mercoledì 30 novembre 2011

Cui prodest Pepe Corongiu?

di Roberto Bolognesi (*)

Il Dott. Giuseppe Corongiu serve principalmente a Pepe Corongiu, poi a sua moglie e suo figlio (allevato in sardo e in italiano) e poi serve anche a noi. Ma a noi a cosa demonio ci serve?
A una cosa sola e semplice: a fare in modo che i pochi soldi destinati al sardo nel bilancio dell’Assessorato alla P.I. , Sport e Cultura della R.A.S. vengano effettivamente spesi per il sardo.
Cosa succedeva prima che Pepe Corongiu diventasse il direttore dell’Ufficio per la lingua sarda?
Succedeva per esempio che l’università di Sassari si cuccasse più di 3 milioni e mezzo di euro in 3 anni per organizzare corsi di “Storia delle religioni in Sardegna”, “Storia della filosofia morale in Sardegna”, “Lingua catalana”, “Ecologia vegetale della Sardegna”, “Ecologia e zootecnica della Sardegna”, “Flora medicinale regionale”.
Tutte queste amenità sassaresi–rigorosamente in italiano–venivano allegramente finanziate con i fondi della legge 26/97 sotto la voce “Cultura sarda”.
Una truffa bella e buona e mi chiedo cosa debba fare ancora per farmi denunciare da questi “galantuomini”!
Succedeva che l’Università di Cagliari–molto più onestamente, e vero, ma il risultato non cambia–lasciasse inutilizzati–bloccati, sequestrati–la metà dei fondi a disposizione, i quali, quindi, non  potevano essere usati per altri scopi. Rileggetevi l’articolo qui sotto:
Succedeva che la R.A.S. delegasse la sua politica linguistica a istituzioni “al di sopra di ogni sospetto”.
Succedeva che i fondi destinati alla lingua e cultura della Sardegna venissero sperperati per finanziare proposte di imbalsamazione della cultura sarda vista sempre come un retaggio del passato.
Oggi non è più così: vi siete resi conto che gli articoli sul sardo, sulla stampa, non vengono più accompagnati dall’immancabile foto di un asinello, di una tziedda e del pane della feste dei bei tempi andati?
La lingua e la cultura sarda come folklorismo appartengono ormai a quella parte del nostro passato che è meglio dimenticare.
Con Corongiu, che svolgeva il suo lavoro di verifica, la R.A.S. ha cominciato ad acquisire il controllo sulla propria politica linguistica.
Sono finiti i giochi facili dei media e delle varie accademie, tutti interessati a spacciarci il messaggio del sardo come retaggio di un tempo andato.
Ecco perché il Dott. Corongiu da fastidio.
Non l’ha fatto da solo, ma ha comunque costretto diverse istituzioni a rendere conto ai Sardi della loro politica linguistica.
Come? Rifiutandosi di approvare lo sperpero dei pochi soldi a disposizione, tramite finanziamenti illeciti a iniziative non mirate alla rivitalizzazione del sardo.
Insomma, facendo applicare le leggi e i regolamenti della R.A.S.
Ecco perché l’obiettivo di varie istituzioni e individui, oggi, è quello di far fuori–estromettendolo dalla sua funzione–il Dott. Giuseppe Corongiu.
L’obiettivo è quello di tornare ai bei tempi in cui la non-politica linguistica della Regione Sardegna era dettata da soggetti estranei ai processi democratici e che non devono mai rendere conto ai Sardi del loro operato, visto che la loro legittimazione viene da oltre Tirreno.
Prendersi indebitamente i pochi soldi destinati alla nostra lingua: ecco il loro obiettivo.

