mercoledì 12 novembre 2008

Prepariamoci ad altre "fabbriche bugiarde"

E così, a quanto pare, la Regione si prepara a spendere ancora una volta i nostri soldi per riparare ai guasti della fallimentare industrializzazione della Sardegna centrale e, soprattutto, dei ceti dirigenti, politici e sindacali, che quel tipo di industrializzazione hanno voluto e coccolato. La faccenda è questa: il governo sardo, dietro pressione dei sindacati, si appresta ad acquistare i capannoni di quelle che Ciccitu Masala chiamò "le fabbriche bugiarde". Ci sarà poi da disinquinare terreni che per anni e anni i sindacati, e con loro la Provincia di Nuoro, hanno giurato non erano inquinati.
Ricordo a chi avesse dimenticato (o non saputo) gli improperi che ricevettero quei pochi coraggiosi che a Ottana e paesi vicini andarono denunciando i disastri ambientali prodotti dalla petrolchimica di Ottana. Ricordo amici ottanesi che in torride notti d'estate erano costretti a dormire a finestre chiuse per la puzza insopportabile. Ricordo i pesci uccisi dagli scarichi nel Tirso. E ricordo con un qualche imbarazzo che spesso alcuni sindacalisti si sostituivano ai dirigenti della fabbrica nel negare, con fumanti comunicati e accuse di "antindustrialismo", la veridicità di quanto un comitato spontaneo di cittadini denunciava. Mettendo in evidenza come lasciassero molto a desiderare i controlli che le centraline della Provincia dovevano, per istituto, fare.
Avviata a morte la petrolchimica, ci fu una rincorsa a popolare di altre "fabbriche bugiarde" la piana di Ottana. Soldi pubblici a profusione per imprese la cui massima attività fu quella di aprire una casella postale a Ottana cui arrivavano lettere di aspiranti occupati mai nemmeno aperte. Nessuno ha mai pagato, né gli amministratori che sopportarono tutto questo né i sindacati che chiusero un occhio, fidando in una crescita dell'occupazione che non aveva alcuna possibilità di esservi.
Qualcuno, con una certa dose di enfasi (ma mica poi tanta), calcolò che con i soldi pubblici spesi in questa folle corsa all'industrializzazione, si sarebbero potute campare a vita molte migliaia di famiglie nei 47 paesi interessati. Il disastro economico, sociale e ambientale ha padri e padrini. Nessuno è stato chiamato a risponderne non dico penalmente (anche se in materia di inquinamento le leggi appaiono severe), ma neppure politicamente e amministrativamente.
La trovata del governo sardo è ora questa: facciamo finta di nulla, compriamo i capannoni dismessi e apriamoli ad altre avventure industriali. La speranza di lavoro è una buona matrice di voti, si sa. Ed è l'ultima a morire, in questo deserto che è diventata la Sardegna centrale.

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