giovedì 5 marzo 2009

Ma è l'identità che serve alla lingua o è vero l'inverso?

di Andrea Lai

Caro Gianfranco,
mi imponevo una riflessione sulla questione della lingua e dell'identità sarde: vorrei sottoporla a te e a chi vuole discuterne, sempre che non sia troppo sgangherata.
In Sardegna, oggi, quali sono i termini della questione? Si parte da un'identità sarda, esistente e definita, e si vuole difendere la lingua come strumento e veicolo di questa identità? Oppure non esiste un'identità sarda, ed allora si difende la lingua perché si vuole creare questa identità?
Guardando i giovani (è una prospettiva limitata, lo so: ma i giovani sono il futuro), mi sto convincendo per la seconda. In primo luogo penso che non esista una ed una sola "identità sarda". I giovani si sentono europei, italiani e sardi senza alcun conflitto: insomma, a me sembra che condividano diverse identità, non una sola. Parlano in italiano (almeno, di solito, specie nelle città), ma usano il sardo per fare battute, per scherzare, per imprecare ecc.
Mi domando a questo punto se la questione della lingua sarda impostata in termini di standardizzazione e di scuola non sia il progetto di un élite culturale ristretta, che poco interessi ai nostri giovani.
Di più: mi domando se questo sardo standardizzato (non importa quale standardizzazione si difenda) e impacchettato in libri scolastici di testo non possa determinare una crisi di rigetto nei giovani, che non si riconoscerebbero più in quella lingua. Con buona pace di tutti quelli che teorizzano che la standardizzazione sia l'unica via per salvare la lingua.
Non è forse successo che qualcuno si è preso un'ubriacatura con la sangria catalana? Voglio dire che si è adottata - in modo secondo me acritico - una prospettiva per la quale la lingua tutelata deve assumere i ruoli che sono della lingua dominante (l'italiano). Questo, si pensa, dovrebbe rivitalizzare anche l'uso parlato. Il punto è che questo non è per niente scontato, anzi...
Potrebbe succedere, infatti, che il tutto si risolva in una burocratizzazione della lingua: si chiede ai parlanti di "sacrificarsi" e di aderire, con uno slancio militante, alle ragioni che stanno alla base del codice standardizzato, ciò che può portare a una castrazione degli usi spontanei, proprio perché la gente in quel codice non si riconosce. E' già successo.
Parlare una lingua minoritaria, così, diventa un modo per dire che si è diversi, non una risposta a reali esigenze di comunicazione. Il rigetto, specie da parte dei giovani, è dietro l'angolo.
Forse, allora, sarebbe opportuno interrogarsi sul perché in una società possano coesistere due codici: cioè, quanto sia opportuno cercare di affiancarli e renderli simili, oppure lasciare a ognuno di essi spazi vitali che poco si sovrappongono, in una sorta di ecosistema.

6 commenti:

Unknown ha detto...

Secondo qualche studioso, il vero concetto di identità legato a quello di Nazione sorge nel momento in cui un dato Popolo prende autocoscienza della sua specificità (derivante dai suoi elementi propri e pre-esistenti tra cui la lingua, etc) e si batte per farla emergere, magari per assegnarle una sua statualità. Personalmente vedo il caso Sardo come un limbo, e non mi riferisco alla sola sfera linguistica. Siamo una Nazione a tratti riconosciuta e spesso taciuta, incapace di scindere il declino storico che ci vede sempre più omologati ad un'altra cultura. Questo fenomeno ci permette di capire tutta l'inconsistenza delle attuali dirigenze politiche sardiste ed indipendentiste, probabilmente incapaci di incanalare questo limbo verso l'unica tematica possibile che è il nazionalismo (moderato, come in buona parte del corrente indipendentismo Europeo). Che coscienza poteva produrre un indipendentismo che non governa, non attua quindi riforme incidenti nel tessuto sociale e si dichiara "non-nazionalista"? Che coscienza poteva produrre un sardismo azionista, prodotto della storia italiana, che vede nel nazionalismo l'unica espressione dei tempi bui dell'autoritarismo? Che coscienza poteva mai produrre un etnonazionalismo alla Sardigna Natzione che, adagiato oggi all'eccesso verso posizioni ideologicamente non più proponibili, non trasmette l'immagine che altrove modelli esteri hanno saputo proporre? Questo limbo identitario potrebbe trovare una sua prima risoluzione nella creazione ed affermazione di un Partito Nazionale Sardo. - Bomboi Adriano

p.atzori ha detto...

