venerdì 29 febbraio 2008

Lunedì esce alla luce la nuova scritta nuragica

Lunedì prossimo, alle ore 17, a Santa Cristina di Paulilatino, la nuova scritta nuragica di cui su questo blog ho già parlato sarà presentata al pubblico. Lo farà il professor Luigi Sanna in una conferenza stampa, promossa dal sindaco di Paulilatino, Domenico Gallus e dall'assessore alla cultura.
Sanna illustrerà, con l'aiuto di diapositive, il significato dei grafemi (la cui foto qui torno a pubblicare) e spiegherà perché ritiene nuragica la scritta, incisa con la tipologia di scrittura protosinaitica e protocananea di origine palestinese. Durante la conferenza, il professor Sanna collegherà anche il tenore dell'iscrizione con il toponimo del sito archeologico, poco distante dalla capanna che ospita la scritta e la cui foto trovate qui sopra.
La capanna e l'iscrizione sui massi di basalto sono state scoperte da due donne paulesi, appassionate di archeologia. Il loro nome sarà rilevato nel corso della conferenza stampa che, al di là della sua definizione, è aperta a studiosi e appassionati.
La notizia del ritrovamento della scritta nuragica ha fatto il giro del mondo, interessando, fra l'altro, frequentatori di questo blog dall'Argentina agli Stati uniti, dal Canada all'Italia oltre che, va da sé, dalla Sardegna. Ho ricevuto moltissime lettere, per lo più scettiche, come è ovvio, essendo noi tutti abituati a formarci un'opinione sulla base delle comunicazioni ufficiali che, lo sappiamo, sono a volte reticenti, altre volte supponenti.
Personalmente, non ho una sufficiente attrezzatura culturale per sapere che cosa ci sia di autentico in questa scoperta e in altre - penso al ritrovamento di scritture etrusche ad Allai - che si vanno facendo in giro per la Sardegna. Con molta modestia, ho però la convinzione ferrea che non si possa dire aprioristicamente, come è abitudine dell'Accademia, che una cosa non è vera, solo perché non torna con le certezze solidificate.

giovedì 28 febbraio 2008

C'è qualcosa di nuovo nella politica sarda, anzi d'antico

La cultura di centrodestra, salvo pochissime eccezioni e mai sui mass media, in Sardegna non si esprime sul rapporto tra Regione sarda e Stato italiano. Lo fa la politica, a volte per criticare o condannare l’acquiescenza del centrosinistra alle scelte governative, a volte – come ultimamente – per appoggiare una proposta di pieno autogoverno del popolo e della Nazione sarda.
Sul piano culturale, dunque, il dibattito interessa la intellettualità di centrosinistra e quella nazionalista. Dibattito è parola inappropriata, visto che l’intellighentsia di centrosinistra, sempre molto autocontemplativa, non dialoga: asserisce. Non prende in considerazione le posizioni degli intellettuali nazionalisti, fosse solo per criticarle, semplicemente le ignora. Chi ha la verità non sente bisogno di verificare le sue certezze con gli altri. Se no che verità sarebbe.
Grazie all’unico quotidiano, La Nuova Sardegna, che di queste cose si occupa con una certa regolarità (l’altro, L’Unione sarda, si occupa quasi solo d’altro), gli intellettuali di centrosinistra hanno la possibilità di disegnare la loro Sardegna del futuro nella quale è messa al bando l’identità. Non è un caso che lo stesso giornale ha eletto a rappresentanti nel mondo della Sardegna letteraria i più fieri denigratori dell’identità: i Fois, i Soriga, i Tedde, le Pitzorno. Di questa vi consiglio di leggere un testo, compreso in un libro, esaltato dal giornale e pubblicato anche nel mio sito.
Naturalmente, e indipendentemente dalle loro simpatie o militanze politiche nel centrosinistra, non sono compresi nei rappresentanti della letteratura sarda i tanti scrittori in sardo, magari veltroniani o socialisti ma col difetto di essere “identitari”.
Senza che i più se ne accorgessero - e con una accelerazione coincidente con il sentire urgente un nuovo Statuto di autogoverno - la cultura (la politica non ne è ancora pienamente consapevole) sta disegnando una società in cui la divisione passa non tanto fra centrodestra e centrosinistra quanto tra nazionalismo grande-italiano e sardità, variamente coniugata in autonomismo, federalismo, nazionalismo.
Ultimamente, con il garbo che lo contraddistingue, Salvatore Mannunzu ha sostenuto sulla Nuova che lo Statuto sardo deve essere adeguato alla Sardegna del XXI secolo, nel quale adeguamento, pare di capire, lo scrittore ed ex parlamentare del Pci non comprende il fatto che oggi esiste un diritto dei popoli all’autodeterminazione (sia pure nel rispetto dell’integrità della Repubblica) che nel febbraio del 1948 non esisteva. E per Mannunzu tutto o quasi deve essere giocato sul terreno dell’abbandono dell’identità.
La sociologa Antonietta Mazzette, sempre sulla Nuova, sostiene intanto che “l’uso del termine identità associato a specialità deve essere cauto e potrebbe persino risultare dannoso se riferito ad un ipotetico (sic) passato più o meno mitizzato”. Comunque sia, se di nuovo Statuto si deve parlare, tutto deve fondarsi sulla insularità e sulla qualità ambientale. La specialità della Sardegna, insomma, sia fondata – se proprio non se ne può fare a meno – sulla geografia e sull’ecologia, ma non su l’identità e, dunque, la lingua, la cultura, il sentimento nazionale.
Nulla di male, se prendessimo atto, tutti quanti, che i termini della battaglia culturale, politica e oggi elettorale, sono questi: una difesa della dipendenza da una parte, la volontà di autogoverno dall’altra. Qui, sinistra, centro, destra non c’entrano proprio: tutti e tre specchietti per le allodole. Le quali, come si sa, una volta abbacinate finiscono in padella.

