martedì 30 giugno 2009

El-Ahwat: mura nuragiche in terra israeliana

La questione di un probabile insediamento shardana nei pressi dell'attuale Haifa, in Israele, non è nuova. Anzi risale al alla fine del secolo scorso, quando se ne cominciò lo scavo sotto la direzione dell'archeologo israeliano Adam Zertal del sardo Giovanni Ugas. Ma continua, ovviamente, a suscitare curiosità in alcuni e sorda incomprensibile rabbia in altri. Nel luogo chiamato el-Ahwat, come è noto, fu trovata una costruzione megalitica che sia Zetal sia Ugas ritennero riconducibile ai costruttori dei nuraghi, gli shardana.
Ai lettori di questo blog che l'hanno esplicitamente richiesto, e più in generale a chi volesse avere un approccio più approfondito segnalo qualche link e una lunga comunicazione fatta dallo scopritore del sito, Zertal, a un workshop a Dublino. Quest'ultima si trova nel mio sito, come pdf.
Sito dell'Università di Haifa,
Focus della stessa Università
e, in più, questi tre link:
http://www.specialtyinterests.net/ramses3.html,
http://www.kolisraelorg.net/neshama/documentos/anti/sobre_el_osario_y_la_inscripcion.htm
http://en.allexperts.com/e/a/ah/ahwat.htm

Nel disegno: la ricostruzione isometrica del sito di el-Awhat

Maderria: l'antica grandezza illirica in Sardegna?

di Alberto Areddu

Io non so se gli albanesi siano un popolo grande, so che vi sono tra loro delle grandi persone, una conferma mi viene dall'intervista che m'hanno fatto i giornalisti dell'Albanianews, il massimo giornale italo-albanese on line, cosa che m' accomuna a un altro grande intervistato, Roberto Saviano (esperto di cose che in Sardegna dicono mancare). Ma parlando di grandezza, mi viene da porre una domanda agli utenti del blog: maderria, vi è mai capitato di sentire in qualche luogo sardo tal parola? Chiedo ciò, perché ben conscio che come possono esistere epigrafi che sono dubbie, così pure esistono parole di cui non essendo acclarata la loro esistenza e provenienza, dobbiamo purtroppo fare a meno (le cosiddette vox nihili), almeno fino a nuovi accertamenti. Se qualcuno dunque l'avesse sentita e con lo stesso significato che vi indico, avremmo una conferma in più a quanto vado sostenendo. Dubbi sulla sua legittimità non sembrerebbe comunque porre al momento la parola in questione (vi rimando ad ogni modo per un'analisi più articolata al mio sito di sardoillirica). Essa è infatti riportata dai due più ricchi vocabolari sardi (entrambi cartacei e on line) il Puddu (del 2000) e il successivo (e ancor più enciclopedico), Rubattu (2004), dove viene indicata come logudorese, a indicare 'alterigia, grandigia, ostentazione, presunzione, sgallettio, vanagloria'. Mario Puddu mi scrive:
Su númene "madérria" deo pesso de l'àere imparadu in Illorai, fintzas si in su Ditzionàriu no bi apo postu mancu una propositzione de esémpiu. Ma ndhe aprofito pro ndhe dimandhare apenas chi bi torro. E fintzas custu narat cantu pagu est istudiadu su sardu! A mie mi est bastadu de lu rezistrare
Ho fatto diversi tentativi per spiegarla in sede storica, ma tutti si riducono al solo latino MATERNIA, che in un'accezione particolare di significato potrebbe esser valso "grandezza", sulla falsariga di MATERNU, da cui deriva il francese materne 'grosso', e l'italiano madornale 'grosso, grossolano'. Resta il fatto che la parola sembrerebbe avere un'accezione alta, mentre queste e altre rimangono confinate all'ambito dei termini con allure rustica. Rimane la chiave del sostrato, e qui ci si rivela subito un'enorme coincidenza, giacché in albanese si dice:
madhërì 'grandezza', madhëria 'la grandezza', ma anche 'magnificenza, maestà, orgoglio, boria', che deriva dall'aggettivo madh 'grande', ad esempio dall'italo-albanese abbiamo: te madhëria e tij 'nella tua maestà'. La -dh- albanese è suono che possiamo avvicinare al nostro -d- di mudu, seda, o al suono di -th- in inglese: mother. Il suffisso -rì viene indicato come indigeno dagli studiosi, a indicare collettivi o astratti toschi (mizërì 'moltitudine', djalërì 'giovinezza'). La parola madh viene riallacciata ad altre indoeuropee (tipo greco mega, indiano mah, latino magnus) e si suppone un albanese antico: *madzi/madza; alcuni suppongono una relazione con l'antico nome di colle illirico Massaron, col nome della tribù dei Mazaioi, col nome Masaurus, col messapico mazzes/maddes. La correlazione con il logudorese di Illorai, pare evidente. Sempre che qualcuno non trovi di meglio...

domenica 28 giugno 2009

Scrittura nuragica: ecco un altro documento

di Gigi Sanna

Caro Gianfranco,
stai tranquillo, io non abbandono il Blog. Per una ben precisa ragione: che altri vorrebbero proprio questo. Scrivono per questo, si dannano l’anima per questo. Mi costa un po’ di tempo (sprecato, devo ammetterlo) e devo rispondere per le rime anche da ‘monello’. Ma il gioco (peraltro divertentissimo, anche se in fondo puerile puerile, di chi le canta e dà più fastidio all’altro) vale la candela. Avevo scritto un po’ di tempo fa:’ we can, ‘in internet’ si può, seguito da certe considerazioni’. Le ribadisco oggi precise precise e se uno vuole può andare a leggersele. In internet, dato il pubblico vastissimo e spesso assai competente (ci sono anche, strano a dirsi, disinteressati membri - alcuni miei carissimi amici - di riviste severissime e specializzate) non si può barare e, tanto meno, illudersi di poter fare ‘la gara di un giorno’.
Per questo motivo ti mando quest’altro documento (vedi la foto), a cui seguirà un altro, un altro ancora e ancora un altro… all’infinito. Vediamo chi è che si arrenderà per primo. Aggiungilo alla tua personale collezione. In attesa di tutti i doverosi chiarimenti, per ora posso solo dirti che si trova in un luogo ben visibile, all’aperto, vigilato ogni tanto da chi lo ha scoperto e lo ha segnalato da un po’ di tempo al sottoscritto. Prima o poi chi legittimamente deve custodirlo lo avrà (anzi più ‘prima’ che poi e puoi capire il perché ). Si tratta di una grossa pietra che reca due profonde linee che corrono parallele per tutta la superficie di essa.

