sabato 31 ottobre 2009

Vestali della Costituzione strabiche e dimenticarelle

La Costituzione italiana, così come tutte le carte fondamentali, di tutto ha forse bisogno tranne che di vestali che vegliano sulla sua integrità e immutabilità. E tanto meno ha bisogno di vestali strabiche o smemorate. Chi ha cambiato un suo intero titolo, il V, da solo e con una maggioranza risicatissima, può, in coscienza, dire oggi guai a chi la tocca? A parte i modi utilizzati (una sostanziale modifica fatta con appena 4 voti di maggioranza), personalmente fui d'accordo e al referendum confermativo votai a favore della sua entrata in vigore, come la maggioranza degli elettori. E oggi sono soddisfatto che, a parte alcune incongruenze che sempre si potranno correggere), quel nuovo Titolo V assicuri, per esempio, maggiori autonomie e limitazioni allo strapotere centralista.
Una decina di anni fa, la Costituzione fu insomma cambiata dal centrosinistra che sentì la necessità di adeguarla ai tempi. Oggi quella stessa parte si inalbera perché la stessa necessità sente l'attuale maggioranza e promuove convegni e manifestazioni per quella difesa della Costituzione che, quando era al governo, non attuò. Si dirà che questi sono i meccanismi della politica, come agli stessi ingranaggi appartenne l'opposizione del centrodestra alla riforma costituzionale voluta dagli avversari. I toni delle attuali vestali non sono diversi da quelli usate dalle guardiane del tempio di allora.
Trovo scarsamente coinvolgente il bisticcio fra le parti opposte, anche se, francamente, trovo esagitate le accuse di allora e le indignazioni di oggi. Lo sfascio della Repubblica non c'è stato con la riforma del centrosinistra, non ci sarà con la riforma, se mai ci sarà, del centrodestra. Se sfascio ci sarà, sarà semmai dovuto alla resistenza dei giacobini di entrambe la parti al passaggio dal cosiddetto federalismo fiscale a un vero federalismo, ma questo è un altro conto. Quel che trovo deprimente in questa specie di lotta politica, non sono tanto i toni usati, quanto l'imbroglio delle carte.
Il gioco è oggi spostato sulla questione dei “principi fondamentali” trasformati in tabù. Questi non si toccano, proclamano le nuove vestali. E poi dimenticano che appena un anno fa, in carica il governo Prodi, queste stesse vestali distratte e dimenticarelle fecero approvare dalla Camera, 361 sì, 75 no, 28 astenuti, una legge costituzionale che cambiava l'articolo 12, contenente l'ultimo dei principi fondamentali. Non fece in tempo a passare al Senato per la seconda delle quattro approvazioni solo perché il governo cadde e si andò a nuove elezioni. La modifica, proposta dal centrosinistra, salvo Rifondazione comunista, con l'aiuto del centrodestra, salvo la Lega, prevedeva una sola frase: “L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali”.
Aggiungeva, cioè, qualcosa ai principi fondamentali che i costituenti non avevano inserito quando elaborarono e approvarono la Costituzione. Alla faccia della immutabilità della Carta e dei sui principi fondamentali.

venerdì 30 ottobre 2009

Così Orune fu trascinato nel fango razzista. Ne esca, per favore

Dalle nostre parti le uniche bestie sono gli immigrati romeni. Loro si che lo stupro l’hanno nel sangue”. Le parti di cui parla l'autore di questa infamia sono quelle di Orune. E il pensatore, Salvatore Carai, è un orunese, approdato a Montalto di Castro dove è stato eletto sindaco. Giustamente, Guido Melis ne chiede l'espulsione dal partito, il Pd, che a sindaco l'ha candidato e fatto eleggere.
C'è una ragione di decenza politica in cui non è lecito intromettersi, riguardando il costume di un partito. Ma c'è una questione che riguarda la comunità orunese nel suo insieme, offesa dal fatto che il nome di Orune possa essere associato, come hanno fatto i media italiani, a un personaggio di tal fatta. Orune dovrebbe, credo, espellerlo dalla comunità, dire che non è più un suo figlio.
Pochi di noi, penso, hanno associato la Sardegna e il paese del Nuorese all'autore di un fatto capitato qualche tempo fa, quando il sindaco di Montalto di Castro aveva offerto il patrocinio gratuito del Comune a otto ragazzi accusati di aver stuprato una ragazza del paese. In quella occasione, secondo quanto si racconta, gran parte di quella gente aveva plaudito alla decisione di Carai di proteggere, così, un suo nipote, implicato nello stupro di gruppo. Aveva condiviso il pagamento di un difensore a carico del Comune perché “quella ragazza era una poco di buono, è stata lei ad attirare nella pineta i ragazzi che poi ha accusato dello stupro”.
A questa brutta pagina di indifferenza collettiva, si è aggiunta qualche giorno fa la professione di razzismo del sindaco, “sardo barbaricino di Orune”, come si trova scritto nel sito dell'Osservatorio sul razzismo in Italia. La presidenza del Senato della Romania ha protestato con il governo italiano, un deputato del Pd ha proposto l'epulsione di Carai, ora la parola passa alla comunità orunese.

giovedì 29 ottobre 2009

Quello Statuto sardo sempre più lontano e dimenticato

La commissione regionale sulle riforme è rimasto senza presidente. Mariolino Floris, che avrebbe dovuto dirigere la discussione dei commissari sulle riforme istituzionali e quella dello Statuto regionale in primo luogo, ha dato le dimissioni. Il processo federalista è in atto – è la sua denuncia – e qui tutto è fermo. Come dargli torto? Lo schieramento di centrodestra cui Floris appartiene ha avuto la non banale intuizione di appoggiare la proposta di Nuovo statuto speciale, sa Carta de logu noa de Sardigna, subito dopo l'affossamento della Consulta voluta da Soru.
Si trattava di un club di saggi che avrebbe dovuto essere incaricato di scrivere la Carta fondamentale della nostra autonomia. Il centrodestra capì allora come più dello strumento per elaborare uno statuto fosse importante elaborarlo per poi presentarlo alla discussione dei cittadini sardi e alla conseguente sottoscrizione di una proposta di legge di iniziativa popolare. “E' necessario dare voce al popolo sardo perché, alla fine di un profondo dibattito, consegni ai Parlamenti della Repubblica e della Regione la sua volontà di acquisire tutti i poteri e tutte le competenze di cui ha bisogno per trasformare la Sardegna in una terra prospera” era scritto nell'appello poi sottoscritto dai presidenti dei gruppi del centrodestra in Consiglio regionale, oltre che da numerosi membri del Parlamento italiano.
La proposta del Comitato tale era, una proposta cioè da sottopporre alla discussione, alle critiche, ai miglioramenti di chiunque avesse voluto prender parte a un processo davvero esaltante. Vinte le elezioni, per bocca del presidente della Regione, il centrodestra ha assunto l'impegno di aprire una stagione costituente tenendo conto anche di quel progetto che aveva sottoscritto. Sono trascorsi nove mesi dalle elezioni e quasi otto da quell'impegno programmatico. In tutta onestà, nessuno può dire che sono troppi otto su sessanta mesi di durata di una legislatura. Ma il clima politico non è di quelli che fanno presagire un recupero.
Io non so che cosa abbia spinto Mario Floris a scrivere che “sono venute meno le condizioni politico-programmatiche che mi avevano fatto accettare l’incarico” di presidente della commissione riforme. Non so, cioè, se egli abbia sentore che il problema non sono gli otto mesi trascorsi invano, ma altro. Provo a immaginare che cosa sia questo “altro”. A cominciare dal fatto che si sia ripreso, come è successo nella passata legislatura, a parlare più di strumenti per scrivere che del che cosa scrivere. Ognuno capisce che quando si pone una questione del genere, la voglia di affrontare le questioni di sostanza non è poi così lancinante.
Fatto sta che prima i Riformatori (che pure avevano sottoscritto la proposta del Comitato) e poi il Psd'az (che a elaborare la proposta non aveva voluto partecipare) hanno rilanciato l'idea di affidare la scrittura della Carta fondamentale ad una Assemblea costituente. I sardisti, in più, hanno preteso che la creazione della Costituente facesse parte del programma di governo. L'idea è ottima in linea di principio, diventa dilatoria se si pensa ai tempi necessari perché sia realizzata. Se anche la Corte costituzionale non bocciasse una legge sarda in merito, passerebbe troppo tempo.
A questo si aggiunge che. non so se d'accordo con il suo partito, Paolo Maninchedda ha bocciato la proposta del Comitato per lo Statuto, definendola “inadeguata e arretrata, nella concezione e nell’articolazione”, senza dire quale potrebbe essere un'altra adeguata e avanzata. Non lo ha fatto nel momento della critica, ha continuato a non farlo nei giorni successivi, impegnato com'è a prendere le distanze dalla maggioranza e, non immotivatamente, dall'assessore della Culture. Sono tensioni all'interno della maggioranza, come spesso accade quando sono alle viste nuove importanti elezioni come quelle della Provincia di Cagliari. Insomma, non è il clima più adatto per mettersi a discutere di Nuovo statuto. Spero proprio di sbagliarmi, ma l'avvertimento implicito nell'atto di Floris non sarà in grado di accelerare il processo.

mercoledì 28 ottobre 2009

Gli "etruschi di Allai" sulla forca. Ma è solo un anonimo desiderio

"Si tratta di falsi eccome! ... è stato trovato con le mani nella marmellata mentre le creava. Ci rendiamo conto dei danni che può aver fatto nella sua vita? Il bello che molti in buona fede ci hanno creduto ed ecco il risultato". Questo è il commento, pubblicato su questo blog stamani alle 8.53, da un franco tiratore protetto dal muretto a secco della sua vigliaccheria. Sono stato tentato di restituirlo alla spazzatura da cui proviene, ma forse è meglio che i lettori abbiano sentore di quale sia il livello di livore, ben avvolto nell'anonimato, che si sedimenta in alcuni ambienti della "cultura". Si parla dei reperti trovati nei pressi del nuraghe Crocores e che in questo spazio sono stati sinteticamente definiti degli "etruschi di Allai".
Confido, naturalmente, che la persona diffamata (e di cui nascondo il nome) tratti il post anonimo come si merita, con uno sberleffo. Qualsiasi avvocato, comunque, sa che la polizia è in grado di rintracciare l'autore di questa prova di coraggio. Della questione si sa che prossimamente ci sarà un processo per falso, che il rinvio a giudizio si avvale di un rapporto dei carabinieri e di una perizia di cui, una volta pubblica, varrà la pena di occuparsi. Tutto ciò fa parte dell'accusa, contro la quale saranno naturalmente prodotte testimonianze, altre perizie, documenti e, magari, lezioni di epigrafia. Poi toccherà a un giudice decidere se la verità sta dalla parte dell'accusa o dalla parte della difesa. Proprio come si confà a uno Stato di diritto.
A questo punto, credo sarebbe interessante sapere dall'anonimo da dove tragga certezza per la condanna pronunciata sommariamente contro chi, per legge e per costume democratico, non è colpevole fino a quando non sia stato condannato in tre gradi di dibattimento. L'unica cosa che si può pensare è che l'anonimo abbia letto la perizia consegnata al magistrato di Oristano e/o il rapporto di un carabiniere (evidentemente anche esso esperto epigrafista) e che abbia scambiato tutto ciò per la verità dei fatti. Una cosa è certa: l'anonimo dovrà riporre per un bel po' ancora la forca che ha già innalzato.

