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lunedì 14 maggio 2012

Letteratura sarda a scuola? Ecco come


È esistita una Letteratura e una Civiltà sarda? È la domanda a cui risponde, positivamente “Letteratura e civiltà della Sardegna”, di Francesco Casula. Insieme libro di testo per le scuole e godibilissima lettura, del lavoro di Casula è uscito recentemente il primo volume che partendo dalle prime espressioni conosciute di letteratura, la Carta del giudice Torchitorio, arriva agli scritti di Salvatore Cambosu. Edito da “Grafica del Parteolla”, in libreria al costo di 20 euro, il libro si presenta come utilissimo sussidio per chi nelle scuole sarde volesse finalmente far conoscer agli studenti la storia della letteratura della nostra Isola. Di seguito la parte finale della introduzione a “Letteratura e civiltà della Sardegna”-


di Francesco Casula

Alla straordinaria ricchezza culturale sono ... spesso mancati, almeno fin’ora, i mezzi per una crescita e prosperità materiale adeguata. Oggi, dopo il sostanziale fallimento dell’ipotesi di industrializzazione petrolchimica, si punta molto sull’ambiente e sul turismo, settore quest’ultimo sicuramente molto promettente, purchè si integri con gli altri settori produttivi, ad iniziare da quelli tradizionali come l’agricoltura, la pastorizia e l’artigianato. La struttura economica sarda infatti è sempre stata fortemente caratterizzata dalla pastorizia, che oggi però con i suoi quattro milioni di pecore, sottoposta com’è a processi di ridimensionamento dalle politiche dell’Unione europea, rischia una drammatica crisi.
Ebbene, pur in presenza di forti elementi di integrazione e di assimilazione, nella società, nell’economia e nella cultura, l’umore esistenziale del proprio essere sardo –di cui parla Giovanni Lilliu- continua a segnare profondamente, sia pure con gradazioni diverse, oggi come ieri, l’intera letteratura sarda che risulta così, autonoma, distinta e diversa dalle altre letterature. E dunque non una sezione di quella italiana: magari gerarchicamente inferiore.

venerdì 1 aprile 2011

Asor Rosa e gli scrittori "sardo-nazionali"

Ricorderete, immagino, la lunga discussione che su molti media e su questo blog c'è stata fra l'ottobre e il novembre scorsi su letteratura sarda e letteratura italiana. Su che cosa, cioè, definisca l'una e l'altra se non la lingua usata per farla. Molti, io fra di essi, sostengono che la narrativa sarda è quella scritta in sardo; molti, fra i quali i più convinti erano Michela Murgia e Marcello Fois, sostengono che non è l'uso della lingua sarda a definirne l'appartenenza. Non sono, evidentemente, questioni di lana caprina: intorno ad esse – tanto per capirci – si giocano interessi non solo culturali ed ideali, ma anche economici.

domenica 5 dicembre 2010

Una comunità di lettori condannata alla clandestinità

Non c'è niente da fare: è più forte di loro:
anche quando si getta l'allarme per la
situazione della lingua sarda, per i giornali
isolani, essa è sinonimo di
un lontano passato oggi folclore [zfp]
di Vittorio Sella


Che la produzione letteraria in questi ultimi trent'anni si è arricchita con il narrare in sardo, mettendo a disposizione dei lettori racconti e romanzi, è un fatto impossibile da confutare. La novità che viene fuori con la forza di un fiume crescente è la scrittura in lingua sarda, che Diego Corraine puntualizza come "lingua propria, storica, dei Sardi, negli ultimi mille anni", mentre risultano "non proprie" il catalano e lo spagnolo. La via che si sta praticando non può essere che sperimentale, cioè di verifica delle possibilità creative e di superamento dei nodi da sciogliere. 
Ma non si tratta di un esame di ammissione, perché è già una realtà positiva l'essere consapevoli che il sardo orale è alla base di una letteratura in sardo. Questo risultato non è un appellativo con effetto provocatorio, ma è il frutto dell'impegno di quegli intellettuali, radicati nel territorio, che recuperano e valorizzano la lingua di appartenenza. Di fatto il raccontare in sardo costituisce il punto di incontro di due distanze, tenute separate nella nostra storia, tra intellettuali e lingua d'origine. E' da questa saldatura che è emersa una nuova letteratura, resistente alla omologazione, anche se la tendenza ad oscurare la creatività prevale sulla diffusione. 
Ma sono convinto che il principio della sedimentazione, che caratterizza altri campi del sapere, nella pratica dell'uso del sardo avrà effetti di crescita positiva. Non a caso il premio Grazia Deledda conserva una sezione aperta alla narrativa in sardo...

mercoledì 10 novembre 2010

Quella indigesta prosa in sardo

di Micheli Podda

Un minestrone di verdure spigolose e rinsecchite difficili da inghiottire: questa è la sensazione durante la lettura di un brano in prosa sarda. Con tutto il rispetto per i numerosi cultori che, con passione, dedizione e impegno, tentano di ridare vita e dignità alla lingua dei nostri padri. 
Motivo? Da parte mia e dei lettori in genere, la mancanza di dimestichezza verso il sardo scritto. Da parte degli scrittori la sempre più diffusa abitudine di spacciare per prosa sarda quella italiana travestita da sarda. E' incredibile quel che si riesce a fare! Continuando così, ma senza dover aspettare tanto, la "lingua sarda" sarà quella più ricca fra tutte le lingue del mondo, perchè avrà al proprio attivo, oltre al proprio lessico, tutte le voci ed accezioni della lingua italiana, circa trecentomila, naturalmente sardizzate, con "u" o "s" finali e con "tz" in corpo di parola. Sarà, o meglio è già una lingua composta prevalentemente di "neologismi", dunque oltre che ricca anche nuova e moderna, in linea con i tempi; che fortuna, ne faremo di strada!
Qualcuno va anche oltre, e prende un'altra scorciatoia: fa letteratura sarda scrivendo direttamente in italiano. Certo, sembrerebbe un po' troppo,  ma almeno il tentativo di bluff è manifesto, quantomeno non si fa finta di scrivere in sardo coprendo un malcelato italiano.
Vorrei portare qualche esempio di quel che affermo, ma non cito i documenti degli Ufìtzios de sa Limba Sarda, nè documenti politici in sardo, nè traduzioni di testi di storia, di scienze...perchè lì è fin troppo chiaro, ognuno lo vede immediatamente. Voglio mostrare qualche caso più serio e sottile, di quelli che possono sfuggire a chi pure è bravo, attento e competente, nell'idea di convincere studiosi e appassionati  ad essere più prudenti e sopratutto a ricercare continuamente fra chi ancora parla un sardo schietto, emendando però all'occasione, diffidando di tutto e di tutti per individuare la gramigna italiana. 