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sabato 27 giugno 2009

Le navicelle nuragiche, immagini cosmiche

di Franco Laner

Prendo spunto dall’immagine che correda lo scritto di Alberto Areddu del 20 giugno per invitare a guardare la navicella con altri occhi ed intenzioni. Ognuno - non è mia la considerazione, ma non so di chi - guarda con gli occhi e vede col filtro della sua cultura e della sua mente. Considero i tanti bronzetti “navali” oggetti votivi e funerari.
Perché? Perché ogni navicella è una immagine cosmica! C’è sempre un axis mundi, il palo (albero) centrale e quattro altri pali, sostegno del cielo. Quattro punti cardinali e l’asse centrale è la più semplice rappresentazione del mondo, o del cosmo, presso moltissime culture, dai mandala orientali, agli etruschi – la tomba di Porsenna ha 4 piramidi con quella centrale - e questa schematizzazione si trova ovunque. E’ il modo per dar ordine, dividendolo in quattro, allo spazio e al tempo, per uscire dal caos.
Lo stesso Leonardo da Vinci disegna un mausoleo, che ha in sé la figura del mondo, sostenuto da 4 pilastri con l’asse centrale. Oppure si pensi a S. Sofia di Instambul, coi 4 minatereti e la cupola centrale. Alle 4 sfere di pietra dell’Isola di Pasqua con l’ompalos centrale, e ancora, ancora… Anche il nuraghe quadrilobato, con la torre centrale è per me raffigurazione del cosmo, così come i modellini di nuraghe, sono immagini cosmiche.
Che la navicella sia funeraria è sottolineato dalle 4 colombe sui quattro punti cardinali. La colombe, fin dall’antichità più remota, si sa che sono in grado di rifare la strada percorsa. Dal viaggio all’aldilà la colomba può riportare nell’aldiqua il defunto, che è accompagnato anche dal cane. Altro animale simbolico, per la sua fedeltà. Anche lui accompagna il defunto e non lo molla nel difficile viaggio agli inferi da cui, da sempre, c’è la speranza di tornare!
L’asse della nave ha un occhiello per essere appeso. In questo caso la carena della nave può essere appuntita, mentre se è appoggiata su di un piano il fondo è piatto. Non vedrei in queste due tipologie se non questa destinazione di utilità del modellino, piuttosto che due tipi di imbarcazioni a fondo piatto o acuto…
Un altro oggetto votivo è il carro a quattro ruote che simboleggia il viaggio ed anche questo oggetto ha nei bronzetti sardi alcuni splendidi esempi. Chiedo scusa della stringata considerazione, che potrei documentare meglio, ma spero si capisca comunque.
La rappresentazione del cosmo di chi ci ha preceduto è indispensabile per avvicinarci alla loro comprensione culturale, spirituale e materica. Perciò alle volte bisogna accontentarsi di ciò che gli oggetti subito suggeriscono, senza aggiungere altre categorie che spesso dipendono solo dalla nostra attuale cultura e sovrastrutture storiche e mentali.
Trovo bellissima la concretizzazione nella navicella del momento escatologico della morte, del destino del defunto, dell’attesa di resurrezione. Ci parla dell’incognito con parole così chiare che aggiungerne altre sarebbe riduttivo.

Nella foto: L'omphalos dell'isola di Pasqua

venerdì 26 giugno 2009

Il complesso del pigmeo e la sindrome da pensione

di Francu Pilloni

Non sono un medico, non mi sarebbe piaciuto farlo perché il sangue mi fa impressione, per questo non parlo come un medico, oltre che per il fatto che non ne ho la scienza. Tuttavia una cosa l’ho imparata nella mia vita e cioè che bisogna diffidare di un individuo di bassa statura. Qualcuno di questi (non tutti per fortuna) forma un complesso di rivincita su tutto e su tutti, non esclude alcun mezzo per arrivare in cima. Credo che il “complesso del pigmeo” sorga quando, ancora bambino, l’individuo passi sotto un albero di ciliegio che non gli ha riservato proprio nulla, essendo transitati i suoi compagni con le braccia che arrivano ben più in alto delle sue potenzialità.
È proprio a questo punto che si accorge di avere un problema. Problema che aumenta col passare del tempo a causa di altri vissuti, nessuno dei quali premia la sua bassa statura; problema che matura allorché chiede di ballare alla stangona per cui sbava, la quale le poggia “naturalmente” le mani sulle spalle, come qualcuno che vuol conficcare qualcosa nel terreno. Ecco, proprio il senso di sentirsi “interrato” produce il senso di frustrazione che si muta in rabbia vera e propria contro i “normali”. E il fatto che l’altezza dei suoi attributi arrivino appena al ginocchio di lei, non lo conforta, lo fa sentire esposto anche come maschio.
Ricordo benissimo la faccia di un amico che, giovanissimo alla fine degli anni ’50, cercò fortuna a Roma dove, nei suoi racconti imposti ai paesani, imperversava il gallismo gratuito, insomma la tecnica di “cuccare” come dicono oggi. Proprio in un pomeriggio domenicale il nostro seguì imperterrito una bella stangona romana che passeggiava in centro, insidiandola a un passo di distanza con le sue parole. Mentre scendevano per la scalinata di Trinità dei Monti, la bella si ferma, si volta, aspetta che il nostro abbia terminato la litania delle sue banalità, lo guarda con disgusto e gli fa: “Aò! Nun vedi che sei un bassotto!”. Infatti, pur stando un gradino più in alto, il nostro era costretto ad alzare la testa per vedere in faccia la bella romana. Ricordo ancora l’amarezza del suo viso quando lo raccontò, né capisco perché e come abbia voluto e sia riuscito a parlare di una così dura esperienza.
Non vado oltre, sono sicuro che ciascuno attinge nel suo vissuto qualcosa che assomiglia, che nella cerchia delle conoscenze abbia qualcuno che risponde ai requisiti.
L’altra questione è la sindrome da pensione, che affligge sia l’operaio che il manager, intesi come categorie, che talvolta subiscono traumaticamente il passaggio dall’attività all’inattività, dalla responsabilità alla libertà, insomma dallo stato di lavoratore in servizio a quello di pensionato. Spesso la tensione viene vissuta così visceralmente che il soggetto va fuori di testa, non di rado arriva al suicidio.
Ora, si provi a pensare ad un manager col complesso del pigmeo che, arrivato in cima alla carriera, abbia da par suo condotto il gregge dei suoi sottoposti come un bravo cane da pastore, uno di quelli che conduce il branco di volta in volta al pascolo o al recinto, ad abbeverarsi o a riposare all’ombra, sostituendosi interamente alle pecore anche nel percepirne i bisogni fisiologici. Si pensi allo stesso modo al nostro manager complessato, uno che all’autorevolezza ha sostituito l’autoritarismo, attorniato da un branco di sottoposti che spesso provano anche ad anticiparne i desideri e le aspettative.
Pensatelo ora in pensione, allorché si è accorto che l’ufficio da lui diretto continua il suo corso anche senza di lui, che i più devoti fra gli ex dipendenti gli hanno tolto il saluto, qualcuno gli fa lo sberleffo, magari ha tolto qualche scheletro dall’armadio. Bene, riuscite a pensarlo questo individuo che ha accumulato grande conoscenza e scarsa scienza, con grossi tarli che gli rodono dentro, con l’idea che le precedenti ossessioni, da tutti condivise in ufficio, siano il suo biglietto da visita, riuscite a immaginarlo nell’attualità, con tanto tempo libero davanti e tanto livore dentro… cosa gli resta da fare, quando neppure gli “amici” si fanno trovare al telefono?
Due cose gli restano: una è il suicidio, improbabile, non è nelle sue corde, meglio così!, sono gli altri, per convinzione profonda, a doverla pagare; l’altra, più probabile, è l’imperversare nei blog.
E non si creda che non costi sacrificio dover restare anonimi!

