Eliseo Spiga se ne è andato senza poter compiere il suo ottantesimo compleanno. È stato uno degli intellettuali sardi più importanti della nostra contemporaneità autonomista. Dire che fu scomodo, e per questo mai molto amato dal potere con cui entrò in contatto, può sembrare frase fatta, ma non lo è. Basta vedere come sui quotidiani sardi si parla e non si parla della sua morte.
Per chi lo conobbe, questo ricordo può apparire minimalista, chi non lo ha conosciuto penserà impossibile che in una società della comunicazione come la nostra, Eliseo sia passato tanto leggero da non lasciare se non scarse tracce nella coscienza dei nostri contemporanei.
I ricordi, nella immediatezza della sua scomparsa, fanno salti di tempo e di spazio e si comprimono affastellati l'uno sull'altro. La sua militanza nel Pci, l'amicizia con Feltrinelli, il suo “Sardegna, rivolta contro la colonizzazione” scritto sotto lo pseudonimo Giuliano Cabitza, la proposta di legge popolare sul bilinguismo, il Circolo Città-campagna, la nascita di Nazione sarda, la militanza nel Partito sardo d'azione, la fondazione della Confederazione sindacale sarda, le decine di interventi con articoli, opuscoli, manifesti di alta cultura politica come quello “della gioventù eretica”. E quindi, da grande, lo splendido romanzo “Capezzoli di pietra” e lo straordinario “La sardità come utopia. Note di un cospiratore”.
Uno legge questo libro e s'immagina un saggio etnologico, antropologico e politico, quasi un dossier sulla Sardegna e si trova davanti a un grande romanzo sul nuragismo e non solo. Non capita spesso leggere e riflettere su un libro, in questi anni in cui troppi sono gli scrittori che narrano non la Sardegna che c'è, quanto piuttosto quella che fuori di essa si immagina reale. Guide indiane, mescaleros che prendono per mano i soldati del re lungo i sentieri dei salti sardi. Per compensare questo servizio, i soldati del re, a volta mascherati da sindaci, a volta da partito di riferimento, li portano in giro per paesi e per città a raccontare ai sardi quanto arcaica sia la sardità, quanto obsoleta sia e inutile la lingua sarda, come sia giusto che il progresso l'abbia vinta sull'identità.
Eliseo, in questo romanzo-saggio e saggio-romanzo, parte dal contrario. Dalla sardità come valore grande della Sardegna, dalla balentia come concetto del mondo e della vita. Naturalmente, i soldati del re non hanno mai portato libro e autore a sedere nei salotti buoni della "Cultura che conta".
Secondo quanto scrive, le classi dirigenti sarde hanno una “percezione autonoma” assai scarsa. E cita come esempi l’opposizione fatta, quando era segretario della Confederazione sindacale sarda, alla contrattazione regionale dei dipendenti dell’Arst da un lato e al bilinguismo dall'altro.
“M’indispettiva la loro insofferenza per quanto era sardo come la lingua o le usanze, ma non il porcetto e l’agnello arrostiti” confida. E poi: “La Regione ha cambiato molte cose. Ha deteriorato l’esistenza dei sardi. Ha stravolto il cielo della Sardegna, un tempo popolato di molte stelle comunitarie e oggi occupato da opachi astri istituzionali. Riuscirà a scampare all’assalto delle sempre più fameliche oligarchie, e a dare l’avvio ad una potente organizzazione di autogoverno popolare o esploderà come una pecora gonfia?”
Nelle sue note di un cospiratore, Eliseo descrive quale sia il fulcro della sua utopia. I nuragici, scrive, ci sono apparsi già divergenti rispetto alla Storia, ma la prova principale del loro antagonismo assoluto ce la porta il fatto che non costruirono città. Neppure una. Fatto inconfutabile, ma occultato o tenuto in pochissima considerazione, perché scandalosa testimonianza del rifiuto della civiltà, tutta imperniata sulle città. Con il rifiuto della città, c’è la resistenza strenua ad uscire dalla preistoria per entrare nella storia,il rifiuto della gerarchia, l’opposizione alla monarchia sotto qualsiasi forma. Pressoché tutte le città – si legge nel suo libro – sono riferite ad un monarca o a una divinità. Per scampare al pericolo del comando unico, bisognava, insomma, scampare alla città. Quale monarca, quale divinità si scomoderebbe per dedicarsi a un villaggio?