giovedì 4 novembre 2010

"Letteratura italiana", mica è un insulto

È davvero curioso assistere alla rivolta di alcuni scrittori sardi (Michela Murgia e Marcello Fois in particolare), che si sentono offesi se i loro romanzi in italiano vengono attribuiti alla letteratura italiana. Come se “letteratura italiana” fosse non una definizione, magari approssimativa e bisognevole di successivi affinamenti, ma una accusa infamante. Addirittura c'è chi, come Marcello Madau sul manifestosardo, evoca “operazioni fortemente reazionarie, nazional-popolari, di taglio etnocentrico; dove si inseriscono le affermazioni che la letteratura di sardi scritta in italiano non sia sarda; e il particolare uso del ‘capitalismo-a-stampa’ per certificare lingue e scritture inventate (qua il marchio reazionario è molto forte: si crea infatti, non casualmente, una particolare unità tra falsi codici e false scritture dove l’antichizzazione si unisce al sacro. Appare persino il nome di Yahweh).” E via con la sagra dei luoghi comuni inzuppati nel brodo dell'ideologia.
A suscitare la rivolta è stato un articolo, su La Nuova Sardegna del 28 ottobre, in cui Diego Corraine scriveva che solo la letteratura scritta in sardo è letteratura sarda. Cosa di cui sono personalmente certo, da autore che rivendica di appartenere alle due letterature, alla sarda quando scrive in sardo, alla italiana quando scrive narrativa in italiano. Sarà perché ho netta in mente la differenza fra letteratura nazionale, quella della mia nazione, e letteratura italiana, quella dello stato a cui, almeno provvisoriamente, apparteniamo tutti, autori in italiano e autori in sardo. Anche quando e se esisterà uno stato sardo, questa condizione non cambierà, visto che a dettare l'appartenenza letteraria sarà la lingua in cui essa è prodotta.
È pur vero quanto ha sostenuto, nel dibattito aperto da Corraine, Ignazio Delogu: “Il Nobel Miguel Angel Asturias di madre Maya, non sarebbe uno scrittore guatemalteco non avendo scritto in lingua maya, della quale conosciamo soltanto il libro sacro Popol Wu”. Ma ci sono un paio di belle differenze. La prima è che il colonialismo italiano non ha avuto in Sardegna gli effetti devastanti che l'imperialismo spagnolo ha avuto sulle lingue delle Americhe, dal Messico in giù. La seconda è che in Sardegna la letteratura sarda preesiste a quella italiana, si è continuata a produrre sia in periodo iberico sia in quello italiano ed ha da venticinque anni una copiosa produzione, più di duecento romanzi. Ignorarne l'esistenza, come i media e gli autori italofoni fanno con pervicacia, non è un certificato di inesistenza, al massimo potrebbe essere una speranza.
La situazione attuale della letteratura prodotta da sardi è questa: c'è chi fa della narrativa italiana e c'è chi fa della narrativa sarda. Perché inalberarsi ed evocare pulsioni reazionarie? Marcello Fois ha scritto per La Nuova un articolo pieno di livori. Lo ripubblica sul suo blog Michela Murgia elogiando “quell'anima paziente di Marcello Fois”. Gli da una risposta sul suo blog Roberto Bolognesi. È ciò che penso anche io. 

PS - Il Premio Grazia Deledda di narrativa sarda è assegnato ad opere in lingua sarda. Sarà anche questa una operazione fortemente reazionaria, nazional-popolare, di taglio etnocentrico?

martedì 27 aprile 2010

Il Poltbjuro della Nvls contro la bieca reazione

Il Politbjuro della NVLS è inquieto. La bieca reazione in agguato ha osato l'inosabile: “Si può fare una mostra del libro in Sardegna senza gli scrittori sardi?”, si chiede indignato un giornalista (La Nuova, 25 aprile) che così si risponde: “Sembra una contraddizione ma a Macomer è accaduto proprio questo”. È accaduto, infatti, che gli scrittori della NVLS non sono stati invitati a parlare dei loro romanzi, come invece fanno un giorno sì e l'altro pure nel loro quotidiano di riferimento.
La spiegazione data dagli organizzatori della Mostra del libro in Sardegna è che si era deciso di esporre i libri stampati da case editrici sarde. Una scusa, è vero, risibile, posto che i primi tre libri presentati venivano da fuori, ma questa è una innocente concessione al provincialismo. Però il Politbjuro della “Nouvelle vague letteraria sarda”, la NVLS appunto, non è di questo che si indigna. “Gli” scrittori sardi lì sono iscritti e solo essi hanno diritto a essere considerati tali, laonde per cui fuori loro fuori la narrativa sarda.
Ma perché tanta protervia da parte della bieca reazione? È chiaro: “Molti degli autori appena citati (cinque in tutto, NdR) si sono schierati pubblicamente per Soru alle elezioni regionali del 2009”. Della qualcosa, bisogna ammetterlo, nessuno si era accorto. Anzi tutti eravamo convinti che la NVLS fosse il luogo geometrico della letteratura in Sardegna e che l'appartenenza politica c'entra nulla. Del resto, è solo un caso che di quei magnifici cinque la Digital library della Regione sarda abbia pubblicato in epoca soriana ogni respiro, che il loro giornale di riferimento li segua dal momento in cui cominciano a scrivere a quando pubblicano, non mancando di segnalare ogni loro spostamento e ignorando ciò che d'altro si produce nell'Isola in materia di narrativa.
Peppino Marci, critico letterario dei migliori esistenti, uomo di sinistra, ha recentemente scritto: “Un (intraprendente) scrittore pubblica un libro con una (intraprendente) casa editrice. Un (compiacente) critico scrive un'articolessa che un (compiacente) redattore mette in pagina con grande risalto. Direte: e allora, cosa c'è di male? Niente; se si esclude che fanno tutti parte della stessa area politica, che da decenni se la cantano e se la suonano sostenendosi l'un l'altro e sostenendo gli stessi leader, dando quotidiane lezioni di pubblica moralità all'intero universo; facendo, in sostanza, i propri affari”. (L'Unione sarda, 12 aprile).
E stiamo parlando, qui, della narrativa in italiano. Quella in sardo, nonostante i quasi duecento titoli, non esiste proprio, né esistono i suoi autori. E passi per il Politbjuro della NVLS e dei suoi portavoce: non esiste neppure per la bieca reazione in agguato. Quando si dice gli opposti estremismi.