(*) Dal blog Bolognesu

lunedì 28 novembre 2011

Il ritorno di Venere

di Tonino Bussu

Mancava ormai da parecchi mesi perché in congiunzione col Sole ultimamente, mentre questi giorni è riapparsa in tutto il suo splendore sul nostro Cielo la sera.
E gli appassionati di stelle e astri celesti hanno accolto con grande entusiasmo il ritorno del pianeta Venere che ogni sera ora ci accompagnerà, appena tramontato il Sole, per un lasso di tempo sempre più lungo.
E così se appena cala la notte guardando verso Ovest osservate un solitario splendido astro è Venere che si presenta in tutto la sua luminosità apparendo nel cielo per prima, mentre le stelle pian piano, a mano a mano che l’oscurità diventa più intensa, punteggeranno la volta celeste
Quindi Venere è il primo astro che sorge la sera, sempre a Ovest, mentre quando in seguito sorgerà la mattina, qualche ora prima del Sole, sempre a Est, sarà l’ultima a scomparire, a tramontare, ad annegare sopraffatta dalla luminosità del Sole.
Dunque una regola per ammirare questo bel pianeta è che, quando si presenta la sera, è sempre a Ovest, e segue , è dietro il Sole, mentre quando appare la mattina è sempre a Est e precede il Sole.
Da questi movimenti deriva il detto che Venere è il primo astro che sorge(la sera) e l’ultimo che tramonta(la mattina).
Presentandosi così relativamente vicino al Sole in certi periodi all’alba e in altri al crepuscolo gli antichi credettero per secoli che si trattasse di due astri distinti: Lucifero quello del mattino e Vespero quello del crepuscolo.
Mentre in seguito si resero conto che era lo stesso pianeta.
La sua luminosità è veramente incantevole tanto è vero che è 12 volte più brillante di Sirio, la stella più luminosa del cielo che i sardi chiamano isteddu de obresci o arbeschida, la stella dell’alba, ricordando il momento in cui sorge nei mesi estivi.
Per la sua luminosità gli antichi dedicarono questo pianeta alla dea della bellezza e dell’amore, mentre Dante lo chiama ‘lo bel pianeta’, nel Primo Canto del Purgatorio, e così lo descrive :
Lo bel pianeta che ad amar conforta/ facea tutto rider l’oriente/ velando i pesci ch’eran di sua scorta’.
Rispetto agli altri pianeti la sua rotazione è retrograda per cui, se ci trovassimo su Venere, vedremmo sorgere il Sole ad Ovest e tramontare ad Est, al contrario che sulla Terra
Venere non possiede né satelliti né anelli e si muove intorno al Sole lungo un'orbita quasi circolare, alla distanza di 108 milioni di chilometri; una rivoluzione completa dura 225 giorni terrestri.
Su Venere si raggiunge una temperatura di 475° C, tanto alta dunque da poter fondere un metallo, per cui è del tutto inospitale e impossibile viverci.
Una particolarità poco conosciuta di Venere sono le fasi, simili a quelle della Luna, che Galileo scoprì nell’autunno del 1609 quando da Padova per la prima volta ha puntato su questo pianeta il suo famoso cannocchiale.
Abbiamo quindi Venere piena, metà, un quarto e nuova e queste fasi rafforzarono la convinzione di Galileo della bontà e veridicità del sistema copernicano rispetto a quello tolemaico.
I sardi chiamano Venere ‘s’istella’ o ‘s’isteddu de sos anzonarzos’ forse perché paragonano ad esso gli agnelli migliori, i più adatti per la macellazione e per il mercato.
Tanto è vero che il verbo ‘istellare’ in lingua sarda significa proprio scegliere gli agnelli migliori e ucciderli per fini commerciali.

sabato 26 novembre 2011

Un giudice a Berlino e un sottosegretario a Roma

Certo, dà una certa emozione conoscere, attraverso la traduzione fatta da Gigi Sanna, il significato dei segni impressi sul coccio di sa Serra de sa Fruca. Ma non quanta ne provo prendendo atto che quella fotografia, arrivata fortunosamente una mattina dello scorso gennaio, è l'immagine di un oggetto reale. Una cosa che, fosse stato per la Soprintendenza, mai sarebbe comparsa non dico in “carne e ossa” (il frammento si è volatilizzato), ma almeno sotto specie di una “fotocopia di una fotografia in bianco e nero”.
Così scrisse, senza vergognarsi, il sovrintendente dottor Marco Minoja al ministro dei beni culturali, Sandro Bondi, e così riferì il suo sottosegretario, anch'esso senza vergognarsi e però assicurando (si era intorno al 20 gennaio di quest'anno) che “sono in corso ricerche in proposito”. Bondi fu costretto, purtroppo non per questa vicenda, alle dimissioni e il sottosegretario Giro ha lasciato insieme al governo di centrodestra. Ora che a governare (inutilmente, ma questo è un altro discorso) la Repubblica, c'è un governo di tecnici sarebbe lecito aspettarci che il politologo Lorenzo Ornaghi, nuovo ministro dei beni culturali vada a vedere a che punto sono le ricerche in corso.
Con gli spread alle stelle, le borse alle stalle, l'Italia a rischio di fallimento, si può anche supporre che Ornaghi sia indotto a non spendere. Ma a noi basterebbe una azione a costo zero: una succinta comunicazione circa due aspetti della penosa vicenda. Il primo riguarda l'esistenza in vita del frammento scomparso; il secondo riguarda il rapporto fra il dottor Minoja e il professor Pettinato, l'assirologo che per primo ha supposto che alcuni elementi impressi di forma triangolare sul frammento scomparso fossero segni di scrittura cuneiforme.
Senza gran senso del pudore, il sovrintendente scrisse al ministro di non aver potuto sentire il professor Pettinato. L'assirologo è oggi purtroppo scomparso, ma è lecito supporre che fra il mese di gennaio, quando Minoja scriveva al Ministero, e il mese di maggio, quando Pettinato è morto, il soprintendente abbia trovato il tempo di appurare se, secondo il grande epigrafista, il frammento di sa Serra de sa Fruca era scritto in cuneiforme. Temo persino di confessare quanto dubito; e che, cioè, il dottor Marco Minoja se ne sia abbondantemente fregato. Ma credo che, se così fosse, abbia fatto male. Perché, come il mugnaio di Postdam alla fine trovò un giudice a Berlino, così non dispero di trovare un ministro o un sottosegretario che chieda conto a un soprintendente in Sardegna del suo operato.