direi che le alternative che individua Lai, non sono reali. Mi spiego, L'identità, per come la vedo io, è in divenire, e a costituire l'identità di popolo contribuiscono mille diverse identità, di gruppi, di giovani, di vecchi, ecc.. La distinzione forse è da fare anagraficamente. Le persone mature e quelle anziane hanno una certa identità, i giovani un'altra. Dunque per alcuni sa limba sarda è parte integrante dell'identità, per altri è un modo per costruire un'identità sarda per ora molto labile. Che i giovani si sentano globalizzati è un fatto, ma si devono al più presto accorgere che è bene affondare le radici per non rischiare di perdersi, di alienarsi.Nel passato, i suicidi di sardi emigrati alienati sono indicativi. Il sardo standardizzato io lo vedo come volontà di guidare e accelerare un processo unitario. Si tratta di una scelta coraggiosa, a patto che i sardi scelgano convinti questa strada. Altrimenti è forse meglio arrivarci per gradi, ma a passi svelti, perché altrimenti, come qualcuno ha osservato, il sardo orale scomparirà nel giro di pochissime generazioni.

Anonimo ha detto...

Vedi, caro Atzori, la cosa su cui non ci intendiamo è questa: secondo me, ma non solo secondo me, non esiste l'identità di un popolo, l'identità collettiva. E' un concetto pericoloso, perché genera inclusione (amici) ed esclusione (nemici): è la fonte primaria dell'intolleranza. Quante volte nella storia si è fatta violenza contro i diversi, quelli che non condividevano una certa identità? Forse quello che è successo nei Balcani non è sotto l'occhio di tutti?
Salute, Andrea
Esistono solo le molteplici identità individuali.

p.atzori ha detto...

rispondo, stimabile Andrea Lai, che ho paura che con il rinunciare al senso di appartenenza alla nazione sarda, lei finisca per gettare il bambino insieme all'acqua sporca. Purtroppo dal 1847 ad oggi non si fa che ripetere questa operazione nefasta. Penso che l'identità di popolo noi, nonostante tutto, ce l'abbiamo cucita addosso e che si tratta solo di buttar via gli aspetti deteriori.
In ambito antropologico, Luigi Luca Cavalli Sforza, colui che ha confutato scientificamente il concetto di razza, ha studiato le frequenze geniche medie della popolazione sarda e ha evidenziato la distanza che separa i Sardi , ossia la media dei Sardi, dagli altri popoli. Questo vale anche per la storia, per la cultura, per le tradizioni, per la lingua. Non dobbiamo aver paura di considerarci nazione a tutti gli effetti (checché ne pensasse E.Lussu, che adesso si vuole riesumare). Il problema di escludere altri non lo vedo tanto, visto che la nostra storia sta a dimostrare che ci battiamo solo per non essere esclusi noi. Al principio di tolleranza credo fermamente anch'io, ma sento il bisogno di vedere il mio popolo che si liberi e progredisca. Questa per ora, in linea di massima, la mia posizione. Ma in definitiva, lei appartiene o no ad una nazione. Se si a quale?
Buona giornata, Piero Atzori

Anonimo ha detto...

