martedì 30 novembre 2010

Diteci che non è vero, che questa iscrizione sia distrutta

Se non ho capito male il post di Romano a commento dell'articolo sulla iscrizione protocananaica nella Grotta Verde di Alghero, il graffito della foto è stato distrutto, insieme ad un'altra iscrizione. La distruzione sarebbe un atto di vandalismo. Vorrei illudermi che si tratti di uno scherzo o anche solo della denuncia enfatizzata di un cattivo stato di conservazione di un reperto che, lasciatoci dai nostri antichi, attraversati almeno tremila anni in buono stato, ha impattato con il colpevole disinteresse di chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Se è vero, però, quel che Romano dice, ci troveremmo di fronte a un delitto di inaudita gravità. Con i vandali, se di vandali, diciamo così, disinteressati si tratta, c'è ovviamente poco da fare. La guerra contro gli imbecilli è persa in partenza. Ma c'è molto da fare contro chi, dovendo per ufficio, difendere e proteggere i beni culturali, non lo fa, forse immaginando che quei segni sulla pietra fossero il divertissement di qualche ragazzino.
Mi pare di aver letto da qualche parte che le procure sono tenute ad agire ogni volta che abbiano notizia che un reato è stato commesso. E ad agire non solo contro i responsabili di un crimine ma anche contro chi se ne fa in qualche modo complice. La guardia giurata cui è affidata la custodia di un bene può essere immune da colpe se, invece di fare la guardia, va a spasso lasciando aperte le porte del magazzino? Ci sarà pure in Sardegna un magistrato che voglia mettere gli occhi sui disastri che provocano l'incuria, il menefreghismo e, forse peggio, la presunzione secondo cui quel che non si vuole vedere non esiste?
Speriamo che la segnalazione di Romano non sia del tutto esatta, ma è bene che sia chiaro: ne abbiamo le scatole piene della sparizione, comunque motivata, di frammenti della nostra storia. Dove non bastano il dibattito culturale, le pacate denunce e quelle meno flemmatiche, le segnalazioni inascoltate, forse avranno effetto le denunce penali.

lunedì 29 novembre 2010

I nazionalisti catalani vincono le elezioni

Manifestazione a Barcellona

C'è notevole imbarazzo nei giornali italiani, in quelli che ho potuto vedere, per la vittoria dei nazionalisti catalani. Quelli sardi lo superano alla loro maniera: non dandone conto. L'alleanza Convergència i Unió ha conquistato ieri 62 dei 135 scranni nel Parlamento catalano; il Partito socialista catalano ha subito una dura sconfitta perdendo 9 dei suoi 37 deputati e trascinando nella caduta Erc (sinistra repubblicana catalana) e Iniziativa per Catalogna – Verdi con cui ha governato gli ultimi quattro anni. Erc ha perso 11 dei suoi 21 e Icv 2 dei suoi 12.
Il Partito popolare, che negli anni ha caratterizzato la sua politica in senso filo spagnolo, passa da 14 a 18 deputati e conferma i suoi 3 scranni il partito anticatalanista Ciutadans. La novità delle elezioni di ieri è l'ingresso nel parlamento di 4 deputati di Solidaritat Catalana per la Independència, partito che si pone l'obiettivo di portare la Catalogna all'indipendenza entro questa legislatura. Il suo leader Joan Laporta ha offerto l'appoggio al governo che sarà guidato da Artur Mas, naturalmente di CiU, a patto che si impegni ad attuare il suo obiettivo.
Secondo alcuni commentatori dei quotidiani spagnoli (El Mundo, per esempio) la sconfitta del governo tripartito, e particolarmente del Partito socialista, è dovuta sì alla crisi economica in cui il governo spagnolo ha precipitato anche la Catalogna, ma anche alla bocciatura del referendum indipendentista, vinto dai promotori, decretata dalla Corte costituzionale spagnola. Ricordiamo che qualche mese fa a Barcellona si svolse una manifestazione di un milione e mezzo di persone contro un'altra discussa sentenza della Corte che aveva bocciato parti decisive del nuovo Statuto.

Mettetevi il cuore in pace, la letteratura sarda è in sardo

La Nuova Sardegna di ieri ha pubblicato la replica di Diego Corraine agli interventi succedutisi sul giornale sassarese su che cosa denoti la letteratura sarda, la lingua impiegata, la nazionalità di chi scrive, il contenuto dei romanzi. Ripropongo qui l'articolo di Corraine.

di Diego Corraine

Che superiorità assumono alcuni scrittori sardi di successo, quando si considerano ormai fuori dal nostro ristretto localismo!
Alla mia affermazione di alcuni giorni fa in queste pagine, per cui è da considerare letteratura sarda quella scritta in sardo, si sarebbe potuto rispondere che ciò è evidente, che è scontato, che, insomma, è una banalità.
Avevo anche detto che lo scrittore che può scrivere in diverse lingue vedrà la sua opera attribuita alla letteratura della lingua rispettiva. Ma anche che l’opera narrativa scritta in sardo da un non sardo apparterrebbe alla letteratura sarda, comunque.
Tutte ovvietà, si potrebbe dire. E invece no. Anziché argomentare sulla sostanza della mia affermazione, qualcuno, compreso Fois, si è abbandonato ad accuse scomposte e considerazioni malevole. Evidentemente ho toccato nervi scoperti.
Perché scrittori sardi in italiano vogliono che la loro opera sia considerata anche letteratura sarda, quasi che considerarla come letteratura italiana sia sminuente o un’offesa? Mi aspetterei il contrario. Perché il fatto di non essere considerati come appartenenti alla letteratura sarda li infastidisce, se già ottengono tanto successo dentro la letteratura italiana con decine di migliaia di lettori?
Se il fatto di non appartenere alla letteratura sarda è sentito come una ferita, una mancanza, il rimedio più efficace è che i nostri scrittori provino a scrivere anche in sardo oltre che in italiano. Voler appartenere a due letterature, con la sola scrittura in italiano, perché si è sardi o perché sardo è il mondo che viene descritto, non sembra coerente con le considerazioni che comunemente valgono per casi simili al nostro, anche se può forse saziare un desiderio di appartenenza. Lo scrittore basco Bernardo Atxaga fa letteratura basca e non spagnola perché scrive in basco, ma poi è tradotto in decine di lingue, compreso l’italiano. Lo scrittore catalano Eduardo Mendoza, invece, fa letteratura spagnola e non catalana perché scrive in spagnolo, ma poi è tradotto in decine di lingue, compreso l’italiano, e mai viene considerato “letteratura catalana”, sicuramente non dai Catalani.
Se poi fosse vero quanto afferma chi ha scritto prima di me, perché allora, applicando la proprietà transitiva, un’opera scritta in sardo non potrebbe essere considerata “letteratura italiana” e, immagino, poter concorrere al Premio Campiello o al Viareggio? Ma sono certo che sarebbe esclusa, proprio perché “non” scritta in italiano, giacché questi Premi sono di letteratura italiana, dunque riservati a opere in italiano.
Se proprio i nostri scrittori non se la sentono o non sono capaci di scrivere in sardo, lascino ad altri il sogno o l’illusione o la scommessa che si possa fare letteratura in sardo, come fanno i tanti Atxaga, Riera, Cabré, Singer, Yehoshua e altri nella loro lingua “propria”. E non irridano la nostra battaglia per affermare in ogni modo, anche in letteratura, i diritti linguistici storici dei Sardi. È una troppo facile scappatoia, poi, voler liquidare la questione fin qui dibattuta come frutto di ragionamenti di lana caprina, un esercizio inutile di meticolosità terminologica, a fronte dei seri problemi dell’economia e della politica.
Temo, comunque, che quanto detto finora non serva a molto, che ciò che, in fondo, tanti intellettuali e politici vogliono affermare è una identità sarda senza una lingua di riferimento “propria”, senza il sardo. Non sembra servire, di certo, al tranquillo confronto con chi ormai guarda alle nostre meschine battaglie “locali” con compiaciuto distacco.