lunedì 26 aprile 2010

Ma tutti i miti possono diventare storia. Nausicaa, per esempio...

di Giuseppe Mura

Il titolo assegnato dagli organizzatori alla Mostra del libro di Macomer, anno 2010, è "Sardegna nel Mito". Zuannefrantziscu la presenta nel suo Blog intitolando il suo articolo con un termine molto significativo: "Tutto è mito, niente è storia".
Dovendo sintetizzare al massimo il contenuto del mio libro “Sardegna, l'isola felice di Nausicaa”, questo concetto espresso da "Zuanne" può essere tranquillamente rovesciato, in quanto "tutti i miti possono diventano storia". Per suffragare una tale affermazione ho depurato dai miti gli elementi di fantasia: quanto resta, specie in termini geografici e narrativi, contiene informazioni reali sulle vicende del tempo.
La ricerca sulle fonti antiche è stata condotta rinunciando a priori agli assiomi consolidati, infatti una mente sgombra dai preconcetti è libera di spaziare su campi rimasti ancora inesplorati e di rivisitare le fonti disponibili. Insomma, niente voli Pindarici, ma riflessioni sul contenuto delle antiche fonti comparandone i dati con gli elementi reali individuati nel territorio e in quelli forniti dall'archeologia.
Il modello culturale proposto ricostruisce gli aspetti delle origini della cultura sarda, svelandone le radici remote ancora oggi presenti nelle antiche fonti bibliche egiziane e greche; la comparazione di queste fonti consente di ricostruire quello che era il vero scenario dell'Età del Bronzo, che comprendeva, insieme alle maggiori culture orientali, la Sardegna nuragica, in vera e propria competizione con le stesse nella navigazione, nelle costruzioni, nel possesso dei metalli e nelle arti.
In questo scenario trovano la loro giusta collocazione in Sardegna luoghi ideali come Tarsis-Tartesso, l'isoletta di Erizia che ospita il Giardino delle Esperidi, le Isole dei Beati, il regno di Crono e Atlantide; allo stesso modo rientrano nella storia genti come gli Sherden, i Cari, i Pelasgi-Tirreni e i Dori-Eraclidi, inoltre la civiltà nuragica diventa la vera "catalizzatrice" di molti misteri rimasti irrisolti della preistoria.
PS - Per chi avesse piacere di esserci, presenterò il mio lavoro a Cagliari il 6 maggio, alle ore 1900, presso l'Associazione culturale ITZOKOR, via Lamarmora 123.

lunedì 12 aprile 2010

L'autogol dei critici letterari compiacenti

Scrive oggi su L'Unione sarda Giuseppe Marci, forse il maggiore critico letterario sardo e intellettuale di sinistra: “L'elettore di centrosinistra è scontento, guarda i suoi rappresentanti e non approva. Né le piccole, né le grandi cose; né le scelte politiche, né la moralità dei comportamenti: anche di quelli minimi. Faccio un esempio. Un (intraprendente) scrittore pubblica un libro con una (intraprendente) casa editrice. Un (compiacente) critico scrive un'articolessa che un (compiacente) redattore mette in pagina con grande risalto. Direte: e allora, cosa c'è di male? Niente; se si esclude che fanno tutti parte della stessa area politica, che da decenni se la cantano e se la suonano sostenendosi l'un l'altro e sostenendo gli stessi leader, dando quotidiane lezioni di pubblica moralità all'intero universo; facendo, in sostanza, i propri affari. Non hanno commesso reato ma una colpa più grave: hanno screditato la sinistra, hanno scippato nobili ideali trasformandoli in miseria”.