giovedì 25 giugno 2009

Il friulano boccciato: ma per il sardo c'è ancora speranza

Un lettore di questo blog segnala l'articolo "La Consulta boccia il friulano a scuola, ma per il sardo c’è ancora possibilità" pubblicato su "Sardegna democratica". La Corte costituzionale - scrive fra l'altro la redazione del giornale telematico di Renato Soru - "arriva persino a suggerire alle Regioni come fare per approvare le stesse identiche norme, cioè con i decreti attuativi dello Statuto di autonomia. Questi decreti sono una prerogativa delle Regioni “speciali” e vanno finalmente utilizzati. Oltre che, se necessario, con una riforma dello stesso Statuto.
Su questi temi, che sono trasversali all’intera società sarda, e sui quali sia a destra che a sinistra c’è un legittimo dibattito che investe la natura stessa dello Stato e dello stare insieme dei diversi cittadini italiani mettendo insieme unità e differenze, è possibile un impegno coerente e responsabile di tutte le forze politiche, sociali e culturali".

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Una polìtica linguìstica bi cheret, ajò

de Antonimaria Pala

Non b’at duda chi sos sardos tenzant in contu mannu sa chistione de sa limba sarda. Chi su sardu piaghet a sos sardos est cosa chi si potet bìdere finas sena ricùrrere a indàgines e istùdios cumplicados.
Ma in custos annos bi sunt istados finas cussos e ant postu in craru in manera iscientìfica sa cumpetèntzia de sos faeddantes e su sentidu generale chi disizat ufitzialidade e, foras de su cuzone folclorìsticu, impreu normale de sa limba.
Si est beru chi in campu literàriu e artìsticu s’atividade in limba sarda si mantenet e tocat finas puntas de etzellèntzia finas cun sos primos traballos tènnicos e sagìsticos, in s’iscola, in s’economia e in s’amministratzione b’at de fàghere, si non totu, galu meda.
A interventos brivos de cuntinuidade foras de una polìtica linguìstica orgànica, si afianzat chie òperat in àmbitu de limba, movènde si belle e che sèmpere cun sa precariedade chi brivat s’istratificatzione de sos risultados.
Su movimentu linguìsticu in custos ùrtimos tempos, posca de un’agabu de legisladura chi at dadu sinnos importantes de interessu pro sa tzentralidade de sa limba e su guvernu suo in onni àmbitu, cun rapresentàntzias setoriales, si est movende, pro abèrrere un’arrèsonu de fainas, cun su guvernu regionale nou.
Gasi, sighende cust’àndala, una rapresentàntzia de operadores de su servìtziu linguìsticu in àmbitu amministrativu (sportellos linguìsticos definidos dae su D.P.R. 345 de su 2.05.2001 e dae sa L. 482/99) at arresonadu cun s’assessore a sa cultura Baire evidentziende chi sos finantziamentos istatales de sa lege numenanda, sunt minimende finas a dèpere, serrare a sa sigura, sos ufìtzios comunales.

Ponet in oriolu, sa pèrdida de tantos postos de traballu, mancari cun pagas oras e istipèndios minores, cun totu su malu istare chi pertocat una categoria intrea. Custa benit firmada in s’àndala de una profesionalidade in crèschida, capatze de rapresentare a sa sola sa croba intre s’istitutzione e sos tzitadinos cun su mèdiu de s’ufitzialidade de su sardu. A firmare cust’esperièntzia est una pèrdida ispantosa de una calidade arta de sèrvitziu pro su benidore de sa limba sarda in generale.
S’assessore at garantidu s’impinnu a contivizare cussa chi como est un vertèntzia cun s’istadu e prus in generale a cumintzare un’arrèsonu cun sos operadores de custu servìtziu, cun atòvios frecuentes.
S’ispera est chi in s’immediatu, in cussideru de cussos 135.700 pòveros èuros (bide sa tabella) chi cherent nàrrere sa serrada comente orientamentu istatale, sa Regione ponzat rimèdiu programmende risorsas suas.
Est craru chi est urgente chi totu sa chistione de s’ufitzialidade, s’amparu, sa modernizatzione e sa normalizatzione de su sardu tenet bisonzu de un’interventu forte. Una lege, chi produat una polìtica linguìstica chi ponzat sos tzitadinos in cunditzione de arribare a s’ugualidade prena de sos deretos e de sos doveres linguìsticos. Chi guvernet s’isvilupu de sas relidades territoriales cun sa visibilidade de sinnalètica e toponomàstica, chi garantat iscola in sardu cun dinnidade prena, de oràrios e programmas, e chi promovat s’informatzione cun mèdios de imprenta e radiu televisivos in sardu. Chi cun su sardu si potzat fàghere impresa e onni atividade pùbrica e privada in manera riconnota e azuada.
Sa sotziedade sarda dimandat continuidade de protzessos de amparu e afortimentu pro sa limba, chi como chi – finas cun debilesa – sunt cumintzados, non podent torrare in segus ca sunt ponzende raighinas e tenent implicatziones chi non pertocant prus petzi un’interessu culturale o s’ùrtima mòvida de un’artivesa identitària mori mori, ma su sensu matessi de su èssere sardos in su mundu presente cun dinnidade de natzione.
Si sa polìtica si lìmitat a mentovare su sardu in sos programmas, mutende lu “tzentrale” pro cuntentare sas avanguàrdias de una batalla istòrica o sighire unu brandu sentidu identitàriu – chi fortzis produet finas carchi risurtadeddu eletorale - intames de cumintzare a pessare in sardu sa politica sarda e finas cussa internatzionale, sas amministratziones comunales, provintziales e cussa regionale, ant a sighire a retzire delegatziones pedulianas de interventos linguìsticos de categoria chissai galu, pro cantos annos...
In sa foto: sos isportellistas isetende s'addòviu cun s'assessora de sa Cultura

