sabato 22 settembre 2012
Unu millione
Eris note amus brincadu su millione de bisitas. No isco pro ite, ma so cuntentu
Quella insana voglia bonapartista
L’articolo
114 della Costituzione italiana afferma che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Prima del 2001, quando con i
suoi soli voti (4 in più) il centrosinistra approvò la riforma di questo e
degli altri articoli del Titolo V, la Costituzione del 1948 affermava che “La Repubblica si riparte in Regioni,
Province e Comuni”. La trasformazione non è da poco, visto che vi si
riconosce, 53 anni dopo la approvazione della Carta italiana, “una posizione paritaria a tutti gli enti
costitutivi della Repubblica” fino ad allora un quasi sinonimo di Stato. È
una affermazione che irrita, e non poco, gli adoratori del centralismo bonapartista,
fra i quali il costituzionalista Michele Ainis che oggi sul Corriere della sera si scandalizza
perché così “lo Stato ha la stessa
dignità del Comune di Roccadisotto” (fra l’altro inesistente) e parla di “sprezzo del ridicolo”.
giovedì 20 settembre 2012
Perbacco, quante cose dice quel frammento a Monte Prama
Foto dal sito Viaggi e vacanze in Sardegna |
di DedaloNur
Su invito di
rsroberto nella discussione Dalle
stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama ripropongo il
mio invito a riflettere sul frammento di scarto di lavorazione delle statue.
Questa è la notizia riportata da Rendeli, in La Profezia sul Passato p. 243-244 nota 4, da cui estrapolo il
brano seguente:
“Esiste poi una seconda via che lega il
gruppo statuario a uno spazio consacrato di carattere civile piuttosto che
funerario, più precisamente un edificio che potrebbe essere un tempio a megaron
situato a qualche centinaio di metri di distanza o, in alternativa, da
ricostruire nell’area delle tombe. Massimo Pittau, in un suo recente lavoro,
propone la ricostruzione di una aedes nella quale i cosiddetti “pugilatori”
potrebbero avere la funzione di “colonne-telamoni” (Pittau, 2008, pp. 27-30). Nel
primo caso si scioglierebbe il legame fra area funeraria e complesso statuario,
legame che C. Tronchetti e P. Bernardini ritengono molto forte e che viene
avvalorato dal rinvenimento nella tomba 6 di un frammento di scarto di
lavorazione di uno scudo: dunque appare difficile sciogliere questo nesso (4). (4):
Questa notizia, presente nel diario di scavo redatto da Carlo Tronchetti, mi è
stata ricordata da Paolo Bernardini in una sua comunicazione personale.
Ringrazio entrambi: il primo per avermi concesso, con la consueta disponibilità
e amicizia, la lettura del diario; il secondo per avermi ricordato questo fatto
e per essere stato sottoposto a una lettura di questo testo con successiva,
stimolante discussione di alcuni punti chiave del discorso.”
Difficilmente
potrò prender parte alla discussione. Quindi ribadisco preventivamente alcune
mie considerazioni.
mercoledì 19 settembre 2012
Sos Nurakes e le città nuragiche
di Mikkelj Tzoroddu
Abbiamo appreso da una scorreria sul web, come il signor Mario Galasso, che pare molto addentro alle “cose sottomarine”, riferisca d’aver notato anni addietro, a duecento metri dalla riva, di fronte all’insediamento nuragico di Sant’Imbenia, nella Baia di Porto Conte, delle strutture circolari alte qualche decina di centimetri, poste ad una profondità di m. 2,5, che gli fecero pensare ad abitati nuragici (egli li chiama capanne nuragiche). Prendiamo atto (con ritardo per nostra colpa) della segnalazione, che il Galasso dice essere stata inoltrata inutilmente alla sott’intendenza di Sassari, e noi commentiamo: povero signor Galasso, non sapeva che a dirigere quell’ufficio, pagata, ebbene sì, anche con il suo danaro, era apaticamente stanziata la sviscerata amante dei Ciprioti, altrimenti nota come Nostra Signora della Soprintendenza? Ma noi, facciamo subito nostra la notizia che riteniamo carica di conseguenze per il prosieguo della riscrittura della davvero vetusta storia del Continente Sardegna. Acquisiamo pertanto il dato del Galasso circoscritto, così come rilasciato, dai semplici dati esplicitati, però sufficienti a permetterci di affermare che: in tal caso circa nel 750 a.C., quelle strutture si trovavano allo stesso livello del mare.
Orbene, siccome il saggio uomo non costruisce nulla al livello del mare, evidentemente esso, all’atto della “posa della prima pietra”, si trovava distante da quel punto. E, siccome il Nurake è una struttura destinata a rimanere in eterno (da quel poco che abbiamo potuto capire dei Nurakes) il mare, in quella circostanza d’inizio costruzione, doveva trovarsi non semplicemente distante, ma molto distante. Ora, essendo la percezione della risalita del mare (secondo il nostro parere) molto ben presente a qualsiasi cultura umana marinara dall’Ultimo Massimo Glaciale in qua, ed in particolare negli ultimi quindicimila anni (e, aggiungiamo, soprattutto per tutta quella terra emersa che definimmo Sardegna Paleolitica nella sua sì variegata manifestazione geomorfica), era evinte ai Sardiani, che il Nurake dovesse costruirsi molto lontano dal mare, anzi e meglio, dovesse essere costruito in un luogo che risultasse molto in alto rispetto al livello del mare. E, quale poteva essere una altezza di sicurezza? Secondo un parere che abbiamo elaborato fin dalla prima occasione in cui ponemmo in essere queste elucubrazioni, non può essere meno di sette-otto metri, meglio se dieci! Consideriamo però, come ciascun sito abbia le sue peculiarità e questa non può considerarsi pertanto una regola generale.
Bene, se prendiamo il luogo nominato dal Galasso e guardiamo (sulla carta nautica) verso il mare aperto, ci accorgiamo che a circa un miglio marino (m. 1852) trovasi l’inizio del limite di profondità proprio dei dieci metri, il che significa (a nostro parere) che del complesso che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, fu iniziata la costruzione prima di 4500 anni fa. Ma, quanto prima? Beh, noi crediamo che, per la Baia di Porto Conte, una altezza sul livello del mare di assoluta sicurezza, per quei tempi, dovesse essere rappresentata dai venti metri. E, sì, il limite di tale profondità trovasi a circa 1,5 miglia marine cioè a circa m. 2778 dal punto indicato dall’ormai nostro signor Galasso. Ed, in tale corrispondenza, in termini temporali, siamo andati indietro di circa 7000 anni dall’oggi. Quindi, l’inizio della costruzione dela struttura che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, può essere avvenuta anche settemila anni fa. Con buona pace delle asfittiche intellettualità che sono ancora ferme all’adorazione dei 3500 anni fa, senza aver mai, assolutamente, effettuato una pur minima ricerca per verificare e confermare tale data: essa fu rilasciata dall’obnubilato sapere di qualcuno e fu semplicemente fatta propria da tutta quella congerie di nanetti che stettero per decenni, ma ancora sono, accovacciati ed imploranti sotto il tavolo, a nutrirsi delle poche briciole di cultura che il caso fa loro cadere addosso. Si tenga presente che nel contributo scritto per questo blog nell’ottobre 2011 abbiamo scritto, suscitando il più negligente disinteresse (chiediamo venia per il voluto pleonasmo), essere nostra opinione (che ci deriva da una precisa elucubrazione su alcuni dati molto più circostanziati di questi buttati giù in un attimo senza prenderci nessun tempo, se non per dare un’occhiata qua e là) che la datazione del primo Nurake dovesse essere posta prima di ottomila anni fa, il quale dato si avvicina, guardate un po’, a quello testé scoperto!
