di Micheli Tzoroddu
Nell’intervento di Francu Pilloni sono proiettate le problematiche che abbiamo vissuto ed ancora stiamo sopportando. Dopo tanti anni di ricerca addivenimmo alla scrittura del nostro primo libro. Appena pronto ci siamo recati alla mostra del libro di Roma e ne abbiamo mostrato lo stampato al primo editore sardo incontrato. Fu immediata la sua disponibilità, ma la remunerazione sarebbe stata dal 5 al 10% del prezzo di copertina. Considerando che con una simile ricompensa mai avremmo potuto continuare i nostri studi, decidemmo di fare gli editori di noi stessi.
Ora, il nostro lavoro, orientato alla riscrittura della preistoria e storia antica della Sardegna, non è appetibile ad un pubblico continentale, per cui ci collochiamo fra gli editori sardi, anzi siamo il più piccolo fra essi e ci sentiamo investiti in pieno delle problematiche messe in chiaro dal Pilloni. Ma ciò che qui si vuole stigmatizzare è che, pur essendo i contenuti del testo corroborati da oltre 200 richiami bibliografici facenti capo alle maggiori riviste scientifiche e ad oltre 70 testi classici e recenti, tuttavia la cultura sarda dominante ha manifestato un banalmente tiepido interesse verso il nostro saggio, che pure mette in chiaro aspetti certo inediti e fondanti nei riguardi di una lettura critica degli antichi sardi accadimenti.
Ma se ciò poteva essere nelle previsioni di chi andava a scardinare cementate acquisizioni, siamo invece rimasti veramente sorpresi dal rifiuto manifestatosi da parte delle organizzazioni culturali isolane (ma anche da notevoli individualità sarde operanti in simili contesti continentali), alle quali abbiamo fatto omaggio del testo per avere un riscontro privato o ufficiale della sua valenza: nessuna ha manifestato di accettare o respingere i risultati della ricerca, documentandoci tale situazione in quegli ambiti, essere ben lontana e tanto disinteressata delle tematiche che attengono alla stessa origine dei soggetti che ne fanno parte. Gli stessi ambienti tuttavia registrano quotidiani, appassionati commenti del genere narrativo, ove spesso sardo è il solo sapore dell’autore.
Pertanto, non crediamo ci si possa lamentare della inarrestabile perdita di identità, poniamo, de su Campidanesu, al quale viene propinata una impersonale appiattita omologazione pseodoculturale che fa molti proseliti in continente. Ivi il vocabolo “cultura” ha da anni assunto un’accezione tristemente monca: canzonette, abbigliamento, romanzi, cinema, talvolta di dubbia qualità. Tutti i dibattiti incentrati sulla sardità, sul recupero della lingua nel quotidiano, anche miranti alla ricerca di una sua universale codifica, sui valori che sono il portato della antichissima tradizione, rischiano di essere puro sfoggio accademico, se non recepiti da quelle entità che si definiscono crogiuolo, elaborazione e diffusione delle istanze intellettuali della comunità.
Esse dovrebbero invece essere fertile terreno dei germogli che da più parti contribuiscono a riportare alla mente le grandiosità create, dal Paleolitico in qua, dal vissuto senza pari degli antichissimi nostri avi. Certo la politica (in questo caso quella commerciale) giuoca il suo ruolo ma, ove si opponga, la testa del singolo può decidere il futuro. Purtroppo ciò costa fatica ed essa paga a lunga scadenza.
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