210.000 in otto mesi. Grazie

Questo blog ha superato questa mattina le 150.000 pagine viste dai lettori a partire dall'11 febbraio di quest'anno, giorno in cui si è affidato al contatore Vivistat. A queste vanno aggiunte le cosiddette visite uniche, che sono quelle fatte da un lettore indipendentemente da quante volte entra nel blog. I visitatori unici sono, sempre dall'11 febbraio ad oggi, oltre 60.000.
Permettetemi dunque di ringraziare i 210.000 lettori e soprattutto i molti che collaborano con articoli o commenti che giorno per giorno arriccchiscono questo spazio pubblico di informazione e di dibattito.
Naturalmente, la grande maggioranza dei visitatori viene dall'Italia (124.837), ma superano i 500 anche quelli che vengono da Germania (5.552), Francia (3.413), Spagna (1.864), Regno Unito (1.078), Stati Uniti (954), Olanda (749) e Norvegia (670). Fra i 5 e i 499 visitatori troviamo quelli che vengono da Albania, Algeria, Argentina, Australia, Austria, Bielorussia, Belgio, Bosnia Erzegovina, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Città del Vaticano, Colombia, Corea, Costa d'Avorio, Croazia, Cechia, Danimarca, Domenicana (Repubblica), Egitto, El Salvador, Europea (Unione), Finlandia, Grecia, Guadalupa, Guatemala, Haiti, India, Iran, Israele, Islanda, Giappone, Giordania, Kuwait, Lettonia, Libia, Liechtensein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Marocco, Messico, Monaco, Nuova Zelanda, Pakistan, Perù, Polonia, Portogallo, Portorico, Romania, Russia, Slovenia, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Taiwan, Ucraina, Ungheria, Venezuela, Viet Nam.

martedì 27 ottobre 2009

Il sardo ritrovato nel rapporto al Consiglio d'Europa. E due

Toh chi si rivede nel Rapporto dell'Italia al Consiglio d'Europa: la minoranza linguistica sarda. Sparita non si sa bene perché in una prima edizione del documento che il Ministero dell'interno aveva fatto conoscere in Europa, la nostra minoranza linguistica è riapparsa oggi e se ne può constatare l'esistenza in vita sul sito del Ministero.
Denunciata dal Comitadu pro sa limba sarda, di questa misteriosa sparizione si sono successivamente interessati il presidente emerito della Repubblica, Francesco Cossiga, che ne aveva informato il sottosegretario Gianni Letta; Sardigna natzione che aveva approvato un duro documento di protesta; il senatore Piergiorgio Massidda che aveva presentato una interrogazione a Maroni.
Di tutto questo, la stampa sarda è stata informata con comunicati che segnalavano il grave fatto. Salvo il Giornale di Sardegna che ieri ha pubblicato un intervento di Francesco Casula, nessun articolo è uscito per informare i lettori e i telespettatori. Nulla, silenzio assoluto, che, del resto, circonda da tempo tutto ciò che si muove intorno alla lingua e alla politica linguistica in Sardegna. Per la stampa sarda, soprattutto quella scritta, non è avvenuta l'esclusione della minoranza sarda dal Rapporto al Consiglio europeo né, temo, la sua reinclusione, fidando nel noto principio secondo cui un fatto non comunicato ai cittadini non esiste, non si è mai prodotto.
La chiamano libertà di stampa e s'incavolano pure, anche manifestando in piazza sotto bandiere di partito, se qualcuno dubita che la liberta dell'informazione consista in questo: negare le notizie che, a giudizio delle proprietà e dei direttori, disurbano qualcosa. Va bene difondersi sul ritrovamento di un grande porcino, va male informare che un diritto civile come l'uso delle lingua sarda è in qualche modo minato. Che squallore.

Sa limba sarda intrat a su Pranu de isvilupu. E unu

Est sa prima bia in s'istòria de s'autonomia de Sardigna chi sa limba sarda intrat a unu documentu de programmatzione econòmica. Lu faghet in su Pranu regionale de isvilupu, presentadu eris dae su guvernu sardu. Eo no isco – e de àteru de pagu importu est – si sa Regione at postu mente a su Comitadu pro sa limba sarda chi est naschidu finas pro bastare custu obietivu: sa limba sarda, paris cun sas àteras limbas de Sardigna, depet èssere unu motore pro s'isvilupu.
Su fatistat, custos sunt sos tretos de su documentu (si podet lèghere e iscarrigare in su situ meu) in ue si faeddat de sa limba sarda:
Diffondere la conoscenza e l’uso della lingua sarda - L’attenzione alla cultura delle persone è rappresentata anche dalla volontà di mantenere e rafforzare la promozione dell’insegnamento della lingua sarda, da inserire nell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche. Obiettivo principale è quello di favorire l’insegnamento della lingua sarda, all’interno dell’orario curricolare laddove ciò sia possibile, in relazione alle singole autonomie scolastiche, per raggiungere in tal modo la piena crescita identitaria dei sardi con l’inserimento di materie specifi che come l’archeologia, la storia dell’arte e delle tradizioni popolari in Sardegna”.
La Regione favorirà l’uso delle nuove tecnologie per valorizzare il patrimonio di identità, storia, lingua, tradizioni e produzioni del popolo sardo, da garantire attraverso una mirata politica di sussidi, ma soprattutto con un forte investimento diretto, per mettere a disposizione in forma virtuale di tutti il nostro patrimonio culturale. Contribuirà, inoltre, a sostenere un adeguato sviluppo dell’editoria sarda, con un’attenzione particolare alle forme elettroniche e digitali, per le quali dovrà essere assicurata la massima fruizione nel pieno rispetto dei diritti di autore. Tali linee di intervento delle politiche culturali regionali trovano riscontro nell’ambito della programmazione dei nuovi fondi comunitari 2007-2013”.
Dae ue moghet custa borta chi sa Regione at dadu a sa chistione de sa limba e de sa cultura de sos sardos? Dae unu cunsideru chi medas bias ant pesadu sos chi ant iscritu in custu blog: si si cheret chi in sa sotziedade sarda b'apat unu respetu non petzi formale pro s'identidade, tocat de nche imbolare a s'arga s'economitzismu chi l'at guvernada dae lustros meda. Custu cuntzetu gasi est espressadu in su Pranu in argumentu: “Per decenni lo sviluppo in Sardegna è stato affidato a fattori materiali che si sono rivelati incapaci di determinare stabili effetti positivi sulla società e sull’economia della Sardegna”.
Custu papiru de sa Regione non tenet nùmeros: est un'inditu de cosas de fàghere. Sos nùmeros ant a èssere postos in sa Lege finantziària chi luego at a èssere arresonada e aproada dae su Consìgiu regionale. Est tando chi s'at a bìere si sa Regione, ponende sa limba sarda e sa cultura nostra in unu documentu econòmicu, pròpiu comente at pedidu su Comitadu pro sa limba sarda, at leadu finas un'impinnu econòmicu o sunt petzi paràulas, galanas ma paràulas.
Non mi so illudende chi sos inimigos de sa limba sarda e de sas àteras limbas de Sardigna pesent una pandela bianca e si rendant. Inimigos bi n'at in sa polìtica, ma sos prus sunt foras de su Consìgiu regionale: in su sistema mediàticu, mescamente, e in mesu de sas fortzas sotziales chi timent a bentu sa dispedida de s'economitzismu, in intro de sas univesidades chi sos annos colados ant dèpidu torrare a s'Istadu su dinare chi no ant impreadu pro sa limba sarda comente lis imperaiat sa lege 482, in mesu de professores universitàrios chi ant fatu, pagados, master de limba sarda faeddende in italianu.
Sos inimigos sunt meda e nd'ant a fàghere a pede e a carru pro bìnchere sa pelea insoro. Tocat a sos chi istimant su sardu (e su gadduresu, su tataresu, su catalanu de S'Alighera, su tabarchinu) fàghere a manera chi siant bintos.

lunedì 26 ottobre 2009

La sveglia di Oliena alla cultura comunitaria

Nel passato sabaudo della Sardegna, le comunità erano ritenute corresponsabili dei crimini e delle malefatte dei loro membri. La civiltà ha cancellato questo costume barbaro. Di tanto in tanto, spunta nelle cronache una pressapochista accusa erga omnes di omertà lanciata contro un'intera popolazione, ma non c'è più, naturalmente, il coinvolgimento di una comunità come corresponsabile di crimini commessi nel proprio territorio.
Diventa così degno di nota quale che molte decine di olianesi hanno fatto un paio di giorni fa. Saliti su due pullman sono andati a Samassi per chiedere perdono a quella comunità per un efferato omicidio commesso nelle campagne di Oliena da olianesi. Lo hanno fatto nella sala comunale gremita di cittadini di Samassi davanti ai genitori e i parenti di Tiziano Cocco, il giovane autista trudidato e gettato nel pozzo della caserma di Manasuddas, il fortino ottocentesco che da un'altura domina la strada che da Nuoro conduce in Baronia, come un avamposto prima del deserto dei Tartari.
Io amo molto Oliena e gli olianesi e spero non mi faccia velo questa stima. Ma il gesto di risarcimento mi ricorda molto atti compiuti nel cuore montuoso della Sardegna, mai usciti dalla conoscenza che nelle comunità se ne aveva. Atti capitati quando, neppure troppo tempo fa, i modelli morali e gli istituti giuridici di questa civiltà, impropriamente chiamata barbaricina, non erano stati messi in crisi anche per impulso dei modernisti, decisi a farla finita con il cosiddetto arcaismo della cultura locale.
Ne cito qualcuno alla rinfusa anche temporale. Sa ponidura (o paradura) fatta per la raccolta di mille pecore da mandare in Abruzzo, in ottemperamento a un dovere di solidarietà dei pastori nei confronti di chi, disgraziatamente, ha perduto il suo gregge. La severa punizione di un paio di malfattori che avevano rubato il gregge ad un povero vecchio, un atto di vigliaccheria intollerabile per la comunità, ma considerato dalla legge un banale fatto di abigeato. La costituzione di un nutrito gruppo di persone che per giorni hanno cercato un loro compaesano sparito in un paese della Planargia e mai più ritrovato. Le indagini extralegali fatte per scoprire gli autori di un crimine particolarmente odioso e ancora senza colpevoli per le forze di polizia.
E ricordo un episodio lontano qualche decennio, quando due giovani turiste furono stuprate vicino al camping in cui villeggiavano. Le giovani esposero i loro slip, lasciandoli appesi al portone del Comune insieme ad un bigliettino. Si discusse molto o rapidamente se denunciare il fatto alla giustizia e si concluse che la punizione di legge sarebbe stata (allora soprattutto) troppo lieve per il delitto commesso contro le due, e contro l'immagine del paese. La punizione fu molto più severa di qualche mese di carcere, scoperti che furono gli stupratori: quando entravano in un bar tutti ne uscivano, nessuno bevve più insieme a loro e il loro isolamento fu totale. Se ne fece zente che a nemos.
Quel che hanno fatto gli olianesi sta a significare che quello spirito comunitario, dopo una battaglia ingaggiatagli contro, dai compradores distruttori di modelli morali e incapaci di proporne di nuovi, sta riprendendo animo? Non lo so, ma me lo auguro: forse c'è ancora la speranza che il rullo compressore dei desardizzatori non ci ha del tutto schiacciato.