domenica 28 novembre 2010

Secessioni dolci e confusioni amare

Ho sempre pensato, e a volte detto, di amare l'Italia, intesa come penisola, ma di non avere alcuna stima dello Stato italiano. La prima è una straordinaria raccolta di paesaggi incantevoli, di bellissimi lasciti dei popoli che l'hanno abitata, di nazioni dagli spiriti diversi, e anche di brutture, naturalmente, ma non più che in altre parti. Ma non stimo questo Stato, forse perché la sua natura di stato unitario è truffaldina, frutto di imbrogli e di aggressioni che, accaduti oggi, avrebbero suscitato forti reazioni internazionali. Anche per questo lo Stato nazione è in crisi, non solo quello italiano (il belga sta molto peggio) ma anche l'italiano.
Fatto sta, il suo declino non può essere arrestato dagli enfatici richiami all'unità nazionale che altro non è se non la pretesa della Nazione italiana, che pure esiste nel sentimento di chi sente di farne parte, di sovrapporsi alle nazioni non italiane, dalla sarda alla sudtirolese. Né credo questa decadenza potrà essere bloccata e invertita dal federalismo che timidamente si affaccia, troppo timidamente per essere efficace.
La parte nord dell'ex Regno di Sardegna, insieme all'ex Lombardo Veneto è proiettata verso la secessione, prima dolce attraverso un federalismo asimmetrico, come lo chiede la Confindustria e la Regione Lombardia, e infine istituzionale, se il primo non sarà sufficiente. L'ex Regno delle due Sicilie, conquistato manu militari dal Regno di Sardegna con appoggi interni di élites locali, è oggi spaventato dal federalismo fiscale che, per non trasformarsi in una débacle economica e sociale, ha bisogno di forti finanziamenti da parte dello Stato centrale e di nuove classi dirigenti capaci di resistere alla seduzione dell'assistenzialismo. Ma le spinte a far da sé, soprattutto nella Sicilia più ricca, sono sempre più forti e sempre più decise a fare da sé. Gli ex stati del Centro, mediamente ben amministrati da Pci e discendenti, sono probabilmente i soli ad essere indifferenti alle due voglie e/o necessità di secessione. In Sardegna c'è sta stata la settimana scorsa una specie di sondaggio sulla desiderabilità dell'indipendenza. 28 consiglieri regionali hanno detto di no, 21 hanno detto sì o forse, 29 erano assenti. Se gli indipendentisti non possono cantar vittoria, le vestali della “unità nazionale” non saranno certo in festa.
Quel che potrà sembrare un esercizio di fanta-geopolitca è solo una sintesi delle preoccupazioni che da un po' di tempo a questa parte si leggono negli articoli di commentatori e politologi. Preoccupazioni che vanno crescendo mano a mano che la politica italiana dà il peggio (o il meglio, secondo i punti di vista) di se stessa di fronte alla crisi dello Stato, confusa con la crisi di governo di cui illusoriamente si pensa che finita questa finito il declino dello Stato. La cosiddetta “unità nazionale” è nuda davanti ai comportamenti della politica. E se le apposizioni, con la loro appendice finiana, giocano alla guerriglia parlamentare e urbana, amoreggiando strumentalmente con gli studenti e i ricercatori, la maggioranza evoca lo spettro di manovre mediatiche e internazionali tese a deprimere il buon nome dello Stato italiano.
Fra queste manovre dovrebbe esserci la pubblicazione su un sito svedese di documenti compromettenti per almeno due governi, uno di centrosinistra, quello di Prodi, e l'attuale di centrodestra. Avrebbero, entrambi, fatto cose di cui è meglio non sapere. Si continua, insomma, a confondere cause ed effetti, fingendo di credere che, mandato a casa Berlusconi o confermato al governo, lo Stato italiano riconquisterà quel “sentimento nazionale” che si è perduto strada facendo. E di infingimento in infingimento, ecco ieri risuonare nella manifestazione della Cgil un grido: “Il nostro Paese non merita questa classe politica”. Già, chi sa chi la ha mandata al potere? Si è autopartorita o è “il nostro Paese” ad averla eletta?

PS – Ieri c'è stata a Cagliari la marcia pro s'indipendèntzia. Qualcuno che non ci fosse, sa per caso come è andata? Con l'arrogante consapevolezza che una cosa non raccontata non esiste, oggi i giornali non dedicano una riga alla manifestazione. Solo in Internet girano video e foto, a confermare che ormai la libertà di stampa gira quasi esclusivamente dalle parti di chi non fa giornali ma informazione.

venerdì 26 novembre 2010

Una marcia pro s'indipendèntzia, domani a Cagliari

Raccogliendo l'idea di un emigrato sardo, Filippo Grecu, lanciata su Facebook, domani si svolgerà a Cagliari la marcia di “Sa die pro s'indipendèntzia”. Partirà alle 10.30 dallo stadio di Santa Elia e dopo una breve sosta nel piazzale della Fiera, continuerà per viale Diaz per concludersi in via Roma. 
Si tratta – come informano gli organizzatori - di una manifestazione spontanea che, al pari di altre iniziative spontanee, lancia l'idea di aggregare persone interessate e persone già addentro agli ideali indipendentisti, per un evento che tocchi le coscienze della nazione sarda. La Marcia vorrebbe essere una opportunità per creare una pacifica giornata di festa e di convivialità tra persone che credono che i sardi possano camminare con le loro gambe; non è dunque organizzata da alcun movimento politico indipendentista o nazionalitario, è focalizzata sulla volontà che la Sardegna sia Indipendente e non ha alcuna base teorica e ideologica.
Cosa spinge a fare cio?
-Il fatto di mettere all'ordine del giorno un argomento che sta già entrando a forza nell'immaginario collettivo del sociale, la diffusione di intento, consapevolezza e coscienza indipendentista, incrementare tale idea latente nella società sarda per dare più forza alla possibilità di liberazione della nazione sarda.

-Il fatto che si vuole indirettamente suggerire ai partiti e movimenti indipendentisti che è necessario un cammino di condivisione per essere all’altezza di questo importante momento storico.
-Il fatto che sia assente in Sardegna una manifestazione che coinvolga unitariamente tutti gli indipendentisti e le forze indipendentiste e nazionalitarie e che non potrebbe essere promossa da un singolo organismo politico perché per i problemi attuali di interrelazione verrebbe boicottata dagli altri.
La “Marcia” di “Sa Die Pro s’Indipendentzia”– si legge in un comunicato -  è solamente un’idea lanciata da un lavoratore sardo di Villacidro emigrato in Germania il quale avendo realizzato proprio all’estero la sua identità sarda, da persona che aveva appena aperto gli occhi all’idea dell’indipendentismo è rimasto sorpreso nell’apprendere lo stato di mancanza di coesione tra gli indipendentisti sardi.
Sa Die Pro S’Indipendentzia e i suoi attuali organizzatori non sono e non vorranno costituire l’ennesima organizzazione indipendentista, né vogliono proporre un nuovo modello organizzativo di movimento indipendentista o porsi in concorrenza ai partiti e movimenti indipendentisti. Non pensiamo neanche che questa sia l’occasione in cui l’indipendentismo sardo deve mostrare i muscoli; è la nascita di una festa popolare che merita una certo riguardo come si fa con un bimbo che appena venuto al mondo, ha bisogno di tutte le attenzioni e affetto perché diventi una persona forte e sana. Alcuni soggetti politici indipendentisti hanno dato la loro adesione da subito poi col tempo se ne sono aggiunti altri. Sappiamo che per ora non saremo tantissimi ma una volta che saranno sciolte tante riserve legate a intuibili diffidenze, potremo crescere tanto e per gli anni successivi auspichiamo un’organizzazione dell’evento condivisa dal maggior numero possibile di persone e organizzazioni.




