domenica 12 settembre 2010

Il troiano e lo shardana di Medineth Abu

di Giorgio Valdès

Credo che con il contributo di tutti quelli che hanno a cuore la nostra isola e siano soprattutto disposti ad ascoltare i pareri degli altri senza preclusioni mentali di sorta e posizioni preconcette, si riuscirà a completare il complicato puzzle del periodo più glorioso della nostra storia.
Periodo che presenta straordinarie affinità con la civiltà egizia, come confermato, per buona fortuna di noi eretici, anche dal professor Giovanni Ugas.
Con l’Egitto avevamo a quei tempi rapporti altalenanti ed i nostri progenitori, che non erano sicuramente confezionati con la farina per far ostie, a volte svolgevano il compito di guardie scelte del faraone, a volte si alleavano con i suoi nemici. Sta di fatto che la protostoria della Sardegna è intimamente connessa con quella egizia.
Riporto qui a lato l’immagine di un bassorilievo di Medineth Abu, tratto dal libro “I segreti dei Geroglifici” di Hilary Wilson, dove compaiono un troiano ed un shardana, fatti prigionieri dalle truppe di Ramesse III, che regnò in Egitto tra il 1197 ed il 1165 a.C, proprio nel periodo della guerra di Troia.
Che si tratti di un troiano e di un shardana si rileva non solo dai rispettivi copricapi, ma dalle scritte geroglifiche che riportano rispettivamente i nomi di Tjkeary (Teucro) e di Shardana (scritto proprio come si pronuncia).
Propongo questa immagine perché ci sono alcune curiosità da osservare.
Innanzi tutto si può ipotizzare che terminata la guerra di Troia, i due compagni di sventura, prima di proseguire per la Sardegna -come riportato nel mio saggio su Atlantide e Tartesso -, avessero fatto una capatina in Egitto senza sapere a che iattura stavano andando incontro.
Ma l’immagine è anche dimostrativa delle frequentazioni egizie delle nostre antiche popolazioni, e tale circostanza è dimostrata, tra l’altro, dal bastone da lancio (quella specie di boomerang riportato su entrambe le iscrizioni) che in geroglifico si scriveva m3t (pronuncia mat), simbolo delle popolazioni straniere.
Lo stesso bastone che rappresentava l’arma di diversi guerrieri nuragici raffigurati nei “bronzetti”.
Tanto premesso vorrei ricollegarmi ad un altro articolo, pubblicato sul blog, che porta la firma di Giuseppe Mura e si intitola ”Il Giardino delle Esperidi? a Cagliari!”.
Innanzi tutto mi complimento con l’autore per la ricerca minuziosa e le interessantissime intuizioni riportate, ma vorrei anche esprimere la mia soddisfazione per essere entrambi giunti, sebbene per vie diverse, a collocare correttamente Tartesso in Sardegna.
E poco importa che fosse un po’ più a sud o un po’ più a Nord, mentre rileva, in senso assoluto, la sua ubicazione nella nostra isola, specie per le conseguenze storiche (e promozionali) che potrebbero derivarne (credo che al Governo spagnolo, che ha speso e continua a spendere una fortuna per dimostrare che la biblica terra dei metalli si trovava nei pressi di Cadice, presto ronzeranno le orecchie).
Vorrei tuttavia aggiungere un’altra osservazione che ritengo possa rinforzare le teorie proposte da Giuseppe Mura.
Nell’articolo di Antonio Bonifacio, riportato alla fine del mio studio, si parlava di Osiride, “primo degli abitanti della terra d’occidente” e “re eterno nei Campi di Yalu e nella terra del sacro Amenti”.
In realtà i “campi di Yalu”, “la terra del sacro Amenti”, i “Campi Elisi”, “il Giardino delle Esperidi”, rappresentavano tutti, anche se sotto differenti forme, lo stesso regno dei morti; un luogo paradisiaco situato in un’isola posta ad Occidente e comunque legato alle antiche tradizioni egizie ed alla leggenda atlantidea.
Nell’antico Egitto i campi di Yalu (o Yaru) erano la residenza dei defunti e venivano raffigurati, in termini geroglifici nella maniera qui accanto riportata, raffigurazione che si leggeva sekhet iaru, e significava “campi di canne”. Ma ogni ramo che appare dopo il pulcino, è un fonogramma bilittero dal significato di erba, che si scrive “hn” e può leggersi come “han”.
La triplice ripetizione del ramo significa invece grande quantità d’erba, di canne o di piante (cfr. Betrò: “Geroglifici”), si scrive “hnw” e può leggersi “hanw”.
La scritta sopra riportata potrebbe allora ragionevolmente interpretarsi come “campi di hanw” o “campid’anw”.
Non ci ricorda qualcosa?

9 commenti:

Pierluigi Montalbano ha detto...