mercoledì 27 febbraio 2008

E tu, per quale principe di Madrid parteggi?

Vista da qui, dalla nostra Isola, la campagna elettorale appena cominciata presenta una interessante chiarificazione in materia dei futuri rapporti tra il popolo sardo e quello italiano e fra la Nazione sarda e lo Stato italiano. Temo, purtroppo, che, tuttavia, questa chiarificazione a poco servirà alla stragrande parte degli elettori sardi che sono abituati (perché sono stati abituati) a ragionare in termini di schieramento.
Come capitava ai tempi della dominazione spagnola, quando eravamo spinti a parteggiare per questo o quel principe della corte di Madrid, oggi sembra appassionarci più la battaglia di Berlusconi e di Veltroni (e scaramucce collaterali) che il contenuto sardo di quella battaglia. Noi che mettiamo sei ore per andare in treno da Olbia a Cagliari, dovremmo appassionarci delle vicende della Tav subalpina; noi che non abbiamo un chilometro di autostrada dovremmo dividerci fra chi vuole il ponte sullo stretto di Messina e chi non lo vuole. E scegliere su quasta base a chi votare. Una follia.
Mettiamo a parte, per un momento, i programmi elettorali che in qualche modo coinvolgono la Sardegna: una politica di diminuzione delle tasse è cosa che ricade anche su di noi, così come una politica del lavoro assistito o una di liberalizzazione del mercato del lavoro. E pensiamo, per un attimo più lungo (perché qui c'è il nostro futuro come popolo) alla filosofia dei due grandi schieramenti, al loro concetto dei rapporti tra Regione sarda e Stato italiano, componenti equiordinate della Repubblica italiana. Equiordinate, e cioè messi sullo stesso piano di dignità istituzionali, li prevede il Titolo V della Costituzione.
La lista dei provvedimenti del governo Prodi e dei disegni del Partito democratico, gli uni e gli altri tesi a rompere quell'equiordinamento e a stabilire una subalternità della Regione sarda allo Stato italiano è molto lunga e inquietante.
Cominciamo dall'ultimo provvedimento, reso noto in queste ore: quello con cui Prodi sospende i poteri del Parlamento sardo, della Giunta e del suo presidente sull'Isola sarda della Maddalena. Guido Bertolaso avrà, in vista del G8 dell'anno venturo, i poteri di un governatore in colonia. Potrà sospendere sull'Isola le leggi del Parlamento sardo, derogare dalle norme urbanistiche, e così via. Questa decisione sarebbe di una insultante gravità in sé e per sé, ma il fatto è che essa segue la bocciatura della legge del Parlamento sardo che introduce il concetto di "sovranità del popolo sardo" e quella che norma la cosiddetta tassa sul lusso. Entrambe leggi che presentano deficit di cultura politica, è vero, ma leggi approvate dal Parlamento eletto dal popolo sardo che, solo, un domani dovrebbe poter modificare o abrogare.
Incidenti? Mattane di funzionari malati di giacobinismo (se mai sapessero che cosa significa), incautamente adottate dalla politica? Difficile crederlo perché sangue e carne della filosofia che li sottendono. Qualche giorno fa, Luciano Violante, con la supponenza di chi si sente in graziosa visita ai sudditi, è venuto nel Parlamento sardo non a sentire di che cosa i sardi hanno bisogno ma a dire di che cosa i sardi hanno bisogno. Certo non di una "micro-costituzione", certo non di "un nuovo statuto" che è "più una necessità delle forze politiche che dei cittadini". Come dire che in colonia i politici locali si possono anche trastullare con disegni di riforma, ma quando alla plebe passi pane e mortaledda, basta e avanza.
Violante viene a dire queste sciocchezze a un Parlamento che, fra mille contraddizioni, timori, reticenze (le quali comunque sono cose che riguardano noi sardi), da anni discute come cambiare il vecchio Statuto per farne uno nuovo. Un difetto di carattere? Magari.