venerdì 25 novembre 2011

Yhwh e la scrittura nuragica: il log e il recipiente biblico del rito dei Leviti per la purificazione

di Gigi Sanna
Dedicato ad Antonio Pinna 

1. Il pronunciamento del prof. Pettinato sul 'cuneiforme' presente nell'oggetto. - Era noto ed è noto che sul detto documento, rinvenuto in località Serra 'e sa Fruca di Mogoro,  ci fu subito un notevole interesse nonché un chiaro pronunciamento da parte del prof. Pettinato in quanto lo studioso orientalista ravvisò subito in esso la presenza di cunei di tipologia ugaritica (1).
Il frammento di Mogoro
Sull'interesse e sul pronunciamento 'tecnico' però, in tanti anni, nonostante nostre diverse sollecitazioni (2), non fu spesa  mai una sola parola 'ufficiale',  né da parte di  archeologi né da parte di funzionari della Sovrintendenza sarda; così come, da quanto ora bene si sa (3), non fu prestata la dovuta attenzione da parte del dott. Antonello Costa, l'archeologo che rinvenne il coccio, affinché  ne fosse data tempestiva comunicazione ed affinché esso  venisse, come di dovere, non solo catalogato ma anche ben custodito in qualche Museo. Mancata segnalazione,  custodia e visibilità che appaiono  tanto più strani in quanto il dott. Costa è stato, per tanto tempo, il curatore del Museo di Senorbì,  luogo dove sono esposti numerosi reperti provenienti dagli scavi nell'agro mogorese (Serra 'e sa Fruca).
Dopo un silenzio durato oltre trenta anni su di un caso clamoroso di autorevole pronunciamento epigrafico, di cui erano a conoscenza non pochi studiosi e archeologi, in seguito alla pressioni della nota petizione popolare in Parlamento a firma dei Senatori Massidda e Sbarbato,  la Sovrintendenza si decise, in quanto costretta e messa, per così dire, alle corde, a dare finalmente spiegazioni sul reperto al Ministro e, indirettamente (ma con evidente speranza, anzi quasi la certezza,  che la relazione rimanesse segreta e solo circoscritta in certi ambiti) al pubblico.

Sighi a lèghere

giovedì 24 novembre 2011

Coesione territoriale per forza

Sono impaziente di leggere la raccolta di scritti di Giorgio Napolitano che uscirà presto col titolo “Una e indivisibile”. Non perché pensi di trovarci delle novità rispetto a quanto già abbia letto in merito al suo pensiero nazionalista granditaliano. Ma credo interessante seguirlo nella sua evoluzione sempre più radicalmente giacobina mano a mano che gli sviluppi della politica italiana danno conto della fragilità della cosiddetta coesione territoriale. O sentimento nazionale, se si preferisce.
Ha tanta urgenza nel negare tale fragilità (evidente al di là della teoria e della prassi leghiste) che ha sentito il bisogno di indurre Mario Monti a creare un ministero – sia pure senza portafogli – per “la coesione territoriale”. È pur vero che anche nel precedente governo esisteva un simile ministero, retto da Raffaele Fitto, ma il titolo principale del ministero era “Rapporti con le Regioni”. Quello di Fabrizio Barca è invece solo per “la coesione territoriale”, come dire ministero alla coda di paglia.
Giorgio Napolitano fa naturalmente il suo mestiere di garante dell'unità italiana e sarebbe da stolti criticarlo perché lo fa e perché ci si applica con una passione straordinaria, tanto estrema da tradire, a volte, la logica e la conoscenza della storia che nel capo dello Stato non è poca.
Il fatto è che egli ha consapevolezza che il cemento della cosiddetta unità nazionale è meno solido di quanto il giacobinismo italiano contrabbandi, sfottendo, per esempio, i neoborbonici da una parte e i leghisti dall'altra o il fiorire di piccoli partiti e movimenti meridionali. Succede in Italia quel che sta capitando altrove nell'Europa degli stati-nazione, particolarmente in Belgio e in Spagna. In Belgio, senza governo da oltre 520 giorni, l'ultimo “esploratore”, incaricato di mettere d'accordo fiamminghi e valloni, ha mollato. Elio Di Rupo, figlio di un minatore abruzzese, aveva stretto un accordo per un governo inter*nazionale con frange minoritarie di valloni, fiamminghi e rappresentanti di Bruxelles. Ma l'accordo non ha retto e la separazione delle tre entità appiccicate fra loro per formare lo Stato belga pare sempre più vicina.
Così come più vicina appare la dissoluzione della monarchia spagnola: due nazioni, Paese Basco e Catalogna, si mostrano sempre più insofferenti dei legami dettati dallo Stato nazione. Indipendentisti e sovranisti baschi, Amaiur e Pnb, avrebbero la maggioranza assoluta nel Parlamento nazionale, se per esso si fosse votato domenica. Ed anche per questo che si sta sviluppando in Euskadi una forte richiesta di elezioni autonomiche anticipate. Insieme alla maggioranza assoluta ci sarebbe la certezza di vincere il referendum di autodeterminazione voluto dai due partiti. Anche in Catalogna c'è stato un cambiamento a favore dei sovranisti che hanno sopravvanzato, ed è la prima volta, sia i socialisti sia i popolari, i partiti costituzionali, come essi si definiscono.
Il fatto è che né fiamminghi, né valloni, né catalani, né baschi sentono come tragedia incombente la loro separazione da stati che non sentono loro; né più né meno di come, credo, non la considererebbero centinaia di migliaia di sardi. E i padani che, malgrado gli anatema, esistono dal momento che vogliono esistere.