sabato 24 ottobre 2009

Pd: su disìgiu de unos letores de su blog

De 1327 persones chi ant abertu custu blog in custas 36 oras, in 24 ant leadu parte in su giogu chi custu blog at propostu: a parte sas positziones polìticas cale candidadu in sas eletziones primàrias de su Pd diais isseberare? Unu giogu pro una chistione de importu mannu pro sa democratzia in Sardigna e in Italia.
In sa tabella chi concruit su giogu b'at su disìgiu de sos chi ant leadu parte in su giogu e totu. Cras sero o pustis cras amus a ischire si custos letores ant intzertadu su botu. Su sondàgiu, craru, inoghe agabat.

venerdì 23 ottobre 2009

Maninchedda sogna una Costituente: povero Statuto

Quando si dice la capacità di sintesi. Nel suo blog, Paolo Maninchedda liquida con poche e apodittiche parole la proposta di nuova Carta costituzionale della Sardegna elaborata dal Comitato per lo Statuto. La proposta sarebbe – dice il neo indipendentista consigliere sardista – “inadeguata e arretrata, nella concezione e nell’articolazione, perché elaborata con una certa indifferenza rispetto ai temi della finanza regionale”. Amen.
Il Comitato era coordinato da Antonello Carboni, Mario Carboni e da me: lo dico solo per segnalare che ho le carte in regola per dire che quella di Maninchedda è una critica pressapochista, lo sfogo di chi o non ha letto o ha frainteso o ha retro pensieri non epressi. Se lo avesse letto – ma è vero, è un po' troppo lungo e per arrivare agli articoli riguardanti le finanze sarde bisogna arrivare al 44 – avrebbe evitato tanta approssimazione. Basta, del resto, controllare nel testo della proposta che si trova anche nel mio sito, da cui è possibile stamparlo. Credo che una semplice lettura rivelerà a chiunque quanto sia pretestuosa la sua stroncatura.
Non ce ne sarebbe bisogno, ma forse bisognerà spiegare che la finanza regionale prevista nell'articolato non è quella ora vigente: è quella che entrerebbe in vigore dopo l'approvazione dello Statuto. Il quale prevede, tanto per capirci, che le tasse si riscuotono in Sardegna e che la Sardegna partecipa alle spese sostenute dallo Stato per le materie di propria competenza: difesa militare del territorio dello Stato; moneta; amministrazione della giustizia; rapporti diplomatici con stati terzi.
La proposta può ovviamente essere criticata, ci mancherebbe, nelle cose che dice o non dice, ma qui siamo alla pura aggettivazione di un bersaglio di comodo, dietro il quale c'è dell'altro. E questo altro è l'Assemblea costituente che tarda ad essere messa all'ordine del giorno, malgrado sia nel programma del nuovo governo regionale. Fui fra i primi, fin dal 1996, a proporre una Assemblea costituente per la scrittura di un nuovo statuto (chi ne ha voglia, veda il mio “La sovrana e la cameriera”, ed. Insula) e, se i i sardi avessro a disposizione alcuni anni di tempo, continuerei ad essere dello stesso avviso, mio di 13 anni fa e di Maninchedda degli ultimi sei mesi.
Ma tempo non ce n'è e questa della Costituente rischia di apparire una scappatoia per non affrontare una questione assai lanosa: come scrivere la nuova carta della Sardegna? Maninchedda sostiene che “la possiamo eleggere a Marzo in concomitanza con le amministrative; in quattro mesi concluderebbe i suoi lavori e la Sardegna potrebbe disporre di un testo, da approvare in Consiglio regionale”. Se non ci fosse la Costituzione italiana e la Corte costituzionale, certo che sì.
Vale la pena ricordare che la prima proposta di Assemblea costituente si arenò nel Parlamento italiano, dopo anni di sollecitazioni, durante il passato governo Berlusconi? No, naturalmente, perché lo si sa? Come si sa che questa nuova Assemblea si arenerebbe nelle secche dei ricorsi di chi non la vuole, in una lunga attesa di una sentenza della Consulta. Si arriverebbe a superare la metà della legislatura che, come si sa, è il crinale oltre il quale tutto diventa difficile, soprattutto in materia di riforme così importanti.
Una strada per interessare il popolo sardo al suo statuto nazionale c'è: è quella di portare alla sua discussione, approvazione e sottoscrizione la proposta del Comitato insieme alle altre proposte che altri potrebbe presentare. Magari meno inadeguata e arretrata, come la vorrebbe Maninchedda. Che, mi par di capire, preferisce discutere di strumenti per darci uno statuto al che cosa metterci dentro.

mercoledì 21 ottobre 2009

Quotidiani sardi e lingua sarda: ignoratela

Ancora una volta, la stampa scritta sarda ha ignorato una iniziativa del Comitadu pro sa limba sarda. Non si trattava, si vedrà qui sotto, di un documento di annunci su cose da fare o di cose fatte che, comunque, una stampa rispettosa del pluralismo avrebbe il dovere di segnalare. Era un comunicato che segnalava fatti e notizie, quel che dovrebbe essere pane per i denti di qualsiasi organo di stampa indipendente. Il fatto è che nel suo rapporto al Consiglio d'Europa, il governo italiano non ha incluso alcuna scheda sulle attività svolte in Sardegna in materia di lingua sarda, contravvenendo così alla Convenzione del Consiglio d'Europa. La notizia è che il Comitadu ha chiesto al presidente Cappellacci un intervento perché il governo rimedi alla omissione.
Della iniziativa sono informati i lettori di Il riformista, quotidiano di sinistra, e Libero, quotidiano di destra. Non i lettori della Nuova Sardegna e dell'Unione sarda, giornali le cui proprietà sono in rotta di collisione con qualunque cosa riguardi la politica linguistica. Il tutto, va da sé, nel nome della libertà di informazione e del pluralismo. Credo che entrambi, pur guardandosi in cagnesco su tutto il resto, su una cosa sono d'accordo: negare ogni tipo di informazione che anche lontanamente possa “fare il gioco” del nemico comune, la lingua sarda.
Questo il comunicato, spedito ad oltre trecento giornalisti sardi, come è pubblicato sui due giornali italiani che ho appena ricordato:

Il Comitadu pro sa limba sarda/Comitato per la lingua sarda ha preso atto del “Terzo rapporto dell'Italia sull'attuazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”, approvata dal Consiglio d'Europa il 1 febbraio 1995 e ratificata dal Presidente della Repubblica il 15 novembre 1997.
Nel rapporto, nel quale per altro si fa riferimento all'inclusione del sardo fra le lingue delle minoranza storiche tutelate dalla Repubblica, non compare alcuna scheda relativa alla lingua sarda, mancando con ciò all'obbligo che lo Stato italiano ha assunto con la ratifica della Convenzione di “trasmette al Segretario Generale del Consiglio d’Europa informazioni complete sui provvedimenti legislativi e di altro tipo che avrà adottato per dare effetto ai principi enunciati nella presente Convenzione quadro”.
Si tratta con tutta evidenza di una mancanza grave, non tanto e non solo per la cancellazione di fatto della minoranza linguistica sarda in un documento di rilevanza comunitaria, quanto per gli effetti che nel futuro questa dimenticanza potrebbe avere.
Dal rapporto risulta che o i Comuni o le Province o i Prefetti incaricati di raccogliere e trasmettere i dati al Ministero dell'Interno non avrebbero preso parte al monitoraggio necessario per la compilazione del rapporto o che il Ministero non abbia tenuto conto nella predisposizione del rapporto dei dati comunicati dalle Prefetture sarde. Quale che sia l'origine di questa grave mancanza, il dato di fatto è che la minoranza sarda non compare nell'informazione al Segretario generale del Consiglio d'Europa, unica fra le minoranze della Repubblica italiana.
Su Comitadu pro sa limba sarda chiede perciò al presidente della Regione di compiere tutti i passi che ritiene opportuni per richiamare il Ministero dell'Interno al rispetto dell'obbligo assunto dallo Stato di trasmettere informazioni complete e non parziali al Consiglio d'Europa.

martedì 20 ottobre 2009

A Isili a parlare di Nuraghi

Un convegno interdisciplinare sulla Sardegna nuragica si terrà sabato prossimo, 24 ottobre, a Isili. Organizzato dalla “Associazione culturale Agorà nuragica”, il convegno vedrà confrontarsi studiosi come Massimo Pittau, Donatello Orgiu, Ornella Demuru, Mauro Maxia, Franco Laner, Giacomo Paglietta, Mauro Zedda, Marco Sanna, Arnold Lebeuf e Roberto Sirigu.
L'inizio è previsto per le 8.45 nel Centro sociale del paese. Qui il programma completo.

lunedì 19 ottobre 2009

E il governo cancellò il sardo. Ma la colpa è nostra

Sanno i prefetti italiani in Sardegna che in quest'isola c'è una lingua tutelata dalla Repubblica che essi servono? Parrebbe di no, stando al “Terzo rapporto dell'Italia sull'attuazione della Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali”. È il rapporto che il Ministero dell'interno ha spedito all'Unione europea quest'anno ed ecco di quali minoranze si parla: albanese, catalana, cimbra (ma nel rapporto è scritto ”timbra”) croata, francofona, francoprovenzale, friulana, germanofona, ladina, mochena, occitana, slovena, walzer.
A tutte queste minoranze è dedicata una scheda, redatta dai prefetti su indicazione dei comuni. La sarda non esiste, dell'isola c'è solo una scheda redatta dal prefetto di Sassari riguardante il catalano di Alghero. Ma la cosa più inquietante è che non sono solo i prefetti ad ignorare la lingua sarda, ma anche i Comuni (che avrebbero dovuto trasmettere i dati alle Prefetture), le Province che dovrebbero coordinarli e soprattutto la Regione, il suo presidente e il suo assessore della Cultura. Vorrei sbagliare, ma non mi sembra che la lingua sarda, contrariamente ai loro impegni programmatici, sia in cima ai loro pensieri. Così come pare lontana dagli interessi di quasi tutte le Province e troppi Comuni.
Il rapporto (105 pagine) è consultabile nel mio sito al pari di una relazione alla Ue fatta dai friulani del Comitato 482. E' denso di dati interessanti, come il fatto, per esempio, che la scheda della minoranza friulana c'è, ma è comica dal momento che manca tutta la provincia di Udine (la maggiore) e quella di Gorizia. E c'è invece, da sola, quella (molto meno attiva) della provincia di Pordenone dove si fa pochissimo o nulla per il friulano, non c'è neppure un cartello bilingue neppure a pagarlo, ma in compenso è retta da un presidente di An noto per le sue prese di distanza dalla lingua.
Come succede per la Sardegna, del resto, dove esiste la sola minoranza catalana. La Regione sarda, che ha già passato sotto silenzio la campagna mediatica contro la stessa esistenza della lingua sarda, può tollerare che un documento governativo ufficiale, e di valenza internazionale, ignori la nostra lingua? Si deve rassegnare all'ignavia di gran parte delle Province o non sarà il caso di abrogare la sua legge che ha affidato loro la competenza in materia di lingua?