Il suo capo, Walter Veltroni, non è da meno con i suoi appelli granditaliani e con la condanna dell'unico fatto politico di grande rilevanza in direzione del federalismo (parlo della forma, non della sostanza che ancora non si conosce): la partecipazione al voto di una formazione nordista e di una meridionale. Dietro questa condanna non c'è una legittima e forte critica ad uno schieramento avversario: c'è l'avversione a forme sostanziali e visibili di federalismo. È la prosecuzione della battaglia, scatenata e vinta, dal centro-sinistra contro la pur timidissima riforma federalista della Costituzione, bollata come anticamera della dissoluzione dell'unità della Repubblica. I provvedimenti del governo Prodi, i pronunciamenti di Violante e di Veltroni, insomma, sono dentro la concezione giacobina, centralista, anti federalista e, in definitiva, antiautonomista del Partito democratico.
Che cosa ci sia nell'altra parte, il centrodestra, su queste questioni, al momento è difficile dire. Solo so che ha approvato una riforma della Costituzione in direzione di un timido federalismo, non tanto timido, però, da scansare l'accusa di attentato all'unità della Repubblica da parte del centro sinistra. E so che, qui in Sardegna, il centrodestra ha fatto propria, difeso nel nostro Parlamento ed è pronta a difendere nel Parlamento italiano, la proposta di iniziativa popolare di una Costituzione sarda. Una Costituzione che dispiacerà moltissimo ai Violante e soci e che al primo suo articolo dice:
"Il popolo sardo, il territorio della Sardegna e delle sue isole, il mare e il cielo territoriale, l'ambiente, la lingua, la cultura e l'eredita_ culturale, materiale ed immateriale, della Sardegna costituiscono la Nazione sarda.
"In quanto Nazione, la Sardegna esercita il proprio autogoverno costituendosi in Regione autonoma speciale, in armonia con la Costituzione repubblicana e con la presente Carta fondamentale, e nel rispetto dei principi che si ispirano alla convivenza fra i popoli dell'Unione europea.
"I poteri della Regione autonoma derivano dal popolo sardo e sono esercitati nel rispetto dello Costituzione sarda e dei principi fondamentali della Costituzione repubblicana, in armonia con la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo."
Se poi, noi sardi vogliamo continuare a dividerci non sui nostri interessi, ma su quelli dei principi alla Corte di Madrid, questa è l'occasione giusta.

martedì 26 febbraio 2008

La Nuova? Che a sos istrutzos

In su Cussìgiu regionale, eris si sunt festados sos 60 annos de s'Istatutu sardu. In prus de sos arresonos fatos dae sos istràngios (carchi unu modestu mancari chi espertu in contu de istatutos e de costitutziones, unu, Violante, còmpridu a Casteddu pro nos nàrrere ite podimus e ite non podimus fàghere), s'est arresonadu finas de sa proposta de Carta de Logu nova de sa natzione sarda. Est una proposta, amaniada dae unu Comitadu chi la cheret cunfrontare cun su pòpulu sardu pro chi la mudet, si cheret, e la firmet si est de acordu.
Nd'ant faveddadu, in prus de sos chi apògiant s'initzitiva, su presidente de su Parlamentu sardu e su presidente de su Guvernu sardu. S'unu narende chi sa proposta est dinna de èssere leada in cussideru dae su Parlamentu de sos sardos, s'àteru critighendela, comente est deretu suo. Su fatu istat, si nd'est arresonadu.
In una pàgina integra dedicada a su dibàtidu, La Nuova Sardegna de oe est resessida a mancu numenare sa cosa. No naro pro nde faveddare in bonu, ma mancu pro contare su chi aiat naradu Spissu e Soru.
E gasi, sos letores de sos àteros cotidianos, ant ischidu ite fiat capitadu. Sos de La Nuova, nono. Su chi no est contadu, no esistit: e "il grande fratello" at leadu su pessu chi no b'esistit chi Soru, Spissu e sos àteros apant faveddadu de sa proposta de Costitutzione de Sardigna.