mercoledì 24 giugno 2009

Lìtera aberta a su Guvernu sardu: sa limba, raju

Isco, che a totu sos sardos, e mescamente sos chi sunt in cherta de pònnere paris gustu e chena, chi b’at apretos mannos de lis pònnere fronte in custos mamentos de crisi. Ma non podet bastare custu a li dare resone a un pessu chi a mie mi paret isballiadu: su de no àere postu dinare pro amparare sa limba sarda. Su guvernu sardu, a mèdiu de su presidente suo, at naradu chi sa limba est in su pensamentu suo. L’at naradu in su programma e l’at torradu a nàrrere in duas ocurrèntzias de importu mannu pro sa Natzione sarda e pro su pòpulu sardu: sos ammentos de sa Die de sa Sardigna e de sos 60 annos de su Parlamentu nostru.
Duas ocurrèntzias chi, gasi la penso, sunt finas prus de bundu de unu programma eletorale, ca cheret nàrrere chi s’impinnu est carre e sàmbebe de unu guvernu, non petzi una improminta pro tènnere botos. Ma su chi paret, in su documento nou de aproare, de custu impinnu non b’at nudda: totu paret rimandadu a tempos mègius, comente semper at fatu sa Regione in contu de limba: si un fundu de sa tamburlana de su bilantzu b’abarrat carchi sisinu, lu damus a sa limba sarda.
Est a nàrrere chi in sa tamburlana de custas dies, dinare non bi nd’at abarradu? Mai aia intesu, mancu cando in su guvernu b’aiat su Partidu sardu, paràulas artas e de importu pro s’identidade nostra, comente las ant naradas su presidente Cappellacci e sa presidente Clàudia Lombardo. Chie podet pensare chi si podat afortiare s’identidade sena sa limba sarda, e paris cun custa su gadduresu, su tataresu, su tabarchinu, s’aligheresu? E tando it’est, s’identidade s’amparat petzi si abarrat carchi sisinu?
Est un’isbàlliu mannu, su de pensare chi sa limba, paris cun sa cultura ma a banda s’una dae s’àtera, non produint richesa. Est un’isbàlliu presu a s’economitzismu chi, nessi in sas paràulas de Cappellaci e de Lombardo, pariat interradu pro semper. Ant dadu 451.000 èuros a fèstival literàrios e àteras manifestatziones literàrias (in prus de sos 80.000 èuros a su Festival de Gavoi), prus de duos milìardos de francos, e beneitos lis siant. Craru, bi girat gente, si bendent libros (e passèntzia si su prus sunt istràngios), sas tratorias si prenant, infines si criat richesa, s’economia girat e sa gente traballat.
E sa limba sarda? Issa puru podet, cherende, fàghere richesa e dare traballu, mancari non podat èssere custu su critèriu pro amparare s’elementu de fundu de s’identidade de unu pòpulu. In Sardigna b’at 198 giòvanas e giòvanos, sos de sos ufìtzios de sa limba e de sos isportellos comunales, chi sunt a unu disisperu. S’Istadu italianu, chi s’aiat leadu s’impinnu de amparare sas limbas de sas minorias istòricas, est dende forfait. Non custu guvernu o s’àteru coladu, s’Istadu. A segurare unu servìtziu de importu pro sas comunidades chi faeddant sardu e mantènnere 198 persones a traballu bi diant chèrrere a su prus duos miliones e mesu de èuros. S’Istadu no at a bogare prus dinare.
S’assessora Lucia Baire, retzinde sos isportellistas, at naradu chi nd’at a faeddare cun su ministru pro sas chistiones regionales. Est cosa bona, ca non diat èssere cosa male fata apretare s’Istadu a mantènnere un’impinnu leadu. Ma, e si su ministru nos torrat curcuriga? Chentunovantoto disocupados, lassados sena traballu ca ant istimadu e istimant sa limba sarda, l’ant istudiada comente si tocat e sunt oe unu patrimòniu mannu pro sa sotziedade sarda. Si custu patrimòniu s’isperdet non nde pagant petzi issos, si no sa Sardigna, dae cabu de susu a cabu de giosso.
Sa limba sarda arriscat de si nche mòrrere die cun die e cada annu sena interbènnere sa Regione est unu corfu mannu dadu a s’isperu chi cras puru b’apat pitzinnos chi faeddant su sardu. S’àtera die colada, sa provìntzia de Udine at bogadu a campu una noa bella: su 64 pro chentu de sas famìlias friulanas ant naradu chi eja a s’imparòngiu de su friulanu in iscola. Est una manera de singiulare chi sos friulanos cherent sarbare sa limba issoro. In Sardigna sunt belle su novanta pro chentu sos sardos chi cherent sas limbas issoro in iscola. Ma bi cheret dinare, presidente Cappellacci e presidente Lombardo.
Su documentu finantziàriu chi cheret gastare 100 miliones de èuros ma non integrat unu sisinu a sa limba sarda, at a bastare luego su Cunsìgiu regionale. B’at tempus, duncas, pro lu cambiare. E chi Sardus pater ispiret sos cherveddos e su coro de sos cunsigeris.

martedì 23 giugno 2009

Ah, i bei tempi di "un popolo, una nazione, una lingua"

Che la democrazia linguistica, l’attuazione dell’articolo 6 della Costituzione italiana (*), i principi di tutela delle lingue delle minoranze siano dati acquisiti è una sicurezza in cui è meglio non cullarsi. Così come non va dato per scontato che il fascismo sia stato sconfitto per sempre, almeno nella sua guerra contro le lingue non italiane parlate nello Stato italiano. Intendiamoci, quello di cui parlo oggi è solo un articolo di giornale, ma il fatto che a scriverlo sia uno dei più autorevoli editorialisti del più diffuso quotidiano, Il Corriere della Sera, mette un qualche brivido.
I faziosi che affondano l’Italia”, di cui parla Ernesto Galli della Loggia sul mensile Style allegato a quel quotidiano, sarebbero quelli che si annidano nella “sinistra, la più propensa di fatto a mandare all’aria l’unità d’Italia”. Che avrà fatto mai, questa sinistra che – quando si dice dei punti di vista – a me pare fin troppo giacobina? Intanto, in Toscana, ha approvato una legge regionale sui diritti degli immigrati clandestini. Ne so troppo poco per discuterne, ma sento un forte tanfo antiautonomista, quando l’editorialista si indigna perché, secondo lui, in questa materia (anche in questa materia) ci vuole “una legge uguale per l’intero territorio dello Stato”. Alla faccia del federalismo che, infatti, “spaventa” il politologo.
Ma dove Galli della Loggia si tuffa in un nostalgico remake dei bei tempi quando si parlava di un popolo, una nazione, una lingua, è là dove se la prende con il “regime di bilinguismo: l’italiano e il dialetto friulano (sempre che sia ancora permesso chiamarlo così)”. Parla, è ovvio, della Legge di politica linguistica approvata dal Friuli Venezia Giulia, allora governato da Riccardo Illy, anche lui di sinistra. Di qui l’idea che dalla Toscana al Friuli la sinistra complotti per affondare l’Italia.
Insegnamento scolastico, dibattiti nelle assemblee politiche locali, atti amministrativi, comunicazione istituzionale e pubblicità, avrebbero dovuto, secondo la legge regionale ora abrogata, svolgersi in parte o in tutto solo in friulano”. Ohibò. Ma pensa tu, quei separatisti e faziosi di friulani. Hanno pensato che fosse legittimo applicare la legge dello Stato 482 che definisce lingua storica il friulano e che fu approvata nel 1999 da quella banda di faziosi affondatori dell’Italia che sono i parlamentari italiani, oltre tutto tanto ignoranti da definire lingua il “dialetto friulano”.
Tanto è felice del provvedimento della Corte costituzionale, che non si sofferma neppure a leggerlo, per il rischio di scoprire che la bocciatura (talmente contrastata che il relatore non la sottoscrisse) riguarda l’insegnamento del friulano. Decisione gravissima in sé, ma non comporta la bocciatura dell’uso istituzionale del friulano nella nazione friulana. Una dimenticanza della Consulta o, sotto sotto, c’è anche qui un complotto per sfasciare l’Italia unita?
Sull’estensione dell’uso della lingua dialettale (usiamo pure questo compromesso semantico) si possono avere” scrive il nostalgico estimatore di Ettore Tolomei (prego, consultare Google) “le più svariate opinioni, ma la domanda cruciale è: chi ha il diritto di decidere? La Costituzione della Repubblica italiana o il Consiglio di questa o quella regione, sia pure “autonoma” [le virgolette sono sue] e ciascuna a suo modo?”. La Costituzione ha già deciso e ha deciso anche il Parlamento dello Stato. Qualcuno lo avverta, magari con un po’ di tatto, che il 1923 è finito, che le lingue delle minoranze godono di tutela internazionale, che sono riconosciute anche dalla Costituzione italiana, e che ormai è rimasto solo lui a pensare che valorizzare le lingue nazionali insieme a quella dello stato significa attentare all’unità della Repubblica.
Anzi, dato che c’è, gli sussurri che è vero il contrario: è la repressione linguistica a portare alla decadenza di qualsiasi stato sedicente nazionale e sedicente unitario. Fargli ripassare la storia del Franchismo e della Serbia di Milosevic.
(*) La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