domenica 18 ottobre 2009

Stele di Nora: tutta un'altra storia

La Stele di Nora è divenuta, come si sa, da diverso tempo, quasi un vessillo dei ‘fenicisti’, un pezzo forte e un documento di prim’ordine della civiltà dei cosiddetti Fenici e della loro grande capacità e forza di espansione nel bacino del Mediterraneo Occidentale. Per via anche del parere e del pronunciamento degli studiosi del Corpus Iscriptionum Semiticarum, il documento, rinvenuto nel lontano 1773 dall’abate H. Hintz , ha assunto, dal punto di vista epigrafico e paleografico, quasi le certezze di un dogma. Sarebbe ‘fenicio’ per alfabeto, per lingua, per argomento.
Non così però la pensava, con la sua traduzione del 1837, W. Gesenius, il geniale fondatore della lessicografia moderna ebraica, che leggeva nell’enigmatica scritta della stele ‘aba shardan (padre dei sardi) e non ‘ b shardan’ (in Sardegna). E come ‘padre Sardo’ intendeva (1831) quella contestata sequenza della seconda e terza linea anche l’Arri, un altro celebre orientalista del tempo. Da quando però, nel 1948, Dupont -Sommer con una lettura epigrafica che molti ritengono al limite dello scandalo, e con la sua ‘lettura’ del dio ‘Pumay’ (peraltro contestatissima da non pochi studiosi della Civiltà fenicia: Gras, Rouillard, Teixidor, ecc.) ha gonfiato le vele fantasma dei ‘Fenici’ colonizzatori del Mediterraneo e della Sardegna, non si discute più e guai a chi osa frapporre altre vele a quel ‘vento’. La regata, per taluni, ormai è da ritenersi solo una comoda passeggiata e il vincitore ha già vinto.
Sennonché le cose vanno diversamente, molto diversamente, secondo quanto scrive Gigi Sanna nel suo “La stele di Nora – Il dio il dono il santo” appena pubblicato e sul punto di essere presentato.
La Stele di Nora – scrive Gigi Sanna – è, insieme alle tavolette di Tzricotu (con le quali condivide chiari identici ‘principii’ e modalità di scrittura), un bellissimo documento attestante il ruolo dell’’altissima e raffinatissima scuola scribale nuragica della Sardegna della fine del Secondo Millennio a.C., non di quella ‘fenicia’.
Lo dimostrano, senza margini di dubbio, le recenti scoperte della scrittura e della lingua nuragica; il rinvenimento di testi (come quello dei ‘cocci’ nuragici di Orani) con segni alfabetici e contenuto identici a quelli della stele norense; la rilettura del documento in base a nuove stupefacenti scoperte epigrafiche, scoperte che spingono nella direzione di due letture aggiuntive rispetto alla ‘normale’ lettura retrograda; la conferma dell’esistenza di una scrittura nuragica ‘numerica’ a rebus, che dà un significato eccezionale nella storia della scrittura (anche perché del tutto imprevedibile) al documento; l’inopinata comparsa del nome di un ‘santo’ nuragico, oggi santo celeberrimo cristiano dell’Isola, alla fine della scritta, che fa scendere definitivamente dal piedestallo il falso Pumay.
Di tutto ciò (ma anche della storia della stele, delle sue varie interpretazioni epigrafiche, delle traduzioni di studiosi dell’Ottocento e del Novecento) si parlerà Sabato 31 Ottobre alle ore 18 in Oristano (Aula del Consiglio Comunale, piazza Eleonora). durante la presentazione del libro di Gigi Sanna La Stele di Nora/ The Nora Stele, PTM ed. Ottobre 2009.

sabato 17 ottobre 2009

E se di lingua parlassimo conoscendoci di persona?

di Mario Carboni

Rimettendo a posto le montagne di carte conservate ormai da decenni e venute alla luce in un recente trasloco, ho ritrovato tanti pezzi dimenticati dell'ormai pluridecennale dibattito sulla lingua sarda. Oltre che per l'archeologia, e sono d'accordo dato che ne parliamo da tempo, forse bisognerebbe investire qualche euro nei lavori socialmente utili, per non perdere la memoria di ciò che si è detto e non detto sulla lingua sarda.
Scavare negli archivi, raccogliere articoli sui quotidiani e periodici, pubblicare e ripubblicare libri e scritti, raccogliere la letteratura recente in lingua sarda.
Sopratutto bisognerebbe censire e pubblicare, magari commentando storicamente ciò che si è scritto ed è rimasto sepolto nei nuraghes di carta che attendono di essere scavati.
Nel passato, malgrado il seppellimento della nostra storia, cultura e tradizioni, da parte del colonialismo e autocolonialismo, chi aveva buona volontà intraprendeva personali campagne di scavo.
Oggi, a giudicare dal dibattito sulla lingua mi sembra che molti che discutono, non solo non cerchino di scavare ma non tengano conto neanche di ciò che è alla luce del sole.
Si parla sul sentito dire, su luoghi comuni superati, su concetti che richiamano più la polemica che il confronto delle idee.
Un dibattito aperto da Gianfranco Pintore sul suo blog è continuato su di un altro sulla base di una cronichicchia della Nuova Sardegna che riportava maldestramente i contenuti della conferenza stampa de Su Comitadu pro sa limba sarda recentemente ricostituito.
Nella foto: Febbraio 1978, l'annuncio della campagna per la legge popolare sul bilinguismo

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venerdì 16 ottobre 2009

E la balentia fu confusa con la vigliaccheria

Leggi: “Un secco no alla balentìa” (con l'accento sulla i e con “balentia” fra virgolette come si confà alle parole straniere) e subito pensi ad un qualche gruppo umano che si è gettato dalla parte della titulia, della vigliaccheria. E invece no, naturalmente. Succede che a Buddusò, i cittadini, stanchi degli atti di teppismo e di vandalismo accaduti in paese, abbia gridato no a “malinteso senso di balentìa”. E cioè, come insegnano Antonio Pigliaru e Michelangelo Pira, all'esatto contrario della balentia, che è un modello morale dell'uomo sardo.
Non è la prima volta, né sarà l'ultima, che la stampa sarda e la cultura politica desardizzata parlano di balentes per significare il contrario. Balentes che compio atti da vigliacchi, ma quando mai? Mi sono sempre chiesto se in questo travisamento delle parole, invertendone il significato, ci sia un progetto originario di cancellazione di modelli morali non compatibili con la colonizzazione degli animi. O se ci sia, semplicemente, una profonda e coltivata ignoranza della lingua sarda e del suo gusto per l'antifrasi.
Quando si sente dire di un atto: “Balentia, mi'”, solo uno di quei marziani può pensare che si stia affermando che quell'atto o quel gesto è un atto di balentia: vuol dire esattamente il contrario. Ricordo un prezioso racconto, in merito, di Michele Columbu che immagina un dialogo – non troppo surreale dato l'esempio che riporto – fra un sardoparlante che cortesemente si trasforma in italoparlante. Per rispetto dell'ospite, va da sé. E di un terzo che si gira a veder passare una bella donna, dice: “Umh, l'occhio punto ha”.
“Oh, poverino.”
“Poverino perché?”
“Ma mi ha detto che ha l'occhio punto.”
“Al contrario, ho detto che ci vede benissimo.”
E su questo tono, il raccontino di Michele Columbu continua un bel pezzo, in uno spassoso elenco di antifrasi.
Temo, comunque, che per capire questo gioco a dire una cosa per significarne il contrario bisogna avere almeno una infarinatura di sardo o, anche, la modestia di imparare. Ma forse è meglio così: le antifrasi funzionano se si è partecipi della stessa concezione del mondo. Altrimenti si prendono fischi per fiaschi o, per stare in tema, balentia per titulia.

giovedì 15 ottobre 2009

E ti pariat? Contra a sos "dialetti" mancaiat La Stampa. Milla

Issolòrios e in prus sena perunu fundamentu istòricu e culturale, sos de unos cotidianos e periòdicos in contu de “dialetti”. Su fatistat, a ispàrghere bambìghines mancaiat a s'apellu s'àteru cotidianu italianu de prus importu, La Stampa. A prenare s'istèrgiu b'at pensadu, unas dies a como, Gian Luigi Beccaria, mastru de istòria de limba italiana e acadèmicu “della Crusca”. Comente a nàrrere, unu chi nde diat dèpere ghelare.
Sos àteros, dae L'Espresso a Libero, dae La Repubblica a Venedì e a su Corriere della Sera, si fiant cuntentados de ispàrghere belenu sena s'atrivire in cunsideros istòricos. Custu nono: fatu a “isòricu de sa limba italiana”, Beccaria s'atrivit e contat de “la nostra lingua, la più ricca tra le romanze, nata per prima, e già gigante”. Cando s'isciovinismu s'apoderat sos cherveddos, podet capitare custu puru.
Craru, si sas limbas romanzas sunt che a s'iscartzofa, doga su sardu, doga s'otzitanu, doga sa limba d'oil, giai betzas a sos tempos de Dante, as a bìdere chi s'italianu est a beru chi est naschidu a primu. Non b'at prus su tantu de si pònnere in cuntierra cun gente chi se balanzat gasi su cocone in s'Universidade e in sos giornales. E però, pro su gosu de chie leghet, incarcade inoghe pro bufare issolòriu cun issolòriu totu s'artìculu.
Mancari gasi, si custos isciovinistas cherent festare gasi sos 150 annos de Itàlia, isperdende sas limbas no italianas, bonu proe lis fatzat.

