giovedì 19 marzo 2009

Selezione universitaria e cose di casa nostra

di Alberto Areddu

Intervenendo sul Corriere della sera (6 febbraio) in merito ai criteri di valutazione e selezione del personale docente in ambito universitario, Cesare Segre, nota figura di intellettuale e insigne filologo, si esprime contro i tre criteri al vaglio del CUN (comitato universitario nazionale): 1) la mole di articoli; 2) il prestigio delle riviste su cui uno pubblica; 3) l'"impact factor" (cioè le citazioni).
Segre liquida il primo ricordando che Einstein pubblicò pochissimi articoli e rivoluzionò il mondo, mentre "spesso siamo inflazionati da poligrafi che pubblicano 2/3 libri all'anno e non modificano niente". Riguardo al secondo, osserva che dietro il manto di comitati editoriali dai nomi altisonanti, nelle riviste, anche importanti, in realtà a comandare c'è solo il direttore con le sue preferenze e le sue idiosincrasie. Per il terzo criterio è facile osservare che un autore che abbia cento recensioni negative finirebbe per avere più visibilità di uno che ne abbia e molte meno e positive.
Ora, ripensando ai fatti di casa nostra e sintonizzandoci un attimo sul I° criterio, vorrei osservare che accrescere la propria mole di interventi non è cosa granché difficile: basta trovare uno che si presti a darti del filo da torcere. Uno studioso dice una cosa, un altro lo critica, il primo reagisce, l'altro controbatte, e via così il gioco è fatto. Tra gli anni '80 e '90 alcune nostre riviste d'allora si offersero come palcoscenico alla polemica tra due studiosi che si accapigliavano per questioni minute.
L'altergo sembrava, per il lettore, giunto a un punto di non ritorno e tralignato quasi nel duello rusticano, quando toh in una miscellanea in onore del più anziano dei due, ecco che ti compare ossequioso e con un dovizioso intervento l'altercatore più giovane. Uno immagina che i due segretamente si fossero riappacificati, macché finito quel Festschrift, quei due hanno ricominciato a rimbeccarsi e la cosa stucchevolmente prosegue ancora oggi. Certo era impossibile che andassero d'accordo, diversi per indole e formazione: uno di origine provinciale e patrocinato dalla DC, l'altro invece figlio urbano della tecnocrazia rampante.
Sia quel che sia, dandosi importanza e considerandosi, pur nella comune disistima, si erano dati -coscientemente o no- dei titoli, delle fiches da gettare sul piatto del mercato della mole di studi. Fosse stato uno dei due un ignoto, l'altro avrebbe al limite usato il sistema della nota a fondo pagina o come più probabile l'avrebbe bellamente ignorato. Quante di queste polemiche siano poi studiate a tavolino non saprei dirvelo.
Dunque uno dei mali dell'odierna classe di intellettuali italiani e sardi è la falsa litigiosità. A ciò s'aggiunga l'autorefenzialità baronale ("le cose che ho scritto io sono le più importanti e delle novità non mi curo"); vi vorrei invitare alla lettura di alcuni casi paradigmatici, accaduti in ambito etruscologico, e sui quali erudisce Carlo d'Adamo nel suo bel sito; lo studioso di potere si crea degli eidola, dai quali non ama recedere una volta sottoposto a critiche stringenti, perché ciò comporterebbe ammissione di colpa (e perdita di lucrosi guadagni) e ha due soli strumenti per fare ciò: il silenzio (che viene imposto ai suoi sodali e gregari) spesso su documenti di scarso accesso al pubblico, oppure l'ammiccamento benevolo, curiale e compiacente per tener buono il criticante (magari gli manda i suoi libri e articoli gratis a casa, per dirne una, con tanto di dedica).
Insomma per tornare a Segre e alla selezione: "il rimedio non sta nel rendere il giudizio pubblico, e perciò contestabile se fazioso, sta nel ricorrere ai giudizi di altri specialisti, magari mediante un dibattito. Ognuno metta in gioco la propria competenza". Cosa che appare però difficile nell'odierno panorama italiota, assai restio a sottoporsi alla critica da più fuochi.

1 commento:

p.atzori ha detto...

Egregio Alberto Areddu, anche ammettendo come valide le argomentazioni contro i criteri di valutazione dei ricercatori universitari da Lei condivise, rimangono da stabilire criteri alternativi per distinguere i ricercatori veri da coloro che per nepotismi o per altro continuano a figurare ricercatori senza aver nulla ricercato. Nonostane tutti i difetti, in assenza di alternative, mi pare preferibile l'adozione dei criteri criticati da Lei e da Segre. Mi pare necessario che almeno in Sardegna la si finisca con nepotismi, familismi e si costruisca un'Università per i giovani talenti. Piero Atzori