PS - Sa manifestatzione tenet unu spot suo, "SARDIGNA a Nation in the Mediterranean sea:Official Spot Independence Day" cun unu video bene cuncordadu. Sa de fundu no est mùsica sarda e sa limba sarda est impreada cun meda economia manna, in sa didascalia a una decraratzione meda connota in Sardigna (We all want indipendence, Sos sardos) e in s'acabu de su video. Agùrios mannos a sos organizadores, ma m'abarrat una dimanda sena imposta: a ite serbit una indipendèntzia sena limba e sena identidade? [zfp]

giovedì 25 novembre 2010

Iscrie una lìtera a sos Tres res

A sas pitzinnas e a sos pitzinnos de sas Iscolas Elementares de Sardigna
A sas maistras e a sos maistros

Ocannu, pro sa de deghennoe bias, pro sa die de sa festa nostra, pro su 6 de ghennàrgiu de su 2011, organizamus su Cuncursu Iscrie una lìtera a sos Tres res
Su Cuncursu est pro sas iscolanas e sos iscolanos de sas iscolas elementares de totu sa Sardigna.
Sas Lìteras a sos Tres Res devent tratare, in sardu, argumentos chi istant a coro a sas pitzinnas e a sos pitzinnos de oe.
Sas lìteras devent arribbare a:
SOS TRES RES,
Comuna, Assessoradu de sa Cultura,
08020 LÙVULA (NU),
intro de su 18-12-2010.
Ammentade·bos de iscrìere craru finas su nùmene e su sambenadu bostru, sa carrera e sa bidda in ue istades, su nùmeru telefònicu. In prus, tocat a iscrìere finas su nùmene e sambenadu de sa maistra o de su maistru, s’indiritzu suo e su nùmeru telefònicu.
A sos pitzinnos chi ant a iscrìere sas 20 lìteras prus bellas amus a lassare un’ammentu nostru. Custas lìteras ant a èssere premiadas e, paris cun sas àteras mègius, ant a èssere publicadas in unu libru.
Sos prèmios ant a èssere cunsinnados in LÙVULA , in ocasione de una festa manna de pitzinnas e pitzinnos, su 6-1-2011.

Lùvula, 22 de Santandria de su 2010

SOS TRES RES:
Gasparru, Mertzioro, Baldassarru

Caspita! Un'iscrizione protocananaica nella Grotta Verde di Alghero

di Giorgio Cannas

Tra il 1977 -1978 lo scrittore livornese Mario Ruocco pubblicava, per i tipi della Casa editrice Tognoli (Stampalito Firenze), una serie di tre volumetti dal titolo 'SARDEGNA', a scopo di informazione turistica (riguardante le città, il territorio, il paesaggio, la gastronomia, l'archeologia, l'arte ecc. della Sardegna). In uno di questi, alla p. 93, si trova, seguita da una breve ma stupenda didascalia a piè di pagina sulla Grotta Verde e su Capo Caccia di Alghero, la fotografia di un'iscrizione rinvenuta sempre nella stessa Grotta. 
Eccola la parte finale della didascalia: '' E' [quella che ispira la Grotta ], in una parola, una suggestione unica, imparagonabile a qualsiasi altra a cui nella Grotta Verde, si aggiunge anche un motivo di ordine culturale: alla intatta bellezza che i millenni non hanno scalfito, si aggiunge, infatti, la possibilità di ammirare alcuni rarissimi 'graffiti' dell'epoca protosarda: segno di una civiltà remota ed avanzata, segno, quindi, di vita che si perde nella notte dei tempi e che solo l'impalpabile fiabesca unicità di questo luogo poteva riuscire a far pervenire fino ai nostri giorni'. 
Di detta iscrizione graffita (v. la foto), vera perla documentaria dal punto di vista alfabetico-epigrafico (e naturalmente linguistico), almeno che io sappia, non si trova menzione in nessun libro di archeologia e il fatto appare veramente strano perché i libretti del Ruocco ebbero una notevole circolazione in Sardegna e fuori dell'Isola, tanto che essi possono essere comodamente consultati in diverse biblioteche pubbliche e private della Sardegna (nella biblioteca comunale di Oristano, ad esempio, ci son tutti e tre). Sembra quasi impossibile, a mio parere, che agli archeologi, sardi e non, possa essere sfuggita una foto del genere, cioè di tale importanza culturale, perché si sa che tutti erano a conoscenza, stante la notissima e lettissima monografia di G. Lilliu pubblicata nel 1967 (G.Lilliu, La Civiltà dei Sardi, ERI edizioni RAI Radio Televisione Italiana, Torino), del graffito riportato dallo studioso (cap. IV, p. 131, fig. 24) riguardante quella che veniva interpretata  come 'arte astratta rupestre' del neolitico finale.


martedì 23 novembre 2010

Iovine a Nuoro? E che c'è di strano?

In sé non c'è alcuna straordinarietà nel trasferimento del camorrista Antonio Iovine nel carcere nuorese di Badecarros. Né se fosse frutto, come credo, di una decisione di qualche alto burocrate né, e non lo credo, se la decisione fosse dettata dalla volontà, tutta politica, del ministro della Giustizia, Alfano. Un burocrate non ha preoccupazioni di opportunità politica, figurarsi se si pone problemi di ordine culturale. Un ministro della Repubblica sa che spetta allo Stato amministrare la giustizia, che la Regione non ha alcun potere in merito e, se davvero la pensata è stata di Alfano, tutto è in regola con Costituzione e Statuto vigenti.
È curioso assistere alla levata di scudi, oggi, dei partiti italiani che si mettono gli abiti di vestali della Costituzione ad ogni stormir di fronda riformista e che se la prendono con chi ha esercitato i poteri e le competenze affidate loro proprio da quella Costituzione che vorrebbero immutata, se non in piccoli dettagli. Il 18 di questo mese, il Consiglio regionale ha avuto una occasione importante per esprimere con un voto un sentimento di indipendenza. Non si è trattato di dichiarare l'indipendenza della Sardegna, ma di interpretare in un ordine del giorno una volontà che si va sempre di più diffondendo: non va più bene il patto costituzionale stipulato più di sessanta anni fa. Si trattava, insomma, di rafforzare quel che il Parlamento sardo aveva già fatto con la “dichiarazione unilaterale di sovranità” del febbraio 1998.
Ebbene quell'ordine del giorno è stato bocciato da tutta la sinistra (compresa, valla a capire, la consigliera indipendentista dei Rossomori) salvo un consigliere del Pd; ha ricevuto il voto favorevole dei sardisti e di cinque consiglieri del centrodestra, più l'astensione di altri tredici deputati regionali della stessa parte. Capisco le titubanze possibili di fronte alla proclamazione formale e unilaterale dell'indipendenza sarda, ma un segnale, espresso con un ordine del giorno mica con una legge, proprio no? Proprio non era possibile? E allora, signore vestali di centrosinistra e di centrodestra (hanno votato insieme alla sinistra – 16 i suoi no – 12 consiglieri di centrodestra) di che cosa vi lamentate? Che lo Stato italiano e i suoi amministratori pro tempore esercitino le loro prerogative?

PS – A scanso di equivoci, la carcerazione a Nuoro di Antonio Iovine è più di un atto politicamente ignobile, è culturalmente aberrante. Esportare mafiosi e camorristi in una terra che è estranea alle mafie dà un brutto segnale di come lo Stato ponga in conto la possibilità di contagio.