mercoledì 14 ottobre 2009

Con la Finanziara lavoratori culturalmente utili all'archeologia

Com'è giusto che sia, la prossima legge finanziaria della Regione ha in mente di destinare molti milioni di euro “per fronteggiare l’emergenza sociale”. In particolare si pensa di destinare “25.000.000 euro a favore dei comuni per la realizzazione di cantieri comunali, e per l’aumento del patrimonio boschivo mediante utilizzo di disoccupati o inoccupati”. Altri 20 milioni di euro sono destinati “per interventi a favore di lavoratori disoccupati o in cerca di prima occupazione”.
E se una parte di questi 45 milioni fossero destinati, d'accordo i comuni e la Regione, per l'apertura di cantieri archeologici, sotto la direzione, naturalmente, di archeologi? Leggendo oggi un'articolo di Angelo Fontanesi sulla Nuova Sardegna, ho scoperto con un po' di vergogna che nel paese dove abito ci sono 44 insediamenti nuragici, una grande quantità di domos de jana, pozzi sacri e altri lasciti dei nostri antichi. Il professor Michele Carta, che tutto ha censito certosinamente, ne denuncia l'abbandono.
Fra i monumenti, oltre al nuraghe Rampinu con la sua iscrizione etrusca, c'è lo splendido villaggio Sa Linnarta, con nuraghe trilobato, numerose capanne e una bellissima fonte sacra. “Dal 1974 ad oggi, sotto l’egida della Soprintendenza, ad Orosei sono stati effettuati solo mezza dozzina di piccoli interventi. L’ultimo nel 1997” e ha riguardato Sa Linnarta. “Ora è nuovamente un bosco incolto, senza una strada di accesso”. Io ci vado ogni volta che posso, passando dalla vicina Onifai dove il nuraghe è chiamato Osana, e ogni volta la rabbia mi assale pensando alle centinaia di milioni di lire allora spese, per lasciare poi tutto abbandonato.
Chiunque di noi ha monumenti e rabbie da segnalare per esempi di pessima gestione del nostro patrimonio culturale e di spese fatte senza criterio e ritorni economici. Mancano i soldi, dicono funzionari della Soprintendenza e gli archeologi. Certo, non ci sono tanti soldi quanti sarebbero necessari, ma la Finanziaria che presto sarà discussa nel nostro Parlamento dice che ci sono soldi, e non pochi, per aprire cantieri comunali e per favorire le persone senza lavoro o in cerca di prima occupazione.
Si tratta, quindi, solo di avere fantasia e volontà di impiegare i soldi, o una parte di essi, per aprire cantieri archeologici anziché cantieri purché sia. E non perché i comuni non abbiano bisogno di una piazza delle Poste ben lastricata o altre cose per dar impiego ai lavoratori socialmente utili. Questi lavoratori potrebbero essere anche culturalmente utili, che è poi la stessa cosa. In più i cantieri archeologici, ben studiati, creerebbero altre occasioni di lavoro a caduta: i monumenti liberati dalle sterpaglie, le strade ripristinate per arrivarci consentirebbero a turisti e no di arrivarci; si potrebbero costruire percorsi archeologici e dare occasione di lavoro a guide.
Il tutto, semplicemente compiendo delle scelte su come impiegare i denari che arriveranno dalla Finanziaria e dai provvedimenti ad essa collegati. Una Sardegna che si accorgesse di quale immenso patrimonio ha, i comuni che si dessero da fare per la conquista di questa consapevolezza fin da subito, i lavoratori socialmente utili che invogliassero i comuni a questa scelta, tutti insieme prefigurerebbero un'Isola in cui vale la pena di venire anche lontano dall'estate e lontano dal mare.
Detta così, sembra facile. Troppe le trappole lungo la strada: la pigrizia mentale, la disistima di se stessi, il fatto che i cantieri archeologici mal si piegano ad impellenze clientelari, l'inconsapevolezza che sono i sardi i padroni del loro patrimonio, e così via. Ma forse è proprio per questo che questa strada va imboccata.

Le foto: Osana/Linnarta e il pozzo sacro del complesso nuragico

martedì 13 ottobre 2009

Il meglio, il possibile e il dibattito nel forum di iRS

Nel forum di iRS continua un interessante dibattito sulla lingua sarda fra militanti, simpatizzanti, semplici iscritti al sito. Poiché la discussione ha preso le mossa da un articolo di questo blog su una questione in cui il problema della lingua era incidentale, vale la pena, credo, di insistere. Nel mio articolo avevo censurato il malvezzo di sferrare attacchi (in questo caso contro Su Comitadu pro sa limba sarda) sulla base di informazioni raccogliticce e false. L'autrice di quell'attacco, la scrittrice Michela Murgia, ha alla fine riconosciuto che le sue fonti – un disinformato articolo di giornale – non erano adeguate. Onore alla sua onestà intellettuale e, per me, polemica conclusa.
Non per altri. Qualcuno mi ha rimproverato “la scelta di parlarne sul [mio] blog, uno strumento unidirezionale che non permette un confronto serrato, non comprendo per quale motivo non si sia iscritto al forum e ne abbia discusso con noi tutti”. Lo stesso rimprovero, di non essermi iscritto a quel forum, mi è stato fatto da un altro ospite di quel sito. Io non sono iscritto, né mi iscriverò, almeno fino a quando vigerà la regola secondo cui requisito per l'iscrizione è: "... non essere rappresentanti, esponenti o sostenitori di altri partiti politici o di altri portali".
Trovo inquietante l'idea che per partecipare ad una discussione o si abiuri a quel che si è o si dichiari il falso. E, così, il dibattito, spostatosi da questioni di etichetta ad altre di sostanza, continua sulla lingua sarda. Ci prenderei volentieri parte, visto anche che mi si continua a tirare in ballo, ma non passando sotto le forche caudine delle regole poste da quel forum. Ma poiché iRS è parte importante della vita culturale sarda, per altro asfittica, e poiché, pur non essendo il forum organo del movimento, ne è ovviamente influenzato, continuiamo pure il dibattito. Loro lì, questo blog qui: con questo, che il blog non pone regole aprioristiche e chiunque può scrivere, il forum ne pone, per me inaccettabili.
Discussione interessante è quella intorno alla Limba sarda comuna, nel corso della quale c'è un confronto non scontato. Ma altrettanto lo è quella sul gradualismo con cui far entrare a scuola il sardo e le altre lingue della Sardegna. Su Comitadu pro sa limba sarda ritiene, e per questo si batte, che vadano utilizzati tutti i meccanismi che legislazione, direttive ministeriali e iniziative della Regione consentono. Chi questo critica, pensa che si tratti di mezzucci per far entare la lingua dalla porta di servizio. E questo, in realtà, è vero, salvo per il non piccolo particolare che non si tratta di mezzucci, ma di presa di coscienza che nel mondo della scuola, salvo non pochi esempi di rispetto della democrazia linguistica, il sardo e le altre lingue della Sardegna non hanno udienza.
È una bestialità, ma così è. Sarà interessante, alla fine del mese, quando al Ministero degli affari regionali saranno arrivati, da tutte le minoranze linguistiche, i progetti di bilinguismo a scuola, contare quanti saranno quelli spediti dai dirigenti scolastici della Sardegna. Aspetto, ma anche temo di saperlo. Del resto, in tutta la campagna sindacale e politica di protesta contro i tagli nella scuola, non si è sentita una sola voce che ponesse questa banale domanda: “Qual è la specialità della Sardegna da esibire per impedire qui la chiusura di tante scuole, se non la lingua?”. Fra la dispersione scolastica e il deserto fatto alla lingua nella scuola italiana in Sardegna non c'è forse un qualche rapporto? Perché dove vige, come nel Sud Tirolo e in Val d'Aosta, il bilinguismo è utilizzato anche per contrastare le classi numerose, la chiusura delle scuole nei villaggi di montagna, la perdita di insegnanti?
Qui da noi, politica e sindacati, hanno agitato esclusivamente questioni logistiche (le strade disagevoli) e demografiche (lo spopolamento dei villaggi) per dire che alla Sardegna lo Stato doveva riservare un trattamento di favore. Questioni che riguardano tutto lo Stato, altro che specialità. E questo autolesionismo provoca un solo risultato: rimuovere la questione della lingua anche come strumento di crescita sociale. Né hanno voluto cogliere, nella cosiddetta rimodulazione dell'accordo fra Baire e Gelmini, la possibilità che Regione e dirigenti scolastici utilizzino almeno parte dei 20 milioni di euro per l'insegnamento del e in sardo. Insomma, neppure davanti a concrete possibilità di lavoro, viene abbassata la soglia di diffidenza (e di ostilità) nei confronti del sardo e, insieme ad esso, del gallurese, del sassarese, del catalano d'Alghero, del tabarchino.
So anch'io che la proposta de su Comitadu non è il meglio. Ma spesso, comunque in questo caso, il meglio è nemico del bene.

lunedì 12 ottobre 2009

Storia e geografia sarde a scuola? Basta volerlo

de Paulu Pisu

Fatzu parti, in calidadi de babbu, de su consillu de istitutu de sa scola cumprensiva de Sàrdara. Apu aprontau unu documentu chi iat a depi serbiri a "ispirai" su collègiu de is docentis in su sterrimentu de su POF. Custu documentu est cumpartziu de is collegas de parti genitoriali. Mi parit importanti.


Il Piano Offerta Formativa è il documento fondamentale della scuola, in esso si delineano gli indirizzi educativi che essa propone: … la scuola intende aprirsi al territorio… gli interventi volti ad ampliare l’offerta formativa sono stati definiti in relazione alle peculiarità culturali, sociali ed economici del territorio...
Crediamo che tutto questo non possa essere possibile se si continua ad ignorare la cultura sarda. I libri di testo per nostra disgrazia non sono fatti in Sardegna. In essi la nostra presenza è sempre marginale. Nei libri di storia siamo ignorati (al massimo cenni sui nuraghi).

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sabato 10 ottobre 2009

Chi ha paura degli etruschi in Sardegna?

Sarebbe ingeneroso e sbagliato affermare che gli accademici e gli studiosi sardi non valutino i rapporti fra Sardi e Etruschi fin da quando questi approdarono nell'attuale Toscana. Il mio amico Massimo Pittau ci ha scritto un bel libro sostenendo che i due avevano la stessa lingua. È stato criticato, a volte sbeffeggiato, come capita a chi esce dal seminato (per di più ben custodito), ma il suo studio è lì, pronto a essere ripreso in mano, il giorno in cui sarà abbandonato l'orto delle certezze costituite.
Li valutano, questi rapporti: il problema è capire come. Ne parlano, quasi sempre limitando la cosa ai bronzetti trovati in tombe etrusche, quello di Vulci in primo luogo, e agli askòs, recipienti di terracotta a forma di ventre di capretto. La realtà, a quel che scrisse Sergio Frau in un articolo del 20 marzo 2003 “Roba sarda è stata trovata nelle tombe etrusche di Tolfa, di Vetulonia, di Populonia, di Tarquinia, di Gravisca, di Castagneto Carducci, di Donoratico, di Vulci, dell' Elba, di Pisa, di Terni, di Bologna, di Cerveteri, di Sarteano, di Arezzo, di Cortona, di Villanova, di Chiusi, di Sala Consilina e Pontecagnano in Campania, di.... E sì: si potrebbe pure andar avanti per un'intera pagina...”.
E ancora, nello stesso articolo, si chiede: “Che ci fanno quei due Sardi di bronzo, con tanto di corna, accanto all'Ombra della Sera [statuetta votiva etrusca, NdR)? Come possono essere finiti insieme su questa tavola numero 104, una delle tante che fanno bello ancora il Museum Etruscum che il Gori pubblicò nel 1737? Due guerrieri shardana e l'icona etrusca più celebre di Volterra, e insieme?
So che l'amico Frau non gode della simpatia soprattutto dell'accademia sarda. Avrà più considerazione di quanto a lui disse l'etruscologo Giovanni Camporeale?
Vetulonia?
"Era la Milano degli Etruschi. Il più importante centro commercial-metallurgico tra IX e VI secolo a.C... Il più ricco e tecnologicamente avanzato...".
I Signori di quelle sue miniere?
"Sardi. Sicuramente Sardi...
"
Fuori della Sardegna (ma spero anche qui, oltre a Massimo Pittau) si ha un'idea dei rapporti fra Sardi e Etruschi che non fa dei primi dei tributari dei secondi. Non si scriverebbe, per dire, quel che leggo in una guida della dottoressa Maria Ausilia Fadda, nella quale è scritto che la fonte sacra Su Tempiesu è nata “in un periodo compreso tra il XII e X secolo a.C.,da contatti diretti o mediati con popolazioni esterne e resi possibili dalle vicinanze della costa e dalla facile penetrazione nell’entroterra attraverso le valli del Cedrino e dell’Isalle”. In italiano, cerco di decifrare, questo vuol dire che “popolazioni esterne” sono penetrate attraverso le valli dei due fiumi per portare i loro modelli? Né si leggerebbe, in un volumetto dal titolo “Orune” scritto anche dalla Fadda, che la facciata a timpano della fonte “ricorda modelli protovillanoviani classici, seppure interpretati con una tecnica edilizia prettamente nuragica”.
A rigor di logica e di cronologia, semmai dovrebbero essere i modelli protovillanoviani a derivare, seppure interpretati, da quelli nuragici. Perché si da il fatto che i protovillanoviani sono nati qualche secolo dopo i fabbricatori di Su Tempiesu. Insomma, siamo oltre la provinciale disistima del che cosa si è stati: è un morbo ben più preoccupante quel che piega persino la cronologia a tesi altrimenti insostenibili.
È noto a tutti, o dovrebbe esserlo, che cosa, di questo appiattimento, sconvolgerebbero i reperti trovati da Saba nei pressi di Crocores e la lettura che Gigi Sanna fa della iscrizione sul nuraghe Rampinu di Orosei. Nel mio Sa Losa de Osana (mi si perdoni la spudorata pubblicità) do una interpretazione di questa presenza etrusca in Sardegna. Romanzesca, sia chiaro, fondata solo sulla logica e una modesta conoscenza dei miei polli. Ma a volte, si sa, la realtà si fa beffe della più incontrollata fantasia. Dalla mia ho che nessuno mi può accusare di falso perché un racconto è per definizione un falso. E però...