Ergo, il momento in cui gli incapaci immaginano di far arrivare qualche straccione da qualsiasi dove (intorno al 1000 a.C.), proprio nella progredita città nuragica di Sant’Imbenia, quel popolo Sardiano, Grande Maestro Dell’Architettura, era ivi stanziato da moltissimi secoli, forse anche quaranta!
Caro ed attento lettore, considera un po’ se questo dato (che crediamo posto molto vicino alla realtà, il quale siamo disposti a discutere (magari fosse) con chicchessia) possa ancora permettere, a quei taluni, che tu profumatamente paghi perché ti diano onesta contezza di un lavoro intelligente, ben impostato, scientificamente condotto, senza badare a soddisfare nepotismi mentali, di raccontare amenità, dannose per te e per la riscrittura della storia della tua isola, ma certo utili a puntellare i loro ormai traballanti scranni.
Abbiamo appreso da una scorreria sul web, come il signor Mario Galasso, che pare molto addentro alle “cose sottomarine”, riferisca d’aver notato anni addietro, a duecento metri dalla riva, di fronte all’insediamento nuragico di Sant’Imbenia, nella Baia di Porto Conte, delle strutture circolari alte qualche decina di centimetri, poste ad una profondità di m. 2,5, che gli fecero pensare ad abitati nuragici (egli li chiama capanne nuragiche). Prendiamo atto (con ritardo per nostra colpa) della segnalazione, che il Galasso dice essere stata inoltrata inutilmente alla sott’intendenza di Sassari, e noi commentiamo: povero signor Galasso, non sapeva che a dirigere quell’ufficio, pagata, ebbene sì, anche con il suo danaro, era apaticamente stanziata la sviscerata amante dei Ciprioti, altrimenti nota come Nostra Signora della Soprintendenza? Ma noi, facciamo subito nostra la notizia che riteniamo carica di conseguenze per il prosieguo della riscrittura della davvero vetusta storia del Continente Sardegna. Acquisiamo pertanto il dato del Galasso circoscritto, così come rilasciato, dai semplici dati esplicitati, però sufficienti a permetterci di affermare che: in tal caso circa nel 750 a.C., quelle strutture si trovavano allo stesso livello del mare.
Orbene, siccome il saggio uomo non costruisce nulla al livello del mare, evidentemente esso, all’atto della “posa della prima pietra”, si trovava distante da quel punto. E, siccome il Nurake è una struttura destinata a rimanere in eterno (da quel poco che abbiamo potuto capire dei Nurakes) il mare, in quella circostanza d’inizio costruzione, doveva trovarsi non semplicemente distante, ma molto distante. Ora, essendo la percezione della risalita del mare (secondo il nostro parere) molto ben presente a qualsiasi cultura umana marinara dall’Ultimo Massimo Glaciale in qua, ed in particolare negli ultimi quindicimila anni (e, aggiungiamo, soprattutto per tutta quella terra emersa che definimmo Sardegna Paleolitica nella sua sì variegata manifestazione geomorfica), era evinte ai Sardiani, che il Nurake dovesse costruirsi molto lontano dal mare, anzi e meglio, dovesse essere costruito in un luogo che risultasse molto in alto rispetto al livello del mare. E, quale poteva essere una altezza di sicurezza? Secondo un parere che abbiamo elaborato fin dalla prima occasione in cui ponemmo in essere queste elucubrazioni, non può essere meno di sette-otto metri, meglio se dieci! Consideriamo però, come ciascun sito abbia le sue peculiarità e questa non può considerarsi pertanto una regola generale.
Bene, se prendiamo il luogo nominato dal Galasso e guardiamo (sulla carta nautica) verso il mare aperto, ci accorgiamo che a circa un miglio marino (m. 1852) trovasi l’inizio del limite di profondità proprio dei dieci metri, il che significa (a nostro parere) che del complesso che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, fu iniziata la costruzione prima di 4500 anni fa. Ma, quanto prima? Beh, noi crediamo che, per la Baia di Porto Conte, una altezza sul livello del mare di assoluta sicurezza, per quei tempi, dovesse essere rappresentata dai venti metri. E, sì, il limite di tale profondità trovasi a circa 1,5 miglia marine cioè a circa m. 2778 dal punto indicato dall’ormai nostro signor Galasso. Ed, in tale corrispondenza, in termini temporali, siamo andati indietro di circa 7000 anni dall’oggi. Quindi, l’inizio della costruzione dela struttura che fa capo al Nurake di Sant’Imbenia, può essere avvenuta anche settemila anni fa. Con buona pace delle asfittiche intellettualità che sono ancora ferme all’adorazione dei 3500 anni fa, senza aver mai, assolutamente, effettuato una pur minima ricerca per verificare e confermare tale data: essa fu rilasciata dall’obnubilato sapere di qualcuno e fu semplicemente fatta propria da tutta quella congerie di nanetti che stettero per decenni, ma ancora sono, accovacciati ed imploranti sotto il tavolo, a nutrirsi delle poche briciole di cultura che il caso fa loro cadere addosso. Si tenga presente che nel contributo scritto per questo blog nell’ottobre 2011 abbiamo scritto, suscitando il più negligente disinteresse (chiediamo venia per il voluto pleonasmo), essere nostra opinione (che ci deriva da una precisa elucubrazione su alcuni dati molto più circostanziati di questi buttati giù in un attimo senza prenderci nessun tempo, se non per dare un’occhiata qua e là) che la datazione del primo Nurake dovesse essere posta prima di ottomila anni fa, il quale dato si avvicina, guardate un po’, a quello testé scoperto!
Ergo, il momento in cui gli incapaci immaginano di far arrivare qualche straccione da qualsiasi dove (intorno al 1000 a.C.), proprio nella progredita città nuragica di Sant’Imbenia, quel popolo Sardiano, Grande Maestro Dell’Architettura, era ivi stanziato da moltissimi secoli, forse anche quaranta!
Caro ed attento lettore, considera un po’ se questo dato (che crediamo posto molto vicino alla realtà, il quale siamo disposti a discutere (magari fosse) con chicchessia) possa ancora permettere, a quei taluni, che tu profumatamente paghi perché ti diano onesta contezza di un lavoro intelligente, ben impostato, scientificamente condotto, senza badare a soddisfare nepotismi mentali, di raccontare amenità, dannose per te e per la riscrittura della storia della tua isola, ma certo utili a puntellare i loro ormai traballanti scranni.
domenica 16 settembre 2012
Sa Catalugna indipendente diat sighire a fàghere parte de s'Unione Europea
de Sarvadore Serra (*)
In intro de su dibàtidu abertu subra
de sa possibilidade, pro una Catalugna indipendente, de abbarrare in s'Unione
Europea. Horitzò Europa (assòtziu
trasversale, apartìticu, catalanista e europeista chi s'est formadu in Catalugna
in su 2007). at fatu unu comunicadu in ue ponet in duda chi s'Ispagna
sigat a èssere membru de deretu prenu de sa UE. Custu assòtziu at giai fatu
un'istùdiu subra de sa possibilidade de ampliamentu
internu de s'Unione Europea, elaboradu dae su professore Antoni Abat, de s'Univesidade de Stanford, e
presentadu in su mese de freàrgiu de su 2010.