sabato 23 febbraio 2008

Kosovo e razionalità. Anzi raziocinio

Nei blog e nei forum dedicati alle vicende del Kosovo, si incontrano posizioni in sé legittime (pro o contro la sua indipendenza) e una quantità industriale di voli pindarici, in quanto tali slegati da qualsiasi forma di razionalità e di logica. Che i vedovi del comunismo reale e ideologico siano contrari allo Stato kosovaro è cosa scontata, che i filo-americani gli siano favorevoli è altrettanto scontato.
Ciò che è sconcertante - e schiziode - è che tra i contrari alla decisione del Parlamento di Pristina ci sia parte di quanti spendono la loro passione per l'affermazione dei diritti del proprio popolo all'autodeterminazione. La loro avversità muove da un sillogismo incredibile: a) io sono avversario dell'imperialismo americano; b) gli Stati uniti sono fra i padrini dell'indipendenza kosovara; c) Quindi l'indipendenza del Kosovo è cosa cattiva perché sponsorizzata dagli Usa.
Se gli antimperialisti più vecchi avessero sragionato così, l'indipendenza algerina, voluta fortemente dagli Usa e dalla Cia in dispetto della Francia gollista, non avrebbe avuto il loro appoggio e sostegno. Ciò che non avvenne, naturalmente. Ma ecco l'invenzione nuova: il kosovaro non è una nazione - può darsi - né un popolo. Grande sciocchezza, quest'ultima.
Se ci si abituasse ad appendere i concetti a principi universalmente accettati e condivisi, si eviterebbe di appenderli ad ideologismi magari auto-consolatori ma per lo più inconsistenti.
Per dire, la gran parte dei sardi, io fra di essi, sostengono di essere un popolo distinto e una nazione distinta dall'italiana. Sulla prima definizione - che è quella che interessa al diritto internazionale - c'è un riconoscimento costituzionale italiano, visto che lo Statuto sardo (parte della Costituzione) affida al "popolo sardo" (art. 28) niente meno che l'iniziativa legislativa. La seconda questione, quella della nazione sarda, la cosa è più controversa: né nel diritto internazionale né in quello costituzionale italiana né, forse, nel diritto europeo (che riconosce Catalogna e Euskadi, Fiandre e altre nazionalità) la consistenza nazionale della Sardegna è riconosciuta.
Noi sardi della circostanza poco ci preoccupiamo e abbiamo ragione: la nazione sarda esiste perché i sardi lo dicono, non perché - per ora - è riconosciuta legalmente.
E io, nazionalista sardo, assertore non solo dell'esistenza del popolo sardo ma dei suoi diritti internazionali, dovrei dire dei kosovari che non sono un popolo in odio all'imperialismo americano che, invece, lo riconosce? Non c'è da vergognarsi di questa prosopopea? Le scimmie di Kipling ripetevano: "Noi siamo le più intelligenti perché da secoli lo ripetiamo a noi stesse" e lo stesso non dicevano delle altre scimmie della giunga.