Buongiorno Ing. Valdes,
anzitutto mi complimento per gli articoli che ha proposto. E' stato come prendere una boccata di aria fresca la mattina, appena svegli. Resto in attesa della risposta alla osservazione che le ho fatto nell'altra stanza, riguardante il tramonto del sole a occidente, ma vorrei chiederle alcune precisazioni anche in questo 3d.
Nella prima figura qualcosa non torna. Il guerriero shardana indossa l'elmo della guardia reale di Ramesse II, e presumo si tratti, invece, di uno shardana alle dipendenze di Ramesse III, a distanza di circa un secolo. Come possiamo giustificare la scena rappresentata? Forse si tratta di un disertore che strizzava l'occhio ai nuovi shardana, quelli senza disco solare fra le corna.
Per quanto riguarda il boomerang la rimando ad articolo sul mio blog. Ne ho parlato a proposito del "popolo di bronzo" di Angela Demontis.
Per quanto riguarda il Campidano, pur essendo intrigante la sua sottigliezza, preferisco stare con i piedi ben piantati in terra e suggerire un primo approccio con il segno geroglifico che identifica Haou-nebout. Se poi un giorno qualche archeologo scoprirà che la mitica provenienza di questi semidei sia la Sardegna...ne riparleremo, ma fino a quel momento siamo costretti ad identificarla con una nebulosa provenienza dalle isole dell'estremo occidente, quelle situate nel cuore del Grande Verde.

m.aleta ha detto...

""La scritta sopra riportata potrebbe allora ragionevolmente interpretarsi come “campi di hanw” o “campid’anw”.
Non ci ricorda qualcosa? ""

Campidanu!

Perbacco, l'ipotesi appare logica.

Davvero interessante.

elio ha detto...

Campidanu. Molto suggestivo. Fa tremare i nostri cuori e fremere le nostre meningi.
La mia impressione guardando il Teucre e lo Shardana è che abbiano le braccia legate molto strettamente dietro la schiena e un cappio al collo; i 'bastoni' (fusti o matzucu, scegliete un po' voi) servano a torcere meglio le corde.
Non è questo che però mi interessa maggiormente, quanto avere un'idea delle condizioni paleogografiche del Mediterraneo di allora. La geografia è la madre della storia. Ricordiamo che stiamo uscendo dall'ultima glaciazione. Quali erano la condizioni ecologiche in oriente, in occidente, in mezzo al Mediterraneo, diecimila anni fa? e di lì a scendere?
Per capire da dove può essere partito il 'tutto, bisognerebbe avere un'idea delle precondizioni dei siti da cui 'la civiltà', prese il volo. Sto parlando della rivoluzione del neolitico, le cui culle sono unanimemente adagiate nelle grandi valli alluvionali del Nilo, del Tigri-Eufrate, dell'Indo. Quale era la situazione del Mediterraneo in generale e di quello occidentale in particolare?
Non dimentichiamo che quel mare, così si chiama perchè ha tutte le terre attorno.

shardanaleo ha detto...

Caro Jorgio, se quei due sono uno SHARDAN e un Tjekker di Troja (Ilio per la verità)... e io credo lo siano... non pare strano che siano insieme dopo la DISRTUZIONE di Ilio effettuata proprio dai PdM secondo la maggiuor parte degli studiosi? I conti così non tornano... anche perchè
- quello shardana ha le parvenze dei SHARDANA della Guardia Reale(vedi disco solare e barba)
- Quello Tjekker sembra più un Ittita...
perchè dunque dovrebbero stare insieme?

io un'idea ce l'ho... ma forse è conveniente aspettare altri commenti. Rischio infatti di essere frainteso come nel precedente intervento su Tartesso... (come tu hai capito...)
a dopop...
leonardo

Giuseppe ha detto...