venerdì 9 ottobre 2009

Fuoco amico sulla lingua sarda

Nel forum di iRS, Michela Murgia continua la sua battaglia contro la lingua sarda. Questa volta la camuffa con un attacco becero a Su Comitadu de sa limba sarda, prendendo come spunto un piccolo e disinformato articolo di giornale, uscito l'indomani di una conferenza stampa dello stesso Comitadu. Si può naturalmente criticare, ci mancherebbe altro, il suo operato e le sue proposte, purché si abbia l'onestà di informarsi su queste e su quello.
Non era difficile farlo: le proposte sono pubblicate in questo blog e nella pagina dei 1835 (ad oggi) membri del Comitadu che chiunque può consultare in Facebook. Lei ha preferito abbeverarsi a un trafiletto di un giornale tanto incompleto e approssimativo da aver scambiato (tanto per dirne una) il componente del Comitato Francesco Casula col il “professore universitario Francesco Cesare Casula”. E così, la nostra si scaglia contro un simulacro di proposte e non esercita il suo legittimo diritto di critica delle proposte reali.
Che cosa sproloqui la Murgia (purtroppo presa sul serio da altri interlocutori del forum) lo si può vedere accedendo a quel sito che iRS mette a disposizione. Qui presento solo un paio di perle...

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giovedì 8 ottobre 2009

L'unica lingua è dello Stato? Vuol dire che sardi e friulani si faranno Stato

Questo il testo della lettera inviata al Venerdì di Repubblica dal Comitato 482 del Friuli. Protesta contro gli articoli pubblicati dal settimanale contro le lingue sarda e friulana.


di Carlo Puppo (*)

Egregio Direttore,
le scrivo, in qualità di portavoce del Comitât – Odbor – Komitaat – Comitato 482 (organismo che riunisce oltre una trentina di realtà associative friulane, slovene e germaniche del Friuli attive nella difesa dei diritti linguistici), per esprimerle lo sconcerto e l’amarezza per gli articoli dedicati dalla rivista da lei diretta a quella che avete definito la “crociata per l’uso e l’insegnamento dei dialetti lanciata dal partito di Bossi” e, in particolare, per il pezzo firmato da Paola Zanuttini.
Ancora una volta, infatti, un organo di stampa italiano associa, senza alcun ritegno e senza alcun tentativo serio di approfondimento, la campagna della Lega Nord per i dialetti con le rivendicazioni e le battaglie storiche di friulani, ladini e sardi per la tutela e la valorizzazione delle proprie lingue.
La sua rivista, però, fa un passo oltre e affida a Raffaele Simone la perentoria dichiarazione che “in Italia c’è una sola lingua, l’italiano”. Come si può leggere nel titolo dell’articolo, infatti, “neppure sardo e friulano sono lingue a parte” e lingua, a parere dell’illustre esperto, non è nemmeno il ladino. Le uniche parlate a cui Simone sembra riconoscere lo status di lingue sembrano essere quelle con uno Stato di riferimento alle spalle, come il tedesco e l’albanese. Insomma, davvero, un criterio degno di un linguista… Utilizzando la medesima logica dovremmo concludere che nel mondo non si parlano migliaia di lingue diverse, ma solo alcune centinaia, ossia quelle di Stato. La ovvia conclusione, dunque, è che, se friulani, sardi, ladini, ecc. vogliono che le loro lingue siano riconosciute come tali, devono crearsi uno Stato indipendente! Ne prendiamo atto.
Come prendiamo atto che il vostro giornale sembra riconoscersi appieno in una frase che alcuni anni fa era patrimonio esclusivo della destra fascista: “in Italia c’è una sola lingua, l’italiano”. Chi l’avrebbe mai detto che vi sareste adeguati al credo dello squadrismo linguistico, ma forse si tratta solo di essere trendy visto che, come spiega Simone, la battaglia per la diversità linguistica e per i diritti (anche linguistici) dei popoli sono “una causa persa e démodé”.
Per voi, evidentemente, non hanno alcun valore le denunce delle autorità europee sulle violazioni dei diritti linguistici di friulani, sardi, ladini e delle altre comunità minorizzate. Le nostre lingue, infatti, non sono degne di occupare un posto uguale a quello della vostra. Come spiega chiaramente l’esperto da voi interpellato: la diglossia “funziona benissimo se non diventa una rivendicazione politica antimoderna”! Insomma ci sono le lingue moderne e i relitti del passato, le lingue di chi comanda e quelle di chi ubbidisce, le lingue superiori e quelle inferiori… Che bel concetto di democrazia il vostro.
Non c’è niente di scientifico in quanto affermato da Raffaele Simone nell’articolo da voi pubblicato, la sua è una posizione chiaramente politica. È inutile, allora, elencare le ragioni che fanno di friulano, sardo e ladino lingue, seppur minorizzate. La risposta migliore è quella scritta un paio di mesi fa (l’Unità, 01/08/09) dal professor Tullio De Mauro che di linguistica un po’ ci capisce: “La mediocrità opinante a ruota libera di troppa parte degli interventi giornalistici in materia di educazione e scuola annebbia tra troppi colti e tra i politici la percezione di tutto ciò.
E forse neanche educatori e linguisti hanno fatto tutto il possibile per rendere noto che la pluralità idiomatica non è un accidente stravagante, ma un fatto fisiologico per la specie e le comunità umane e che una cattiva scuola o provvedimenti stolidi possono tentare di soffocare questo fatto, ma non riescono a spegnerlo senza tentare di spegnere l’umanità stessa. Nel mondo antico di cui restiamo sempre debitori furono primi gli Epicurei e poi i primi cristiani, quelli del miracolo della Pentecoste, a capire e insegnare ciò che gli studi moderni confermano: che il seme della differenza linguistica e culturale è in ciascuno di noi, nelle nostre coscienze e nel nostro cervello. Soltanto un nazista pazzoide, come fu Hitler, o un decerebrato che si rivolga a decerebrati può rovinosamente fantasticare di altre strade.

Distinti saluti (antimoderni).

* portavoce del Comitato 482 in Friuli

Pro sa limba, inue semus sballiende?

de Roberto Bolognesi

O ZF, deo una litera gai a is linguistas non bi l'apo mai scrita: "ognuno conosce i suoi polli!"
Comente apo bidu custu istíu passadu, fintzas is linguistas democraticos non si sunt chefidos esponner in sa polemica contras a sa "Lega" (a is limbas minorizadas).
Deo non so unu moralista: bi sunt omines cozudos e omines "normales" e dae pagu apo cumentzadu a atzetare ca tzertas diferentzias sunt geneticas.
Deo linguistas cozudos nd'apo connotu pagos e giornalistas cozudos prus pagu ancora.
De siguru in Italia (e sa Sardinnia est a su 100% Italia, in custu sensu) totu tenent famillia...
Ite cheres, fintzas sos intelletuales depent mandigare.
Deo t'ammiro pro su sfortzu mannu chi ses fende: "Amus bufadu abba pejus"!
Berus!
E tenes resone a chircare custa bia de mesu, ma non ti nde ismentighes ca ses faeddende a gente chi cumprende solu sa fortza.
Che is linguistas (Italianos) e totu...
O bi la faghimus a nos furriare a fortza politica o non serbit a nudda a fagher custos apellos moralisticos a is collegas nostros: chie bi lu passat su sussidiu de disocupatzione?
O bi resessimus a arribbare a sa gente, o la podimus serrare innoghe puru.
Si est berus chi faeddamus pro sa majoría manna de is sardos. comente mai abarramus semper nois bator macos a peleare?
O semus macos a beru o b'est calincuna cosa scimpra in su chi faghimus.
Pro a mie, sa pregunta de importu est: innue semus sballiende?
Ca semus sballiende est foras de duda.