L’esedra delle Tombe dei Giganti

di Gorgio Valdès

E’ noto come le tombe di giganti di tipo dolmeico, presentino una stele centrale composta da una sezione superiore a profilo ricurvo, una “traversa” mediana ed una sezione inferiore, sulla cui base è presente un portello. 
Anela
Lo schema della stele ha indubbiamente un significato ben preciso e lo conferma il fatto che si ripete in diversi altri contesti, come in particolare in quelli di “Sos Furrighesos” ad Anela e di “Mesu ‘e Montes” ad Ossi - dove appare riprodotto sulle rispettive pareti rocciose-, nonché in altri ambiti megalitici. E’ probabile, che due raffigurazioni analoghe siano quelle poste al lato della grotta sovrastante Marina Piccola a Cagliari (stazione all’aperto della  Sella del Diavolo), luogo da cui provengono i più importanti indizi di vita preistorica a Cagliari, risalenti al neolitico antico
Ossi
Marina piccola
Si tratta solo di un’ipotesi personale, che tuttavia colpisce, soprattutto per la specularità delle due figure. Per altro verso, è opinione diffusa che l’esedra e più in generale la planimetria delle tombe dei giganti volesse rappresentare il ventre materno, con un significato riconducibile alla rigenerazione della vita. La frequente presenza di piccoli betili in prossimità del portello, lascia inoltre presumere che le tombe, nel loro complesso, fossero connesse ai riti della fecondazione.
Pane spezzato
Trattandosi di interpretazioni verosimili, si può conseguentemente supporre che anche la stele centrale rivestisse un significato conforme a quello assunto in generale dalla tomba. A maggior conferma si osserva come la stele delle tombe di giganti e le similari raffigurazioni rupestri sembrano voler raffigurare l’apparato genitale femminile, come si può rilevare da questa immagine, tratta dal sito www.edu-sessualita.it. In essa, la porzione superiore rappresenta il “rotondo dell’utero” (reciso), la sezione rettangolare sottostante viene indicata come fascia “utero- vaginale”, la sezione più ampia riproduce la vagina, i bordi della vagina fanno parte della fascia utero-vaginale, mentre alla base di figura si osserva il “vestibolo della vagina”.
Un’altra sorprendente conferma si ritrova nel libro di Salvatore Dedola “I pani della Sardegna”, dove l’autore riferisce in merito alla tradizione del pane “spezzato sul capo della figlia che va in sposa” e presenta l’immagine di “su càbude” di Mores, la cui forma è straordinariamente simile a quella della stele centrale delle tombe dei giganti.


lunedì 22 novembre 2010

"Arru", ah! i bei tempi quando i sardi parlavano il basco

di Alberto Areddu


A tutti è capitato di sperimentare quanto l'informazione sia approssimativa, scorretta o degenerata, ci sono studi in proposito, che vanno dalla antropologia alla termodinamica; molti di noi han probabilmente sperimentato l'effemericità dell'informazione, quando imbottigliati nel traffico abbiamo ricevuto dati su un determinato incidente da quello che stava un po' più avanti di noi nel blocco. Poi passando oltre o rileggendo il giorno dopo sui giornali (anche qui poi facendo la tara tra vari di essi) vediamo quanto di inesatto o non vero c'era.
Oggi con Internet c'è la possibilità di avere per molti tipi di informazione, un'esperienza diretta, milioni di libri e giornali scaricabili direttamente, ma anche portali che instaurano per la presenza di chi ci scrive un rapporto di fiducia con chi gentilmente li legge. Ora il massimo dei portali è Wikipedia, che anche chi volesse non servirsene, e reputarlo a priori uno strumento "facile" e quindi corroso dalla mano del primo passante, è talmente iperferenziato sui motori di ricerca, che se lo trova quasi sempre tra le prime opzioni (quelle che il lettore medio ovviamente clicca) di ricerca.
Un ipotetico lettore francofono (limitiamo il campo a questo), che leggesse oggi incuriosito le pagine sulla lingua basca, troverebbe che essa presenta strane consuetudini con la lingua dei Sardi, giacché entrambe hanno per la parola "rosso" il termine "gorri, gorru", e per pietra hanno "arru". Qualcuno che mi legge sobbalzerà: ma guarda che ti sbagli: io questi termini per il sardo non li ho mai sentiti. E certo mica esistono, ma esistono su Wiki! E chi li ha scritti? Ho la precisa certezza che li ha scritti un noto ricercatore del basco, il Prof. Michel Morvan, che utilizzando una qualche fonte, ha estrapolato l'idea che in sardo (ieri o oggi) sussistano "gorru" e "arru".
Vagli a dire (come io gli ho detto) che gorru e arru sono dei miraggi linguistici! Chi sono io per poterglielo dire ed esserne ascoltato? Qualcuno ben più referenziato ha asserito diversamente, in modo tale che lo ha convinto, oppure lui si è auto convinto che ciò sia vero. Che fare in questi casi? Intervenire sul medesimo tazebao virtuale e cancellare quanto scritto? Uhm, la persona ci ritornerebbe a scriverselo, perché una fonte superiore glielo ha detto, mica si può esser sbagliato! Io sinceramente non saprei come fare, e arrovellandomi mi lascio andare a immaginare quanti amanti del basco, in questi giorni, mesi e poi forse anni, si andran facendo l'idea che in Sardegna abbiamo queste parole.
Mi immagino fiumane di turisti della Guascogna che comprano on line un last minute, sbarcano nei nostri aeroporti e ben consci che la loro lingua sarà incomprensibile ai nativi, qualcosa però permette loro di giostrare con la bella hostess sul colore del paesaggio al tramonto, sussurrandole "gorri gorri" o maneggiando un ciottolino sulla spiaggia all'avvenente moretta di Sardegna: "arru arru... pour voux". Che delicate romanticherie di guascone! Mi immagino tutto ciò, come mi prefiguro un genitore e un figlio che, un domani forse non troppo lontano, svolgono a casa una ricerca, il figlio che chiede al padre: "Oh bà come si diceva "pietra" ai tempi in cui c'era il sardo? Qui leggo "pedra". No figlio mì, quella è una parola portata da fuori, gli antichi nostri dicevano "arru", l'ho sentito da mio nonno, che stava in Internet".
Ecco sarà il trionfo (benché postumo) della nostra vera lingua, la LSB, la lingua sarda b(l)aschense !!


P.S. Se qualcuno volesse aggiungersi alla mia voce e relazionare degli errori l'intestatario, vi faccio presente l'e-mail, che è pubblica: m-morvan@wanadoo.fr

domenica 21 novembre 2010

700.000

Stanotte abbiamo doppiato i 700.000 contatti, contati a partire dall'11 febbraio 2009. Grazie.

sabato 20 novembre 2010

Ma che bel coccio e che bei cunei


Con molta circospezione, qualche dubbio, ma non col sospetto che si tratti di uno scherzo, pubblico la foto qui sopra. Chi me l'ha inviata afferma che si tratta del coccio ritrovato nel 1995 nei pressi di Mogoro durante lavori stradali sulla 131, ricoverato per un certo periodo nel Museo civico di Senorbì e riconosciuto dal professor Giovanni Pettinato come supporto di una scritta cuneiforme, ugaritica, insomma.
Circospezione perché di quel frammento non si sa più niente e perché questa sua improvvisa apparizione in una foto, fra l'altro non di ottima qualità, sembra il segnale di un qualche imbarazzo in alcuni ambienti che dovrebbero sapere; qualche dubbio perché il mittente, pur usando un indirizzo mail “di fantasia”, ha chiesto perentoriamente che io cancellassi questo suo indirizzo; nessun sospetto, perché di questo o di un reperto uguale si ha certezza e perché sono chiari i segni cuneiformi. Il che sta a significare che o il coccio la cui foto fu vista da Pettinato è questo o, in giro, ce n'è un secondo.
Solo la Soprintendenza, a cui certo non è ignota l'esistenza di questa fotografia e che certo sa dove si trova il frammento fotografato, può, e a questo punto deve, chiarire le cose. In un commento all'articolo di Lidia Flore, “giovanni” ha scritto che “Il professor Giovanni Pettinato era presente in qualità di relatore al convegno "L'era dei giganti" il giorno 07/11/2010 a Pauli Arbarei”. L'avessi saputo e avessi avuto questa foto non avrei mancato di chiedergli se fosse quella che, nel 1995, gli fu mostrata, facendogli concludere che quei segni erano cuneiformi. Ma di certo qualcuno della Soprintendenza glielo avrà chiesto.