Cunforma a custu istùdiu, sa
Catalugna est unu territòriu de sa UE, de su mercadu comunu, de sa zona èuro e
de s'ispàtziu Schengen, chi "interessat totu sa legislatzione de
s'Unione ". In custu sentidu, su status de una Catalugna
indipendente eventuale in intro de sa UE diat èssere una "chistione
chi diat chèrrere negotziada politicamente, cun s'interessu a li dare una
solutzione pro evitare chi sa crisi de s'èuro aumentet".
Manifestu indipendentista |
Cun custa premissa, pro Horitzó Europa un'indipendèntzia
ipotètica de Catalugna diat chèrrere nàrrere chi "su Rennu de Ispagna de como si diat
partzire in duos Istados noos". Una situatzione chi, segundu
s'istùdiu, "non b'at nudda chi asseguret chi s'Istadu ispagnolu
nou resurtadu dae custu protzessu diat sighire a èssere membru de
s'Unione Europea in sas matessi cunditziones de como, e nemancu chi s'Istadu
catalanu nou diat dèvere cumintzare su protzessu de adesione
a sa UE moende dae zero".
Cunforma a custu istùdiu, "s'Ispagna noa, mancari mantenende su
nùmene suo, si diat agatare cun
37 milliones de abitantes e diat
dèvere torrare a negotziare sas cunditziones suas de adesione a sa
UE, comente su nùmeru de eurodeputados, su votu in su Cussìgiu o su
cuntributu a su bilàntziu comunitàriu". A s'àtera ala, una "Catalugna indipendente diat
èssere erede de s'Ispagna betza
e diat tènnere sos matessi
deretos e doveres, in dae in antis de s'Unione Europea, de
s'Ispagna noa". "Duncas ", cuncruit s'istùdiu, diat
torrare a negotziare sos tèrmines de s'adesione de sa Catalugna, ma non si diat pònnere in duda sa continuidade
de s'Istadu catalanu in intro de s'Unione Europea.
sabato 15 settembre 2012
Saremar o Antitrust? Ma il sardismo è in grado di governare nel 2012?
di Adriano Bomboi (*)
Pur non vedendo alternative valide nell'insieme dell'indipendentismo, non da oggi ritengo che il
sardismo abbia perso la sua spinta propulsiva nell'offrire tutte quelle soluzioni che nell'ultimo
secolo sono diventate parte del patrimonio politico ed intellettuale Sardo. Il sardismo ha
cessato di ragionare sulle soluzioni strutturali e si è rintanato nelle suggestioni del passato. Il
dibattito regionale attorno al tema della “Flotta Sarda SPA” è solo uno dei vari esempi che si
potrebbero fare al riguardo. L'aver pensato che poche navi pagate dai contribuenti avrebbero
potuto invertire la drammatica situazione dei trasporti dell'isola è stata una operazione
alquanto ingenua e forse persino irresponsabile. Purtroppo nel nostro gruppo non ci eravamo
sbagliati.
L'intero nazionalismo Sardo oggi dovrebbe chiedersi a che punto è la riflessione sul tema della
Costituente: le riforme sono o non sono la chiave di volta per lo sviluppo sociale ed economico
Sardo? Io credo che pochi lo abbiano compreso. Le poche proposte di riforma dello Statuto
Sardo continuano a rimanere non aggiornate alla realtà culturale ed economica del 2012 e,
oltre ad esse, ben 13 partiti Sardi (fra autonomisti e indipendentisti) non riescono a produrne
di nuove, tantomeno ad alimentare un dibattito.
sardismo abbia perso la sua spinta propulsiva nell'offrire tutte quelle soluzioni che nell'ultimo
secolo sono diventate parte del patrimonio politico ed intellettuale Sardo. Il sardismo ha
cessato di ragionare sulle soluzioni strutturali e si è rintanato nelle suggestioni del passato. Il
dibattito regionale attorno al tema della “Flotta Sarda SPA” è solo uno dei vari esempi che si
potrebbero fare al riguardo. L'aver pensato che poche navi pagate dai contribuenti avrebbero
potuto invertire la drammatica situazione dei trasporti dell'isola è stata una operazione
alquanto ingenua e forse persino irresponsabile. Purtroppo nel nostro gruppo non ci eravamo
sbagliati.
L'intero nazionalismo Sardo oggi dovrebbe chiedersi a che punto è la riflessione sul tema della
Costituente: le riforme sono o non sono la chiave di volta per lo sviluppo sociale ed economico
Sardo? Io credo che pochi lo abbiano compreso. Le poche proposte di riforma dello Statuto
Sardo continuano a rimanere non aggiornate alla realtà culturale ed economica del 2012 e,
oltre ad esse, ben 13 partiti Sardi (fra autonomisti e indipendentisti) non riescono a produrne
di nuove, tantomeno ad alimentare un dibattito.
venerdì 14 settembre 2012
Il popolo che celebra le sconfitte
di Francu Pilloni
Esiste un popolo davvero strano sul
nostro pianeta che celebra le vittorie altrui, ovverosia le proprie sconfitte.
Si dice che viva circoscritto sul suo territorio da vari millenni, tutto
compreso nel cercare di comprendere (scusate il gioco di parole) la propria
angoscia esistenziale. Da come ho iniziato il mio discorso qualcuno arguirà che
si tratta di un excursus storico vero e proprio, oppure di uno studio
specialistico di antropologia, di quelli, per intenderci, in cui vene passata
al microscopio ogni più piccola manifestazione quotidiana, comprese le
eventuali rughe d’espressione della fronte che esprimono perplessità di fronte
alla realtà, come pure la piega amara del disincanto riservata alla visione del
futuro personale e collettivo. No, non è così: si tratta solamente del racconto
di una realtà per altro non ignota, questa volta esaminata da un punto di vista
estemporaneo, se non paradossale, come paradossale vi sarà sembrato il titolo
di questa comunicazione. In parole povere, è come se guardassimo alla via che
frequentiamo tutti i giorni non con i piedi sull’asfalto della strada, ma da
sopra un campanile o, meglio ancora, come se vedessimo la città, il nostro
quartiere o il paesello dall’alto, affacciati dal cesto di una mongolfiera così
che i parametri più evidenti delle cose non sono più l’altezza delle stesse e i
colori, ma la distanza e la relativa collocazione spaziale, poiché il colore
dominante sarà quello dei tetti o dei prati.
mercoledì 12 settembre 2012
Milliones in Catalugna pedende indipendèntzia. E nois isetende late dae su mariane
Belle duos milliones de catalanos sunt falados eris a sas carreras e a sa pratzas
de Bartzellona pro pedire s'indipendèntzia. Est a nàrrere chi cada
bator eletores, unu fiat manifestende pro “Catalugna, istadu nou de
Europa”, ponende fatu a sa mutida fata dae sa Assemblea Nacional
Catalana. Fiat, comente si cumprendet, una manifestatzione unitària
chi at collidu paris totu sas fortzas polìticas, dae su tzentru
dereta de Convergencia a sa manca indipendentista a sos
“eco-sotzialistas” de Iniciativa. Custa est s'imposta torrada a
su tentativu, fatu dae su Guvernu de Madrid, de pedire a sa Catalugna
una tzessione de soverania in càmbiu de unu imprèstidu de dinare.