domenica 21 giugno 2009

Accuse di gravità assoluta, ma via, chi nasconde prove?

di Gabriele Ainis

Gentile sig Pintore,
a proposito di troll, credo opportuno inviarLe due parole in merito, non per il timore che Lei mi consideri tale (nel caso avvenisse, sarebbe suo diritto farlo e mio infischiarmene), quanto per segnalarLe che potrebbe anche trattarsi d’altro (intendo i messaggi ironici che lei ha spostato in un’area opportuna del Suo blog).
Parto dal presupposto che Lei sia seriamente interessato a ricevere opinioni diverse dalle Sue, eventualmente a contestarle, come vorrebbe uno scambio dialettico di idee che non ha senso senza contrasto. Sono altrettanto convinto che Lei sia seriamente affetto da pre-giudizi in merito a molte questioni (leggi ad esempio archeologia), cosa della quale, da parte Sua, mi ha più volte accusato. Glielo dico per il solo motivo di rendere chiaro quello che dirò in seguito: credo sia ovvio che Lei non sarà d’accordo.
Ciò detto, Le chiedo lo sforzo di uscire dai Suoi panni, e porsi in quelli di un’ipotetica persona che legge il suo blog e cade su un post come quello del sig Pilloni.
Può essere una persona che condivide il Suo modo di vedere le cose, e converrà che la Sardegna è ricca di epigrafi, che gli epigrafisti accademici si rifiutano di considerare, ignorando persone come il sig Sanna. Scriverà un commento appropriato sui soliti professori universitari ignoranti, sullo scandalo di chi nasconde le prove evidenti e tutto ciò che segue. Tutto bene e a posto. Lei sarà soddisfatto, immagino, e anche il sig Pilloni, il sig Sanna, insomma tutti coloro che la pensano come loro.
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Gentile sig. Ainis
Mi pare ovvio che sono interessato a ricevere opinioni diverse dalle mie. Altrimenti non pubblicherei articoli come i suoi e di Areddu, ma neppure quelli di Pilloni, Sanna, Bomboi, Atzori e di molti altri che mi contestano politicamente. E altrettanto ovvio mi pare che non sono d’accordo con lei, per il semplice motivo che le sue critiche (quasi) mai vanno al di là della condanna apodittica e della considerazione che i soggetti veementemente criticati sono isolati nella e dalla “comunità scientifica”.
La lista dei condannati dal suo disprezzo, intanto si è allargata: a Frau, Melis e Sanna, recentemente si sono aggiunti Ugas, Montalbano, Piras e Pilloni (a proposito, chi le ha detto che il prof. Sanna non ha avuto in mano e toccato i due ciondoli di cui Francu Pilloni parla nella sua segnalazione?). Non dispero di vedere appeso al suo carniere anche un altro buon amico, Alfonso Stiglitz, il giorno che, puta caso, dovesse trovare le prove che Shardana e sardi erano la stessa cosa. Mi perdonerà, ma non mi va di seguirla in questa opera di scomunica degli infedeli. Mi interessa di più la questione da lei sollevata sulla “accusa di una gravità inaudita” rivolta, anche da me e più volte, a chi nasconde prove archeologiche.
Premetto che non penso si tratti di farabutti, di ladri o chi sa cos’altro. Semmai penso a persone che, avendo fondato carriere e stipendi su certezze scambiate per graniti, mal sopportano che queste carriere possano essere messe in discussione da ritrovamenti non contemplati come possibili. Anche gli archeologi, gli epigrafisti, gli storici sono essere umani, disposti a far valere il loro piccolo o grande potere per difendersi dalle novità imbarazzanti. Che infatti o vengono nascoste o dileggiate. Pretendere da questo establishment che prenda in considerazione studi provenienti da fuori di esso è come pensare che un gregge di capretti manifesti a favore della Pasqua o del Natale.
Qualche anno fa, la Harvard university e la Cornell university scoprirono che Sardis, capitale della Lydia fu fondata intorno al 1185 aC. Misero in discussione la certezza che gli shardana da lì provenissero, visto che di loro si parla almeno dal XIV secolo, da più di due secoli che la capitale da cui prendevano il nome fosse costruita. Silenzio.
Adam Zertal, uno dei massimi archeologi israeliani, scavando il sito di El-Ahwat ritenne di trovarsi di fronte a “architecture influenced by the western Mediterranean 'Nuraghic' style”. Forse perché nel 12° secolo aC lì erano arrivati nuragici, come sostiene Zertal? “Historically, it connected the place with the Shardana, one of the well-known ‘Sea peoples’ tribes. The Shardnan were famous warriors and mercenaries. Originated at Sardinia, they said to be settled in Canaan together with the Philistines by pharaoh Ramesses 3rd following his victory over the ‘Sea-peoples’ (ca. 1180 BCE).” Fantasie, naturalmente, perché i sardi non sapevano navigare e, al massimo, le navicelle che potrebbero testimoniare del contrario sono ex voto solo casualmente somiglianti a navi d’alto mare.
Ma qui si tratta ancora di “nascondimenti” dovuti all’incertezza che la comunità scientifica ha di fronte alle tesi contrapposte di Adam Zertal e di Alberto Areddu, da lei appoggiato.
Ma come spiegare la scomparsa del coccio con scrittura cuneiforme di cui parlano i professori Zucca e Pettinato? E quella del cosiddetto Brassard di Is Loccis Santus? E dei ciottoli iscritti trovati presso il nuraghe Crocores?
Esistono spiegazioni per queste scomparse? Forse sì, ma non se ne hanno. Chi sa non parla e dunque nasconde. Perché? Perché non hanno alcuna importanza? Basta dirlo. O sono in grado di intaccare certezze date per assolute? Lei per quale di queste due tesi propende, signor Ainis? O ne ha una sua originale?
Intorno a questo groviglio, ho scritto un romanzo in lingua sarda (ma ne esiste un’edizione anche in italiano) che sta per essere stampato. Mi sono divertito a scriverlo, come fa qualunque scrittore che sa come di vendite non camperà. Ma giorno dopo giorno, mi accorgo che – spesso accade – la fantasia riceve poderose sberle dalla realtà.
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sabato 20 giugno 2009

