Sfuggendo all'obbligo, che non sento
mio, di dover mettere la mia bandierina in una tanca, per di più
accatastata da capi partito che stanno oltre il mare, mi posso
permettere di chiedere a tanti amici indipendentisti, sovranisti e
nazionalisti: “Voi che ritenete impresentabile il centrodestra
isolano, è perché reputate invece presentabile il centrosinistra
isolano, o c'è un'altra ragione?”. Lo chiedo a loro, perché
immagino che non dovrebbero scandalizzarsi come al contrario fanno
gli opposti portatori sani di verità rivelate. In questi anni di
odi, antropologicamente fondati su un bipolarismo binario, una
domanda del genere susciterebbe altrove stupore e incredulità. Ma
come? Non ti rendi conto che la destra (o la sinistra) è il bene vs
il male, la verità vs l'errore, e reciprocamente?.
Quanti, come gli abitanti del mondo
sardista, dovrebbero essere indifferenti alla lotta dei principi
castigliani nella corte di Madrid dovrebbero anche poter rispondere a
quel quesito. Insomma, per un progetto di liberazione della Sardegna
dalla dipendenza (soprassediamo al momento sullo sbocco
istituzionale, confederalismo, sovranità, indipendenza), è utile
appoggiare una delle fazioni nella guerra di successione al governo
italiano, o sarebbe più utile allearsi non tanto con una delle
fazioni quanto con chi, all'interno delle fazioni, condivide quel
progetto di liberazione? Mi ha stupito il silenzio imbarazzato del
mio mondo – quello latamente sardista, voglio dire – di fronte
alla mossa di Ugo Cappellacci che non solo ha diffidato e messo in
mora il governo italiano sulla questione vitale delle entrate, ma lo
ha fatto utilizzando anche la lingua sarda comune, lo standard
diplomatico usato nel passato solo da Renato Soru per delibere
regionali. È un'avanzata positiva, passare dall'uso del sardo per
documenti interni alla Regione a quello per rapporti inter-nazionali,
quale che sia, ovviamente, la consapevolezza che di ciò abbia avuto
il presidente della Regione.
Perché trovo imbarazzato, e forse
imbarazzante, il silenzio dei partiti e dei movimenti
indipendentisti, nazionalisti e nazionalitari? Perché ci leggo
l'impaccio del dover ammettere che a destra si muove qualcosa di cui
la sinistra non è capace. Ci leggo un disagevole dubbio: e se
risultasse che la destra in Sardegna, defascistizzata e liberatasi
dalla mitologia patriottarda e unitarista, avesse in testa una
sovranità sarda? Certo, anche a sinistra, con Sinistra ecologia e
libertà (Sel), è in atto un processo di avvicinamento ai temi della
sovranità, sconfessato e vilipeso dall'altra sinistra. Ma a nessuno,
credo, sfugge che se davvero i moderati si accingono alla svolta
sardista che l'atto di Cappellacci fa presagire e gli annunci di
Beppe Pisanu riempiono di credibilità, ci sarebbe davvero un bel
dilemma: partecipare al governo della Sardegna con idee sovraniste o
rendere testimonianza insieme a una élite della sinistra conquistata
a queste idee.
So che una parte, non grande per la
verità, del già modesto schieramento indipendentista più radicale
non è indifferente alla seduzione di un accordo con il Pd, o meglio
con la parte del Pd che vorrebbe ripetere con Renato Soru il
tentativo di sardizzare il partito. L'ex presidente della Regione è
l'unico, in quello schieramento – che, va ricordato, ha avuto altri
quattro presidenti di Regione – ad aver dato prova di pensiero
autonomista soprattutto in fatto di lingua sarda. Ed è, questa, una
moneta spendibile anche se contrasta proprio con gran parte della
intellighenzia universitaria e non solo del suo schieramento. Il
problema che si pone al complesso del mondo sardista non è di facile
soluzione. Ha una attrazione fatale per la sinistra e una ripulsione
per la destra, entrambe molto ideologiche, soprattutto oggi che
sinistra e destra si confondono in un governo. Tanto è ideologica
che rimuove dal suo immaginario politico il neo-giacobinismo della
prima e non riesce a tollerare i contorcimenti, anch'essi
neo-giacobino, della destra. Come i suoi partner ideali, Sel e Pd,
questo mio mondo giudica irricevibili e privi di credibilità i
segnali di svolta della destra sarda, ma è disposto a chiudere un
occhio sull'appiattimento del Pd sul governo italiano, certo non meno
grave dei “rapporti gelatinosi con il governo Berlusconi” che
sono rimproverati a Cappellacci.
Questi atteggiamenti del passato
rendono – dice il segretario dei Democratici, Lai – non credibile
la politica del presidente regionale. Giudizio assolutamente
scontato, visto che viene dall'opposizione. Meno scontato è che
definisca “iniziative folcloristiche” l'uso del sardo nei
rapporti con il governo italiano. Lo sarebbe, scontato dico, se
Cappellacci avesse scimmiottato un corretto uso del sardo da parte
del Pd e se, contrariamente a quando annunciato, il governo sardo
avesse usato “sua lingua” in un moto di stizza e non lo
utilizzasse più nei suoi rapporti con il governo italiano. Per ora,
che io sappia, solo Sardigna natzione ha usato e usa il sardo nei
suoi rapporti interni ed esterni. Non gli altri movimenti
indipendentisti, non i partiti nazionalitari, men che mai i partiti
italiani, a destra come a sinistra come al centro, e su e giù.
Sogno una nazione sarda normale, nella
cui società ci sia dato di poter scegliere tra una proposta
sovranista improntata a principi di giustizia sociale e una proposta
sovranista improntata a principi liberali, entrambe radicate sugli
interessi del popolo sardo anche se questi dovessero essere
conflittuali con il cosiddetto “interesse nazionale” che – lo
sperimentiamo da 150 anni – è l'interesse della sola nazione
italiana. Per ora, l'unica proposta sovranista raccoglie consensi
molto intrecciati e eretici rispetto agli schieramenti ossificati e
fra questi non ci sono quelli del Pd, di confusi riformatori, della
sezione italiana di un inesistente partito comunista internazionale e
di una frangia nostalgica.