Passo al lei e mi scuso per aver usato il "tu" in precedenza.
Cerco di non parlare mai di "noi", ma di me stesso. Mi sento molto simile a tanti sardi e molto distante da tantissimi altri. Ci sono tante cose in cui mi identifico e tante altre in cui mi sento diverso (religione, idee politiche ecc. ecc.): voglio dire che in Sardegna (in Italia, nel mondo), per come la vedo io, ci sono tante identità, in cui alcune volte mi riconosco e altre no. Faccio continuamente le mie scelte "identitarie", le rinegozio tutti i giorni. Ma la Sardegna non esaurisce il panorama delle mie scelte identitarie, per fortuna.
No, proprio non mi pongo il problema di incasellarmi in una sola identità.
Questa storia che "noi sardi" siamo diversi mi fa un tantino sorridere: lei parla di lingua, ma dimentica che il sardo è la continuazione diretta del latino, la lingua portata dai romani in mezza Europa (i baschi cosa sono, allora? marziani, visto che parlano una lingua isolatissima e antichissima). In ogni caso, io uso ogni giorno l'italiano, non il sardo: senza conflitti con me stesso. Dei miei geni, poi, so pochissimo: mi sento uguale ai veneti, ai polacchi e agli svedesi, in ogni caso. Cavalli Sforza non interferisce con la mia esperienza quotidiana.
Per come la vedo io, poi, il concetto tradizionale di nazione è un tantino ammuffito: forse le sembrerà retorica, ma la mia nazione è il mondo.
Infine, penso che alimentare questo mito delle piccole identità e delle piccole patrie non giovi a nessuno (forse a Bossi).
Salute, Andrea

Unknown ha detto...

Per Andrea: Il mito delle piccole patrie non è affatto mitologia, dalla fine della guerra fredda ad oggi c'è una consistente ripresa dell'etnonazionalismo mondiale che ha messo in crisi lo stato-nazione classico. Questo non lo dico io o Bossi, lo dicono svariati studiosi, storici ed osservatori internazionali. Nello stato italiano lo disse persino Cossiga al Senato...Durante la guerra fredda le piccole patrie non potevano emergere rispetto alle sfere di influenza ed erano obbligate a sottostare. Con la fine del bipolarismo mondiale le piccole patrie hanno ripreso democraticamente la loro voce, soprattutto in occidente. Ma è un processo recente, di neppure 20 anni, occorrerà ancora tempo per raffinarlo e vederne i successi. Se pertanto la Nazione, come ho affermato nel primo intervento, è solo la proiezione della coscienza di una collettività che si identifica in un insieme di elementi propri e territoriali: la stessa dall'etnonazionalismo moderno non viene affatto vista come un sentimento di rivalsa conflittuale verso un'altra identità e neppure come un qualcosa di contrastante con il "villaggio globale". Cittadini del mondo quindi sì, ma ben coscienti di chi siamo, cosa siamo e da dove proveniamo. Il nazionalismo moderno insomma (come dimostrano alcuni indipendentismi europei) non è affatto in contrasto col mondialismo (in senso culturale), nè è un sintomo del buio nazionalismo del passato. In Sardegna abbiamo una serie di elementi che impediscono di concepire questo pensiero, ad esempio il nazionalismo no-global di SNI, ancora in ritardo rispetto ad un nazionalismo di successo che altrove sta emergendo. Il non-nazionalismo di IRS (prodotto della subcultura italiana di sinistra). E l'azionismo, anch'esso prodotto italiano dell'era unificatrice Mazziniana. In tutto questo marasma è ovvio che se nessuno tutela a dovere politicamente il ns nazionalismo, l'identità italiana avanza sul terreno della coesione sociale: Scuola, Mass-media, etc. Il tutto inibisce nel cittadino la comprensione della sua origine. E' poi vero che ogni identità spesso è la sintesi di passate identità, ma le nazioni nascono anche così. Quì entra in campo anche la sociologia, se nei media tutti i giorni sentisse il sardo, se vi fossero squadre di calcio sarde, se suo figlio studiasse Angioy a scuola e ne parlasse quando rientra a casa...la sintesi di tutto ciò la porterebbe a riconoscersi con maggior rilevanza nella Sardegna. - Adriano Bomboi