venerdì 19 novembre 2010

Publitzidade in sardu de sa VW e dolores de matza in italianu

Mancari b'apat carchi isbàlliu de ortografia (su plurale in sardu agabat sèmpere cun sa “s” e no una bia eja e s'àtera nono), sa publitzidade fata in limba sarda dae sa Volkswagen est una cosa de importu. No est chi tèngiat bisòngiu de èssere reconnota, pro b'èssere, ma si si nd'abìgiat finas una sienda che a sa VW est mègius puru. Craru, si custa publitzidade l'at fata no est ca sa Volkswagen li cheret dare una manu de agiudu a sos chi in Sardigna gherrant pro chi su sardu siat normale, ufitziale e, mescamente, visibile finas in sos giornales chi de custa visibilidade si nd'impipant a s'unanimidade. Lu faghet ca, a bi so ca, pensat chi faeddende in sardu a sos sardos carchi màchina in prus l'at a bèndere.
De àteru, est sa matessi cosa chi una sienda italiana aiat fatu su tempus coladu ponende in sas etichetas suas non “salsiccia”, ma “sartitza”. E bidu chi sos produtores sardos preferint produire salsiccia e non sartitza, sos turistas in gana de si leare in fatu unu souvenir sardu, a bias ant comporadu meda sartitza mustrenca e pagu salsiccia.
Est capitadu de lèghere, custas dies in su forum de iRS, custas paràulas: “Ci lascia a bocca aperta vedere che altri che non siano sardi usano con naturalezza verso di noi la lingua che noi stessi stiamo ancora discutendo se usare formalmente o no. Valuto però l'aspetto "feticistico" della questione: se qualcuno ci dice COMPRA in italiano è solo un venditore. Se ci dice COMPORA in sardo allora è una cosa fichissima e merita attenzione superiore. Il messaggio non cambia di una virgola, ma il veicolo del messaggio rappresenta per noi un valore aggiunto rispetto al prodotto. Se fossi uno studioso di comunicazione di mercato ne trarrei questa conclusione: "in Sardegna le persone sensibili al discorso identitario sono un target facilmente raggiungibile attraverso l'associazione tra un qualsivoglia prodotto e i simboli in cui tendono a riconoscersi".
Tradotto: i sardi che non si possono comprare con i sistemi tradizionali si possono comprare con la rappresentazione artefatta di sè stessi.
A l'iscrìere no est unu che a nemos, est s'indipendentista Michela Mùrgia, iscritora cun meda panes in bèrtula e, prus de àteru, maitre à penser de unu bene de giòvanos e mannos chi in iRS bi credent e chi agatant in s'atitudine de Mùrgia contrària a sa limba sarda un'acunortu, unu consolu pro su deficit insoro in contu de connoschèntzia de su sardu. Si Michela Mùrgia si narat “iscritora de literatura sarda” sena impreare su sardu, si si narat indipendentista, si narat chi non b'at bisòngiu de limba sarda pro bortare sa natzione sarda in istadu sardu, tando cheret nàrrere chi su de meda giòvanos e mannos de no ischire custa limba, est un'anneu sena fundamentu.
E non bastat puru. Si lu narat un'indipendentista, una chi faghet “literatura sarda” in italianu, tando est a beru chi in Sardigna non s'ischit galu si b'at su tantu de “usare formalmente o no” sa limba sarda, unu “feticio”, una “rappresentazione artefatta di se stessi”.
Pro bonaura, custu messàgiu – chi in àteros tempos perteniat a s'ala prus reatzionaria de sa sotziedade sarda – no est coladu sena cuntrastos in su forum de iRS. E custa est cosa bona, chi aberit a s'isperu.

Bie puru su situ Sa natzione e su de Roberto Bolognesi

giovedì 18 novembre 2010

Lo strano caso del "brassard" scomparso

di Lidia Flore

Caro prof. Gigi Sanna
Devo dire che è una vera vergogna che dopo cinque anni dalla pubblicazione in rete delle mie paginela lamina litica incisa di ideo-pittogrammi - il cosidetto brassard di Is Loccis Santus - non sia apparsa ancora in pubblico ad illuminarci sulla sua storia. 
Dobbiamo ancora penare per il suo ignoto destino o ci decidiamo ad unirci in una pubblica accusa nei confronti dell'esimio Prof. Enrico Atzeni, l'archeologo sovrintendente che dopo averla fotografata e riportata in un libro noto e importante ("Carbonia: Archeologia e Territorio", S'Alvure Oristano, 1995), averla commentata con un suo "forse" (che metteva in dubbio datazione e provenienza), ha permesso che sparisse nelle tenebre. Nessun museo l'ha veduta più (tanto meno quello di Carbonia dove si dice essere stata collocata ed esposta) e forse solo lui ha potuto e può averla tra le mani. Un reperto sparito quasi subito, eppure, grazie a quella foto sul libro, è diventato famoso, anche perché ripreso, studiato e divulgato dal prof. Gigi Sanna, considerata l'enorme rilevanza che esso assumeva dal punto di vista della scrittura arcaica sarda dell'età del bronzo e quindi della conoscenza della storia della nostra isola e non solo di questa.
Ebbene, prof. Sanna, non posso fare a meno di chiedermi come ci si senta, non dico come intellettuale sardo che ami la propria terra (purtroppo sappiamo quanto piccola sia la schiera), ma almeno come docente serio e preparato, che indaghi con umiltà e limpidezza sulla 'verità' dei reperti, a liquidare con una sua interpretazione - oggi denunciata come gratuita, frettolosa e sommaria - a relegare nel buio e nell'oblio (senza mai dare una giustificazione di sorta della sparizione dell'oggetto), un pezzo archeologico così straordinario, tale che meriterebbe gli occhi del mondo scientifico e non lo sguardo di uno solo offuscato (ormai lo si deve dire) da manifesta presunzione e da assurdo egoismo. Sono sicura ci si debba sentire proprio male, sia nella coscienza di sardo sia nella coscienza di uomo di scienza.
Ho letto da poco il libro di Franciscu Sedda "I sardi sono capaci di amare": vi ho trovato molte verità e l'onestà rispetto al passato è un punto molto importante; in questo libro ho riscoperto come le narrazioni sono le prime istituzioni della nostra vita e come una cattiva narrazione generi una coscienza malata. Per questo io sostengo che l'occultamento della lamina incisa di Is Loccis Santus di San Giovanni Suergiu non sia solamente un danno per il mondo scientifico e per tutti coloro che si dedicano allo studio dei segni incisi sulla pietra - da quelli più antichi del territorio di Isma in Giordania (VI millennio) a quelli meno antichi in Europa - ma sia un danno anche per tutti noi: una vera e propria mortificazione della creatività civile e culturale nostra e dei Sardi antichi.