Dinare chi, de àteru, narant sos catalanos, “est dinare nostru”.
Pro cumprèndere sa
chistione, bastat de cunsiderare chi in Catalugna s'istadu ispanniolu
collit prus dinare de su chi dassat pro chi sos catalanos si potzant
guvernare. E pro custu, su presidente de sa Generalitat Artur Mas at
a addobiare a còitu su primu ministru de Madrid Rajoy, pro
cuntratare unu raportu fiscale nou. Mas, in pratza eris non bi fiat:
“Non potzo pedire s'indipendèntzia in su mentras chi so andende a
tratare cun Rajoy” at naradu. E at annantu finas chi est bènnida
s'ora de l'intregare a sa Catalugna istruturas de un'istadu.
Si sos catalanos,
dae sa manca a sa dereta e dassende a banda sos natzionalistas
ispanniolos, a sa crisi li torrant custa imposta, forte e sena dudas,
milli chilòmetros a levante, in Sardigna cale est s'imposta sarda a
una crisi econòmica chi paret sena essida? Mìgias de operajos dae
cabu de susu a cabu de giosso faghent su chi podent pro sarvare su
traballu semper prus a arriscu. Dae Portu Turre a Nuraxi Figus, dae
Portu Vesme a Otzana su desertu industriale s'est mandighende su chi
bi fiat. Una morte annuntziada non dae como, si non dae annos e
annos. Tropu còmodu est a lis ghetare sas neghes de custu disacatu a
sa polìtica chi, balla!, neghes nde tenet. Sa responsabilidade est
de totu sa classe dirigente sarda, dae sa polìtica a sa sindacale a
sa culturale a sa imprenditoriale.
Neghe ca est totu sa
classe dirigente sarda chi at chertu custa industrializatzione sena
isperu, chi at mandigadu una cantidade de dinare bastante a fàghere
pròspera sa Sardigna, chi s'ischiat chi non podiat durare tempus
meda. Ma neghe, mescamente, ca no at postu mente a unu disignu cale
si siat pro sarvare sa Sardigna dae unu disacatu chi fiat a sas
bistas. Ne a manca ne a dereta, ne sos sindacados ne sos
imprendidores e prus pagu puru sos intelletuales cunventzionados cun
sa polìtica, s'est cumpresa una cosa: s'Istadu italianu no est e nen
podet èssere una imposta torrada a unu problema, s'istadu italianu
est su
problema de sa Sardigna. Pensare chi s'istadu italianu siat a gradu
de nde bogare sos pees dae sos disacatos de Alcoa, Vinyls, Otzana,
Nuraxi Figus e dae totu sas àteras crisis est un'alluinu: podet
campare una classe dirigente compradora e dipendente, ma non podet
isorvere sos anneos e sas traschias de chie est a puntu de pèrdere
su traballu. Mìgias de persones e de famìllias chi sunt che a sos
angioneddos pedende late a su mariane.
martedì 11 settembre 2012
Dalle stalle alle stelle: l’upgrade dello scarabeo di Monti Prama
-->
di Atropa Belladonna
Dal
punto di vista dell’analisi macroscopica, stilistica e iconografica, gliene
hanno fatte di tutti i colori, manco il materiale si era riusciti a capire:
osso, avorio o steatite invetriata? Adesso gliene han fatte di tutti i colori dal
punto di vista microscopico (1). È come se ad un umano facessero NMR, TAC,
PET e analisi del DNA. Nell’introduzione, il sigillo viene definito chiaramente
scarabeo e non più scaraboide: del resto i fianchi incisi e la morfologia del
dorso lasciavano pochi dubbi sul dovuto upgrade.
E finalmente si parla con linguaggio preciso e
sintetico: “The chemical analyses of the
glaze matrix and of the embedded crystal inclusions, together with the detailed
characterisation of the texture of the glaze-body system, confirm the
compatibility of the scarab with the glazed-steatite Egyptian production, and
specifically with the Egyptian scarabs of the New Kingdom”.
La
composizione e la manifattura rimandano alla tecnica egizia del Nuovo Regno
(1550-1070 a.C. ca.), come
del resto l’analisi formale. Come è del resto vero per lo scarabeo dell’obelisco
e, sospetto, per quelli dei complessi nuragici
di Nurdole e S’
Arcu e is Forros. Sull’altro scarabeo considerato egizio, quello
di S. Imbenia, nulla posso dire: ne conosco solo il dorso (Figura).
E adesso? certo, lo scarabeo della tomba XXV può
essere tranquillamente più vecchio della tomba stessa: nessuno usa scarabei per
datare contesti, passano troppo facilmente tra le generazioni. Ma le datazioni
all’VIII e al VII secolo sono cascate come paletti muffiti e non sarà più così
facile affermare che necropoli e statue non possono essere più vecchie dello
scorcio finale del VII secolo, come era stato fatto proprio sulla base di
un’affrettata datazione dello scarabeo.
G.
Artioli, I. Angelini, F. Nestola, New
milarite/osumilite-type phase formed during ancient glazing of an Egyptian
scarab, 2012, Applied Physics A, DOI 10.1007/s00339-012-7125-x
lunedì 10 settembre 2012
Anfora con scritta di S'Arcu 'e is Forros. Garbini: in filisteo - fenicio. No, in puro nuragico
I grafemi dell'anfora di Villagrande Strisaili |
Ora
non si 'nasconde' più, non si ignora più e non si fa finta di
nulla. Le sorprese sulla scrittura dell'età del Bronzo finale e del
I Ferro in Sardegna non arrivano da fonti di 'cialtroni' e/o di
'falsari' ma sempre di più dalle fonti ufficiali. Anzi esse si
enfatizzano persino con annunci di rivoluzioni di conoscenza storica
attraverso canali impensabili sino a qualche mese fa. Persino con
comunicazioni di illustri studiosi in sedi prestigiosissime come
l'Accademia Nazionale dei Lincei. Chi l'avrebbe mai detto!
Sappiamo
ora attraverso un articolo dell'archeologa M. Ausilia Fadda e una
scheda sintetica dell'orientalista G. Garbini (1) che nel sito
nuragico di S'Arcu 'e is Forros di Villagrande Strisaili è
stato rinvenuto un grosso frammento di anfora contenente per buona
parte della superficie diversi segni di scrittura 'incisa dopo la
cottura' del recipiente (2). La Fadda presenta una foto con i
frammenti dell'anfora, in parte ricomposta e la illustra affermando
che il testo in caratteri filistei e fenici si trova sulla spalla di
un'anfora cananea (3) databile tra il IX e l'VIII secolo a.C.
E aggiunge infine due informazioni date per certe, anzi certissime.
La prima: è il documento più antico lasciato da genti del
Levante. La seconda: purtroppo si tratta di un tipo di
scrittura ancora indecifrato'.