Partirà, la nave partirà, dove arriverà, questo già si sa

di Alberto Areddu

Presso quell’arsenale di talenti dell’Università turritana si sta approntando, dicono le cronache (L’Unione Sarda del 4 c.m.) una navicella nostrana (dal poetico nome sumerico di Nur ‘luce’) antichizzata all’età del bronzo, che dovrebbe veleggiare lungo le coste isolane e poi preso il largo giungere fino all’amato Epiro, dal quale proseguire fino a lambire le coste turche, onde, ripercorso l’Egeo, tornare alla base dopo aver cirmcumnavigato gran parte del Mediterraneo orientale, secondo rotte che i Ricostruttori del Nostro Magico Passato (o forse meglio l’iperbato: i Magici Ricostruttori del Nostro Passato?) dicono le nostre antiche navi aver percorso.
L’iniziativa non sarebbe una novità: già negli anni cinquanta Thor Heyerdahl mostrò come ricostruendo con attenzione filologica una zattera d’età preincaica, si poteva approdare con una certa facilità in Polinesia dal Perù, e quindi non era impossibile (ma non per questo sicuro) che alla base della civiltà polinesiana ci fosse stato un input delle civiltà precolombiane. Nel nostro caso però c’è una piccola differenza: che di navi sarde dell’età del bronzo non se n’è trovata neanche una, né esiste alcuna descrizione che ce le ricostruisca, i pochi indizi sono le statuette votive in bronzo, che sono ovviamente oltremodo schematiche, verosimilmente molto più tarde dell’età indicata (fino al 1200 a.C.) e dalle quali non si può apprendere di realizzativo, nulla.
L’operazione che quindi sarebbe meramente chimerica e velleitaria, è in aggiunta una contraffazione: facile prevedere che si prenderanno modelli di navicelle egee o fenicie e la nave, usando come tocco d’indigeno solo qualche legno del Gennargentu o del Limbara e la polena di un sirvone, come volevasi dimostrare, tornerà alla base. Altro che sfida verso l’ignoto, come vogliono far credere i Ricostruttori: è una mera applicazione del già noto sul nostro ignoto, insomma qualcosa di scientificamente assai poco confacente.
Ma anche fosse possibile ricostruire uno sfondo di fattibilità e di tecnicità applicate, ci sarebbe da porsi sempre la domanda: che ci andavano a fare i Paleosardi per mare così lontano se poi in tanti scavi pre- e nuragici mai si son trovati prodotti delle altre civiltà che i Paleosardi avrebbero potuto attingere e/o saccheggiare, quali tecniche, scritture, tesori, manufatti? Erano forse i primi turisti ecologisti della storia?
In filigrana parrebbe di sì, perché alla fin fine il messaggio della spedizione è questo, portare un segno di pace della nostra solare isola ad altre contrade mediterranee, sperando che da Rodi, Creta, Turchia ecc. ci vengano a trovare nelle nostre odierne ricettive strutture alberghiere. Insomma come sempre l’utile economico si mescola al messaggio buonista e a quanto serva a sublimare il desiderio di alcuni di dare lustro a un, oggettivamente non illustre, fantasmatico passato.

Per mia pura cusriosità, le consta che in qualche parte del mondo si siano trovati resti di navi lignee del XIV secolo avanti Cristo?[zfp]

La lingua (sarda) rapita

Mentre una parte della politica italiana sta dietro (e cerca di esservi dentro) alle mutande di un paio di signore, e mentre un’altra parte si scandalizza denunciando un imbarbarimento , qui da noi si sta meglio. C’è, è vero, qui e là qualche tentazione di essere à la page. Ci cade per esempio, con un articolo raffinatissimo e dal titolo tutto giocato sulla metafora (“Che storia del cazzo!”) il sito della sinistra Democrazia oggi, e naturalmente ci sguazza L’Altravoce con un titolo con toni appena appena sottintesi: “Nel porno-bordello Italia, riecco i casini di Stato, nelle residenze istituzionali, esclusivi: Berlusconi “utilizzatore finale” e maitresse fra ruffiani e donne a pagamento”.
Ma sembrano reflui di “politica nazionale” come chiamano quella italiana: complessivamente lo scontro politico, qui in Sardegna, ha l’andamento classico del “Voi non fate niente per i sardi” versus “Noi per i sardi stiamo facendo il massimo”. Insomma, la battaglia fra opposizione e governo si svolge in maniera dura ma sostanzialmente corretta, senza sventolio di slip e perizoma. Detto per inciso: chi sa che questa maggiore sobrietà non abbia portato al Pd il successo innegabile che ha ottenuto il 6 giugno? Che ciò si debba al carattere più riservato dei sardi (almeno in materia di letto), può essere come può darsi che la crisi economica particolarmente feroce (30 mila occupati in meno in un anno, un quarto a governo Cappellacci, tre quarti a governo Soru) suggerisce non sia tempo di frivolezze erotiche.
Fatto sta che la politica sarda mi pare più seria di quella italiana. Capita così, nel disinteresse e/o nella incomprensione dei media, che i sindacati uniti, Cgil, Cisl e Uil, abbiano affiancato alla classica visione economicista un progetto di enorme importanza non tanto per le emergenze attuali, quanto per il futuro della nostra isola. Proclamando per il 10 luglio lo sciopero generale, i tre sindacati hanno detto che quella manifestazione deve essere “il primo passo verso un’assemblea del popolo sardo che dia forza a una nuova stagione costituente per riscrivere lo Statuto speciale e avviare le necessarie riforme istituzionali".
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venerdì 19 giugno 2009