In realtà, l'amara considerazione e la denuncia di Peppino Marci non sono cucite intorno a questo o a quello scrittore, descrivono un quadro di malcostume che forse è presente ovunque, ma che in Sardegna ha tratti parossistici per due ragioni. La prima sta nella esclusione a priori di quanti, fra gli scrittori sardi, non sono cooptati o non sono iscritti alla nouvelle vague letteraria e/o allo schieramento politico fiancheggiato dalla critica militante; la seconda sta nel carattere ideologico delle esclusioni che riguardano tutti coloro che scrivono in sardo, indipendentemente dalle loro simpatie politiche.
La prima facies risponde ai criteri di “egemonia culturale” del mondo dei migliori, pessima rilettura della egemonia di gramsciana memoria. Va anche detto, a descrivere lo stato delle cose, dell'atteggiamento succube dell'altra parte dello schieramento politico sardo, incapace di sottrarsi al fascino dell'egemonia culturale di questa sinistra e quindi correa delle scelte che essa fa e riesce ad imporre. Uno degli intellettuali sardi di spicco che firmò la scomunica contro Sergio Frau ha scritto qualche giorno fa, in un sito della sinistra che più sinistra non si può, l'invito a non lasciarsi “suggestionare dalle varie e ricorrenti ondate di interesse quasi di massa (e sempre editorialmente fortunato) per scempiaggini come Shardana, Atlantide, da ultimo acabbadoras e altre affabulazioni mitizzanti e autoesotizzanti”. Dove chiunque può leggere nomi e cognomi, persino quello di una brava scrittrice nuorese una volta cooptata nella “nouvelle vague” e, come si vede, oggi espulsa, sappi tu se per le sue simpatie indipendentiste o se per il suo errore di aver voluto parlare di cose diverse dalle sorti magnifiche e progressive, come un qualsiasi Gigi Sanna o Sergio Frau o, honny soit qui mal y pense, Leonardo Melis.
Preoccupazioni inutili, quelle del Nostro, visto che critici e redattori compiacenti di queste cose non si occupano; hanno ben altri autori, compreso il Nostro, da sponsorizzare e da esaltare come rappresentanti unici ed esclusivi della cultura e della letteratura prodotta in Sardegna. Naturalmente nell'unica lingua usabile per scrivere: l'italiano. Ed ecco la seconda faccia della questione: in Sardegna si sono pubblicati negli ultimi trentanni circa duecento romanzi e racconti in sardo. Agli inizi il “fenomeno” suscitò un qualche interesse anche sulla stampa. Poi è calato un silenzio tombale che continua ancora oggi. Se i corrispondenti di paese non dessero conto, a volte, di presentazioni di libri in sardo, niente a che vedere naturalmente con le “articolesse” compiacenti, l'esistenza di una letteratura in sardo non sarebbe conosciuta neppure come “fenomeno”.
Il furore ideologico è tale che, in questo ambito, i critici e i redattori compiacenti non parlano neanche degli scrittori che, per dirla con Marci, “fanno parte della stessa area politica” e “sostengono gli stessi leader”. Nessun piagnisteo e nessuna invidia, questi autori viaggiano per paesi e villaggi parlando dei loro lavori con i destinatari dei libri, ma una grande pena, questo sì, per quanti, pensando di esercitare egemonie culturali – riprendo ancora Peppino Marci – “hanno screditato la sinistra, hanno scippato nobili ideali trasformandoli in miseria”.

sabato 27 marzo 2010

Ecco i miei romanzi. Sono vostri con un clic

di Franco Pilloni

“In sardo mi piacciono più le poesie che i romanzi, – mi ha detto mio zio novantenne – in italiano il contrario”. “Perché sono brutti?” gli ho chiesto. “No, perché sono difficili da leggere”.
E ha ragione. Perché leggere il sardo, se non c’è la pratica, non è agevole. Come le altre lingue.
Se poi gli diamo regole ortografiche diverse da quelle italiane (a scuola quelle s’insegnano, a volte in modo esclusivo), il problema si amplia. Non lo dico per polemica, lo constato.
Ma perché uno, o qualcuno, scrive romanzi in sardo? Per motivi che esulano il tornaconto economico (anche se l’editore deve pareggiare i conti, in qualche modo), per motivazioni sentimentali, di cuore o di pancia, politiche a volte. La prima è comunque la speranza di condividere con altri gli esiti della sua fatica, che vengano apprezzati se del caso, comunque presi sul serio.
Cosa fare? Mi è venuto in mente di finanziare l’acquisto dei miei romanzi, a tasso zero e a fondo perduto. Voglio dire che li propongo gratis e senza restrizioni che non siano quelle di legge (ci sono i diritti dell’autore e dell’editore, oltre che quelli etici) in uno spazio che Google mette a disposizione di tutti: un sito.
Per la verità, io un sito a mio nome lo possiedo da anni, ma non riesco più a controllarlo.
Qui, invece, è tutto molto facile: si cerca, si vede si visualizza e, volendo, si scarica per tenerlo o, volendo, si stampa. Ripeto, tutto gratis e senza frode.
Oggi sono disponibili alcuni racconti inediti, alcune poesie, un romanzo sia in sardo che in italiano: L’ISOLA DEI CANI – S’ISLULA DE IS CANIS, editi mi pare nel 2001. Prossimamente, spero entro la prossima settimana, metterò in rete AREGA PON.PON, inedita e in italiano. La versione in sardo è edita nel 2007, ancora sta in libreria.
Cosa chiedo in cambio? Nulla, salvo commentare se volete, fare il passaparola se potete, con i metodi consueti: link, email degli amici, parole, ecc.
Grazie, ZFP, per lo spazio.
Dimenticavo, ecco l’indirizzo: http://sites.google.com/site/sardusempri