Gigi Sanna non mancherà, immagino, di rispondere alle sue domande, cara Flore. A me non resta che ringraziarla per il coraggio civico con cui denuncia, senza infingimenti, la scomparsa di un reperto che spesso è stato citato in questo blog. Purtroppo non pare sia l'unico ad aver preso la strada dell'oblio, sperando che solo di questo si tratti. Non si hanno più tracce, per esempio, di un frammento trovato nel 1995 durante i lavori stradali della 131 e conservato, per un certo periodo, nel Museo di Senorbì. Lo vide, in fotografia, l'assirologo prof. Giovanni Pettinato durante un convegno tenutosi in quello stesso anno, organizzato dal professor Antonio Maria Costa. Pettinato notò dei segni sul frammento ed ebbe l'idea che essi fossero parte di una scrittura cuneiforme. Pare che di quel coccio non ci sia più traccia, proprio come del "brassard" di Is Loccis Santus. Ed è un peccato - spero veniale - perché dall'esame del frammento si potrebbe capire che cosa ci facesse una scritta cuneiforme nel XIV secolo avanti Cristo, là dove 35 secoli dopo si stava costruendo una strada.
Più fortuna pare abbia avuto la navicella nuragica di S'Urbale di Teti. Si dovrebbe trovare nel laboratorio di restauro di Li Punti, con la sua scrittura nuragica, che, avendo resistito dal 1994 allo scorso anno, è probabile non si sia polverizzata. Di questi ultimi due reperti, ed altri, si parla in due interrogazioni parlamentari al ministro Bondi, presentate dai senatori Luciana Sbarbati, oggi del Gruppo misto, e Piergiorgio Massidda, del Pdl. Entrambi chiedono conto al ministro, e naturalmente ai suoi esperti, di che cosa siano e di dove si trovino. Non ostante i solleciti, il ministro non ha ancora risposto. Il 29 novembre, Bondi potrebbe essere sfiduciato e costretto a dimettersi. C'è chi fa il tifo perché questo succeda, sottraendo chi ha l'obbligo di rispondere all'imbarazzo di dire qualcosa di sensato. Pazienza, ci sarà pure un successore nel futuro e nel futuro ci saranno pure parlamentari curiosi. Se Dio vuole, noi ci saremo. [zfp]

mercoledì 17 novembre 2010

La civiltà dei numeri uno


di Davide Marras

Nel presentare il programma delle conferenze La Civiltà dei Numeri uno, giunto ormai al 2° ciclo, dopo quello realizzato nel Gennaio 2009, invitiamo tutti a seguire con interesse le relazioni, sulle quali, crediamo, si potranno trovare molti spunti di discussione nei dibattiti che seguiranno, vista la partecipazione di illustri studiosi di materie diverse ma accomunati dalla stessa reciproca ammirazione degli uni verso gli altri, come hanno dichiarato i Professori e gli Studiosi coinvolti in queste tre conferenze, i quali saranno sempre tutti presenti nel corso degli appuntamenti.
La Civiltà dei Numeri uno propone una conferenza del Prof. Nicolino De Pasquale con i risultati dei suoi ultimissimi studi sulla Trigonometria NuragicoEgizia.
I papiri eserciziari di Rhind e di Mosca offrono la soluzione di molti problemi di ordine pratico ma non una idea delle reali conoscenze matematiche e trigonometriche degli antichi egizi. Più utili, a tal fine, si rivelano alcuni reperti archeologici finora classificati come giochi.
Mentre il gioco sciacalli e cani è una potente calcolatrice in base 12, capace di scomporre tutti i cicli astronomici nelle tipiche unità egizie (decanale, stagionale, quadriennale, ..), la senet ed il serpente consentono il calcolo delle coordinate e la rappresentazione delle funzioni matematiche con una rarissima impostazione polare-esponenziale.

martedì 16 novembre 2010

Ci sarebbe da fare un nuraghe fuori asse

di Giuseppe Mura

Le complesse soluzioni architettoniche adottate nella costruzione del nuraghe suggerisce la preesistenza di un vero e proprio progetto, da intendersi naturalmente non in termini moderni con la stesura sulla carta dei vari disegni in scala. In ogni caso non è possibile escludere che, nel corso della costruzione, ci fosse la presenza fissa di una “direzione lavori”, magari accompagnata dal “committente”, pronta ad intervenire momento per momento nello sviluppo dell’edificio per fornire le giuste direttive alle maestranze specializzate.
Fermo restando questo aspetto costruttivo, ricordo l’esistenza di una particolare variante progettuale, osservabile in particolare nella planimetria di base, che caratterizza non poche torri principali di nuraghi semplici e complessi: quella del disassamento tra l’ambiente interno e il paramento murario esterno.
Ricordando che i nuraghi non sono costruiti su fondazione, il nostro progettista che intendeva costruire una torre, spianato opportunamente il terreno, posizionava il “compasso” in un ipotetico centro e tracciava un primo cerchio che dimensionava l’ambiente interno, quindi tracciava il paramento esterno semplicemente aumentando il raggio dello strumento (fig. 1a); su queste figure faceva costruire l’edificio.
In altri edifici, meno numerosi dei primi, una volta tracciato il primo cerchio, l’ideatore del progetto non solo aumentava il raggio, ma rimuoveva lo strumento dal centro iniziale spostandolo sull’asse ideale che conduce al corridoio di ingresso, tracciando così un secondo cerchio delle medesime dimensioni ma “disassato” rispetto al primo; su questo secondo cerchio costruiva la base del paramento esterno (fig. 1b)
Planimetria di base di un nuraghe
in asse (1) e non in asse (1b
)

Applicando questa brillante variante il costruttore lasciava intatte le dimensioni interne ed esterne dell’edificio, ma aumentava la lunghezza del corridoio di ingresso. Si tratta di un risultato finale che, evidentemente, non era frutto del caso, ma dettato da particolari esigenze. Quali potevano essere queste esigenze, per quali motivi i nuragici modificavano così radicalmente il progetto di base rischiando di indebolire e di squilibrare l’assetto finale dell’intera struttura?
Intanto va detto che il corridoio di ingresso alla camere principale dei nuraghi, disassate o no, costituisce l’unico elemento architettonico che non rispetta, in pianta, quello che appare come il tipico canone costruttivo dei nuragici: la costruzione in cerchio o quanto meno, l’utilizzo della curva. Insomma, solo motivazioni di vitale importanza potevano convincere i nuragici a disassare l’intero edificio per allungare il corridoio e realizzarlo rinunciando alla quasi ossessiva forma della curva.
Considerando che tutti gli edifici adibiti al culto dei popoli gravitanti intorno al bacino del Mediterraneo erano costruiti utilizzando la forma del quadrilatero come base, ricordo come esempio il famoso tempio degli Israeliti, ipotizzo che anche il corridoio dei nuraghi fosse adibito, oltre che al disimpegno logistico, a particolari forme di culto.
D’altra parte risulta difficile trovare motivazioni diverse da quelle religiose: la stessa torre nuragica, elevata in altezza a scapito del poco spazio ricavato internamente e costruito tramite l’ausilio di ingenti risorse economiche ed umane, trova facili riferimenti nei luoghi sacri delle antiche culture. Con questo non intendo dire che il nuraghe fosse un edificio sorto unicamente a scopi religiosi: ritengo più probabile la funzione di tipo palaziale, nel senso che costituiva la residenza del sacerdote-capo con tutte le prerogative conseguenti.
Ma, per restare al corridoio di ingresso dei nuraghi adibito a luogo di culto, ricordo che la stessa forma planimetrica rettangolare si ripete nei cosiddetti “Megaron” della Sardegna, altri edifici che risultano dedicati ai riti religiosi per via del gran numero di oggetti e bronzetti votivi che hanno restituito.
Bronzetto raffigurante il nuraghe
complesso e la capanna sacra
D’altra parte l’abbinamento sacro tra il nuraghe e la Megaron è mostrato dal rinvenimento di alcuni bronzetti che mostrano i due edifici fusi nella stessa base (fig. 2). Infatti quest’ultima, rappresentata dalla capanna sacra, ha il tetto a doppia falda come le ipotetiche ricostruzioni delle Megaron, arricchito dalla presenza delle colombelle, animale sacro per i nuragici. Inoltre la Megaron sorge generalmente presso i villaggi privi di nuraghi, come se dovesse in qualche modo sostituirne la funzione.
Infine, quasi tutti i corridoi di ingresso alle camere principali dei nuraghi, risultano orientati nella direzione dei solstizi: mi piace immaginare quale prestigio poteva trarre la figura del sacerdote (o della sacerdotessa) che, uscito improvvisamente dalla nicchia d’andito, si presentava all’ingresso architravato tutto illuminato dalla luce nascente ai meravigliati offerenti radunati all’esterno dell’edificio. Oppure, ancora meglio: quale prestigio traeva il sacerdote-capo se gli offerenti, effettuati i previsti riti iniziali nel corridoio ed inoltratisi nella camera, ne ammiravano la figura seduta nel “trono” posto all’interno della grande nicchia opposta all’ingresso e tutta illuminata dalla luce dell’astro.


