mercoledì 14 novembre 2007

Una lingua ridotta a fatto "esotico"

"Il critico Massimo Onofri" ha scritto su Il corriere della sera Paolo di Stefano "ha parlato, a proposito dei fortunatissimi romanzi dello scrittore sardo Salvatore Niffoi, di una lingua "degradata ai livelli del kitsch della società di massa". L'accusa è quella di lavorare il dialetto non come componente della poetica o come materia necessaria sul piano espressivo (o espressionistico), ma utilizzarlo come sapore-colore locale a beneficio del lettore straniero". Sulla critica a Niffoi, non sono d'accordo, ma su altri, appartenenti a quella "nouvelle vague letteraria" sarda inventata recentemente, l'accordo è totale.
Parte di questi scrittori, specializzati nel descrivere la Sardegna come la immaginano e la vogliono i "lettori stranieri", spacciano come sarda la loro letteratura, rigorosamente in italiano con qualche "piacevolezza esotica" in sardo, sarda solo perché fatta da gente il cui cognome finisce in "u" o in "s". Questa "nouvelle vague" si è oramai trasformata in una corporazione che si prefigge lo scopo di trasformare la "letteratura sarda" o in letteratura dialettale o in sezione regionale della letteratura italiana.
Qualche settimana fa, in Umbria, la corporazione ha allestito una manifestazione sulla letteratura "sarda". Non c'era un solo scrittore in lingua sarda né alcuno dei circa 200 romanzi e racconti lunghi scritti in sardo. Gli umbri che abbiano partecipato alla manifestazione avranno avuto della Sardegna una curiosa immagine: una terra che produce sua letteratura in una lingua forestiera. La responsabilità, va da sé, non è degli organizzatori. E' dei portatori infetti di quella malattia infantile che si chiama autocolonialismo.

Ma allora è proprio un vizio

La decisione del governo di far ricorso alla Corte costituzionale contro la sovranità della Sardegna citata in una legge del Parlamento sardo non è un incidente di percorso, ma un episodio di una politica di mortificazione dell'autonomia sarda e, in genere, del sistema autonomista italiano. In questi giorni, altri due provvedimenti governativi si inseriscono in questa linea di neocentralismo, evidentemente autorizzato dall'inconsapevole bocciatura popolare della riforma costituzionale che tendeva ad accrescere le competenze delle regioni, ordinarie e speciali. Come dire che chi è artefice dei propri mali...

Il primo episodio è il tentativo del governo italiano di imporre a tutte le regioni il pur sacrosanto "dimagrimento" dei consigli di amministrazione di enti pubblici. Non una indicazione, concordata con le regioni, ma una imposizione. La legge della ministra Lanzillotta, paradossalmente titolare degli Affari regionali, ha suscitato reazioni indignate nelle regioni a statuto speciale (salvo quella sarda, sempre più prona allo stato centrale) ma anche in altre. La canea di alcuni media (sempre più antiautonomisti) la butta sul versante della volontà di conservare privilegi di casta. Può essere, ma la riduzione dei posti nei Cda può essere e deve essere fatta dalle regioni, visto che ci sono e che non possono avere il ruolo di passacarte.

Il secondo episodio è ancora più grave. Riguarda l'incontro Italia-Algeria sul metanodotto che attraverserà la Sardegna. Si svolgerà in terra sarda senza che la Sardegna vi abbia alcun ruolo se non quello di terreno di incontro fra governi. Eppure, il già vecchio e inadeguato Statuto dice che la Regione è rappresentata nella elaborazione dei progetti dei trattati di commercio che il governo intenda stipulare con stati esteri in quanto riguardino scambi di specifico interesse della Sardegna. La scelta della Sardegna come indifferente spazio del territorio statale non è senza significato: può essere una risposta muscolare al dibattito che nell'Isola si incentra sulla scrittura di un nuovo Statuto speciale.

lunedì 12 novembre 2007

Per il governo la Sardegna non è sovrana

La Corte costituzionale ha bocciato il 7 novembre la legge regionale che istituisce la “Consulta per lo Statuto di autonomia e sovranità del popolo sardo” proprio per la parte in cui si parla di sovranità. Lo ha fatto, dietro ricorso del governo Prodi, fra l’altro sulla base di due considerazioni: autonomia e sovranità sono “concezioni tra loro radicalmente differenziate”, questa parte della legge regionale prefigura un ordinamento di tipo federale incompatibile con l’attuale regionalismo.
Si tratta di una sentenza molto grave, di cui neppure la più accesa opposizione al governo di Renato Soru (artefice della legge) può minimamente gioire. Ma è una sentenza di cui hanno piena responsabilità gli attuali governanti italiani e sardi, apparentemente in contrasto e in realtà complici di questo brutto pasticcio. Brevemente:
1. Il governo Prodi, nel fare ricorso, ha messo in piazza tutto il vecchio ciarpame nazionalista e giacobino per cui parlare di valorizzazione degli “elementi etnici, culturali, ambientali” equivale a “definire situazioni soggettive privilegiate per una categoria di soggetti dell’ordinamento nazionale”. Il principio di uguaglianza è, insomma, utilizzato per negare le diversità. Di più, secondo il governo, equivale “a rivendicare poteri dell’ente Regione a livello di indipendenza e comunque svincolo da condizionamenti ordinamentali nell’ambito della Repubblica risultante dall’attuale Carta costituzionale”.
2. Il governo Soru, nel resistere a questo cumulo di baggianate, tenta di minimizzare il concetto di sovranità dicendo che si tratta di un’espressione enfatica ed evocativa. Non ricorda che nel febbraio del 1998 il Consiglio regionale, quasi all’unanimità, approvò la dichiarazione solenne di sovranità della Sardegna. Non si appella ai trattati dell’Onu, sottoscritti nel 1978 dall’Italia, in cui si sancisce che “tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale”. Ha insomma fatto una resistenza pro forma, decisa in realtà a non guastare i rapporti tra i due governi “amici”, sardo e italiano.
3. A inserire la parola “sovranità” nella legge sulla Consulta è stata quella stessa maggioranza di centro sinistra che in Sardegna, con una delle non rare pulsioni all’autocastrazione di cui i politici sardi sono maestri, che si è scatenata per bocciare la riforma costituzionale del precedente governo. Una riforma che, introducendo sia pur timidi accenni di federalismo, avrebbe reso almeno problematica la pronunzia della Corte costituzionale. Da segnalare la perfidia con cui il governo Prodi ricorda, nel suo ricorso, che la legge sarda è da considerare illegittima anche per effetto della bocciatura della riforma costituzionale di cui sopra.