mercoledì 7 ottobre 2009

Caro Psd'az, non solo lingua ma anche storia

di Adriano Bomboi

Cari lettori, notate bene:
ART. 3 del Partito Sardo d'Azione - VALORI NAZIONALI
“Il Partidu Sardu - Partito Sardo d'Azione afferma il diritto del Popolo sardo alla libertà ed alla felicità.
Riconosce nella lingua sarda, in tutte le sue varianti, l'espressione della coscienza nazionale del popolo sardo e pertanto opera per la sua diffusione, valorizzazione e uso ufficiale nella scuola e nelle istituzioni.
Tutela la pari dignità delle minoranze linguistiche presenti in Sardegna e sostiene il diritto al pieno sviluppo della loro identità.
Afferma il fondamentale diritto dei sardi residenti fuori dell’Isola di partecipare pienamente alla vita della Nazione.
Sostiene le lotte democratiche delle comunità nazionali che non godono dei pieni diritti di sovranità”
E la Storia? Dove è finita? I valori nazionali di un Popolo sono solo la Lingua?
Ma pensate al Partito Sardo d'Azione, un Partito dei Sardi, prossimo ad una riforma statutaria in sede congressuale, può ignorare i presupposti che hanno creato i fondamenti dell'agire stesso di Popolo?
Forse la coscienza indipendentista Sarda non si basa nella storica consapevolezza di rinnegare un'autorità che imponeva (ed impone) modelli politici ed economici non idonei al territorio?
La 3a legge Costituzionale del 26 febbraio 1948 riconosce all'articolo 28 l'esistenza del Popolo Sardo. Forse questo riconoscimento non si basa su un passato storico che affonda le radici in presupposti storici e giuridici antecedenti al 1861?
Forse le antiche civiltà, i Giudicati, la Sardegna del Marchese di Laconi e persino l'opera anti-feudale dell'Angioy non fanno parte del DNA di soggetti che sono giunti a definirsi "Popolo"?
Forse i padri del Sardismo nei primi anni del '900 non si richiamavano ad eventi storici
del passato?
Aver perso delle battaglie e non essere mai stati un Popolo unito nelle rivendicazioni significa forse che dobbiamo cancellare le autorità politiche ed i sentimenti di un Popolo vissuti per millenni sotto diverse bandiere? Che Popolo è un Popolo che non ricorda il passato del proprio territorio ai suoi figli nelle proprie scuole?
Che Partito dei Sardi può essere un Partito che non ricorda nel suo Statuto la necessità di arrivare a quell'obiettivo nella Pubblica Istruzione? Che Popolo possiamo essere se i nostri figli non sanno nulla della Sardegna prima dell'Unità d'Italia?
Che Popolo possiamo essere se i nostri figli non studiano la Poesia Sarda nelle scuole
assieme ai grandi autori italiani? Che Popolo vogliamo essere se i nostri figli nelle campagne di Sardegna non sanno distinguere un Nuraghe da un'ammasso di pietre?
Che Popolo vogliamo essere se i nostri figli pensano a Giovanni Maria Angioy solo come al nome di un vicolo dietro casa? Che spina dorsale può avere un Popolo che scorda le rappresaglie anti-resistenziali di Romani, Iberici e Piemontesi?
Che Popolo possiamo essere se il Partito che dovrebbe rappresentare queste istanze si dimentica queste cose?
Che Popolo vorremmo essere se pensiamo alla cultura solo come ad un fenomeno statico nel tempo e nello spazio? La Storia Sarda non deve essere facoltativa, ma obbligatoria.
Un Popolo che non coltiva la memoria di sé non è un Popolo, è solo una comunità di persone estinta dalla storia a causa della propria ignavia. Un Partito Natzionale che non coltiva e non sostiene la memoria è solo un confusionario scampolo di burocrazia nella preservazione dello status quo.
Sarebbe il sintomo dell'assenza di un progetto ed implicitamente dell'assenza di una coscienza di esistere.
Sostenete la riforma dell'articolo 3 del Partito Sardo d'Azione, emendate una semplice riga con: Storia e Lingua Sarda nella Pubblica Istruzione!

Gli etruschi di Rampinu, nella costa di Orosei

di Gigi Sanna

Io ritengo che la maniera migliore, per dare un maggior contributo alla ‘questione’ (autenticità o non) degli oggetti di Allai, rinvenuti dal signor Armando Saba (cartografo della Regione Sardegna ed ex collaboratore con la Sovrintendenza di Cagliari) nel Lago Omodeo quando questo era asciutto negli anni tremendi della siccità (noto che il ‘particolare’ qualcuno, purtroppo, tende a sottovalutarlo o a trascurarlo nell’esame, oltre il resto meramente fotografico, dei documenti), sia quella di procedere, così come per la scrittura nuragica, alla ricerca costante e, direi, doverosamente ostinata di altri ‘documenti scritti’ o di scritte etrusche in Sardegna. Perché, a mio parere, non è possibile, anzi assurdo, che non se ne trovino.
Poche (anzi pochissime: Pittau di recente ha ripubblicato oltre alla nota e (criticamente tormentata) scritta di GIORRE UTU URRIBU, la bella ma non troppo nota - e ancora non tradotta - iscrizione di S. Antioco), sono, come si sa, quelle di cui disponiamo; per questo archeologi, epigrafisti e linguisti usano, normalmente, storcere il naso quando sentono parlare di rinvenimenti in Sardegna di oggetti etruschi “scritti”. Anche se questo, ovvero la rarità della documentazione, come capisce chiunque, ha l’importanza di un fico secco, o meno ancora, per la scienza non frettolosa e per la ricerca scientifica che, proprio perché ‘scientifica’ non dà e non può dare mai nulla per scontato. Ma Ebla, dico l’Ebla delle fonti faraoniche e bibliche, mica l’Allai che conoscono praticamente solo i Sardi, non insegna proprio niente a qualcuno?

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Nuraghe Rampinu, di cui si occupa l'articolo di Gigi Sanna, è - scrive Michele Carta nel suo prezioso libretto troppo modestamente definito Guida turistica - "forse uno dei meglio conservati della zona [Orosei, NdR]. La sua posizione, quasi a strapiombo sul ciglione del gollei basaltico, gli consente di dominare la valle sottostante di Zarule e lo pone in comunicazione visiva con il villaggio di Sa Linnarta e coi sottostanti nuraghi di Muriè e Tundone posti a guardia dell'ingresso della valle stessa". E più in là, Michele Carta scrive: "L'eccezionalità di questo monumento consiste nelle misteriose scritture malamente incise sulle pietre porose basaltiche degli stipiti (2° a ds e 3° filare a sn), in cui alcuni leggono il nome di Tinia, divinità etrusca corrispondente a Zeus - Giove dei Greci e dei Romani". Nella foto: Nuraghe Rampinu. [zfp]

martedì 6 ottobre 2009

"Sono meno libero": lettera aperta ai giornalisti sardi

Cari colleghi,
molti di voi hanno credo partecipato, fisicamente o solo con il cuore, alla manifestazione di Roma per l'informazione libera. E molti, come me, avranno avuto modo di riflettere sull'avvertimento del costituzionalista Valerio Onida: “Il cittadino non informato o informato male è meno libero”. Come meglio definire lo stato dei cittadini italiani e sardi disinformati o male informati da una estesa campagna di stampa contro i dialetti e le lingue minoritarie, per altro tutelate dalla Costituzione e dalle leggi?
Nessuno, almeno non io, nega ai giornalisti la libertà di pensare e di scrivere in piena autonomia pro o contro le lingue delle minoranze e i dialetti. Ma hanno anche la libertà di mistificare, dare notizie senza fondamento, o, peggio, negare l'informazione a riguardo? La nostra libertà è sovraordinata al diritto dei cittadini di sapere? Sappiamo bene che in una società della comunicazione un fatto non esiste se non è comunicato.
Questa lettera aperta ai giornalisti sardi da parte di un giornalista sardo non vuole essere una generica mozione degli affetti, ma segnalare alcuni fatti concreti i quali portano a concludere che, per responsabilità dei due maggiori quotidiani dell'isola, il milione e duecento mila sardofoni sono meno liberi. A loro, da un po' di tempo i due quotidiani negano l'informazione sui fatti riguardanti il loro status o, nel migliore dei casi, la mistificano.
I fatti riguardano iniziative culturali, politiche e istituzionali. Partirei dall'ultimo esempio di comunicazione istituzionale. È quella attraverso la quale l'assessore della Cultura il 3 ottobre segnala che nella rimodulazione del suo accordo con il ministro Gelmini in materia di istruzione e lavoro si punterà anche “alla tutela e alla valorizzazione della specialità linguistica della Sardegna”. L'Unione ha completamente ignorato la notizia, la Nuova Sardegna tace che fra gli obiettivi della cosiddetta rimodulazione c'è l'uso del sardo a scuola.
Su Comitadu pro sa limba sarda ha inviato alla Regione la duplice richiesta di inserire la lingua sarda (insieme al gallurese, al sassarese, al catalano d'Alghero, al tabarchino) nel Piano Regionale di sviluppo come possibile motore di crescita economica e sociale e di prevedere l'insegnamento del sardo a scuola fin dal momento di modificare l'accordo Baire-Gelmini. La notizia è del tutto ignorata dall'Unione ed è data dalla Nuova nella edizione leggibile solo a Cagliari.
Questa proposta è stata illustrata in una conferenza stampa. Mentre le televisioni ne hanno parlato diffusamente nei loro Tg, l'Unione ha completamente taciuto il fatto e la Nuova ne ha pubblicato la notizia nell'edizione leggibile solo a Cagliari. In più ha taciuto della richiesta principale (l'inserimento della lingua sarda nel PRS) e ha attribuito al “professore universitario Francesco Cesare Casula” quel che invece è stato detto da Francesco Casula. Tanto per segnalare un caso di completezza e accuratezza dell'informazione.
Ma il top è stato raggiunto all'indomani della manifestazione organizzata ad Ollolai dall'ex presidente Renato Soru per discutere di lingua, identità e sovranità. L'Unione non ha scritto una sola riga, nell'articolo della Nuova di tutto si parla (di territorio, di autonomia e persino di indipendenza) ma non di lingua che pure è stato il tema d'apertura del convegno. Io mi sento molto “meno libero” per effetto di questa disinformazione che solo un ingenuo può pensare casuale e non frutto, invece, di una scelta editoriale.
Capisco che su questa scelta possa aver influito una voglia di contrastare Bossi e il suo appello alla valorizzazione dei dialetti e delle lingue maldestramente da lui definite regionali. Del resto, a leggere quotidiani e periodici italiani, da L'Espresso a Libero, da La Repubblica a Il Corriere della Sera, appare chiarissimo che la campagna contro i dialetti, ma anche contro il friulano e il sardo, muove dal contrasto a Bossi. Ciò che non condivido ma ritengo legittimo. Quel che legittimo non è, è la negazione dell'informazione o, peggio ancora, la sua mistificazione finalizzata all'arruolamento dei lettori in un esercito anti-dialetti. Altro che libertà dell'informazione.
Non vorrei che la nostra comune battaglia per la tutela di uno dei beni più preziosi della democrazia si trasformasse in una lotta per la libertà dell'arbitrio, durante la quale una casta si arroga il diritto di decidere che cosa i cittadini debbano sapere e che cosa è meglio ignorino. O conoscano i fatti solo dopo che la casta li ha predigeriti, metabolizzati e sfornati non per quel che sono ma per quel che dovrebbero essere.

Nella foto: un manifesto dell'Arci

domenica 4 ottobre 2009

Gli "etruschi di Allai" in tribunale

E dunque i reperti etruschi di Allai, etruschi non sono e, anzi, sono dei falsi. È quanto ha concluso, secondo Enrico Carta che ne da notizia sulla Nuova, il sostituto procuratore di Oristano Paolo De Falco. Il magistrato, dopo aver ordinato delle perizie, di ciò si è convinto e ha accusato di falso e di altri reati Armando Saba, ex collaboratore della Soprintendenza e scopritore dei sassi incisi con lettere dell'alfabeto etrusco. Armando Saba, naturalmente non ci sta a passare per falsario e il suo avvocato annuncia che saranno chieste altre perizie.
Fin qui la notizia, che troveranno solo i lettori oristanesi di quel giornale posto che è messa in una pagina che solo in quella provincia gira. Venti mesi di attesa, quindi ed ecco il responso dei periti che coincide con quello dato venti mesi fa da una funzionaria della Soprintendenza senza neppure vedere i reperti. Ci sarà tempo per occuparci ancora di questa vicenda, tutt'altro che alla fine. Non si sa, infatti chi siano i periti chiamati a dare il loro parere né che cosa abbiano detto al magistrato se non che le iscrizioni sui sassi di Crocores “sono false”. Quel che si sa è che, se tutto fosse stato così chiaro, venti mesi sono comunque troppi. E continua ad aleggiare il sospetto che il "non può essere" abbia avuto la meglio, per ora, sul "non è".
Nella foto: uno dei ciottoli trovati da Saba nel lago Omodeo in un periodo di siccità

sabato 3 ottobre 2009

Glottofagi alla riscossa: "Neppure friulano e sardo sono lingue"