lunedì 21 novembre 2011

Avanzata dei nazionalisti in Spagna

La crisi economica ha consegnato la Spagna a Mariano Rajoy, leader del Partito popolare e ha affibbiato ai socialisti di Zapatero la più sonora sconfitta dalla fine del franchismo ad oggi. Il Pp è passato dai 154 seggi del 2008 ai 186 di oggi, maggioranza assoluta; il Psoe dai 169 di tre anni fa ai 110 di oggi. 
Il tutto è frutto, secondo gli analisti spagnoli, a due fattori: l'incapacità del Psoe di metter fronte a quella fetta della crisi economica mondiale che ha riguardato la Spagna e la rivolta degli Indignados che, tuttavia, non avrebbero scelto la destra piuttosto che la sinistra, ma invitato a votare per partiti diversi dal Pp e dal Psoe.
Il voto spagnolo non è, comunque, importante solo per questo risultato riguardante tutto lo Stato (che ha confermato la tendenza all'alternanza, sia pure in misura oggi estrema), quanto per la avanzata dei partiti nazionalisti e sovranisti nelle due altre nazioni che compongono la monarchia spagnola: quella basca e quella catalana. In Euskadi, il nuovo partito nazionalista di sinistra, Amaiur e il Partito nazionalista basco hanno ottenuto 11 dei 18 seggi assegnati al Paese Basco (6 ad Amaiur, 5 al PNB), lasciando ai cosiddetti partiti costituzionali gli altri 7 seggi: 4 al Psoe e 3 al Pp.
Per la prima volta, anche in Catalugna i nazionalisti hanno battuto gli altri partiti. Pur non ottenendo la maggioranza assoluta, Convergenza e Unione ha ottenuto 16 dei 47 seggi assegnati a questa nazione, sei più della passata legislatura, mentre Erc, la sinistra repubblicana catalana ne ha ottenuto 3, quanti ne ebbe nel 2008.

domenica 20 novembre 2011

Una pintadera del medioevo inglese

di Stella del Mattino e della Sera
Caro collega
nel mentre che io saluto il tuo ritorno nella rete mi arriva un’ Ansa da ansia. Un token (gettone) inglese, scoperto il 26 settembre 2006 e datato al 1400-1700 d.C. Vista l’ incredibile somiglianza con le pintaderas nostrane, è plausibile che venisse usato per decorare il pane o i biscotti da tè. Quelli un po’ sabbiosi.  Inutile dire al signor Sanna come questo ritrovamento rafforzi al di là di ogni ragionevole dubbio la tesi medievalista sulle tavolette di Tzricotu. Dopo questo ennesimo scoop occorrerà altresì rivedere la letteratura sulle pintaderas sarde. Come si sa esse sono datate alla prima età del Ferro. Tutto da rifare?

sabato 19 novembre 2011

Noas malas pro sa limba sarda

Noas malas pro sa limba sarda sas chi essint – pro como a s'ascusa – dae s'Assessoradu regionale de sa Cultura. Las conto gasi, comente mi las ant tumbadas, cun s'isperu chi s'assessore Milia o àtere pro isse las deneghent. Tantu pro comintzare cun sas noas malas, a su che resurtat, Sergio Milia, tataresu de sa Udc, est a puntu de mudare su responsàbile de s'Ufìtziu de sa limba sarda, ponende unu cumpanzu suo de partidu, Renato Serra, in cambiu de Peppe Coròngiu chi dae annos reghet – e a primore – s'ufìtziu e totu.
Ponende a un'ala custu issèberu (Serra podet tènnere panes in bèrtula in contu de polìtica linguìstica  gasi bundantziosos chi mancu imaginamus), su chi pesat pistighìngiu est un'àteru issèberu chi paret presu a custa lìnia noa de sa Regione: su de consentire a s'Universidade de Tàtari de no atuare su Pranu triennale in sa disposta sua chi imperat a sas universidades de imparare sa limba sarda in sardu. A su chi mi resurtat, s'assessore Milia diat chèrrere cunsentire a s'ateneu tataresu de violare sa lege imparende su sardu in limba italiana, ponende mente a unu grustu de professores chi tenent in Giovanni Lupinu su mastru insoro.
In prus b'at, semper e cando siant beras custas boghes, chi s'assessoradu de sa Cultura at a parare a còitu unu balantzu istrìgile meda, ponende pagos soddos pro sa limba sarda, meda prus pagos de sa misèria finas a oe posta.
Torro a nàrrere chi ispero galu chi m'apant contadu paza e chi, a s'imbesse, Milia chèrgiat mantènnere sa paràula chi at dadu ocannu coladu in Fonne.  