lunedì 15 novembre 2010

Come rottamare lo Stato: la politica in azione

Troppo presi dalla ordinarietà del marasma politichese, non è facile avere la consapevolezza che qualcosa di decisivo si sta rompendo nell'Ordinamento italiano e, a volte in maniera autonoma a volte per replica romana, in quella sardo. E che ci sono i primi seri scricchiolii dello Stato unitario come lo conosciamo da un secolo e mezzo. Il caos, avrebbe detto Mao dse dung, è grande sotto il cielo e la situazione è eccellente, nel senso che dalla confusione di questi ultimi tempi potrebbe nascere un ordine nuovo.
La ribellione di giovani e maturi militanti del Pd che si propongono di “rottamare” il gruppo dirigente; il declino di Berlusconi, pur se non imminente come molti vorrebbero; il difficile barcamenarsi di Gianfranco Fini fra la terziarità della sua carica e la sua parzialità di capo di partito; la predisposizione del Pd a qualsiasi guazzabuglio “tirannicida”; la voglia di Di Pietro di esporre a pubblica gogna il nemico; la minaccia della Lega di staccare la Padania dalla Repubblica; la rottura degli autonomisti siciliani con il Governo; l'aut aut posto dal Governo sardo a quello italiano. Tutto questo, ed altro ancora, è la causa della crisi profonda dello Stato unitario o ne sono l'effetto?
Fra “altro ancora” c'è la decisione di un senatore sardo, Piergiorgio Massidda, di porre il Governo davanti a una scelta: “O rispetta gli impegni assunti nel programma elettorale del Pdl di favorire la crescita della Sardegna, o non potrà contare sul mio voto”. Il guaio, per il Governo, è che non può dire chi se ne frega, voto più voto meno non ha importanza. Già, perché il voto di Massidda può fare la differenza fra la sopravvivenza del Governo e la sua fine. Il senatore sardo è diventata una star nei giornali di opposizione ma non solo, tutti, però, accomunati in un pensiero unico: se esce dal Pdl è per andare con il partito di Fini, tertium non datur nello schema accomodante del politichese politico e mediatico.
Che voglia fare l'ennesimo parlamentare di Futuro e libertà o che voglia farsi parte di un progetto tutto sardo è questione tutta sua. Resta il fatto che, come del resto scrive nel suo blog, si è accorto quanta vuota retorica ci sia nella concezione secondo cui esistono “governi amici” e “governi nemici”. Cosa, del resto, che aveva già sperimentato Renato Soru al tempo di Prodi e sperimenta il suo successore Ugo Cappellacci ai tempi di Berlusconi. I rapporti fra governi regionali e governi dello Stato non sono e non possono essere regolati da “amicizia” o “inimicizia”, al massimo da “leale collaborazione”. Non lo è mai stato, figurarsi se è possibile in clima di incipiente federalismo. Il fatto è che il localismo, parolaccia nel lessico unitarista, si prende la sua rivincita e diventa, come è giusto che sia, linea portante della politica.
La Lega Nord, tralasciando l'orticaria che provocano certe sue uscite xenofobe, è maestra nell'imporre un concetto nuovo del rapporto fra la macro regione chiamata Padania e Governo dello Stato. Vi partecipa, anche con fedeltà, a patto che gli interessi della Padania siano rispettati puntigliosamente. Fa bene, insomma, il proprio lavoro. In qualche misura, è lo stesso che fa l'autonomia siciliana, capace di momenti di grande unità interna e, persino, di inventare inedite aggregazioni di governo, rompendo lo schema secondo cui ciò che si è al centro si deve essere in periferia. È la Sardegna ad essere stata incapace di considerare il suo rapporto con l'Italia come rapporto alla pari, neppure rendendosi conto che persino la Costituzione italiana sancisce l'equiordinamento fra gli elementi della Repubblica, comuni, province, regioni e Stato. La trappola del “governo amico” o del “governo nemico” è scattata quasi sempre, ad evitare il confronto fra le entità chiamate “Regione sarda” e “Stato italiano”, immiserendolo in una ricerca di solidarietà fra agnello e lupo, salsiccia e cane.
Oggi ci sono segni di qualcosa che sta cambiando con il rimescolamento cui stiamo assistendo. Che da questo nasca un qualcosa che risolva la crisi dello Stato unitario è possibile. Ma non ci credo. C'è chi evoca l'Algeria come rischio dello scontro, dentro il federalismo, fra il Mezzogiorno d'Italia e lo Stato, a cui farà da contrappunto la rivolta del Nord il giorno in cui si accorgerà che la camera di compensazione fra il sottosviluppo del Sud e lo sviluppo del Nord, niente di meno sarà che nuovo assistenzialismo a favore del Mezzogiorno. Come dire che il declino dello Stato unitario si gioca nella applicazione del federalismo. Può darsi, ma questo sfascio non si blocca certo coltivando il proposito di fermare questa trasformazione. Ammesso che sia possibile e auspicabile, il declino credo possa essere interrotto solo attraverso la presa d'atto di come la retorica unitarista abbia per troppo tempo impedito il dispiegarsi delle risorse materiali e immateriali del localismo.

domenica 14 novembre 2010

Dea madre, il primo monoteismo al mondo

di Marcello Cabriolu

Il culto monoteista più antico del mondo ha lasciato tracce profonde sia sul territorio che nell’animo dei Sardi. Analisi di un rapporto uomo – divinità per molti versi differente da quello moderno.
Il culto della Dea Madre è testimoniato in Sardegna sin da epoca paleolitica. Il rinvenimento di diverse statuine, in varie località isolane, ci attesta che il culto della divinità femminile è stato tra le prime manifestazioni di monoteismo al mondo. I rinvenimenti di Macomer, Carbonia, Villamassargia e Cabras, statuette riproducenti la Dea che accompagnavano il sonno dei defunti nelle Domus, ci mostrano come durante il paleolitico superiore la Sardegna fosse culturalmente in linea con l’Europa continentale. I siti di Dolni Vestonice, nella Repubblica Ceca, e di Willendorf, in Austria, originavano, quasi contemporaneamente a Macomer (attorno al 24.000 B.P.), una statuetta di circa 11 cm riproducente una figura femminile dalle forme abbondanti.
Una constatazione straordinaria se si riflette sull’insularità della Sardegna Paleolitica, descritta come isolata in mezzo al Mare Mediterraneo, eppure così attiva dal punto di vista culturale e commerciale, come testimoniano le esportazioni di ossidiana.