lunedì 14 dicembre 2009

La storia c'est moi

È una prerogativa di molti giovani, soprattutto se politicizzati e/o ideologizzati, credere che la storia cominci nel momento in cui si guardano allo specchio. Sono loro, i nuovi, che si pensano gli iniziatori delle magnifiche sorti e progressive, e poco male, e i titolati a purgare ciò che è tremandabile da ciò che non lo è. Gli inventori della “nouvelle vague letteraria sarda” - che giovanissimi non sono, ma nuovi e migliori sì per investitura politica e mediatica – questo fanno: si guardano allo specchio e vi vedono riflessa l'alba.
Dice: ma cos'è, ti sei stancato del dibattito in corso e lo vuoi deviare? Si capirà presto che così non è: qui si parla di meccanismi analoghi a quelli che hanno suscitato le nostre discussioni, ma applicati ad altro.
È capitato, dunque, che un epigono della “nouvelle vague letteraria sarda” abbia parlato qualche giorno fa, a Courmayeur, della letteratura noire, gialla di diceva una volta, in Sardegna. Due gli aspetti principali del suo dire: il primo è non dire che in Sardegna si sta sviluppando il noir in lingua sarda, il secondo è porre allo specchio sé e altri suoi compagni di vague e di vedervi l'inizio del giallo, o noir che dir si voglia. Non ricorda da vicino il meccanismo utilizzato per purgare l'archologia intanto negando l'esistenza di altro da sé e quindi spacciando per nuovo la replica di se stessi?
È nel contemporaneo che la saldatura tra l'analisi antropologica e la scrittura cosiddetta di genere trova un esito affatto noir in Sardegna... Cronologicamente iniziano G. A. e S. M., l'anno è il 1988” ha detto il nostro, nominando due suoi compagni di vague, prima di citare se stesso, più in là. Intanto, subito, la delimitazione del che cosa è noir e che cosa non lo è: la “saldatura tra analisi antropologica e la scrittura”. E poi la datazione dell'inizio della scrittura: bassa, proprio come succede in archeologia, perché la gente non sia indotta a pensare che anche prima di questa data fissata da loro ci fosse scrittura. Punti e virgole, sì, ma scrittura (di noir) vera e propria no.
Leggo nel saggio di uno dei maggiori critici letterari sardi, Peppino Marci, La narrativa sarda del Novecento, che il Tale non “soltanto a questo aspetto [il lavoro sullo strumento linguistico... per imboccare l'aspro sentiero dell'italiano regionale sardo, NdR] limita la sua innovazione, ma anche si fa autore di romanzi gialli...”. Si è nel 1981 per il primo romanzo, nel 1985 per il secondo. Neanche molto tempo prima dell'inizio “ufficiale” della saldatura evocata dal nostro. Non tanto, in ogni caso, da perdersi nella memoria del passato.
Il problema è un altro. Il Tale scriveva – e scrive – da dentro la Sardegna; altri scrivono della Sardegna davvero in modo antropologico come se parlassero delle Isole Vergini a lettori che delle Isole Vergini hanno un'idea ben precisa e che sono poco disposti ad essere turbati da descrizioni contrastanti i propri paradigma.
Capito perché, in realtà, ho parlato delle stesse cose che in queste ultime settimane ci stanno appassionando su questo blog?

domenica 26 aprile 2009

Gavoi: invidia, denti e pane e formaggio

di Simona C

Gentile Signor Pintore,
una breve replica a quanto da Lei detto.
Solo lo scorso anno ho potuto vivere un po’ del clima del Festival ed è stato bellissimo....
Leggendo pertanto il suo beffardo commento ho pensato: solo l'ignoranza, intesa come mancata possibilità di conoscere può averle fatto buttar giù simili parole. La invito a partecipare al Festival, a conoscerlo, a viverlo: ne resterà piacevolmente ammaliato. Perché capisca finalmente che le parole di qualunque scrittore non hanno cittadinanza.... E non venga a parlarmi di colonialismo, di fronte ad un gruppo di giovani con idee sane e meravigliose che da soli hanno mandato avanti questo incredibile progetto, che, mi permetta di dirlo, se non fosse per la caparbietà, l'ostinazione dei suoi organizzatori, caratteristiche poi queste del sardus vero, non avrebbe avuto vita lunga specie in un piccolo paese come il nostro.
Penso quindi alla lotta che ogni anno questi valorosi "isolani" compiono, contro chi non vuole che esso si svolga a Gavoi (questi sono i veri colonizzatori!!!) penso ai sacrifici iniziali perché fosse data vita ad un sogno così grande. Personalmente poi sono fiera di loro perché nell'abbandonare il precedente sogno di isola hanno optato per un'isola quella delle storie, che, mi creda, per tre giorni l'anno tiene unito il paese, in una felice sintesi tra saperi e sapori..

Cara Simona,
non capisco quale sia l'oggetto del contendere. Conosco Gavoi, i gavoesi, il festival cui ho assistito un paio di volte. Compresa quella (2006, se non sbaglio) durante la quale l'amico Salvatore Niffoi fu zittito perché parlò in sardo. E proprio perché lo conosco, posso criticare l'evento, non certo la generosità di chi ci lavora, né l'ospitalità del paese. Tutto sta nelle due ultime parole del suo molto gradito intervento: saperi e sapori. I primi sono messi a disposizione dai forestieri, i secondi dagli indigeni. E' questa pulsione ad acculturare gli indigeni, simpatici e folclorici fornitori di sapori genuini, che critico con tutta la mia rabbia.
Noto, piuttosto, che neppure lei sfugge alla tentazione dell'eguaglianza matematica critica=invidia. Chi critica il Festival lo vorrebbe portare via a Gavoi. Nella trappola dell'eguaglianza, lo dico tanto perché non si senta sola, è caduta in questi giorni una protagonista dell'edizione del 2007 (anche qui spero di non sbagliare). Nel suo sito, Michela Murgia usa questa categoria dell'invidia in una polemica con Paolo Pillonca che, senza peli sulla lingua, le aveva rimproverato una buona dose di approssimazione in cose scritte da lei in una guida della Sardegna. Non entro naturalmente nella polemica. Interessano di più le argomentazioni prodotte nel sito, fin dal titolo dell'articolo di apertura: "Pillonca e l'uva (Ecce homunculus)".
Scrive Michela Murgia: "L’unica cosa che posso ipotizzare è che il suo fastidio trovi origine nell’invidia di piccolo cabotaggio che spesso prende i letterati di provincia che si ritengono ingiustamente sottostimati, una sorta di corrosivo malessere dovuto al fatto che un altro ha magari la visibilità che vorresti tu". C'è tutta la filosofia della "nouvelle vague letteraria sarda" e del Festival che a lei, cara Simona, tanto piace.
Per quello che lo conosco, non mi pare che Paolo Pillonca nutra sentimenti di invidia. Ma semmai ne provasse, mirerebbe alto. Che so? Gadda, Hemingway, Proust, Tolstoj, forse Satta. Non lo considererei più un amico, se provasse invidia per Michela Murgia o a qualche altro militante della "nouvelle vague letteraria sarda". E se non di invidia si trattasse, cara Simona, ma un semplice esercizio della libertà di criticare le cose che non vanno? Del resto, sa?, se critico il Festival di Gavoi non è per trasportarlo, che so?, ad Ollolai o a Lodine: è perché mi piacerebbe che a Gavoi ci fosse un Festival di confronto e non un avvenimento durante il quale noi mettiamo pane e formaggio e i forestieri i denti per mangiare.
[gfp]