martedì 19 febbraio 2008

I Milosevic in salsa italiana

In Italia è in atto, con andamento carsico, una campagna poltico-culturale tendente a cancellare le regioni a statuto speciale della Repubblica italiana. Forse per semplice ignoranza, forse per qualcosa di peggio, gli attori di questa campagna dimenticano che cosa è successo nei vicini Balcani quando Slobodan Milosevic decise di revocare l'autonomia, anch'essa in qualche modo speciale del Kosovo.
Qualche giorno fa, Rai 1, la trasmissione Radio city ha convocato due politici titolari di altrettante proposte di abolizione dei cinque Statuti speciali e un inconsapevole assessore del governo sardo che non è stato in grado di difendere la specialità della Sardegna se non per un generico gap di sviluppo.
La tesi di Raffaele Costa e di Tina Grassi, sostenitori della cancellazione, è che le cinque specialità, se pure ebbero un senso dopo guerra, oggi non ne hanno più. Il tutto involto in un economicismo che avrebbe fatto impallidire il più trinariciuto dei vetero marxisti: oramai le cinque regioni vivono una situazione economica non dissimile da quella esistente nelle regioni ordinarie e quindi...
Su tutti, troneggiava un certo Mensurati, intervistatore tanto pieno di sicumera quanto vuoto di conoscenze (per dirne una: sentenzia che gli statuti speciali non devono essere sottoposti al controllo di chicchessia, ignorando che gli statuti speciali sono approvati dal Parlamento italiano con procedura costituzionale).
Si dirà: pareri senza influenza sulla gestione della politica. Mica poi tanto vero: il governo Prodi, dopo aver bocciato una legge del Parlamento sardo sulla Consulta per lo statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo, dopo aver bocciato la cosiddetta Tassa sul lusso (brutta legge, ma approvata in regime di autonomia speciale), si appresta a bocciare la legge friulana di tutela del friulano.
Le tentazioni di scuola milosiviciana, insomma, ci sono e non si limitano a quei pochi ignoranti, convinti davvero che gli statuti speciali spettavano a Sud Tirolo, Valle d'Aosta, Friuli, Sardegna per equilibrare economie e non perché si tratta di minoranze nazionali e linguistiche. Minoranze che godono del diritto internazionale - recitano i patti dell'Onu - a decidere "liberamente del loro statuto politico" e a perseguire "liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale": godono, insomma del diritto all'autodeterminazione. Finché la Repubblica italiana garantisce, sia pure sotto forma di "autonomia speciale", il rispetto di quel diritto, la convivenza è possibile e auspicabile. Altrimenti la lezione del Kosovo potrebbe essere assunta come dimostrazione del possibile.
Questi inconsapevoli, e un po' sciocchi, personaggi farebbero cosa utile a se stessi se, prima di parlare, si informassero sulle radici del processo che domenica è sfociato nell'indipendenza del Kosovo.

Un'altra scrittura nuragica

Chi l'ha vista ed esaminata, il professor Luigi Sanna, non ha dubbi: la scritta che compare su un masso è protosinaitica pittografica acrofonica. Qualcosa che, dalle parti del Negev, si usava intorno al XIV-XIII secolo aC. Il fatto è che il masso si trova in qualche posto in un paese dell'Oristanese ed è con tutta evidenza nuragico. E dimostrerà che i nostri antichi, intorno al 1200-1300 aC, sapevano scrivere. Che cosa, si vedrà.

Il ritrovamento, che presto sarà sottoposto all'attenzione della Soprintendenza, può essere letto in almeno due modi. Il primo è che quella scritta certifica la discendenza semitica dei sardi, dando dunque ragione a chi sostiene che veniamo dal Medio Oriente antico. Il secondo è che, in quell'epoca lontana, quando gli Shardana scorrazzavano per i mari, i sardi hanno imparato la scrittura protosinaitica e l'hanno usata per le loro comunicazioni interne. In un modo o nell'altro, se e quando si accerterà che cosa è la scritta sul masso, la storia della Sardegna non sarà più la stessa.

venerdì 15 febbraio 2008

E per far dispetto alla moglie...

