di Mario Carboni
L’autonomismo sardo, a partire dalle idee espresse dal Movimento antiprotezionista del quale fu principale artefice Attilio Deffenu ed al quale aderì anche il giovane Antonio Gramsci, fu liberale e liberista, solidarista e rivolto alla soluzione dei bisogni popolari come alla necessità di creazione di una classe dirigente ed imprenditoriale capace di sviluppare la Sardegna e portarla alle stesse condizioni di progresso delle migliori regioni europee.
Gli antiprotezionisti ed in seguito i sardisti e gli autonomisti cattolici erano convinti che abbattendo ogni ingiusta e protezionista barriera doganale, fiscale, amministrativa e politica, imposta dall’esterno e ponendo questi poteri di competenza di un Parlamento dei sardi, in un più ampio quadro federale, si potesse dar corpo al libero sviluppo dell’economia isolana, vista come fortunata per le opportunità insite nell’essere isola centrale nel Mediterraneo occidentale.
La necessità della libertà doganale e fiscale, cardine economico di un vero Statuto di Autonomia speciale, è stata proposta in seguito dal grande movimento autonomista del primo dopoguerra, anche come recupero dei diritti statuali persi con la perfetta fusione del 1848 che aveva ridotto anche dal punto politico ed istituzionale la Sardegna a colonia interna dello Stato italiano divenuto in breve autoritario e fascista e riproposta nel secondo dopoguerra.
Il cammino dell’autonomia speciale della Sardegna è stato tracciato principalmente dall’area liberal-democratica, sardista e cattolico solidaristica della Sardegna, violentemente contestato e sabotato dal blocco socialcomunista sia nella Consulta che nella Costituente del 1948, tanto che dell’originale progetto liberale, liberista e solidarista dei sardisti e dei cattolici sardi sopravvisse nell'art. 12 dello Statuto che prescrive la creazione in Sardegna di punti franchi.
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