Un giovanotto di quasi ottanta anni, contento del fatto che la senilità non comporta in persone come lui l'obbligo della maturità e della “saggezza”, ha scritto molto e bene di utopia (la Sardegna come “l'isola di Utopia”) ed è questo che lo fa scomparire giovanissimo dai nostri occhi ma non dalla mente.
4 commenti:
Pro Eliseo..
Sono molto colpito dalla morte di Eliseo.
Chissà perché pensavo che stesse bene e mi ripromettevo di chiamarlo, non sapevo che invece stesse male.
Fra qualche giorno chiederò ospitalità di questo blog per scrivere qualcosa di Eliseo,che conobbi nel 1971 quando tornai in Sardegna e fui ospite con mia moglie e mio figlio di pochi mesi a casa sua.
Rimasi ospite circa una settimana, ospitalità sarda e vera.
Da allora sono rimasto molto legato ad Eliseo e a volte anche quando abbiamo avuto delle divergenze, cosa normale in politica, erano guai a chi me lo toccava.
Rimasi una settimana e non è poco per un'ospitalità, perché quando cercavo di salutarlo mi bloccava con la curiosità per continuare a discutere.
Diversi erano i nostri percorsi politici ed io un ragazzo e lui un uomo maturo.
Allora non era un nazionalista, neanche, come venivamo secondo loro insultati dai comunisti durate tutto lo svilupparsi del movimento per l'Identità, terzomondista o Fanoniano.
Era di cultura marxista, leninista, forse era stato anche stalinista, durante il suo impegno nel PCI.
Ma era uomo di cultura, amava la storia e la storia di Sardegna.
Era anche unu conchi tortu,cioè un'anima autonoma e quindi la sua conoscenza della storia, l'analisi economica della dipendenza e dei fenomeni coloniali, lo avevano portato a vedere un orizzonte tutto sardo per i suoi sogni rivoluzionari.
Non so che conflitto ebbe col suo partito, e i comunisti non mancarono di diffamarlo , come è sempre stato il loro costume, con voci incontrollate e subdole.
La sua era un'analisi lucida e avanzata ma sempre nei canoni tradizionali.
Io invece avevo lavorato con i palestinesi diversi anni, quando questa questione era sconosciuta ed avevo assorbito da Federico Grutwig Sagredo, fondatore dell'ETA ed ideologo del nazionalismo basco le linee principali alla base del nazionalismo delle nazioni senza stato europee, così come erano riassunte nel suo libro La question vasca.
Erano linee del nazionalismo antifranchista e indipendentista delle nazioni iberiche e che costituivano un'evoluzione e precisazione dell'eredità, sempre di spessore, dell'epopea irlandese che tanto aveva influenzato il primo sardismo.
Fu uno scambi utile per ambedue.
Quando però decisi di fondare Su Poulu sardu, non condivise l'iniziativa.
Credo principalmente perché ancora non aveva maturato una convinzione nazionalista sarda, ma anche per timore di guai seri che si sarebbero aggiunti alle preoccupazioni ed alla pressione degli organi di sicurezza dello Stato a seguito dei suoi rapporti con Feltrinelli.
nel '72 realizzai il numero di prova de su Populu e nel '73 uscì il primo numero.
Nazione sarda vide la luce nel 1977,quattro anni dopo.
Fu un grosso contributo urbano al movimento nazionalista.
Quando poi assieme a Sa Sardigna e Sardegna Europa e a Sa repubblica sarda, demmo vita a Su Comitadu pro sa limba sarda ed alla raccolta di firme per la legge sul bilinguismo ( idea di Antonello Satta) e al Vento sardista conseguente, le nostre strade politiche si unirono nel PSd'Az e nella fondazione della CSS-Sindacadu Sardu.
Avrò modo di scrivere ancora su Eliseo e credoche la ristampa de Su Populu sardu, di Natzione sarda, di Sa Sardigna e degli altri giornali nazionalisti ed identitari dell'epoca,non sia un fatto più rimandabile.
Bisogna affrontare e battere la damnatio memoriae che gli sconfitti antinazionalisti e anti lingua sarda hanno decretato contro tanti che in quei giornali hanno scritto, compreso Eliseo Spiga.