lunedì 6 aprile 2009

Fois: fatelo tu un festival in lingua sarda

di Marcello Fois

Ho letto il tuo commento preventivo al prossimo festival di Gavoi e mi sono definitivamente convinto che il tuo problema sia di ottenere il massimo dei risultati col minimo lavoro, niente infatti ti vieta di organizzare il tuo festival in Limba de linna non pintada, se non il fatto che c'è troppo lavoro da fare e quindi è meglio sfruttare il lavoro fatto da altri.
E' un modello spaventoso e folklorico che la dice lunga sul tuo presunto modello di tolleranza. Mettetevi al lavoro e fateci il culo a noi di Gavoi con la Sardegna vera non con quella colonizzata e finta.

Preventivo sì, prevenuto no. Ho commentato una notizia su indiscrezioni fintamente dal sen fuggite apparsa sull'Unione sarda. Non so perché non hai capito il senso del commento e dunque lo rendo più semplice: non vorrei sostituire a un festival monocorde un altro monocorde. Desidererei un festival in cui le letterature possano confrontarsi. Perché non lo faccio io? Non ho le necessarie entrature politiche. Comunque, libero tu di fare quel che fai, libero io di criticare. [gfp]

sabato 4 aprile 2009

Primavera: spuntano le margherite e l'Isola delle storie (altrui)

Puntuale come le rondini il giorno di San Benedetto e le pecore di ritorno dalla transumanza, ecco il nuovo Festival letterario di Gavoi, L'isola delle storie. Altrui, va da sé. Si presenta, anche quest'anno, con il suo carico di linna pintada per far vedere ai villici sardi quanto grande sia e di che cultura grondi ciò che fuori di quest'Isola si produce. Si produce in fatto di letteratura, va da sé, perché - questo mica lo negano gli organizzatori - anche noi sappiamo produrre: formaggio, vino, abardente, pecora con patate e sa caule gavoesa, e altre cose pittoresche.
Uno scambio alla pari, insomma: loro portano la cultura e la letteratura, noi cibi genuini che piacciono tanto a chi viene da fuori a visitare questi sardi, autentici nella loro naturalità non contaminata dalla cultura moderna, quella con la C d'esportazione. Altre volte sono stato accusato di vittimismo e di invidia. Invidia di che non lo so, certo non di chi viene esibito sul palco o per le strade come un fenomeno da toccare per appurare se è proprio vero che un personaggio famoso si è degnato di mescolarsi a mangiatori di Fiore sardo e di pecora in cappotto. Nè invidia di chi ai personaggi esibiti dà del tu.
Vittimismo? No, solo incazzatura contro i miei compatrioti e me stesso che protestiamo, questo sì, per operazioni di vetero colonialismo, senza avere la forza e la capacità di contrapporre un luogo di vero confronto fra culture e letterature ad una inculturazione del buon selvaggio. Contento perché, è vero non produce letteratura come in Continente, ma è forte nella produzione di formaggio e vino, olio genuino e pane curioso, quello che quando lo mastichi fa musica. L'unica, del resto, che qui valga la pena di ascoltare.

sabato 7 marzo 2009

Schiavi (al momento) di giuochi imposti

di Micheli Tzoroddu

Nell’intervento di Francu Pilloni sono proiettate le problematiche che abbiamo vissuto ed ancora stiamo sopportando. Dopo tanti anni di ricerca addivenimmo alla scrittura del nostro primo libro. Appena pronto ci siamo recati alla mostra del libro di Roma e ne abbiamo mostrato lo stampato al primo editore sardo incontrato. Fu immediata la sua disponibilità, ma la remunerazione sarebbe stata dal 5 al 10% del prezzo di copertina. Considerando che con una simile ricompensa mai avremmo potuto continuare i nostri studi, decidemmo di fare gli editori di noi stessi.
Ora, il nostro lavoro, orientato alla riscrittura della preistoria e storia antica della Sardegna, non è appetibile ad un pubblico continentale, per cui ci collochiamo fra gli editori sardi, anzi siamo il più piccolo fra essi e ci sentiamo investiti in pieno delle problematiche messe in chiaro dal Pilloni. Ma ciò che qui si vuole stigmatizzare è che, pur essendo i contenuti del testo corroborati da oltre 200 richiami bibliografici facenti capo alle maggiori riviste scientifiche e ad oltre 70 testi classici e recenti, tuttavia la cultura sarda dominante ha manifestato un banalmente tiepido interesse verso il nostro saggio, che pure mette in chiaro aspetti certo inediti e fondanti nei riguardi di una lettura critica degli antichi sardi accadimenti.
Ma se ciò poteva essere nelle previsioni di chi andava a scardinare cementate acquisizioni, siamo invece rimasti veramente sorpresi dal rifiuto manifestatosi da parte delle organizzazioni culturali isolane (ma anche da notevoli individualità sarde operanti in simili contesti continentali), alle quali abbiamo fatto omaggio del testo per avere un riscontro privato o ufficiale della sua valenza: nessuna ha manifestato di accettare o respingere i risultati della ricerca, documentandoci tale situazione in quegli ambiti, essere ben lontana e tanto disinteressata delle tematiche che attengono alla stessa origine dei soggetti che ne fanno parte. Gli stessi ambienti tuttavia registrano quotidiani, appassionati commenti del genere narrativo, ove spesso sardo è il solo sapore dell’autore.
Pertanto, non crediamo ci si possa lamentare della inarrestabile perdita di identità, poniamo, de su Campidanesu, al quale viene propinata una impersonale appiattita omologazione pseodoculturale che fa molti proseliti in continente. Ivi il vocabolo “cultura” ha da anni assunto un’accezione tristemente monca: canzonette, abbigliamento, romanzi, cinema, talvolta di dubbia qualità. Tutti i dibattiti incentrati sulla sardità, sul recupero della lingua nel quotidiano, anche miranti alla ricerca di una sua universale codifica, sui valori che sono il portato della antichissima tradizione, rischiano di essere puro sfoggio accademico, se non recepiti da quelle entità che si definiscono crogiuolo, elaborazione e diffusione delle istanze intellettuali della comunità.
Esse dovrebbero invece essere fertile terreno dei germogli che da più parti contribuiscono a riportare alla mente le grandiosità create, dal Paleolitico in qua, dal vissuto senza pari degli antichissimi nostri avi. Certo la politica (in questo caso quella commerciale) giuoca il suo ruolo ma, ove si opponga, la testa del singolo può decidere il futuro. Purtroppo ciò costa fatica ed essa paga a lunga scadenza.