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sabato 13 novembre 2010

Intervista con i bronzetti in vendita a New York

Autoscatto con sacerdotessa Toro superdotato, durante l'intervista
di Stella del mattino e della sera

Mi scuserà l'Antico se gli ho dato buca? Si comprasse un cellulare, avrei potuto avvisarlo, ma lui è duro come un mulo. “Mi faccio vivo io”, dice. Tanto peggio, vuol dire che per questa volta non mi trova. Eccomi nella Grande Mela, dove mi segnalano la messa all'asta di due preziosi bronzetti nuragici: una sacerdotessa con berritta  ed un toro superdotato. Mi son messo in testa di intervistarli. Tanto per sapere come se la passano negli States e che progetti hanno per il futuro. Mi anfratto nella Galleria e aspetto che chiudano, per avvicinarmi alla vetrinetta.
“Càstia-ti-ddu, su bachiddu de Deus!”, si stupisce la sacerdotessa. Equivoco comprensibile, non è la prima volta che mi scambiano per il pane di Capodanno (vd. foto). “Who is this Individual?” fa il Toro, che si è ambientato meglio.
Io in Inglese non sono tanto buono ed il Sardo mi han detto che devo scordarmelo se voglio far carriera, per cui mi rivolgo al Toro in modo più diretto: “Cosa prova nel constatare che la sua compagna di avventura verrà venduta per 18000 $, mentre lei è quotato solo 4000?”. E´un po' imbarazzante fronteggiarlo perché non solo è superdotato, ma anche il suo muso ricorda la… dotazione.
“Le solite manovre del Vaticano!” fa lui e si ammutolisce. “Da lui non cavi più niente, astro bivalente: si è offeso perché lo hanno quotato basso. Non capisce che qui son bacchettoni e che nessuno se lo comprerebbe sennó. Per fortuna che non hanno capito cos´é il mio copricapo. Ihihihih!”.
Non mi resta che procedere con l´intervista:
Stella: “Come si è ambientata nel Nuovo Mondo? Ha nostalgia della Sardegna?”
Bronzetta: “Poco: laggiù nessuno mi considerava. Invece così ho girato di nuovo il mondo, imparato lingue straniere, ritrovato tanti vecchi amici: Londra, Ginevra, Haifa, New York.”.
Stella: “Che vuol dire con “di nuovo”?
Bronzetta: “Quando ero giovane ero molto richiesta come officiante: Egitto, Siria, Palestina, Anatolia. I nostri fratelli erano un po' dappertutto. Ma alcuni tornavano; sempre. Con le navi.”.
Stella: “Lei è stata rubata?”
Bronzetta: “Rubata? E a chi o a cosa, a quale popolo? No caro emulo della Sacra Bidente, non mi hanno rubato: semplicemente sono stata buttata via e qualcuno mi ha trovato. Non vorrei allarmarti, ma sta arrivando la guardia.”
Stella: “Laggiù c´è una porta, se il Babay me la manda buona… Mi saluti il signor Toro e, mi dica, le dispiace essere messa in vendita?” Non aspetto la risposta, devo andare. Ma girandomi per un ultimo sguardo scorgo il muso possente del Gran Toro, che mi fissa fiero e triste, mentre scappo: “Mègius bèndidu, ma no in manos de Min….”. Il resto del nome non l´ho sentito: la porta allarmata si è messa in allarme e si è scatenato il putiferio. 

Sa “Costante resistenziale” e atrus mitus sardus

de Roberto Bolognesi
Una borta a un’amigu miu italianu, po ddu provocai, dd’apu nau: “Quando noi costruivamo i nuraghi, voi abitavate ancora nelle caverne!” E issu, ca non est amigu miu po de badas: “Si, ma da allora non avete combinato più niente!”
Is sardus de sa generatzioni mia funt pesaus cun s’idea ca po essi sardu unu depiat essi a s’antiga. E cantu prus a s’antiga unu fiat, cantu prus sardu fiat. A unu certu puntu s’agetivu “sardu” est arribbau a sinnificai su propriu de s’italianu “tradizionale”. Ma apu intendiu fintzas cosas comenti: “Apu biu a una feminedda sarda…” e cussu bolíat nai una femina becia meda posta de costumu de fiuda. E apu intendiu puru “una bia sarda” e cussa, in is contus de unu beciu se Sestu chi femu intervistendi, fiat una bia chentza de asfaltai.
Cust’idea est stetia forsis sa cosa chi s’at fatu prus dannu in totu sa storia nostra. E s’idea ca sa Sardinnia est una terra firma in su tempus, chentza de evolutzionis, chi nci pensais unu pagu, non podit essi náscia in logu nostru. Est un’idea chi eus importau impari a totu sa cultura “superiori” bénnia de foras. Est s’idea de unu chi bit sa diversidadi sarda sceti che sinnu de un’arretratesa monumentali.
A is sardus, isolaus comenti fiant, cust’idea non ddis podíat benni, poita ca issus non ddu sciíant de essi diversus: diversus de chini? De su mari chi teníant a giru ?
Ma bellu a bellu, incumentzendi de sa burghesia compradora, ca fiat in cuntatu deretu cun su poderi coloniali e trabballát po afortiai custu poderi, cust’idea s’est difúndia intra de totu sa genti sarda.
Una de is conseguentzias de custa manera de castiai a sa sardidadi est cussa specia de gerarchía chi est nascia in sa conca de genti: ddoi funt sardus de seria A e de seria B.

venerdì 12 novembre 2010

Lingua e identità fanno bene all'economia



L'editoria in basco che oltre ad essere un esempio di resistenza culturale e di affermazione di diritti fondamentali è un esempio sul piano giornalistico e dal punto di vista del management, la produzione audiovisiva in gallese che esporta i propri prodotti in tutto il mondo, la minoranza slovena in Italia con la sua organizzazione economica e le sue specializzazioni imprenditoriali, i ladini delle Dolomiti che coniugano la promozione turistica e la valorizzazione della propria identità. Sono solo alcune delle esperienze che verranno illustrate e messe a confronto domani, 13 novembre a Udine nel corso del convegno internazionale “Minorancis linguistichis e imprenditorie. Lenghe, identitât, professionalitât - Minoranze linguistiche e imprenditoria. Lingua, identità, professionalità”

Ma sas limbas non sunt che preda

de Larentu Pusceddu

Sas limbas non sun che-i sa preda chi non si tremet e pro la moer che la deves secare. Sunu prus a prestu che-i sas bonas bichinas de unu tempus, chi cando lis mancaiat su pane si lu prestaian a pare. Si osserbamus sa limba sarda chena s’avrore de sa sientzia filologica o limbistica, su caminu no lu devet indittare s’istoria conomica e su bonu sensu .
Medas paraulas chi usamus oe non bi podian esser in su vocabolariu nostru. E tando ite si fachet? Sa paraula si prestat dae un’atera limba. E custu sutzedit a totu sas limbas e prus e prus a s’ingresu, faeddadu e iscrittu in mesu mundu e bantadu dae medas sardos pro s’intender internatzionales. Ma s’ingresu cantas furas est fachende galu oe da su latinu… In sa limba de sos pastores e massajos sa ricchesa est manna, prus de s’ italianu. E si “ Volpe” est “Volpe” e gai arreat, in sardu, imbetzes, podimus narrer e iscrier “matzone”, “grodde”, “mariane”. Esempios goi nde podimus facher ateros e ateros.
Ma pro incurtziare su chistionu, cherzo facher carchi esempiu de paraulas chi pro su limbazu de cada die nos amus prestadu: Televisione, Radio, Calculadore, Frigoriferu, Telefono e gai sichinde. E datu chi semus obrigados a las usare, a parrer meu, fachen parte, peri custas, de sa limba sarda. Gai est sustzessu e sutzedit a sa limba italiana. In custa esistin sas paraulas “lampo”, e “carculadore” e medas naran o iscrien Flash e Computer. E custu est peus de pedire unu prestidu. Ma, narat su ditzu, in s’ortu de su lacanarzu su caule creschet de prus. Imbetzes, si faeddande o iscriende in sardu usamus sa paraula tecnologia, in medas murrunzan che pitzinneddos vissiosos. Sas limbas caminan paris chin s’omine in sa creschida economica e culturale sua.
Tzertu semus abituados a sa limba poetica, a sas cantones, a sos poetas de parcu, a s’armonia de sa limba de donzi die. A sa chi faeddamus cun sos amicos, in sos tzilleris, in sa familia. In sa prosa non podet esser gai. Abituados dae seculos solu a su faeddu, sa lettura est peleosa. Ma l’est istada peri cando nos an obrigadu a istudiare sa limba italiana. Comente si siat, non b’at obrigu a lezere sa prosa in limba, ma non si alanzat nudda chena suore.
E si sa limba iscritta devet galu facher passos mannos, nemos at su dirittu de narrer che est menzus ch’abarret firma. E a sos chi abochinan irrocande contra a custu caminu, lassamulos abochinare...