Le
cose però non stanno proprio così, a Villagrande Strisaili nessuno
'lascia' niente e non c'entra per niente la scrittura filistea e
tanto meno il codice di scrittura fenicio. E vedremo perché. [sighi a lèghere]
mercoledì 5 settembre 2012
Il fatto è che i nuragici sapevano scrivere
L’articolo
di domenica scorsa, I
filistei smemorati, ha suscitato alcune decine di commenti, solo
pochi dei quali sul merito: la scoperta a Arcu de is forros di una iscrizione
attribuita ai filistei. Naturalmente non me ne dolgo, per due ordini di
ragioni. Il primo è che, una volta pubblicato, un articolo – e persino un libro
– cammina con le sue gambe e prende strade ignote al suo autore. Il secondo
ordine di motivi riguarda la mia evidente incapacità di mettere a fuoco
l’argomento. Tento, così, di farlo, tralasciando questioni, certo
importantissime, che gli sono, però, collaterali.
Figurarsi
se non ho presente un aspetto della nostra storia passata, quella degli Shardana,
che è fondamentale per conoscere chi eravamo o non eravamo. Dico soltanto, su
questo, che della questione esistono diverse letture e diverse interpretazioni
e che una di esse, eretica rispetto alla vulgata corrente, è stata illustrata
non in un articoletto su un blog, ma in un convegno internazionale promosso
dalla Università di Haifa. Voglio dire che la relazione (e le pezze d’appoggio
scientifiche) di Giovanni
Ugas hanno almeno la stessa dignità delle poche righe apodittiche di un
paio di altri studiosi. Come l’hanno, del resto, i lavori di molti altri
studiosi che hanno spesso (troppo poco spesso) onorato questo blog.
Ma nei
pressi di Villanova Strisaili, a Arcu de is forros, si è di fronte a qualcosa
di diverso, capace di confermare, con la voce dell’ufficialità, la tumulazione
di uno stereotipo: i protosardi non scrivevano, i protosardi sono stati
trascinati nella storia da popoli venuti da lontano. A chi segue questo blog
(quasi un milione di visite in tre anni e mezzo) la faccenda non è certo
ignota: ha seguito gli articoli di Gigi Sanna ed è a conoscenza
delle reazioni che i loro articoli hanno suscitato, prima di isterica
negazione, poi di tentati approcci dialettici, quindi di insultante derisione,
in fine di silenzio tombale. Recentemente ci sono stati ripensamenti, non
ancora un dietro front, ma un timido approccio alla questione “scrittura
nuragica” con o senza virgolette. Difficile negare che la capacità di Sanna di non arrendersi al dileggio abbia provocato questo cambiamento di
approccio, ma non ancora la fine della pratica del nascondimento: la barchetta
di Teti, il coccio di Pozzomaggiore, la “rotella” di Palmavera, fra gli altri
oggetti visibilmente scritti.
Il
recente articolo di Maria Ausilia Fadda e di Giovanni Garbini su Archeologia Viva, pur con le reticenze
degli autori, i loro salti logici, i loro silenzi, i contorcimenti compiuti
davanti al bellissimo reperto, una cosa tira fuori con chiarezza: agli inizi
del Primo millennio avanti Cristo nel centro Sardegna si conosceva la
scrittura. Essi affermano che il coccio cananeo con scrittura filistea è
dell’VIII secolo e secondo la signora Fadda, la data è certa perché lo strato
su cui giaceva è certamente databile. Secondo un amico archeologo, si tratta di
una buona approssimazione, ma non di una certezza, visto che difficilmente un
oggetto di tanto pregio non avrebbe seguito la vita e le sorti dei
frequentatori del santuario nato mezzo millennio prima. E seguendo queste sorti
avanzato strato dopo strato. Decisiva sarebbe la datazione della scritta.
Ma non
è questo che, poi, conta molto. Conta che i nuragici di allora erano dentro la
storia e fuori della preistoria. Cosa che Gigi Sanna afferma da
tempo e che ora trova una “conferma accademica”. In due loro interventi, centrati
come sempre e come sempre rarissimi, Pietro Murru e Maimone si chiedono e ci
chiedono di che natura sia il tarlo divoratore che si nasconde dietro la
disistima mostrata da tanti archeologi. Secondo me, si tratta del tarlo della
solitudine. I tentativi della dr Fadda prima di spostare Sirilò (alle porte di
Orgosolo) in pieno Supramonte per dire che lì erano arrivati i romani, oggi di
mettere i filistei al centro dell’Ogliastra a far da direttori dei lavori dei
nuragici, nascono dalla paura che qualcuno possa pensare ai nuragici e ai post
nuragici come degli isolazionisti. Gente chiusa, refrattaria ai contatti e alle
contaminazioni.
E
pensare che le basterebbe convincersi che quelle navicelle nuragiche (una
bellissima è stata trovata a Arcu de is forros) non erano semplice lampade
votive, ma riproduzione in scala di navi naviganti e questi suoi timori
svanirebbero nel nulla.
domenica 2 settembre 2012
I filistei smemorati
La
lenta marcia di avvicinamento di archeologi sardi all’idea che i nuragici
scrivessero può esser letta con ottimismo o anche con il fastidioso dubbio che
sia ormai irreparabile la inadeguatezza della nostra scuola archeologica. Per
indole, propenderei per l’ottimismo: in fondo sono passati appena quattro anni
da quando questo blog, solitariamente, ha cominciato a pubblicare notizie e
articoli sulle scoperte che venivano fatte di iscrizioni nuragiche. Quattro
anni fa, la vulgata archeologica sarda produceva fondamentalmente luoghi comuni
offensivi e immotivati del tipo “si tratta di falsi” e sillogismi come questi:
“La scrittura è roba da città e da stato, i nuragici non avevano stato né
città, ergo…” o “I vinti non hanno scrittura, i nuragici sono dei vinti,
ergo…”. Nella vulgata, erano ospitate anche affermazioni apodittiche quali “i
nuragici non avevano bisogno di scrivere”.
Certo,
nessuno dei negatori arrivò, allora, a concepire inarrivabili affermazioni come
questa, riguardante alcuni reperti archeologici: Essi non recano “alcuna
traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in
tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto
la scrittura”. Ma qui parla un
ministro e non a tutti è concessa una profondità concettuale che solo quel
ruolo assicura. Chi ha seguito questo blog negli ultimi tempi, sa che la
“scrittura nuragica”, con o senza virgolette, è argomento di un articolo di Paolo
Bernardini e di due articoli di Giovanni
Ugas scritto per questo sito. La scrittura nuragica, non mi interessa ora
dire come, è insomma stata affrancata dal silenzio o peggio dalla negazione
assoluta.
Da
qualche giorno, ai due archeologi si sono uniti l’ex soprintendente di Nuoro e
direttrice degli scavi a Arcu de is forros, Maria Ausilia Fadda, e l’esperto di
filologia orientale, Giovanni Garbini. Su Archeologia
viva, la dottoressa Fadda ha scritto un articolo tanto bello e informato
nella descrizione di cioò che è stato trovato negli scavi di Arcu de is forros
(circa 7 km a nord di Villagrande Strisaili) quanto raffazzonato e ambiguo
nella interpretazione di uno straordinario reperto, quello di cui si occupa Stella
del mattino e della sera. Una cosa, lei e Garbini l’affermano: quell’anfora
cananea del 700 aC è scritta con lettere filistee incomprensibili. Secondo
l’archeologa nuorese, la scritta potrebbe essere “la matrice linguistica del
protosardo”.
