenti residenze palaziali protosarde.
Una grave crisi politico-sociale ed economica interna produsse la sistematica distruzione delle cinte antemurali delle sedi tribali e cantonali che troverà l’epilogo nell’avvento di una nuova struttura politica imperniata sui governi aristocratici a struttura federale (ancora cantonale e tribale?), intorno al 900 a. C, che vide nascere la proprietà privata .
Il clima prevalentemente pacifico dell’età dei nuraghi non poteva che favorire le relazioni delle comunità sarde con altri popoli, documentate ampiamente dallo straordinario sviluppo dell’architettura e dagli scambi commerciali soprattutto col mondo egeo, e peraltro suggerite anche dai racconti dell’antica letteratura greca (viaggi in Sardegna di eroi greci come Aristeo, Iolao e Dedalo; gli assedi dei Sardi a Creta; la presenza di figure femminili come Sardoa e Medusa, nelle dinastie regali di Micene e Tirinto).
D. Quei sardi viaggiavano molto, insomma. A proposito, che ci facevano a El Ahwat, nell'attuale Israele, dove lei e Adam Zertal avete scavato qualcosa che aveva a che fare con i nuraghi?
La questione di El Ahwat, un sito collinare non lontano da Hadera e da Megiddo, indagato da Adam Zertal, per alcuni anni anche con la collaborazione dell’Università di Cagliari, è molto più complessa di quanto non appaia nei giornali. Sulla questione ho espresso il mio punto di vista in un articolo di un volume di studi archeologici in stampa in Israele. E’ verosimile che Shardana e altre genti occidentali siano stati impiegati nella guarnigione della cittadella di El Ahwat tra le truppe d’occupazione egiziane stanziate nel Vicino oriente, nel periodo che corre tra la fine del regno di Ramesse II e il regno di Ramesse III. A giudicare da alcune caratteristiche dell’architettura della cittadella e da alcuni manufatti ivi rinvenuti, gli Shardana possono aver contribuito alla costruzione e poi alla difesa delle mura per un cinquantennio (circa 1230- 1170 a.C.).
Peraltro, l’amico e collega Zertal propende a credere che gli Shardana di El Ahwat ben presto si siano resi autonomi dagli Egiziani e che el Ahwat fosse la capitale del regno degli Shardana quando, insieme agli altri Popoli del mare, e segnatamente i Filistei (gli attuali Palestinesi), essi si stanziarono nel Vicino Oriente.
Gli Shardana, almeno dalla prima metà del XIV secolo, furono al servizio come guerrieri mercenari dei re egiziani a Ugarit a Biblo e nel delta del Nilo, e poi nel XII secolo si insediarono autonomamente in una regione a Nord dei Filistei. Le tracce da essi lasciate dovrebbero essere consistenti in tutte le regioni costiere del Medio Oriente, oltre che in Egitto stesso, specie nelle opere di architettura e in altri elementi della cultura materiale, ma sinora sono tutt’altro che palesi. È indispensabile, dunque, far sviluppare la ricerca; non va dimenticato il fatto che soltanto dagli anni ottanta si è cominciato ad accertare la presenza di oggetti sardi dell’età del bronzo fuori dall’isola, in Sicilia, Creta e Grecia Continentale. Ovviamente, considerato il raggio d’azione dei movimenti degli Shardana e la posizione dell’isola al centro del Mediterraneo, se essi, come penso, sono i Sardi, questi necessariamente percorrevano con le loro imbarcazioni l’intero perimetro del grande mare fin dal Bronzo medio e recente.