Per ora sono solo delle stronzate giornalistiche (a proposito, dovremmo difendere la libertà di stampa anche sotto specie di libertà di offendere popoli interi?), ma temo che ai tuoni seguirà presto la pioggia. L'ultimo a scendere in campo per sentenziare che “neppure friulano e sardo sono lingue” è un docente di linguistica generale all'università Roma Tre, tale Raffaele Simone. In una intervista con Venerdì di La Repubblica dice, fra altre sciocchezze: "Lo status di lingua concesso ad alcuni dialetti come il sardo o il friulano è di natura puramente strategica. Per evitare attriti, è stato conferito a comunità fortemente consapevoli di sè, autonome e dotate di dialetti diversi quanto basta a convincerle che le loro siano lingue. Ma in Italia c'è una sola lingua, l'italiano. Diverso è il caso dell'albanese e del tedesco: sono due lingue minoritarie".
Della stupidata è responsabile il solo glottofago? Certo, ma la sua scienza ha contagiato anche il settimanale di La Repubblica la cui redazione scrive in una didascalia: “Scritta murale in dialetto in un paese della Sardegna”. Simone non è nuovo alle baggianate. A un esterrefatto Corrado Augias, anche egli di La Repubblica, che non vuol credere si possano impiegare anche fondi comunitari per la difesa “dei dialetti”, il Nostro disse che: “un dialettofono è penalizzato, avrà bisogno di un terzo passaggio mentale prima d' arrivare a una lingua straniera”. E sempre sullo stesso quotidiano, il 25 agosto, scrisse: “Il dialetto "stretto" lo usa solo la gente su cui la scuola è passata senza fare né caldo e né freddo: analfabeti o semianalfabeti, emarginati, incorreggibili somari e isolati di varia natura”. Verrebbe da dire che non è con Simone che bisogna prendersela, ma con chi gli paga lo stipendio di docente universitario.
Che fai? Ti metti a polemizzare con uno così? Dirgli per esempio che il sardo fu per cinque secoli lingua di stato e che fu poi coufficiale con lo spagnolo? Che nell'elenco delle “lingue minoritarie”, secondo la balzana idea che ne ha, ha dimenticato il francese della Valle d'Aosta e il catalano di Alghero? Che sta sfiorando una eversiva (e incolta) delegittimazione della Costituzione italiana e una separatista pulsione antieuropea? E perché poi, per sprecare ranno e sapone?
Il problema è, tuttavia, più serio di quanto possano raccontare le facezie del nostro glottofago. L'attacco sferrato contro i “dialetti” (destinati ad essere spazzati via dalla storia come pronosticava Engels e dopo di lui giù giù fino a Mussolini ed oltre) parte dal contrasto all'idea della Lega in cui si trovano unito tutto il giacobinismo politico di destra e di sinistra e di centro. Di questo si è fatta portavoce una parte importante della stampa, anche qui di destra e di sinistra. Ha cominciato L'Espresso, ha continuato Il Corriere della Sera, poi Libero ed adesso La Repubblica. Articoli in cui non si indaga sulle cose, ma si scagliano incolti e spesso stupidi anatema per dimostrare un teorema precostituito e funzionale alla politica di riferimento.
Sono semplicemente dei ragli, rimproverano alcuni amici che preferirebbero lasciar correre. Non sono d'accordo: milioni di lettori, non tenuti a sapere di linguistica e glottologia, sono influenzati senza poter conoscere altre campane se non queste. E non bastano i richiami di Tullio De Mauro a non cadere nella trappola di una ideologia paranazista. Anche perché mentre le articolesse dei giornali sono in grado di rivolgersi alla pancia dei lettori, De Mauro tende a far ragionare. Il giornalismo scandalistico ha più successo di quello informativo, è risaputo.
Adesso sta anche a noi, a chi stima la lingua sarda (e quindi tutte le lingue sempre più minorizzate), muoverci per far in modo che la campagna mediatica e l'insensibilità della politica non si saldino per fare disastri. Anche scrivendo su questo blog e non dando per scontato che la cultura e la ragione abbiano la vittoria in tasca. Per dire: quanto della campagna contraria alle diversità linguistiche sta inducendo alla tiepidezza il governo sardo nei confronti degli impegni presi in campagna elettorale? E quanto sta condizionando lo stesso Partito sardo che sulle questioni della lingua sarda tace e non agisce?

venerdì 2 ottobre 2009

Il Golfo dei fenici affonda nel Golfo di Oristano

A quel che pare - ne da una scandalizzata notizia La Nuova - il Parco archeologico del Golfo dei Fenici non si farà più. Non perché ci sia stato un sussulto di pudore, del tipo "Forse non è il caso di intitolare ai fenici un golfo irrimediabilmente sardo", ma perché pare non ci siano soldi. La Regione, che ha destinato tre milioni di euro al Museo giudicale fra Sanluri e Oristano, non ha intenzione di finanziarie il sogno dei feniciomani che - lo si vede nella foto accanto - non si erano peritati di cambiare il nome del Golfo di Oristano.
Golfo nel quale, come avranno capito quanti seguono questo blog, non è detto che i fenici abbiano spardoneggiato fino al punto da farne un loro lembo nella terra dei nuraghi. Non so, e quindi non me ne preoccuperò, se questa decisione regionale nasce dal contrasto con un'altra decisione, presa l'anno scorso dal governo Soru. Né starò a chiedermi che cosa abbia fatto cambiare idea al ministro dei beni culturali Bondi che questa primavera aveva assicurato: i soldi ci sono. Non oso neppure pensare che alla Regione e a Bondi siano arrivate le voci di questo blog, delle petizioni sottoscritte da centinaia di persone, dei forum tutte contrarie a cambiare nome al Golfo di Oristano, intitolandolo ai fenici.
Fatto sta, la storia ha più meccanismi di quanti ne possiamo immaginare per farsi rispettare.

Dieci domande sui nuraghi

di M.C:

Scusate se intervengo, da dilettante - appassionato di cose sarde. E’ da un pò di tempo che mi sovvengono alcune domande-risposte. Provo a elencarle:
1) Sono d'accordo con quanti dicono che le costruzioni nuragiche siano più antiche delle datazioni di scavo, poichè se i nuraghi in sé non si possono datare, penso di si lavorando sulle incrostazioni della pietra, ma non è stato mai fatto.
2) Credo che i nuraghi e le tombe dei giganti siano della stessa cultura con uguale unità di misura nella costruzione, mentre i pozzi sacri e i villaggi non sono propriamente nuragici, usando per la loro costruzione una diversa unità di misura; oltrechè, con tanti esempi, addossati e sovrapposti a nuraghi crollati.
3) Perchè si parla di resti scheletrici nuragici di origine occidentale (vedi studi sul Dna) e, dopo tale periodo di scheletri mediorientali ?.
4) Perchè per la costruzione dei nuraghi si parla di spostamenti di pietre di grandi dimensioni e peso, ma nessuno accenna a un eventuale aiuto animale, ad esempio i buoi, nel lavoro di trasporto e messa in opera dei massi?
5) Se guardiamo il monumento tomba dei giganti come un ideogramma mettendoci di fronte leggiamo mAm; e il nuraghe un’altra grande A, se aggiungiamo, come nei modellini, un grande cappello sopra ne viene fuori un monumento di ispirazione dualistica maschio e femmina o se si preferisce un dio androgino.
6) Chi ha notato che la stele monolitica della tomba dei giganti somiglia compiutamente alla descrizione dell’aura umana fatta dagli antichi stregoni?
7) Che cosa c'entra un angelo caduto, della schiera biblica, di nome Nurakibaram ?... che somiglia molto al noto nuraghe bara in località Macomer.
8) Un’altra domanda: perché quando si parla di Tiscali nessuno fa riferimento a Ischali, tempio dedicato a Ishtar scoperto in mesopotamia?
9) Ancora: i Sardi pelliti, credo si possa tradurre come Sardi peleset.
10) Un'altra cosettina, sulla bandiera sarda, di cui abbiamo secondo me, due rappresentazioni molto antiche: la prima è data dall’insegna votiva del VIII sec.aC., in bronzo di Padria, divisa in due sportellini (indica forse l'unione di due popoli fratelli?). La seconda è del IV sec.a.C., nell'affresco ritrovato a Paestum, (noto come guerrieri Sanniti, ma lo stendardo è in mano a uno shardana con affianco un peleset con lo scudo rotondo) dove la suddivisione in quattro scomparti indica forse una confederazione di quattro popoli?.

Note
1) è stato eseguito un lavoro del genere in Spagna e in Israele.
2) Shardana e filistei in Italia, Massimo Rassu ed: Grafica del Parteolla;
Le torri del cielo, Danilo Scintu ed. Prima Tipografia Mogorese.
3) L’uomo in Sardegna dal paleolitico fino all’età nuragica, Franco Germanà ed.
Carlo Delfino; Nella preistoria le origini dei Sardi, Emanuele Sanna ed. CUEC .
5) vedi Sardoa grammata, Gigi Sanna ed. S’Alvure.
6) vedi Carlos Castaneda.
8) Pare ne abbia accennato, nei primi anni del “900, solo Antonio Taramelli.

giovedì 1 ottobre 2009

A casa di Ospitone a parlare di lingua e sovranità

Il movimento di Renato Soru “Sardegna democratica” discuterà sabato di lingua sarda, di autonomia e sovranità in un paese simbolo della Sardegna, Ollolai. È una buona notizia, sia perché finalmente la politica riprende a parlare di lingua e di sovranità, sia perché, per farlo, si sceglie l'epicentro etnico per eccellenza, la patria di quell'Ospitone che, ancora nel 594 dopo Cristo, trecento anni dopo la fine della conquista romana e già in era bizantina, governava la Barbagia. Potenza dei simboli.
Poco importa, nel senso che ciò fa parte del gioco della politica, che la manifestazione nasca all'insegna dell'aspra critica “dei provvedimenti del Governo e della smaccata infeudazione della Sardegna”. Ha poca importanza perché, alla fine, un progetto di resistituzione di dignità alla lingua e di radicamento della sovranità non potrà non coinvolgere tutti, compresi “gli infeudati”. Importa, invece, e molto, che si riprenda a parlare degli elementi costitutivi dell'identità, rompendo quel pessimo clima di economicismo che sembra di nuovo avvolgere la società e la politica sarda.
Sarà, a leggere i nomi della trentina di intellettuali della sinistra autonomista, indipendentista e nazionalista, un confronto fatto in casa fra sostenitori, per dire, della Limba sarda comuna, e fieri avversari e, in altri campi, fra chi ha scritto a favore di una ritoccatina allo Statuto esistente e chi a favore di uno Statuto di autogoverno e chi di Statuto d'autonomia non ne vuole neppur sentir parlare. Ma la discussione si apre, vivaddio.
L'altra parte della politica sarda, nel Pd come nel centrodestra, su queste cose tace. Come se il secondo non avesse proposto un nuovo Statuto speciale, come se non avesse scritto nel suo programma di governo che “il momento identitario, quale momento di riflessione su se stessi e sul comune sentire del popolo sardo, costituisce la fonte dalla quale far derivare i successivi” momenti della strategia di sviluppo della Sardegna. Eppure è, o dovrebbe essere, noto a tutti che in politica come in natura non esiste il vuoto: c'è sempre qualcuno o qualcosa che lo colma.