La epigrafista in un cantuccio

di Alberto Areddu

Alcuni anni fa scoprii con mia meraviglia nel corpo insegnanti della mia stessa scuola una giovane ma già nota epigrafista, che aveva lavorato con Mastino e che pareva avviata a un buon futuro universitario. Le chiesi come mai avesse preferito l’insegnamento alla ricerca e mi rispose che posti ce ne erano pochi in relazione alla sua specializzazione: l’epigrafistica romana in Sardegna, che se si era fortunati -nonostante i 600 anni e passa di latinità nell’isola- poteva sfornare all’ermeneutica un testo (e perlopiù breve) all’anno da leggere e interpretare.
Troppo poco, quando sei pagato a cottimo. Era quindi consequenziale anteporre la docenza scolastica e la maternità, ai capricci e all’alea dell’archeologia. Riflettevo su ciò, quando mi vedo in questo sito che le scoperte epigrafiche in Sardegna (in etrusco, piuttosto che nel supposto glozelico, in fenicio piuttosto che nel protosinaitico ecc.) si sprecano, e mettono al lavoro studiosi come Sauren e Sanna (e da ultimo Pilloni), i quali profondono la loro scienza nello svelare i misteri del passato.
Mi guarderò bene dal dire che c’è il sospetto che le epigrafi che essi analizzano, siano frutto di qualche abile falsario o ingenue interpretazioni di cose altre, non sono deputato io a questo. Vorrei solo speranzosamente caldeggiare con loro l’idea che se dovessero, puta caso, trovare qualche epigrafe in caratteri latini, che non ce la buttassero via, perché potrebbero così far ravvedere una giovane di belle speranze, che lasciò il campo proprio per penuria di materiale.

Caro Areddu, le giuro che toglierei il saluto per sempre ai miei amici Sanna, Sauren, Pilloni e tanti altri, il giorno che dovessi sapere che hanno buttato alle ortiche epigrafi latine. Ma, a parte il caso della sua collega, non mi pare che, in genere, gli "epigrafisti latini" soffrano di crisi di astinenza. Nessuno nega che in Sardegna esistano epigrafi latine. In troppi non si curano neppure di negare l'esistenza di epigrafi nuragiche: da sotto la sabbia in cui nascondono la testa, al massimo accennano una smorfia di incredulità. E anche con le epigrafi etrusche non va molto meglio: si limitano a mettere la questione in mano alla magistratura.
Consoli la sua collega: lei, almeno, ha trovato lavoro a scuola e dall'accademia non riceverebbe alcun rimbrotto il giorno in cui, per dire, dovesse attribuire alla epigrafia latina la iscrizione nuragica di Aidu Entos di Bortigali.
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giovedì 18 giugno 2009

Pratobello: buon anniversario

Come tutti i miti, anche quello di Pratobello taglia “i fronzoli” e va all’essenziale. Tra “i fronzoli” c’è il fatto che “sa revolutzione”, come la chiamano ancora i più anziani, fu monolingue per gli orgolesi e in italiano per sos istranzos. Da domani, il Comune di Orgosolo, insieme a un bel gruppo di associazioni, ricorderà il quarantesimo anniversario delle giornate di quel giugno del 1969, quando gli orgolesi impedirono l’istituzione di un poligono militare. Forse il primo tassello di una base militare permanente nel cuore della Sardegna.
E, a quel che appare, sarà una celebrazione monolingue all’inverso, a partire dal programma che in sardo ha solo il nome di un paio di associazioni. Se la lingua sarda avrà cittadinanza in qualche intervento, sarà perché ospite della lingua italiana, da tempo diventata esclusiva lingua di comunicazione nelle occasioni pubbliche. Da tempo, non dagli ultimi anni dell’attuale amministrazione. Il processo di desardizzazione di Orgosolo è arrivato al punto che il cartello sulla porta de s’ufìtziu de sa limba sarda è qui in italiano.
Naturalmente la popolazione continua nella sua grande maggioranza, anche dei bambini, a parlare in orgolese. Ma è una lingua spinta sempre di più agli ambiti domestici e di relazione fra le persone, non fra queste e l’esterno. Capita di sentire orgolesi assolutamente o prevalentemente monolingui tentare in italiano di dialogare al telefono con altri orgolesi, quasi che il medium non sopportasse una lingua naturale. Da tempo, il bando, una tempo dato due volte in sardo e una in italiano, è solo in italiano, accreditando la prevenzione secondo cui il computer da cui parte non sopporta la lingua naturale.
In quel giugno 1969, il bando per chiamare a raccolta e dare appuntamenti era dato naturalmente in sardo, i comizi lo erano, i difficili rapporti fra orgolesi e soldati lo erano, con la sola concessione di un interprete per chi non capiva. Quaranta anni dopo, il Comune da un bando più moderno, attraverso il suo sito e Facebook, ed è in italiano. In questi quaranta anni, il sardo ha continuato ad essere la lingua propria della comunità, come recita lo Statuto comunale. Ma non c’è alcuno sforzo per farne lingua di tutta la comunità, di quella parte popolare che se ne serve abitualmente e di quella parte ufficiale che, al massimo, se ne serve quando non ne può fare a meno ricevendo i monoligui, o quando, al bar o negli spuntini, si sveste di ufficialità.
Tutto questo ha, ovviamente, un perché che attiene al concetto che della lingua sarda ha questo o quell’amministratore, presente o passato e ha a che fare con la prevenzione secondo cui identità e turismo (ora in crescita) non sono compatibili. Anche Pratobello rischia di trasformarsi in quel che una volta, con ironia, “i rivoltosi” chiamavano “turismo rivoluzionario”. Per riuscire pienamente, l’accoglimento del turismo, oggi non più (o non solo) rivoluzionario, sente il bisogno di parlare la lingua degli ospiti. Spero con tutto il cuore e per l’amore che porto ad Orgosolo che io sia stato colpito da una botta di pessimismo. Ma conosco troppi paesi in cui impazza la follia di spogliarsi della identità comunitaria per far “sentire a casa” i turisti a cui offrire, magari, improbabili spettacoli di altrettanto improbabili “ballerine brasiliane”.
Non vorrei che fosse vero quel che qui e là si legge in Facebook e che, cioè, Pratobello sia fatto passare come un momento di ribellione del movimento democratico e progressista italiano contro la prepotenza del potere. Perché non fu affatto questo.