venerdì 18 novembre 2011

Un altro bel bagno di centralismo

Riprendo, con qualche imprudenza, a dire qualcosa sul nostro blog. Nei sei mesi e più di congedo (certo ne avrei fatto a meno) ho seguito articoli e commenti, spesso con una gran voglia di intervenire, prontamente e amorevolmente repressa. Non mi permetterò, va da sé, di interloquire con gli articoli pubblicati né con i commenti suscitati. Voglio solo ringraziare Atropa che per tutto questo lungo periodo ha gestito il blog con attenzione e ammirevole maestria. (zfp)
Quando scrivevo l'ultimo mio intervento in questo spazio libero, stava per scoppiare la guerra in Libia. Dei protagonisti di allora, il marito di Carla Bruni con i suoi jet che bombardavano le truppe di Gheddafi, la signora Angela Merkel che faceva la riottosa, l'inglese Cameron anch'egli impaziente di scaricare bombe nel deserto, solo uno non è più al comando. È stato defenestrato, a quel che si dice, dai mercati che, invece, pare assodato se ne fregassero allora che comandava così come se ne fregano ora che non comanda più.
Certo non mi lamento della uscita di scena di Berlusconi come non mi sono, per la verità, lamentato della sua permanenza in scena. So di scandalizzare non pochi amici dell'una e dell'altra tifoseria, ma così è: viste le cose qui dalla colonia, non fa differenza che un primo ministro dello Stato italiano si chiami Silvio o Giuliano, Bettino o Massimo, Carlo Azeglio o Romano. Né la farà, la differenza, fino a quando il rapporto fra la Sardegna e l'Italia sarà quel che è stato ai tempi di Giuliano, Bettino, Massimo, Carlo Azeglio, Romano e, naturalmente, Silvio.
Nessuno di questi signori è stato malvagio nei confronti della Sardegna, ci mancherebbe. Tutti, nessuno escluso, sono stati fedeli interpreti di una primordiale concezione di Stato-Nazione: una lingua, un popolo, uno Stato. E per tutti è stato del tutto naturale mettere al primo posto gli interessi “nazionali” dell'Italia, contrabbandati come interessi generali, interessi, vale a dire, comuni con la stessa intensità a tutte le nazioni che formano la Repubblica italiana. Una balla.
È quasi certo che da stasera la Repubblica avrà un nuovo governo, più che nuovo inedito in regime di democrazia. Forse hanno ragione i più dei commentatori e dei politici, dicendo che in Mario Monti e nel suo governo sta la residua possibilità di salvezza dell'economia italiana (e dunque dell'Italia). Non sono indifferente a tutto ciò, va da sé, visto che a questa economia è legata la sopravvivenza mia, della mia famiglia e di centinaia di migliaia di altri sardi. Ma non ne gioisco. La Sardegna, le sue classi dirigenti e tutti noi, abbiamo gettato via altri due anni e mezzo, rifiutandoci di metter mano alla riforma della nostra carta costituzionale.
Ci ritroviamo così in balia al centralismo che, assicura Monti, sarà rafforzato. Addio federalismo, anche in quel simulacro apparecchiato dal governo passato che, comunque, meglio di niente fu. Nel silenzio inquietante che, sotto questo aspetto, sta coprendo le società italiana e sarda, c'è meno male la voce della Lega che mette sul tavolo della politica non solo un po' di opposizione al governo del 90%, ma soprattutto gli interessi della Padania. Quella realtà che imprudentemente è stato detto non esiste: quasi che i sentimenti di identità nazionale abbiano bisogno del riconoscimento altrui per essere fondati. Insieme a questi interessi non dispero di vedere, passata la sbronza unanimista, anche quelli della mia terra. Che non sono, né saranno mai coincidenti con quelli dello Stato italiano.

giovedì 17 novembre 2011

Era pur grande?

di Francu Pilloni

Era pur grande!, diceva la gente mentre faceva legna della quercia caduta, nella lineare quanto conosciuta poesia di Giovanni Pascoli. Ora che Silvio ha messo un ginocchio in terra, cosa si dirà di lui?
Che fosse grande immenso glielo hanno gridato stuoli di legnaioli che hanno prosperato alla sua ombra, mangiando le sue ghiande e grugnendo come cinghiali nella pozza dell’acqua. I suoi frutti per altri, molti altri, erano considerati velenosi e si sono augurati ogni giorno che finisse a pezzi per alimentare il fuoco eterno. Alcuni tra i più cinici non si sonno mai preoccupati perché già sapevano come sarebbe andata a finire. Fra l’altro, avevano notato come anche il suo semplice accesso alla stanza dei bottoni abbia scatenato le peggiori congiunture astrali, con catastrofi mai viste né previste, come la strage delle Torri Gemelle nel 2001 e la bolla speculativa finanziaria del 2008. I suoi noti e numerosi astrologi hanno compilato giorno per giorno bollettini di serene previsioni che egli leggeva mentre quelli si toccavano le parti intime.
A ben ricordare, della quercia caduta si lodava anche la bontà. Ora, un Silvio santo pare improponibile, pur considerando che era incline alle dazioni verso chi gli avrebbe potuto dare fastidio, così come verso quanti gli avrebbero potuto dare piacere. Fra questi la schiera delle capinere, quelle delle ronde del piacere della famosa canzone degli anni Venti, le quali, al contrario della capinera pascoliana che ha perso il nido e si lamenta, hanno trovato facile vitto e alloggio nelle briciole della sua immensa ricchezza sfuggite dalle sue mani bucate. 
Tutto considerato, pare ancora poco per farlo santo, anche se non è detta l’ultima parola, perché un suo andare a Canossa o un’alta testimonianza di fede potrebbe cancellare d’un colpo tutti gli errori del passato. Se ne contano nella storia martiri di questo tipo! Ma allora, era pur grande? L’ardua sentenza, più che ai posteri, mi sembra relegata ai posteriori, ai lati B delle sue tante capinere. Chi meglio di loro?