martedì 3 marzo 2009

Libro, libro mio ma quanto mi costi

di Francu Pilloni

In un post dei giorni scorsi, Alberto Areddu osserva (con disgusto) da un punto di vista culturale i paradossi editoriali delle “fanzine” sarde, fenomeni che assumono l’aspetto di vere e proprie scorrerie se vengono analizzati in campo più propriamente economico. Scorribande che non violano nessuna legge penale o fiscale, tanto per essere chiari, ma che sempre bardane sono.
Siccome i paradossi di cui si parla sono libri, è curioso vedere quanto costa oggi in Sardegna la produzione industriale di un libro medio, di circa 160 pagine, copertina a 4 colori, testo di un colore senza foto, rilegato con cucitura a filo refe in brossura (cioè non con copertina rigida), formato di circa 15x20 cm (o 14x21, oppure 13x22, o pressappoco)...

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mercoledì 31 dicembre 2008

Bonu proe pro su 2009

de Larentu Pusceddu

S’annu 2009
bos batat bonu proe
bos batat su triballu
chi duret chena fallu
finas a sa betzesa
siat sa zentilesa
chi cumandet su rude
bos donet sa salude
e-i sa serenidade
versos bellos cantade
in oche e in cuche
pro s’eternu sa luche
distruat s’iscuricore
pro s’eternu s’amore
bincat totu sas gherras
e su mundu fatu a perras
torret derettu intreu
custu s’auguriu meu
pro sa zente de oe
Bonu 2009

martedì 18 novembre 2008

La superiorità antropologica della nouvelle vague

La discriminazione contro la letteratura in sardo attuata dalla Regione ha oramai raggiunto livelli vergognosi e su tutto aleggia il tanfo della consacrazione della superiorità antropologica degli autori in italiano su quelli in sardo. La Regione spende a favore di commercianti in linna pintada che allestiscono in Sardegna festival letterari, importando a volte solo i rimasugli di festival italofoni e sempre, comunque, linna pintada in tinta unita. La Regione che si fa vanto di voler valorizzare l’identità sarda, la lingua e la cultura, che innesca battaglie (a questo punto solo demagogiche) per l’autonomia, nel concreto finanzia un processo di inculturazione di cui immagino abbia grande bisogno.
L’ultima operazione ha per titolo “Paesaggi d'autore” e parte da una buona idea: quella – come riferisce L’Unione sarda di oggi – di pubblicare cinque guide turistiche per raccontare la nostra isola: guide ai luoghi della scrittura. Diciamo subito che non c’è un solo testo di uno scrittore in sardo: né Benvenuto Lobina, né Michelangelo Pira, né Lorenzo Pusceddu, né Nanni Falconi, né Franco Pilloni, né Antoni Maria Pala, nè alcuno delle altre decine e decine di autori in sardo.
E, invece, ma chi ne avrebbe potuto dubitare? vi sono a profusione due categorie che, a parte i grandi del passato, danno conto di un’altra superiorità antropologia: quelli della “nouvelle vague letteraria sarda” (i migliori perché ça va sans dire “stanno dalla parte giusta”) e quelli che la critica letteraria italiana ha scelto come rappresentanti della “letteratura sarda”. Non ci troverete Isalle di Michelangelo Pira, La piana di Chentomìnes di Natalino Piras, Capezzoli di Pietra di Eliseo Spiga, La stirpe de re perduti di Paola Alcioni, tanto per citare i primi che mi vengono a mente.
Ma, si dirà, non si voleva fare una antologia e le scelte forzatamente includono ma anche escludono. Verissimo, ma è curioso: a parte gli autori in sardo che proprio non esistono, gli altri sono tutti “dalla parte giusta” e in quanto tali eletti.
Chi sa negli autori di questa malinconica operazione di regime almeno un po’ si vergognano?

lunedì 10 novembre 2008

Passaparola alla Corte di Madrid

Un importatore sardo di linna pintada (in tinta unica), discreto scrittore con presunzione di essere il migliore, ha apparecchiato la Manifattura tabacchi di Cagliari per un incontro di teste d'uovo italiane, offerte all'ammirazione dei nativi. Nativi che, salvo l'importatore, non hanno avuto l'onore di essere protagonisti dell'incontro. A rappresentarli, la sera prima, una gara di poesia e un tenore, a significare che la Sardegna, se togli la poesia e il canto, entrambi tradizionali, non produce nient'altro in fatto di cultura, salvo l'importatore naturalmente.
Con un buon senso del marketing, ha messo nel cartellone due nomi di grande richiamo, pur sapendo che non avrebbero varcato il mare. Il coraggioso Roberto Saviano, esibito come primo difensore della legalità e quel gentiluomo di Andrea Camilleri che di una giovane signora, ministro pro tempore, ha detto che "non è un essere umano".
"Si pensi" ha detto al nostro importatore di linna pintada (in tinta unica) parlando della potenza della parola "alle parolacce e alle offese tra due persone. Un tempo avrebbero causato conseguenze enormi, oggi scivolano". Appunto. Il festival del nostro importatore non è l'unico in Sardegna a considerare i nativi semplici spettatori di incontri fra persone di cultura e, al più, fornitori di ottimo cannonau, buon formaggio, incapaci, però, di produrre cultura se non nel passato remoto. O al massimo, oggi, nella lingua dello Stato, quella che per l'appunto usano gli ospiti e gli importatori di linna pintada.
Finché fra gli sponsor continuerà ad esserci la Regione, che pure si proclama difensora della identità sarda, ci sarà ben poco da fare. E dovremo assistere al dialogo fra principi alla Corte di Madrid, con la facoltà concessaci di schierarci con questo o con quel don. Io sento un po' di vergogna, e voi?