Tralasciando
la ambiguità di quel “matrice linguistica” che il protosardo avrebbe trovato
nell’VIII secolo in una scritta filistea, resta il fatto che i protosardi,
malamente come potevano fare delle scimmie copiatrici, scrivevano. Senza città
e senza stato. Secondo Garbini, come detto, l’epigrafe è indecifrabile. Quei
filistei del 700 aC, insomma, a contatto con i lontani isolani, avevano dimenticato come scrivere lettere comprensibili ai posteri. Capite perché è fondato il dubbio
che la confusione sia grande. Ho come l’impressione che, per ripicca o per
altro, c’è chi vorrebbe leggere, per dire, ค
ควาย (bufalo in lingua tai) servendosi
dell’alfabeto latino, concludendo, così, che si tratti di segni incomprensibili.
La scritta sull’anfora è quella che
trovate in testa a questo post. Nella mia ignoranza, ci vedo un pugnaletto nuragico
così come lo ha visto l’amico Stella, e come segnalo qui accanto. Forse è
dunque vero, in filisteo non si capisce. E se si usasse il nuragico (con tutto
quell’armamentario di segni che Gigi Sanna da anni ci suggerisce)? Coraggio,
amici archeologi: molti di voi hanno fatto il gran passo, ammettendo che i
nuragici scrivevano. Compite un altro piccolo passo e usate la griglia
che potete trovare anche in questo blog.
venerdì 31 agosto 2012
La Signora in giallo
di Stella del Mattino e della Sera
Dove arriva lei spunta il mistero. Una navicella fantasma a Teti, uno scarabeo nel
ripostiglio di S’Arcu e is Forros che è lì in modo “inconsueto e inspiegabile”
(1). Scritte indecifrabili al nuraghe Nurdole (1). Una Tanit più vecchia dell’epoca
Cartaginese (1) (aiuto! vuoi vedere che quel simbolo è più antico??!! noooooo).
A un certo punto non ce la fa più e chiede
aiuto ad un epigrafista di fama universale. Che invece di dipanare la nebbia la
infittisce (gli epigrafisti son fatti così). Allora ecco che a S’Arcu e is
Forros spunta un’anfora Cananea, in mezzo a un po’ di pentolini Nuragici, con
una bella scritta di quelle lunghe lunghe. L’Epigrafista la decifra così:
1. segni incisi dopo la cottura
(dove e quando? non si sa) su un’anfora Cananea dell’ VIII sec. a.C.
2. I segni sono Filistei e
Fenici
3. Un segno (e dico ben un
segno signori!) uguale ad un segno presente su un ostrakon di Ascalona, una città Filistea
4. Scrittura indecifrabile
5. Indica forse la matrice
linguistica del protosardo (ma perché, se è Filistea, Fenicia e indecifrata?)
Certo che quella scritta è incasinata forte! altro
che i mix di Sanna, le fanno un baffo.
Tanto che c’è, il duo vuota il sacco e confessa
anche che a S’Arcu e is Forros c’è una lima Nuragica con un paio di letterine
incise e sul muro esterno del nuraghe Nurdole ci sarebbero 4 segni di scrittura
in fila, che l’Epigrafista non è in grado di leggere. Però, udite, udite, vuole
dire che i Filistei erano presenti quando il nuraghe fu costruito! Ma che….? A
Nurdole poi c’è un’altra bazzeccola di uno scarabeo Egizio col nome di Amenhotep III e
la crittografia di Amun, con un amuletino con segni di scrittura senza
significato (sarà Filistea?). Signora in
Giallo: tanto che c’era gliel’ha fatta vedere al professore la navicella scritta?
P.S.: per me in quella scritta
sul caraffone Cananeo ci hanno infilato un pugnaletto Nuragico, per fare casino e senza
significato (freccia rossa)
(1) M.A. Fadda, S'arcu 'e is
Forros, Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna (con scheda di
Giovanni Garbini), Archeologia viva, n.155 settembre-ottobre 2012, pp.46 -57
giovedì 30 agosto 2012
Rayaniar faeddat in sardu puru
Su Comitadu pro sa limba
sarda l'at torradu gràtzias oe a su Cumandante de Rayanair chi
bolende sas dies coladas cara a Casteddu at impreadu sa limba sarda,
in prus de àteras limbas, pro lis dare informos a sos passigeris chi
ant agradèssidu meda. Su videu, giradu dae unu de sos biagiadores,
at fatu su giru de s'Internet e a chie no l'at galu bidu l'agatat
inoghe e totu. Cumbidende a Rayanair a la sighire gasi in totu sos
bolos chi interessant sa Sardigna, su Comitadu pro sa limba sarda
proponet a su Consìgiu regionale de faghere a manera de imperare
s'impreu finas de sa limba sarda a totu sas cumpangias, aèreas,
maritimas chi siant, ponende·bi
in mesu, craru, sa regionale e sa privadas de postales chi biàgiant
in Sardigna.
Su
comunicadu de su Comitadu est inoghe.
Miniere, Alcoa e altri segni di coma
L’agonia della industrializzazione in Sardegna ha
ripreso le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali. Ora
tocca alla miniera di Nuraxi Figus, ieri all’Alcoa, prima alla Vinyls e prima
ancora alla petrolchimica di Ottana. Fra l’uno e l’altro dramma, una miriade di
fallimenti nell’industria tessile, in quella estrattiva (qualcuno ricorderà
pure l’infamia della miniera d’oro di Furtei) e in quella edilizia. Figli della
mala sorte, questi fallimenti? No, ma neppure figli solo della politica che di
questi e di futuri disastri è responsabile insieme ai sindacati, ad una
imprenditoria compradora e di una intellettualità impastoiata nella retorica
industrialista e incapace di esercitare
la critica. O meglio, critica sì, ma nei confronti delle poche voci avverse,
accusate di essere nemiche della classe operaia e delle sue magnifiche sorti e
progressive.
I partiti italiani, tutti senza eccezione e con a
volte la complicità del Partito sardo, hanno nel passato condiviso e fatto
digerire ai sardi la monocultura petrolchimica e, quando questa cominciò ad
agonizzare, stanziarono una quantità enorme di denaro per prolungare questo
coma irreversibile invece di elaborare un progetto per la fuoriuscita non
traumatica dalla crisi. Se la politica ebbe gravi responsabilità, non minori
furono quelle degli altri segmenti della classe dirigente sarda. La incapacità
di avere visioni autonome da quelle proprie delle rispettive centrali statali,
fece sì che le imprese più truffaldine in circolazione potessero far nido in
Sardegna con il finanziamento della mano pubblica. Colpa di partiti incolti e
etero-diretti, certo, ma non si è mai sentita una voce critica da parte dei
sindacati, degli imprenditori. Solo a truffa avvenuta e solo per l’intervento
della magistratura si è “scoperta” una faccenda lampante.