Quelli che a destra e al centro (ma anche a sinistra) sono contenti della bocciatura della legge sulla cosiddetta "tassa sul lusso" da parte della Consulta, mi fanno tornare in mente quel tale che per far dispetto alla moglie si evirò. E' pur vero che l'opposizione (che sia esterna o che sia interna alla maggioranza) di solito gioisce delle difficoltà dell'avversario, ma c'è un limite nella condivisione di alcuni principi fondanti una società.
Quelli che stanno alla base della società sarda sono dentro la difesa strenua dell'autonomia, sia che si intenda nel suo significato di sovranità sia che la si consideri come prodotto storicamente dato. La prima è il meglio, il secondo è il minimo concepibile per un popolo in sé come il sardo. In ogni caso è il punto di riferimento della coscienza che i sardi hanno di se stessi.
E' avvenuto che il Parlamento sardo, secondo molti e me con loro, ha approvato una legge sbagliata. Doveva essere lo stesso Parlamento, in una legislatura diversa da questa, a cambiarla o ad abrogarla. Il governo dello Stato poteva rispettare l'autonomia sarda o infangarla. Ha scelto quest'ultima strada, sfruttando, per altro, il fatto che la maggioranza di governo in Sardegna e i partiti che la sostengono avevano bocciato - e chiamato i sardi a fare altrettanto - la pur timidissima riforma costituzionale parafederalista. Cosa che è avvenuto, segnalando allo Stato centrale che la maggioranza dei sardi che allora votarono, di un'autonomia comunque più radicale non sapeva cosa farsene.
La Corte costituzionale - oggi e qualche mese fa quando cassò "la sovranità del popolo sardo" - si è mossa perché il governo l'ha chiamata in causa. Non lo avrebbe fatto se non sollecitata. La responsabilità è dunque del governo di Roma.
E veniamo al dunque: il centro destra che ha accolto con favore questa sentenza, perché danneggia Soru, ha un atteggiamento schizoide: gode perché il governo romano avversario, che ha fatto di tutto, riuscendoci, ad abbattere ha sì sbugiardato Soru ma ha anche avvilito l'autonomia sarda. Quella parte della sinistra che, più a mugugni e meno con chiarezza, è soddisfatta del colpo inferto a Soru, sempre meno sopportato, non è tanto schizoide quanto adepta alla scuola del tale che per far dispetto alla moglie, etc etc.
In ogni caso, quel che sparisce ed affonda è un ceto politico del tutto inconsapevole ed inadeguato a reggere le sorti di una nazione che ha nel suo Dna lo status di Autonomia.

lunedì 11 febbraio 2008

La stele di Nora nella sua nuova casa

Eccola la stele di Nora nella sua nuova casa fuori Sardegna. Ben sistemata all'ingresso del Museo parigino che la ospita, in una mostra sui fenici, fa un bell'effetto. Come molte delle cose sarde, anch'essa dà il meglio di sé quando è in ambienti stranieri, lontana, insomma, dalla disistima che la circonda in casa.
Se un domani, finito lo scandaloso gioco di occultamenti che le circonda, le statue di Monte Prama dovessero prendere a viaggiare prima in Sardegna e poi nel mondo, farebbero anche essa la loro bella figura. Magari si chiederebbero, nel mondo, perché una civiltà capace di produrre, intorno al Mille avanti Cristo, tanta bellezza sia stata sostanzialmente nascosta. Non è per il gusto di malignare, ma chi sa che non sia proprio per questo che le statue di Monte Prama sono ancora nei magazzini o, al massimo, nel Museo Archeologico di Cagliari, poveri militi ignoti di una civiltà che - dice qualche feniciomane - sentì il bisogno di scolpire quelle statue per segnalare ai dirimpettai fenici che anche essa, la civiltà nuragica, sapeva fare cose.
Contentissimo della bella figura che la nostra stele sta facendo oltralpe. Rimane inevasa la domanda di sempre: la Soprintendenza ha mai avvertito il governo sardo che aveva intenzione di spostare dei beni culturali dei sardi all'estero?


giovedì 7 febbraio 2008

Un Renato Soru come non l'avete mai conosciuto

Bachisio Bandinu e Salvatore Cubeddu, in questo bellissimo saggio che si legge come un appassionante romanzo, si cimentano con la "Fenomenologia di Renato Soru". Non danno giudizi sul presidente della Regione sarda, che una pessima subalternità anche semantica chiama "governatore", ma lo descrivono, seguendo le tracce del suo pensiero politico e culturale e delle sue azioni.
Ne esce un ritratto originale che, se mette a pensare i suoi avversari troppo sicuri di una sopraggiunta sua impopolarità, è destinato a creare più di una preoccupazione nei suoi, spesso inconsapevoli, alleati di centro sinistra. Certi, questi ultimi, di potersi sbarazzare, una volta terminata (naturalmente o prematuramente) la legislatura, di questo "curioso" e unico fenomeno politico. E un po' imbarazzante.
Le scelte affrettate nel circondarsi di consiglieri culturali pescati nel mondo del vetero marxismo e del neo giacobinismo sardo, lo scontro con un industrialismo imposto che intuisce corpo estraneo eppure necessitato a tentar di salvare, la tentazione di razionalizzare la Sardegna come si trattasse di un'azienda, la sua partecipazione ideale ad una cultura indigena che vorrebbe trasformare in motore di crescita e che, invece, politica e intellettualità disprezzano.
Queste alcune delle linee guida dello studio di Bandinu e Cubeddu della fenomenologia di Renato Soru. Al di là di una qualche simpatia per gli aspetti identitari dei suoi pensiero e azione politica, non c'è, dicevo, alcun giudizio politico né assolutorio né sanzionatorio, come è ovvio in un saggio di tanto respiro. "Soru e il sorismo" è edito dalla Casa editrice Domus de jana.