mercoledì 16 novembre 2011

BOSA non era un “insediamento fenicio"

di Massimo Pittau


Dichiaro di avere un’alta stima come studioso del mio amico e collega dell’Università di Sassari Raimondo Zucca. A mio giudizio egli è una delle “punte” dell’antichistica sarda, dato che è un bravissimo storico, archeologo e filologo. Mi sia sufficiente evidenziare che nessuno in Sardegna conosce come lui le fonti storiche della Sardegna antica, dai più lontani secoli almeno fino a quelli dell’età medioevale. Eppure una critica mi sembra di essere in grado e in diritto di muovergliela: anche lui ha la tendenza ad enfatizzare la presenza dei Fenici nella Sardegna antica.
La lettura di un importante studio del mio collega, da me effettuata in questi giorni in maniera del tutto casuale, mi offre la occasione e la possibilità di togliere ed eliminare dal suo “carniere di caccia fenicio-punica” alcune importanti prede.
Lo studio di R. Zucca è intitolato «Rapporti tra fenici e cartaginesi e i sardi del territorio di Santu Lussurgiu», che compare nell’opera «Santu Lussurgiu. Dalle origini alla “Grande Guerra”» a cura di Giampaolo Mele (Nuoro/Bolotana 2005). Ed ecco che cosa egli ha scritto testualmente:
«Per quanto attiene l’insediamento fenicio di Bosa esso è connesso essenzialmente ad un celebre frammento di iscrizione fenicia (CIS I, 162), incisa su una lastra di ignimbrite locale, rinvenuto nel secolo XIX nell’area di San Pietro-Messerchimbe di Bosa ed attualmente disperso». Ha poi aggiunto che l’ultima lettura dell’iscrizione effettuata da Giovanni Garbini darebbe questo testo: [...]BM’N[...].
In questo brano di R. Zucca io comincio col far osservare subito che l’avverbio “essenzialmente” va corretto con l’altro “esclusivamente” o “solamente”. Infatti nell’intero suo articolo R. Zucca non cita alcun altro reperto fenicio, né epigrafico né archeologico, rinvenuto a Bosa.
Lo studioso poi ha proseguito in questo modo: «La paleografia del testo è confrontabile con quella della stele di Nora, riportata allo scorcio del IX-VIII secolo a. C.». Ma io obietto e contesto: per una iscrizione frammentaria, ormai perduta e della quale pertanto non è possibile effettuare la autopsia e non si possiede un calco e tanto meno una fotografia, non è assolutamente possibile aprire un “discorso di paleografia”. E per questo preciso motivo la datazione prospettata da R. Zucca per l’iscrizione è priva di fondamento. È invece evidente che, per un’ovvia esigenza di più grande probabilità o verosimiglianza, dobbiamo interpretare che quella iscrizione non fosse affatto “fenicia”, ma fosse propriamente “cartaginese”.

martedì 15 novembre 2011

La proposta: Nella nuova Sovranità un Antitrust Sardo contro le posizioni dominanti del mercato