L’Alcoa, una delle industrie più affamate di
energia in una terra dall’energia carissima, è a rischio chiusura da almeno tre
anni. Tre anni perduti nella irresponsabile corsa ad illudere i lavoratori che
ne fosse possibile salvezza e rilancio. Persi, dico, perché in tre anni si
sarebbe dovuto e potuto trovare una via di uscita non per conservazione di quel
“posto di lavoro” ma per la sicurezza del lavoro. Fra qualche giorno, a Roma la
questione dell’Acoa sarà al centro di un incontro che dovrebbe affrontare anche
quella, davvero disperata, della miniera di Nuraxi Figus (Nuracsi, come
pronunciano irritanti annunciatori televisivi, tanto pieni di sé da neppure
informarsi). Se per la fabbrica d’alluminio, qualche speranza di prolungamento
d’agonia c’è, per la miniera del Sulcis pare proprio di no.
D’accordo con l’amico Vito Biolchini: Io
sto con i minatori, ma non con la miniera. La Sardegna chiuda definitivamente
con il carbone: perché il vero sviluppo sta altrove. Meno con il suo
j’accuse unilaterale contro la politica. Che, ripeto, ha enormi responsabilità,
soprattutto di subalternità e di dipendenza. Ma che ha buona compagnia nei
sindacati impegnati quasi esclusivamente a scaricare sulla politica
responsabilità sue proprie. E ottima compagnia in quel ceto intellettuale che
si è cullato nella mistica industrialista e operaista e che oggi sogna il
giorno in cui potrà dare spallate.
mercoledì 29 agosto 2012
L’evento della luce dei fori apicali del nuraghe Ruju di Torralba
Nuraghe Ruju di Torralba |
del Gruppo Ricerche Sardegna
Come
sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli
archeologi, delle strutture di carattere militare; eppure in questi
ultimi anni la loro unica funzione di fortezza è venuta meno, sostituita
gradualmente da altri ruoli, come quello di magazzini o residenze
reali.
Pochissimi
cattedratici hanno ipotizzato che fossero templi, il più noto fra
questi è sicuramente il Prof. Massimo Pittau. Sono ormai storici gli
studi di Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come
prova della funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari eventi che accadono
periodicamente all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi
due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi
chiamato “fenomeno della luce dal foro apicale”. Gli eventi all’interno
del nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono
da loro scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nuraghe Is
Paras di Isili (Zedda 1992) e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani
di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad
un accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del
toro” (G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011).
L’evento
in questione si verifica quando il sole, nei giorni del solstizio
d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno così
particolare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che
animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra
attraverso il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice della
cupola costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta
l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala,
oppure la base della camera (Is Paras di Isili). [sighi a lèghere]
martedì 28 agosto 2012
Notizie false e fascismi veritieri
Circola da più di un mese nella Rete una notizia (IL
COMUNE DI ORGOSOLO INTITOLA UNA STRADA AL DUCE) del tutto
inventata dal gestore di un blog, Er blog der gatto col sombrero. Benché
totalmente falsa, la notizia ha suscitato indignate reazioni di condanna, altre
di incredulità e altre ancora di entusiastico sostegno alla dedica a Mussolini
di una via orgolese, intitolazione che, naturalmente, non c’è mai stata. È una
vicenda, questa, che dà da pensare a quanto possa la comunicazione attraverso
l’Internet: un bufala, costruita attorno ad una falsa notizia e condita con una
falsa intervista con il sindaco del paese e con una altrettanto falsa dichiarazione
di un giovane militante dell’Anpi, continua a fare opinione e a suscitare
dibattito fra “fascisti” e “antifascisti” di varie località. Quel blog
imbroglione ha a suo modo mostrato come, sia pure in scala ridotta, si possa
indirizzare e dirigere un dibattito sul nulla.
Ma è proprio il nulla? Da qualche giorno il
termine “fascista” è tornato a circolare sui media come categoria dell’insulto,
per via dell’epiteto regalato dal segretario del Pd a un altro uomo politico,
Grillo. Si ricorderà che anche negli anni scorsi, l’anatema “fascista” fu
largamente usato insieme allo speculare “comunista”. Il primo lanciato dalla
sinistra contro Berlusconi, il secondo dall’ex premer contro il Pd. Allora
l’intellettualità progressista e gran parte dei media – pochissime le eccezioni
– strizzarono l’occhio. Dall’altra parte
della barricata, altrettanto fecero i non molti intellettuali e media di destra
ammiccando agli strali lanciati da Berlusconi.
Sembrava, allora, normale dialettica politica,
nell’edizione becera che della dialettica si andava affermando. E, infatti, le
reciproche enfasi non suscitarono grandi discussioni. Diversamente da quanto
avviene ora, quando gli insulti (fascista, zombi e altre piacevolezze) sono
scambiati all’interno di quello schieramento che fu definito anti-berlusconiano
e che con una approssimazione molto lasca è oggi definito di sinistra.
Che Grillo e Di Pietro utilizzino (oggi contro il
Pd, ma ieri contro il berlusconismo) gran parte dell’armamentario tipico dei
partiti totalitari è fuor di dubbio. Ho dubbi sul fatto che questo armamentario
sia solo fascista e non, come mi sembra, anche comunista. L’evocazione dei
morti viventi è tipica della cultura fascista, ma il bollare di fascista chi è
dall’altra parte è parte integrante di quella comunista, quella che inventò
l’epiteto di “pidocchi” a favore di intellettuali dissidenti. Se da quella
parte dell’orizzonte politico italiano il marasma è completo, la parte opposta
certo non sta meglio se, alla fine dei conti, dovrà ricorrere a Berlusconi per
presentarsi al voto, l’anno venturo.
Quel che mi domando è che ci stiamo a fare da
sardi in quella piazza politica. Non ho certo intenzione di dare a quel blog più importanza di quel che ha. Ma se una notizia falsa come il
demonio, nata a tavolino in qualche parte della penisola, riesce a scatenare anche
da noi una discussione infuriata su Mussolini e il fascismo, vuol dire sì che
ormai la Rete non ha frontiere, ma anche che la dipendenza culturale fa più
danni di quanto si possa pensare.
venerdì 24 agosto 2012
Macchè lotta allo spreco: la guerra è alle regioni speciali
Sostengo da tempo che le vestali dell’anti-casta
utilizzano la sacrosanta battaglia contro gli sprechi nella amministrazione
pubblica per scopi assai meno nobili. Del resto non hanno mai nascosto quale
fosse il loro obbiettivo: riaccentrare nello Stato competenze e funzioni che
persino una Costituzione unitarista ha dovuto delegare verso il basso: regioni,
province, comuni. Non lo hanno nascosto, ma gran parte di noi ha fatto finta di
non accorgersene. Persino chi non fa mistero delle proprie simpatie indipendentiste,
sovraniste o solo federaliste ha creduto che, per fare un esempio, la guerra
contro le province fosse davvero uno strumento per razionalizzare la spesa
pubblica e, addirittura, per cominciare a debellare la casta politica.
L’abolizione delle province – misura sacrosanta se
avesse comportato la contemporanea abolizione delle prefetture e, dunque, del dominio
del Governo centrale sugli enti locali – è solo un grimaldello per riaccentrare
poteri. Il risparmio c’entra assai poco ed è comunque un effetto collaterale.
