di Diego Corraine
Attorno alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, in corso in questi giorni, per troppa retorica si rischia di trascurare la sostanza dei fatti storici. Lo Stato nato un secolo e mezzo fa non corrisponde esclusivamente alla nazione italiana, ma è costituito da un territorio ben più vasto, in cui la nazione maggioritaria ha inglobato altre nazioni come la sarda o la friulana, costringendole ad uniformarsi e assimilarsi linguisticamente e culturalmente a quella italiana. L’Italia è un esempio classico di stato-nazione, in cui “prima” viene determinato, dinasticamente, politicamente e militarmente, il territorio-contenitore, e “poi” viene imposto ad ogni costo un processo di assimilazione alla nazione maggioritaria delle componenti nazionali diverse. Fino, almeno, a tutto il periodo fascista e alla sua forsennata politica di ulteriore italianizzazione.
Solo nel 1948 avviene un cambiamento, con l’articolo 6 della Costituzione, e la successiva Legge di attuazione numero 482 del 1999, che riconosce e ufficializza dodici comunità linguistiche diverse dall’italiana. È chiaro, in questo quadro, che la cosiddetta Padania è solamente una escogitazione politica e che i suoi territori, comunità e culture sono tutte interne alla nazione italiana. Chiaro anche che il federalismo che oggi è proposto a sinistra e a destra è puramente economicista e non deriva dalla ammissione della plurinazionalità dello Stato italiano, come invece è avvenuto nella Spagna postfranchista o anche nella Federazione Russa.
Anche se nessuno oggi pare ammetterlo, il territorio dello Stato è dunque abitato dalla nazione italiana numericamente “maggioritaria”, da altre quattro nazioni (Sardi, Friulani, Ladini, Franco-provenzali) e dalle minoranze di altrettante nazioni che hanno il loro nucleo storico fuori dai confini statali (catalani, greci, albanesi, sloveni, tedeschi, croati, occitani). Ad accettare e sancire la plurinazionalità dello Stato italiano non ci sarebbe nulla di male, visto che gli stati mononazionali sono una rarissima eccezione nel mondo.
Ecco perché, almeno finché una modifica della Costituzione non indicherà tutte le singole comunità nazionali che fanno parte dello Stato, non potremo celebrare ricorrenze come quella appena trascorsa del 17 di marzo con pari entusiasmo di chi fa parte della nazione italiana, verso il cui processo di affermazione e liberazione, pienamente compiuto, va tutta la nostra simpatia. Ma noi, come Sardi che c’entriamo? Siamo stati noi, la nazione sarda, il nucleo fondante dell’attuale stato italiano o è stato il Regno di Sardegna, come entità sovrana, che ha fatto da battistrada e da rullo compressore per la liberazione della nazione italiana? Questo Regno, nato in epoca medievale per ostacolare il processo di liberazione dei Sardi avanzato dagli Arborea, si è rivelato per secoli un utile strumento dinastico, per altri e non per noi, fino a passare in mano dei duchi di Savoia che se ne sono serviti per i loro interessi.
Sarebbe potuto essere, come è accaduto altrove, che una dinastia esterna incarnasse un regno nazionale sardo, così come un Regno della sola Sardegna e dei Sardi entrasse, nel 1861, a far parte di uno stato confederale italiano, ma non è stato così.
Allora, se vogliamo che lo Stato attuale sia anche nostro e delle altre nazionalità, in modo esplicito e consensuale, creiamo un vasto movimento trasversale per modificare la Costituzione in senso plurinazionale. Ne deriverà, eventualmente, un’altra visione di federalismo, più corretta, coerente, moderna e in armonia con la storia e la giusta parità delle nazioni.
11 commenti:
Diego Corraine, ti ci metti anche tu?
Ho capito, solo da poco, che la festa per il 150°, appena cominciata, è già finita, come cantava Endrigo.
Ormai ci crede solo il Presidente Napolitano, a cui ancora non hanno revisionato il calendario.
All'o.d.g. del Governo, della nazione, della politica e dei media c'è la celebrazione del Centenario della conquista della Libia (1911-2011).