di Adriano Bomboi, www.sanatzione.eu

Energia, Trasporti, Assicurazioni, Telefonia, Credito, Poste e tanto altro. Che l’Italia sia nota sul piano internazionale anche per l’eccessivo costo dei servizi e la bassa qualità degli stessi non è una novità, la Repubblica Italiana è stata una delle ultime in Europa a dotarsi di una legislazione Antitrust (1990).
Si è trattato di un corpus di leggi che consentono al mercato di evitare la formazione di monopoli e/o cartelli tra compagnie suscettibili di alzare i prezzi complicando la vita degli utenti, ragion per cui fu istituita l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Sia chiaro: credere in un libero mercato dotato di una concorrenza capace di azzerare gli abusi sui consumatori rischia di essere un esercizio retorico più teorico che pratico, ciò non toglie che proprio la Sardegna oggi paghi uno dei prezzi più alti in termini di competitività, di qualità della vita e di qualità dei servizi presenti sul mercato isolano.
Per citare alcuni noti esempi, basti pensare alla situazione dei Trasporti marittimi nel corso della stagione estiva appena trascorsa. L’Antitrust italiano si è mosso con inefficienza e colpevole ritardo rispetto ad una evidente concentrazione di interessi relativi alla navigazione (da e per) la Sardegna nelle mani di pochi armatori (come Onorato della Moby Lines). O basti pensare ad uno dei pilastri fondamentali su cui giorno per giorno si costruiscono le fortune di alcuni potentati economici e la dipendenza della nostra terra da terzi interessi che ne condizionano le capacità di sviluppo come nel settore dell’Energia: in particolar modo attraverso il petrolio, presente secondo varie forme per oltre il 70% dell’attuale bolletta energetica Sarda.
L’Autonomia Sarda non solo non ha mai varato la zona franca, già prevista all’art. 12 del suo Statuto speciale (capace di defiscalizzare ad esempio le accise sui carburanti), ma non possiede neppure un proprio organismo autonomo rispetto al resto della Repubblica Italiana per il monitoraggio e l’eventuale sanzione delle posizioni dominanti nel nostro mercato.
La Sardegna è culturalmente imprigionata nella morsa dello statalismo, un tema che andrebbe certamente approfondito in altra sede, ma che all’evidenza ha ottenuto in eredità dalle vecchie classi dirigenti l’idea di risolvere ogni deficienza del mercato attraverso il ricorso all’intervento del Pubblico, aggravando così clientelismi, inefficienze e assistenzialismi che hanno irrobustito le catene della dipendenza Sarda nelle mani del centralismo italiano. Ad esempio, nel settore dei Trasporti, il punto non è creare un carrozzone pubblico chiamato “Flotta Sarda”, il punto è avere regole chiare e sanzioni severe onde stimolare la concorrenza dei servizi a prezzi più vantaggiosi.
Nel settore dell’energia, non è pensabile che l’Assopetroli possa intervenire con dichiarazioni mendaci (e ci auguriamo senza passare ad azioni concrete di disturbo) contro l’avvento del metano in Sardegna, capace di ridurre costi e inquinamento da monopolio petrolifero pari a circa il 30% rispetto all’attuale situazione (Sul Galsi – Unione Sarda, 28-10-11). Senza considerare le varie manovre corporative che fino ad oggi hanno impedito una terza e valida modalità di metanizzazione dell’isola, ad es. attraverso la Gassificazione del Sulcis.
Pronunciare la parola Sovranità non è più sufficiente in assenza di riforme istituzionali, noi riteniamo che la prossima riscrittura dello Statuto Sardo, e/o la battaglia per una Costituente democratica popolare per la conquista dei pieni diritti civili dei Sardi, debba necessariamente passare anche per l’adozione di una legislazione mirata a destrutturare quella serie di servizi (pubblici e privati) che oggi non solo non vanno incontro ai nostri consumatori, ma si rivelano sempre più ostili agli interessi individuali e collettivi del territorio.
Non si tratta più di “destra” o “sinistra”, né di socialismo o liberismo, si tratta di uscire dalla dipendenza attraverso la “terza via” della Sovranità Sarda.


venerdì 11 novembre 2011

Cokeddu de Orotteddi e su maccu de sa rete

di Mikkelj Tzoroddu

Cando fippo minore, in bidda b’aiat unu ziu ki tottu lu ridiana in fattu. Li narain Cokeddu e kel’idiamus cada die andande a sa travessa a secus de ziu Emiliu, pro ke attire sa zente lompida kin sa littorina, dae Nuoro o dae Maccumere. Ziu Emiliu aiat unu carru tiradu dae unu mulu, e cando fit boidu, a sos pizzinnos ke los picaiat a bidda. Comente cussa orta ki nokke at picadu, a mie e a Peppinu fradile meu, dae sa travessa finzas a Mussinzua, ca sinono non isco comente aiamus fattu a ke recordere kin cussu saccu (su meu) prus artu ’e mene e tottu, prenu de cantos de orticu, ki pesaiat vintiduos kilos. Diffattis, endendelu ‘ndaia alanzadu trekentos francos, e fit una cosa gai manna ki mil’ammento peri como ki non soe prus minore! (ma no est ki como sie creskidu meda)
Ma, faeddande de Cokeddu, isse a sos pizzinnos pariat curiosu abberu, ca fakiat cosas ki nemos bi las fakiat. Isse pariat liberu ke su sole. Andaiat semper iscurtu, faeddande a sa sola e si li eniat gana de pissiare, zertu non di kircaiat unu cuzone. Comente cussa orta ki at pissiadu a supra de sos carbineris, peroe kena dinde faker abbizare, a su puntu ki issos, moendedi, di sun postos a narrer ki fit pispisande. Sos mannos lu picaian in ziru, peroe kena lu iscreziare, ca bi fit un’ispezie ‘e arrespettu; isse e tottu, azudaiat sas feminas e sos pizzinnos, cando fit cosa ‘e fakere. A sa fin’e su contu, podimus narrer ki fit un’omine maccu, ma sapiu puru, comente sun poi tottus sos omines de su mundu.
Fattu mannu, appo idu ki medas biddas aiant su maccu issoro, e fit una cosa de cada die caminare e kistionare kin sos maccos. Ca peri su maccu nos podiat imparare carki cosa. Unu nikele mannu, de su maccu de una orta, fit ki in conca sua non b’aiat locu pro iscreziare a nemos.
Imbezzes, como ki soe mannu meda, appo cumpresu ki sos maccos sunt in tottue. Cada zittade at sos maccos suos. Cada locu, siet de traballu, siet de iscola, siet de ue si siat, at su maccu suo. Peri cussos locos de oe, ki ke sunu i’ s’aria fraicados i’ sa rete, ana sos maccos issoros. Anzis, sunt maccos a forte abberu. Comente cussu oiadu s’attera die, siscureddu, ki narait paraulas malas, kena aere peruna irgonza, ispezie iskinde nudda de su kistionu ki attere fit fakende. Ispezie iskinde nudda de sa Sardinna. Ca no bastat de copiare su ki iscriet attere, pro istampare libros dekkidos! E itte kerides, tempos malos sunt.
Itte bellu su tempus de Cokeddu!

mercoledì 9 novembre 2011

Scrittura nuragica: ecco il sistema. Forse unico nella storia della scrittura.

di Gigi Sanna


Dedicato a Gianni Atzori, 'su maistru'.
 