@ Giorgio Valdès

Inizio affrontando direttamente la tua domanda (posso usare il tu, vero?) finale a proposito dei “campi di anw” degli Egiziani. A prescindere dalla interpretazione del termine, che non sono in grado di giudicare, quello che mi interessa è il fatto che lo riconduci al regno dei morti, situato in “un luogo paradisiaco e in un’isola posta ad Occidente”, identificato dai Greci come Campi Elisi e Giardino delle Esperidi.
Ho sviluppato lo stesso tema approfondendone gli aspetti provenienti dalle fonti greche ma trascurando del tutto quelle egiziane, quindi apprendere che gli scribi-sacerdoti del faraone avevano lo stesso pensiero a proposito del luogo dei morti mi ha colto di sorpresa; anzi, per quanto mi riguarda, una davvero piacevole sorpresa, perché conferma quanto ipotizzo nel mio lavoro.
Nell’articolo sul Giardino delle Esperidi, pubblicato da questo blog, propongo di localizzare la sede delle Ninfe in Sardegna in quanto la versione di Apollonio Rodio lo descrive in un territorio la cui morfologia, formata dal Mare Oceano, un promontorio proteso sul mare, uno stretto che conduce ad un lago che riceve le acque da un fiume che scorre in una pianura, corrisponde esattamente alla regione di Cagliari.
Ora, analizzando attentamente la descrizione dell’Ade-Tartaro di Omero ed Esiodo, ovvero il luogo dei morti per eccellenza, la suddetta morfologia si manifesta ancora una volta nelle medesima sequenza: infatti, una volta attraversato il Mare Oceano, si avvista la Rupe Bianca, oltre la quale le porte del Sole (o collo) consentono di accedere al lago Acheronte che riceve le acque dai fiumi Periflegetonte e Cocito che scorrono nel prato asfodelo.
Insomma, cambiano i nomi ma non i singoli elementi che formano la particolare morfologia.
Non solo, ricordo che nell’Ade omerico scorrono anche le acque sorgenti di Stige e che, appena superate le porte del Sole (stretto), sorge la città del popolo dei Sogni.
Le acque di Stige, se versate sul capo, hanno il potere di smentire gli dei mentitori, quindi hanno la stessa efficacia che aveva l’acqua sorgente nei riti degli antichi Sardi, mentre il popolo dei Sogni per eccellenza erano ancora i Sardi che praticavano il culto degli eroi, come testimoniano Aristotele e i suoi commentatori quando descrivono i nostri avi che si facevano solenni dormite di cinque giorni tanto da perdere la cognizione del tempo. Quanto all’ubicazione della città del popolo che sogna, ricordo che l’antichissimo porto di Cagliari sorgeva all’interno della laguna di S. Gilla, ed esattamente sulla destra di chi entrava nella stessa attraverso lo stretto.
Ti ringrazio per l’attenzione nei miei confronti e per l’approccio propositivo col quale tratti le ipotesi altrui in merito alle antichissime vicende storiche della nostra isola.
Un caro saluto

Giuseppe Mura

shardanaleo ha detto...

I BLOG purtroppo non sono FORUM e alle volte creano questi inconvenienti e sovraposizioni. Quando ho scritto il mio post non aveva risposto nessuno. Capita quindi che le cose che scrivo le abbiano già scritte altri (in parte)Ma se volgiamo ritornare all'IDENTITA dei due prigioni, confermo trattarsi di
1 SHARDANA della Guardia Reale
1 TJEKKER (o Ittita)
tengo però a dare una mano a Giorgio Valdes nel confermare che, nonostante TROJA, anzi ILIO/WILUSHA fosse stata appena distrutta dai PdM di cui i shardana facevano parte (DANAI?), mentre i Tjekker erano dalla Parte opposta (Teucri)come ancora i shardana (DarDANi). I due possono essere considerati ALLEATI.
Nell'ultima mia fatica spiego, infatti, chiaramente che i TJEKKER/TEUCRI e i DARDANAI (Enea) andaro via dopo la distruzione della ROCCA di Wilusha (solo la ROCCA, non la città)e andarono via insieme ai PdM invasori.
QUINDI la tua TESI di un TJEKKER e uno SHARDANA insieme all'ATTACCO DELL'EGITTO è sicuramente GIUSTA!
---
Su CAMPI di ANW... non mi trovi d'accordo. Anch'io in passato usai CAMPU di DANU... ma mi resi conto della FORZATURA (Campo è ITALICO). Poi pensai che in SARDO esiste il termine
IDANU, che ha a che fare con una PIANURA ACQUITRINOSA...pure restando il dubbio su KAMP...
mah!
Unu Saludu
leonardo

zuannefrantziscu ha detto...