Ma di questi antisardi non rimarrà più memoria mentre Eliseo rimarrà nella storia della ricerca di libertà del popolo sardo come una delle sue stelle più lucenti.
Caro Gianfranco,
ci ha lasciati una persona con una Cultura eccezionalmente semplice! Un grande Uomo, un vero Sardo! Ha tracciato una strada, in silenzio, senza tanti clamori. Ed in quel silenzio, cercheremo di perseguire l'Utopia dei Sardi. E nel nostro vento, la leggerezza della Libertà!
Addio Eliseo,semplicemente ci mancherai!
Solo oggi - e me ne vergogno - vengo a sapere della morte di Eliseo, per caso, frugando in internet, e proprio in questo sito.
Eliseo l'ho conosciuto negli anni '70 a un convegno a Prad, in Francia, ai piedi dei Pirenei, in un convento catalano di frati autonomisti. E c'erano catalani, corsi, provenzali, sardi. C'era Giovanni Lilliu, e altri che ora non ci sono più: Antonello Satta, Antoni Cossu. Persone che hanno dato un contributo unico al risveglio della coscienza e dignità dei Sardi di Sardegna e di quelli di fuori. E, tra quelli che hanno operato in questo senso, approfitto per ricordare e salutare anche Gianfranco Pintore che ritrovo in questo sito dopo decenni che non lo vedo e non lo sento.
C'era anche Lucio, quella volta, poco più che un bambino, il figlio che Eliseo ha visto morire, con tutta la sofferenza che comporta per un padre sopravvivere a un proprio figlio.
Tante volte Eliseo è venuto a Bologna dove ho vissuto fino al 1998, per dibattitti e incontri con i sardi di fuori, spesso era ospite a casa mia e di mia moglie. Con lui avevamo un forte legame consolidato anche dalla grande amicizia e affetto che ci legava alla sua compagna di tanti anni, Carla, e che ci lega ancora alla figlia Elisa che conosciamo da bambina, oggi avvocato a Bologna.
Dacché vivo in Svizzera, ci siamo visti meno, solo quando andavamo in Sardegna.
Ma ci sentivamo. E dei suoi due libri (Cappezzoli di Pietra e Sardegna come Utopia) mi aveva inviato le bozze prima della pubblicazione chiedendomi una lettura attenta. Forse qualche scelta editoriale non felice, una copertina sbagliata, un titolo non azzeccato, una non adeguata pubblicizzazione, soprattutto per il primo, forse non hanno favorito una maggiore diffusione dei due libri. Ma io inviterei tutti a leggerli questi due libri.
Non ho seguito recensioni, critiche ai due libri, ma da quanto ho potuto cogliere in occasionali scambi di idee con amici e conoscenti, credo non si sia colto appieno l'interesse di "Cappezzoli di pietra" che, tra l'altro, io vedo, nel ricordo che ho della ormai lontana lettura, come il tentativo di regalare ai sardi, riscoprendola - o inventandola, se si vuole - una mitologia, ma non una mitologia in cui sono gli uomini, tutti insieme, che si riconoscono in un progetto comune per costruire la propria storia ed esistenza.
Ho detto di inventare la mitologia. Da un punto di vista politico-culturale è un tentativo più che degno, dal momento che la particolare storia dei sardi non ci ha consegnato un corpo di miti. Anche qui: sia stato l'accanimento 'distruttorio' dei nemici, sia stata la particolare forma di comunicazione che i nostri antenati utilizzavano - tale che, a un certo punto si è creato uno iato che non ha permesso più la trasmissione - il tentativo di Eliseo è come quello del restauratore che si trova dei cocci che sa che appartengono tutti a un unico oggetto e cerca di ricostruirlo, di riconsegnarlo alla comunità.
1.
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Dal punto di vista letterario - ammettiamo pure che sia tutta invenzione ex novo - se questa 'nvenzione' ha una coerenza interna (anche stilistica e letteraria) e un qualche riscontro nel sentire dei sardi, be' anche in questo senso, il lavoro di Eliseo è stato importante. Ma non è stato abbastanza apprezzato. Eliseo scriveva molto bene e il fatto che fosse un personaggio 'politico' forse, non ha favorito l'attenzione all'aspetto letterario dei libri.
Ciao Eliseo e scusami se non so dire qualcosa di meglio e ricordarti come vorrei, in queste affrettate e tardive annotazioni.
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