1. La comunicazione all'Università di Sassari. 
  Sabato 29 Ottobre nell'Aula Magna della Facoltà di Medicina, durante i lavori del Convegno interdisciplinare (1), organizzato dalla stessa facoltà, ho comunicato agli studiosi presenti, ai relatori, agli studenti e al pubblico che il codice nuragico della scrittura dell'età del Bronzo medio, finale e I Ferro (XVI - VIII /VII  secolo a.C.) non è più un mistero per la scienza epigrafica e linguistica. 
    Infatti, grazie alla continua scoperta di documenti (in pietra, in ceramica, in metallo) 'scritti' che, come si può vedere dalla mostra 'didattica' permanente  di Macomer (2), hanno raggiunto e superato in 15 anni (3) il numero di 90,  oggi siamo in grado di conoscere quali norme di organizzazione del testo e quali requisiti adoperarono, per più di settecento anni, gli scribi sardi (sacerdoti) perché  questo potesse essere riconosciuto come 'loro', isolano, ovvero quello dei 'domini judikes' (šardan) del tempo. E, aggiungiamo, non pochi ma numerosi requisiti, sempre o quasi sempre presenti, che rendono inconfondibile 'quella' 'scrittura ovunque venga ritrovata, a Sud e a Nord della Sardegna così come a Ovest e ad Est (v. cartina fig. 1), una scrittura o  codice 'alfabetico'  irradiato, con ogni probabilità,  dalla scuola scribale (4) della città mercantile di Tharros.


La città di Tharros (Tarshosh/Tarshish)
probabile luogo della scuola scribale sarda
e di irradiazione della scrittura nuragica
Figura 1


martedì 8 novembre 2011

I Nuraghi al Festival della Scienza

Nell’ambito della manifestazione Festival Scienza 2011, 11.11.11, h 18:30, si svolgerà la tavola rotonda: I Nuraghi tra cielo e terra, con Paolo Littarru, Mauro Zedda, Clive Ruggles e Franco Laner. 

martedì 1 novembre 2011

Considerazioni (a poi de sas feminas de Maccumere)

di Mikkelj Tzoroddu, in onore di Juanne Franziscu Pintore

In due occasioni, nel passato, avemmo modo di vedere dal vivo, questo che di Tamuli è un messaggio portentoso e scritto, certo, inviatoci dai nostri irraggiungibili antenati di moltissimi millenni addietro. Tante volte avevamo visto documenti che riproducono quei betili. Mai, però, aveano essi suscitato tanta emozione e così grande amorevole costrizione a leggere quell’architettura scrittoria gettata nelle braccia del futuro, anzi dell’eternità.
Millenni si è detto. Il calcolo sui millenni, per quanto si può leggere sui miseri resoconti disponibili, si basano su miserrimi tentativi che calcolano l’età de sos Nurakes. Anzi sarebbe più corretto dire “sugli inesistenti resoconti” che raccontano dell’età dei nostri monumenti più belli, più grandi, più numerosi e considerati ancora i più misteriosi, almeno a sentire gli specialisti sia universitari sia soprintendentuali. Ma, l’incommensurabile arte dello scrivere nella natura e con la natura (così come si evince dal contesto di Tamuli), non può essere così recente (3500 anni fa) come dichiarato per l’età de sos Nurakes, cui sono allineati in linea temporale i betili e i Gigantinos. Tale maestria nell’esercitare questo stadio dell’arte scrittoria, sua propria del Sardiano e (pertanto) dell’uomo in senso ampio, deve necessariamente la sua elaborazione e messa a punto ad una fase evolutiva (di tale arte) estremamente più antica, proprio a giudicare dalla inintelligibile modalità che tanto dista da quella consueta adoperata dai Sardiani proprio nel II millennio a.C., cioè nella supposta età nuragica. D’altro canto, dobbiamo dire d’avere in itinere uno studio sull’età de sos Nurakes che data ormai da più di un lustro. Ci occorreva naturalmente la collaborazione di uno specialista del settore (non appartenente ai due gruppi succitati) il quale, peraltro individuato, ha poi deciso di toglierci il saluto per dei positivi apprezzamenti da noi espressi verso uno studioso contemporaneo. Studioso e ricercatore che, negli ultimi tre lustri, è andato frantumando le assai labili certezze di Fumose Intelligenze, che nulla sanno della antica ed antichissima arte scrittoria degli antichi ed antichissimi Abitatori della Sardegna,  per la triste ragione che per attivare dei nuovi collegamenti, v’è necessità di frizzanti neuroni, nella cui assenza si protrarrà la loro consueta misertà d’idee. Ma, la parte che a noi perteneva di quella ricerca, pur nella sua scheletrica enucleazione, era pronta di già, da tempo.