Tutto è come un secolo fa, compresi i contrasti tra la Francia e la Germania. Insomma, un déjà-vu.
E noi che continuiamo a vendere canzoni ciclostilate.
Conosco poco gli Algheresi per poter dire quanto si sentano Catalani. Mi è capitato piuttosto, di sentire alcuni Galluresi dire, all'avvicinarsi di un gruppo di turisti: "Arrivano li saldi" e non si riferivano a quelli di fine stagione. Come ho sentito gli abitanti di Issiria, rione più alto di Desulo, dare del campidanese ai loro compaesani di Asuai, quartiere più basso del paese;in tono scherzoso s'intende ma quelli si offendevano malamente. Non dimentichiamo che l'Italia è il paese dei mille comuni e, in Sardegna l'abitante del villaggio che sta a qualche chilometro, lo chiamiamo "su strngiu", lo straniero. Ho qualche dubbio che gli abitanti della cosiddetta Padania siano ascrivibili d'ufficio alla nazione italiana. Purtroppo è più probabile che i parametri determinanti inclusioni ed esclusioni siano altri e abbiano il loro fondamento, cosa che infastidisce gli spiriti illuminati, nel "vil mercato". Le radici del fenomeno sono antiche quanto antico è l'uomo e sono più o meno evidenti, più o meno sotto controllo, a seconda dell'indole, della storia, in definitiva, dell'educazione delle genti. Nel caso della Padania, il fenomeno può far pensare a un'invenzione politica. I politici non inventano niente; colgono le sensazioni, gli umori, le aspirazioni, le necessità e, se sono bravi a fare il loro mestiere, si candidano a dare risposte e ottengono il consenso. Politico onesto è quello in cui, le sensazioni, gli umori, le aspirazioni, le necessità, coincidono con la propria visione della realtà; disonesto è quello in cui tale visione sia tutt’altra o manchi del tutto di fronte al suo ego totalizzante. Poi il tutto si gioca con le regole della politica che possono essere più o meno democratiche. Una cosa è comunque sicura: in quelle regole non è previsto il dare alcunché per niente.
Questo Regno [Regno sabaudo], nato in epoca medievale per ostacolare il processo di liberazione dei Sardi avanzato dagli Arborea,
Uhm, sulla base di quale riconosciuta fonte storica e manualistica corrente si baserebbe tale affermazione?
Se ho ben capito il regno di cui si parla non é quello sabaudo, ma il regno di Sardegna, creato artificiosamente da papa Bonifacio VIII e affidato ai re di Aragona (ora non ricordo di preciso quale fosse il re).
I re di Aragona lo otennero materialmente dopo e lunghe e saguinose guerre. In seguito il regno passò ai re di Castiglia e in seguito, dopo la permuta con la Sicilia, ai Savoia (che siccome non erano re, lo divennero proprio grazie al regno di Sardegna). Mi pare che il primo re fosse Vittorio amedeo II, ma non ci giureerei
dunque maimone è Diego Corriane, o sbaglio?
@ M.P. Zedda
Se fossi Diego Corraine mi sarei firmato come tale, ma non lo sono. Ho solo cercato d'interpretare il pensiero di Corraine che a me sembra abbastanza chiaro. Magari mi sbaglio.
Gioco per gioco: se non è Diego Corraine, come fa a sapere come avrebbe firmato?
Il senso di questa domanda mi é oscuro. Evidentemente non mi sono spiegato bene. L'articolo é firmato da Diego Corraine. Il che sta a significare che Diego Corraine non avrebbe avuto alcun problema firmarsi con il suo nome se fosse stato davvero lui a rispondere al quesito di Illiricheddu. Ma la risposta l'ho data io, che non sono Diego Corraine, cercando d'interpretare il pensiero di Corraine. Ohi, ite discursu cumplicadu. Comunque Gigi Sanna e Lorenzo Pusceddu sanno chi sono (un nome sconosciuto ai più, in ogni caso).
Raga, la ricreazione è finita. Diego Corraine è Diego Corraine, Maimone è Maimone. Parola d'onore
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