mercoledì 2 aprile 2008

Marcello Fois, Gavoi e i danni collaterali

C'è chi, pur di apparire, non risparmia commenti, prese di posizione, dichiarazioni su cose intorno alle quali il buon gusto della riservatezza consiglierebbe un prudente silenzio. E così, a volte, alle tragedie umane (parlo dell'omicidio di Dina Dore, a Gavoi) dobbiamo aggiungere i danni collaterali delle parole in libertà. Come quelle scritte giorni fa dall'inevitabile Marcello Fois, lo scrittore eletto maestro di pensiero da giornali amici, assessori al turismo, associazioni paesane.
Una tragedia, quella dell'omicidio della signora Dore, ancora oggi al centro della "autoanalisi" dei 2900 gavoesi. Il nostro, a salma ancora calda, ha dispensato le sue certezze. Ha mescolato i suoi soliti stereotipi senza senso ("trita retorica pastoral-barbaricina", "magma antropologista", per esempio) a una captatio benevolentiae (ricerca di benevolenza) del paese barbaricino. A differenza di altri centri delle Terre interne, sempre bacchettati senza pietà, Gavoi è risparmiato dal Fois sculacciapopoli. Per lui, questo paese è una sorta di paradiso in terra barbaricina. Affermazione che ha suscitato reazioni non positive in chi ci vive e sa che così non è.
Come molti paesi sardi, ma non solo sardi, chiaro, anche Gavoi ha nell'armadio della sua cronaca nera molti scheletri. Purtroppo, ma è così. Né basta, per fargli fare un salto fuori dalla barbarie, l'aver affidato all'inevitabile commentatore la presidenza di un importante Festival letterario.
Fois passa, non per forza della oggettività delle cose, come esperto dello "specifico barbaricino" nei circoli letterari e in alcune redazioni di giornali: egli stesso dice che è stato contattato da una decina di giornalisti che gli chiedevano di commentare l'uccisione di Dina Dore alla luce dello specifico barbaricino. Lo ha fatto solo su La Nuova del 28 marzo, l'indomani della tragedia. Non è detto che scrittori e intellettuali siano costretti a dire la loro: si può benissimo prendere in considerazione la possibilità di stare zitti o di dire "non so".
Questo li toglierebbe dall'imbarazzo di dire castronerie. Come questa: "Gavoi è di per sé la dimostrazione che molte di quelle che vengono ritenute formule matematiche sui barbaricini sono spesso sciocchezze". Non la Gavoi reale, par di capire, ma quella che ha affidato a Fois la presidenza del suo Festival letterario.

giovedì 20 marzo 2008

Perché tanto silenzio sulla letteratura in sardo?

Continua giorno dopo giorno e con metodo, la posa nei quotidiani sardi di una cortina sanitaria intorno alla letteratura in sardo. Diversi quanto a linea politica e concorrenti in molti altri aspetti, su una cosa sono concordi: nella pervicacia con cui stendono una assordante cappa di silenzio su tutto ciò che anche da lontano odori di letteratura in lingua sarda.
Con assiduità pubblicano intere pagine sui romanzi usciti in Sardegna purché in italiano e, al massimo, con qualche "espressione dialettale" che, fuori dell'Isola, fa molto esotico e folcloristico. E, sopra, gli appiccicano il bollino "Nouvelle vague letteraria sarda" o "Nuova letteratura sarda". Sul fatto se possa essere definita sarda una letteratura scritta in altra lingua, è in corso in vari forum (uno è quello di Politica OnLine) una lunga e spesso appassionata discussione, ma non è questo in causa.
In causa è il fatto che per i quotidiani sardi (unico veicolo di conoscenza e di pubblicizzazione di quanto avviene in questo campo) esiste solo la letteratura in italiano. La negazione di informazione su quanto si pubblica in lingua sarda è totale e se non parlo di genocidio culturale è perché, in questi giorni, è tornato di attualità il più grave genocidio della cultura tibetana. Ma, nel loro piccolo, i giornali sardi se lo tentano con la letteratura in sardo.
Un complotto? Magari: si saprebbe come metterlo a nudo e combatterlo. Il fatto è che si tratta di un'operazione di politica cultura condotta con piena consapevolezza da alcuni responsabili dell'azienda culturale sarda e con inconsapevole complicità di chi sta a questo gioco alla negazione. In un forum aperto su Il Corriere della Sera sul "Leggere e Scrivere", di fronte alla curiosità per una cosa ignota espressa da molti, è stato un sardo ad affermare: 1) La letteratura sarda è coltivata in vitro dalle provvidenze regionali (cosa notoriamente falsa); 2) Nessuno compra i libri in sardo se non gli amici e i compaesani dell'autore.
Che fuori dell'Isola nulla si sappia sulla letteratura in sardo è persino ovvio, come è bella cosa sapere che ci sia almeno curiosità; che le sciocchezze che ho riportato le dica un sardo è dovuto al fatto che non ne ha mai letto sui giornali sardi che, presumibilmente, egli legge. Il che dimostra che la cappa di silenzio funziona. Una cosa non conosciuta non esiste: la disinformatzia stalinista è buona maestra.