Quel che i neo bonapartisti vogliono è
un processo di concentrazione di tutti i poteri in capo allo Stato,
ripercorrendo il cammino di “piemontizzazione” iniziato nel 1861, continuato
durante il fascismo e interrotto nel secondo dopoguerra. Non è un caso che gli
stessi vati anti-casta si scaglino contro le lingue delle minoranze non
protette da trattati internazionali. Il preteso è che si spendono denari per
tutelarle, spese inutili, sprechi. Una emerita stronzata, quasi che la lingua
del Governo italiano non utilizzasse una marea di denaro per autotutelarsi e
autoriprodursi. Il passo successivo era nelle cose e nelle cose infatti è:
l’assalto alle regioni e, soprattutto, alle regioni speciali. Hanno ragione Adriano
Bomboi scrivendo che questi attacchi sono il segno di una profonda
incultura politica e Roberto
Bolognesi, invitandoci a prepararsi al peggio.
Fino a qualche tempo fa, gli assalti alle
autonomie, comunali, provinciali e regionali, sono stati, per così dire,
impliciti, detti sotto voce. La politica del Governo Monti contro le autonomie
e, ultimamente, contro le lingue ha dato animo a questi neo giacobini e
soprattutto ai due loro portavoce che hanno fatto nido nel più importante
quotidiano italiano: Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Il primo un tantino
più eufemista del secondo che ieri ha finalmente rovesciato sul Corriere della Sera tutto il suo carico
di ideologie vetero-stataliste. Un vera summa
di stereotipi giacobini, che, se diventassero davvero linea di governo,
aprirebbero alla Sardegna (e alle altre nazionalità della Repubblica) un’unica
strada: quella del distacco dallo Stato italiano.
Rizzo non solo se la prende con la sinistra per la
riforma del Titolo V della Costituzione, a suo parere troppo autonomista, ma
caldeggia “l'unica proposta sensata che
può rimettere l'Italia in carreggiata, ovvero una revisione radicale del ruolo
e delle funzioni delle Regioni. A cominciare dall'abolizione degli statuti
speciali”. Se così fosse, se – voglio dire – questa non fosse solo una
mattana agostana, ma fosse la raccolta di piani di palazzo, alla Sardegna non
resterebbe altro che mettere in cantiere con urgenza un progetto non più di
Statuto di sovranità ma di Costituzione di stato indipendente. Mentre i partiti
italiani nell’Isola, anche quelli che sembrano più aperti a un processo
sovranista, cincischiano, persino votando la fiducia a chi ci discrimina su
base nazionale, la cultura italiana dominante sogna un ritorno ad un
centralismo totalizzante. E poco male se lo sognasse solo: sta regalando ad una
politica allo sbando una elaborata piattaforma ideale e culturale per una
azione concreta.
È vero che, tutto sommato, con tutti i loro
difetti e meschinità, i ceti politici sono meglio dei ceti intellettuali, ma
non sarebbe male che in Sardegna riflettessimo con attenzione su quanto questi
ultimi vanno partorendo. Non vorrei che ci trovassimo, del tutto impreparati e con
disperazione, a dover reagire agli esiti di questa nuova ventata di depresso
giacobinismo.
mercoledì 22 agosto 2012
Calendari Nuragici LuniSolari
di Giancarlo
Melis
A fine
giugno di una decina d'anni fa, poco dopo le sei del mattino durante l'ora
della mia corsa quotidiana, dopo aver terminato una salita, lo sguardo spaziava
in direzione dei monti verso ovest. Una grande luna piena occupava l’orizzonte.
Bellissima, quasi incredibile nella sua magnificenza - pensavo – mentre
continuavo ad osservarla prima di affrontare un altro tornante alla mia destra.
Svoltando, il mio stupore non venne a mancare perché di fronte a me vi era il
grande disco solare da poco sorto che si stagliava enorme nel cielo. Volgevo lo
sguardo alternativamente ad est e ad ovest per osservare i due astri
fronteggiarsi per un fugace momento nel loro pieno splendore(1) e il mio
pensiero fu: "Iside è riuscita a
ritrovare tutti i pezzi del suo sposo e a ricomporre Osiride."
Una domanda mi posi allora: I nuragici conoscevano la misura del fallo di
Osiride? Conoscevano cioè quel segmento/numero che metteva in relazione i
fenomeni solari e lunari e i rispettivi calendari per poter dare origine a un
nuovo ciclo temporale più o meno lungo?
Una
positiva ed esauriente risposta ci è stata data e documentata da Mauro Peppino
Zedda con le sue illuminanti ricerche. La tenacia dell’autore nel perseguire le
sue iniziali intuizioni, malgrado il disinteresse del mondo accademico
tradizionalista, ha aperto una grossa breccia nell’oscurità del periodo
nuragico. L’autore si pone giustamente anche un’altra domanda: quali stelle di
prima grandezza avevano, in quel periodo, una declinazione compatibile con
l’orientamento dei nuraghi? Perché il collocare/costruire nuraghi che
incorporano le posizioni dei lunistizi e le direttrici dei solstizi faceva si
che, oltre a soddisfare le necessità calendariali, gli stessi fungessero da
gnomoni per l’osservazione del tempo del cielo e per annottare il grado/tempo
di variazione del sorgere o tramontare eliaco/draconico delle costellazioni,
delle stelle e dei pianeti, in particolare quelli che fungevano e tuttora
fungono da segnatempo, singolarmente Venere, Giove e Saturno o in coppia in
occasione delle periodiche congiunzioni (es. Giove Saturno ogni venti anni). [sighi a lèghere]
lunedì 13 agosto 2012
Gli "oneri aggiuntivi" che cancellano sardo e friulano
di Carlo Puppo (*)
“Abbiamo
soltanto un problema di oneri aggiuntivi.” Con queste parole il
rappresentante del Governo italiano Gianfranco Polillo, sottosegretario di
Stato per l’economia e le finanze, ha espresso la sua contrarietà all’ordine
del giorno promosso dall’on. Federico Palomba (IdV) e sottoscritto dai deputati
Carlo Monai (IdV), Caterina Pes (PD), Ivano Strizzolo (PD), Fulvio Follegot
(LN), Manlio Contento (PdL), Mauro Pili (PdL), Settimo Nizzi (PdL) e Giovanni
Paladini (IdV). Ordine del giorno che, vista l’opposizione del Governo, è stato
bocciato con 355 no, 132 sì e 12 astenuti.
Quale
il motivo del contendere? Il fatto che l’ordine del giorno, se approvato,
avrebbe impegnato il Governo Monti ad intervenire affinché fosse mantenuta la
regola che fissa come base di calcolo per le Istituzioni Scolastiche Autonome
il numero minimo di 400 alunni in ragione della loro appartenenza ad aree in
cui sono presenti minoranze linguistiche riconosciute con la legge statale
482/99. In pratica a superare quell’aberrazione storica e giuridica
rappresentata dal concetto di “minoranze di lingua madre straniera”
introdotta dal decreto n. 95/2012 in materia di revisione della spesa
pubblica che il 7 agosto, con il voto conclusivo della Camera dei Deputati,
è diventato legge. Una legge che, se diamo credito alla relazione tecnica che
accompagnava il decreto legge, qualificava come dialetti il friulano, il sardo
e l’occitano, in aperto contrasto con la 482/99.
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