mercoledì 6 febbraio 2008

Pro una universidade sarda in Nùgoro

Su presidente de sa Banca de Roma e in tempos colados de su Cis, Paolo Savona, canteddu brullende e canteddu a sa sèria, at propostu chi si b'at de nche iscantzellare universidades in Sardigna non devet èssere sa de Nùgoro, comente pariat a puntu de capitare. Siant prus a prestus sas de Casteddu e de Tàtari a s'imbèrghere. S'Universidade de Sardigna siat in Nùgoro, at naradu Savona isterrende unu bene de resones.
E si, a s'imbesse de brullare, sa cosa la pigamus a sa sèria, non pro mòrrere sos duos Ateneos mannos, craru, ma pro fàghere a beru de sa de Nùgoro s'Universidade de Sardigna e de su Mediterràneu?
In Nùgoro, pro nàrrere, cuntzentrare sas facultades chi s'interessant a sa linguistica sarda, sas chi istùdiant sas maladias mediterràneas, sas chi s'òcupant de veterinària, masseria e pastoriu...
Pro arresonare de custas chisiones, unas dies faghet, apo abertu un'arresonu in "politica on line" cun su tìtulu S'Universidade sarda in Nùgoro. Finas a oe ant lèghidu sos arresonos prus de 700 pessone e sunt intervènnidos prus de novanta. Unu singiale bonu de s'interessu chi tenet sa chistione de tènnere in Sardigna una univesidade acurtzu a sos sentidos de sos sardos.
Nùgoro, comente Corti in Còrsica, est unu logus de identidade, un'amentu de sa genia nostra gasi comente est Aristanis e s'istòria longa sua de sea de un'istadu indipendente. Beru est chi sos sìmbulos non sunt totu in sa bida de una terra che a sa Sardigna. E però agiudant a tènnere isperu. O no?

venerdì 1 febbraio 2008

"Razionalizzare" i beni archeologici? In giro puzza di bruciato

Una delibera del governo regionale, la 50/24 dell'11 dicembre scorso, è passata inosservata ai più fino a quando una cooperativa olbiese, che si guadagna il pane con la valorizzazione dei beni archeologici, non ha lanciato l'allarme. Lo ha fatto con il sindaco della città, preoccupato dagli effetti che la delibera potrebbe avere.
La parte del documento regionale che preoccupa è questa: "La continuità ai servizi in essere (quelli delle società che valorizzano i beni archeologici, NdR) verrà garantita fino al 30.5.2008 al fine di dare corso alla razionalizzazione e ottimizzazione del sistema regionale di gestione, attraverso l'indizione di otto bandi pubblici territoriali per la individuazione di non più di otto società di gestione capaci di assicurare la qualità dei servizi secondo gli standard definiti dal Piano regionale...".
A parte che, quando si sente parlare di "razionalizzazione e ottimizzazione", chi sa perché?, si pensa prima di tutto a nuovi disoccupati , è davvero congruo utilizzare questi termini aziendalistici quando si parla di organizzazione e gestione della cultura? Ma c'è un sospetto che potrebbe persino essere utile alla Regione, nel momento in cui elaborerà gli otto bandi, per fugarlo. Il sospetto è che si voglia favorire l'ingresso di società consolidate, ben dotate di capitali e di capacità di investire, naturalmente vocate al profitto, pardon alla razionalizzazione e ottimizzazione, magari con alle spalle sistemi museali forti.
Società che, sempre per rispettare il mandato di razionalizzare e ottimizzare, trasformino in salariati gli operatori culturali che oggi gestiscono siti archeologici e musei. Naturalmente, potrebbe dire chi si sente ingiustamente sospettato, la miriade di piccole e medie società sarde possono mettersi insieme nelle otto province per vincere gli appalti. Ma possono bastare i cinque mesi concessi dalla Regione per creare otto società di operatori culturali capaci di battere le società che, capitalisticamente parlando e conoscendo ovviamente la delibera, si sono già attrezzate per vincere?
Domande retoriche, va da sé. Vorrei sbagliarmi, ma la fine di questa storia è già scritta.