da Giorgio Valdès

@Atropa Belladonna
Premesso che il termine yaru aveva il significato di canna, giunco, pianta acquatica, erba o fiori (cfr. Betrò “Geroglifici”), non credo che ci sia da scandalizzarsi per aver fatto precedere alla parola yaru la preposizione di, anche perché il tutto era compreso in un periodo virgolettato tratto da un saggio di Antonio Bonifacio, ricercatore laureato in storia della religione antica. Anche Bonifacio cerca di trasfondere in termini italiani ciò che andrebbe letto come Campi Yaru. Per essere più espliciti, se si dovesse tradurre in italiano, attualizzandola, tale scritta geroglifica (in egiziano sekhet iaru) che ho riportato nella mia nota, tralasciando per un attimo il determinativo raffigurato dalle tre piante acquatiche sulla destra della scritta, non si scriverebbe campi canne ma campi di canne, come appunto scrive Bonifacio.
Che poi si trattasse di canne, erba, giunchi, piante o quant’altro non mi pare influente. Detto questo, ho semplicemente osservato che a destra dell’iscrizione sono rappresentati tre ciuffi d’erba che hanno valore di determinativo e quindi servono a far comprendere di che cosa si sta parlando (appunto di un campo d’erba, di canne, di giunchi o qualcosa di simile). Propenderei per il termine giunchi anche perché, almeno in logudorese, giunco si scrive yunu. Ciò che tuttavia mi ha incuriosito è che l’insieme dei tre giunchi ha valore fonetico hanu con h gutturale. Da qui è nata la mia interpretazione (campi hanw o campi di hanw), che potrà anche essere discutibile ma almeno è verosimile.
Per quanto riguarda la terra dei morti, a parte il fatto che sto riferendomi alle tradizioni egizie e non a quelle di tutti i popoli mediterranei, la rassicuro che sono tutt’altro che un menagramo e lei sa bene cosa rappresentasse per gli antichi egizi l’aldilà , il duat (dw3t) o il luogo dove appaiono il sole e le stelle dopo l’invisibilità (Betrò); non certamente un cimitero ma un luogo di rinascita. Al proposito ripropongo un brano tratto dal saggio di Bonifacio, così può star sicura che non si tratta dell’interpretazione di un dilettante come me: Il paese posto a Occidente dell’Egitto assume i connotati del luogo superiore occultatosi e resosi pertanto invisibile e irraggiungibile con mezzi normali. Fu la barca a far da mezzo, insieme reale e simbolico, a questa restaurazione del regno originario, compiendo il suo percorso a ritroso per ritornare nella terra dei morti che per l’Egitto assunse i connotati della Terra dei Viventi…

---continua---

zuannefrantziscu ha detto...

da Giorgio Valdès

@Atropa Belladonna
---continua---
In riferimento al bastone ricurvo, credo invece che ci sia stato un fraintendimento, perché non mi riferivo alla scritta sekhet yaru concernente i Campi Yaru, dove non c’è dubbio che il simbolo a sinistra sia il segno alfabetico con valore fonetico S (che peraltro non rappresenta un bastone da lancio ma un tessuto ripiegato), bensì quella specie di boomerang ( T 15) che appare nelle scritte a sinistra delle due figure di prigionieri, “determinativo in m3t –bastone da lancio- ideogramma in thnw, Libia o Libici e determinativo, per estensione, a tutti i nomi di popoli e terre stranieri” (Betrò: “Geroglifici”). Lo stesso bastone da lancio è quello impugnato dai guerrieri in bronzo raffigurati nel bel volume di Angela Demontis. Un piccolo inciso: il determinativo m3t fungeva anche da ideogramma per indicare Maat, dea della regola e della giustizia, che portava sul capo la piuma, guarda caso simbolo dell’occidente.
Concordo infine con lei sul fatto che l’incursione in Egitto dei due prigionieri sia solo una mia ipotesi, ma un’ipotesi abbastanza realistica (in questo campo, cosa c’è di certo?), considerata la familiarità dei Troiani con i nostri guerrieri (che siano arrivati un Sardegna ad un certo punto della storia mi pare sia storicamente “probabile”).
Mi interessa anche precisare che la riproduzione del bassorilievo che ritrae i due prigionieri è, come detto, tratto dal libro della Wilson la quale, in qualità di egittologa, li colloca tra i Popoli del Mare affrontati da Ramses III.
Da ultimo (non per fare il saputello, perché di geroglifico ho solo l’infarinatura che mi basta, libri alla mano, per individuare le rispondenze di quella cultura con la nostra), vorrei ribadire che a parte le acconciature, sulla sinistra dlle figure dei due prigionieri c’è proprio scritto, in caratteri geroglifici, rispettivamente Tjekary (Teucro) e Shardana.

Giuseppe ha detto...

@ Atropa Belladonna

cara Atry, mi scuso in anticipo, ma se il vedere seguire AT da NUr ti procura l'orticaria cercati semplicemente l'antidoto opportuno, ma non pretendere che tutti la pensiamo come te, compresi i milioni di turisti che vengono in Sardegna.
Dici che i turisti vengono nell'Isola per il mare e per i nuraghi "perché sono una meraviglia e ci sono solo lí, come le piramidi in Egitto. E la realtá dei fatti é che sono valorizzati 1/1000esimo della loro potenzialitá e valenza storica, culturale, architettonica".
Nell'accettare in toto la tua affermazione ti faccio notare che proprio i racconti di antichissimi navigatori che ebbero l'opportunità di conoscere le costruzioni dell' "l'isola dei miracoli" ne alimentarono la fama, contribuendo così alla nascita di un'epopea che noi moderni abbiamo identificato come miti.
D'altra parte, cosa fecere i Greci del periodo classico quando conobbero le magnificenze della Sardegna? Se ne attribuirono i meriti facendovi arrivare i Dedalo e gli Aristeo! Ciao

Giuseppe Mura