mercoledì 17 giugno 2009

Due ciondoli che strizzano l'occhio al nuragico

di Francu Pilloni

Caro ZFP,
appena archivierai le elezioni europee, ti chiedo, se possibile, di dare spazio al contributo su antiche scritture sarde che potrebbero venire da due oggetti che un lettore di Paraulas ha recapitato alla redazione, con richiesta di pubblicizzarli e di interpretarli.
Va da sé che la “lettura”, in tutti i sensi, è fuori dalla mia portata, mentre tramite tuo posso certamente pubblicizzarli in fretta. Ti assicuro che ne ho informato la Sopraintendenza, visto che sono in mio possesso, per l’evenienza non solo che i ciondoli siano reperti autentici, ma che rivestano un certo valore scientifico.
Che sia un ciondolino mi sento di dirlo per il primo oggetto, che ho fotografato su carta centimetrata così da rendere immediatamente significative le dimensioni reali. In effetti l’oggetto è di forma approssimativamente rettangolare, piuttosto piatto sulle due parti, angoli smussati, un foro che dovrebbe indicare la parte alta, se appunto era appeso con una cordicella. Vi si notano tre righe di segni che a prima vista mi sono sembrati simili ma che, a ben guardali, sono diversi quanto a collegamento fra di essi.
Segni che sono forse individuabili anche nello schema che hai presentato tu stesso qualche giorno fa, ma che io non m’arrischio a “leggere”, anche perché non so se devo andare da sn a ds, o al contrario, o magari dall’alto in basso, anche se mi sembrerebbe immotivato a prima vista, poiché i segni sembrano incolonnati in orizzontale, rispetto al foro.
Il ciondolino fu trovato una trentina d’anni or sono, in un terreno arato vicino a un fiume nel territorio di San Vero Milis.
Il secondo oggetto, che a me pare anche questo un ciondolo perché c’è traccia di un foro destra-sinistra nel collo di quella che sembra essere la testa di una vipera (foro che ha funzionato come punto di rottura della pietra), delle dimensioni approssimative che si ricavano dalla foto, presenta una parte bombata, sottilmente rigata a formare come delle scagliette che rimandano immediatamente alla testa di un rettile che, se appesa al collo, restava a testa in giù. Nella parte ventrale, che è piatta e levigata, presenta un incisione verticale che la divide in due parti e una serie di incisioni a destra e a sinistra, che fanno pensare a lettere di un qualche alfabeto antico, anche perché, almeno una di queste (quella specie di F con tre o quattro trattini orizzontali) è rappresentata nello schema di cui ho parlato prima. Superfluo dire che l’oggetto è intrigante, e per il simbolo rappresentato (la vipera) che non è mai stato neutro presso nessuna popolazione, e per le “lettere” incise, che non saprei se prenderle dall’alto in basso o in quale altra direzione possibile. Anzi, come per il sigillo di Su Pallosu, per quanto ne capisco, potrebbero essere anche in negativo.
L’oggettino fu acquistato per poche migliaia di lire svariati anni fa al mercatino del Bastione a Cagliari, presso un banchetto di anticaglie assortite, dallo stesso lettore che me lo ha consegnato.
Sono certo che tra i frequentatori del blog ci sono appassionati e studiosi che saranno incuriositi almeno quanto me, ma che sapranno dire qualcosa di più di quanto io non sia riuscito a fare. Anche per soddisfare la curiosità del lettore della nostra rivista, che ci ha messo a disposizione oggetti che custodiva da decenni.

Immagino che quando parli di schema, ti riferisca a quello compilato dal prof. Sanna per questo blog. [zfp]

lunedì 15 giugno 2009

Una scritta fenicia che fenicia non è. Ma nuragica

di Gigi Sanna

La scrittura arcaica sarda di tipologia ‘nuragica’ acquisisce oggi, dopo una lettura attenta e puntuale, un pezzo nuovo che può aggiungersi tranquillamente alla ormai cospicua documentazione epigrafica. Il fatto che lo riguarda è, se si vuole, un po’ curioso: infatti era sfuggito a tutti, al sottoscritto compreso (che pure aveva pubblicato un articolo nel medesimo numero della rivista), il breve cenno, su un certo oggetto con segni di scrittura, del signor Ignazio Marceddu nel suo breve saggio ‘La strada romana a Madau su Padru: una ‘statio’ commerciale in età imperiale’ ( in Quaderni Oristanesi, 55/56, Aprile 2006, PTM ed. Mogoro, pp. 41 -56). Il Marceddu riporta, tra l’altro, alla fine del suo intervento una tabella con fotografia, a fianco della quale sta la didascalia: ‘Feurreddu. Reperto fenicio’.
Detta località di Feurreddu - come tende a precisare subito l’autore - è un acclarato ‘sito nuragico’, non distante dalla zona di Bella Murra, dal nuraghe Murus e da Madau su Padru‘ . Quest’ultima località era forse, a detta del Marceddu, ‘uno dei tanti insediamenti urbani nel territorio di Siapiccia , anche se di misure ridotte, e adibito a ‘statio’ con sede di attività e scambio commerciale dei ‘negotiatores’ in età imperiale (romana)’. Per quanto ci riguarda non intendiamo entrare nel merito dell’argomento, cioè dell’attività commerciale romana o di altri nella Sardegna centro - occidentale in periodo romano, ma solo riprendere la notizia, importantissima, del ritrovamento (non viene detto quando) di un documento di scrittura arcaica, proclamato però dall’autore, con disinvolta sicurezza, di tipologia ‘ fenicia’.
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Dorgali, Ilune e la pagliuzza nell'occhio altrui

di Anonimo baunese

Sig Pintore, vedo che nei commenti a un suo articolo su Cala Luna, un anonimo dorgalese continua a perorare la politica dei suoi amministratori tesa ad annetersi quanti più ettari altrui possibile. Del resto è in buona compagnia con altri suoi compaesani che su Facebook hanno lanciato un minaccioso proclama "Riprendiamoci Cala Luna". Bastasse la propotenza, sicuramente quella spiaggia di Baunei sarebbe di Dorgali da un bel pezzo. Per fortuna, non tanto di noi baunesi quanto della Sardegna, la prepotenza non sempre vince.
Né sempre vincono ridicole provocazioni degli amministratori dorgalesi come l'invio di incolpevoli alunni per ripulire la spiaggia di Cala Luna, resa sporca, va da sé, dai baunesi insensibili alla tutela ambientale. Ho sempre avuto in odio i battibecchi di campanile, soprattutto se innescati da chi, per ruolo istituzionale, dovrebbe scansarli. Ma queste accuse, spesso esplicite in Facebook, di insensibilità ambientale da parte del mio paese, sono davvero uscite dal seminato. E allora mando alla sua attenzione tre foto, una scattata da me e due riprese dal satellite di Google.
La mia mostra la spiaggia di Osala di Dorgali (c'è anche quella di Orosei), la strada asfaltata che arriva a circa 38 metri dalla spiaggia (è segnalata da un cerchietto nero) e le case finte rurali, una delle quali è appena a 48 metri dal mare. Una seconda foto, ripresa dal satellite, mostra la stessa spiaggia dall'alto: si vedono chiaramente le case e la strada asfaltata arrivare proprio a ridosso della spiaggia.
La terza foto riprende la parte terminale della codula di Fuile, sempre in territorio di Dorgali. La strada interrotta che si vede sulla destra è quella che nell'idea di vecchi amministratori di Dorgali avrebbe dovuto superare la codula e proseguire poi per la grotta del Bue Marino e l'ambita preda di Cala Luna, o Ilune come giustamente puntualizza lei. Non voglio commentare ulteriormente, ma non sarebbe onesto guardare ai disastri combinati in casa propria, prima di accusare altri di lasciare sporca una sua spiaggia?

domenica 14 giugno 2009

Sono andato a Monti Prama

di Francu Pilloni

Sono stato a Monti Prama domenica scorsa. Veramente. A qualcuno che non ci crede, posso mostrare le foto. Perché sono andato? Questo lo so di sicuro:
Primo e principalmente, perché sono matto, mia madre me lo diceva sempre già quand’ero piccolo, solo che anziché piangere, si metteva a ridere. E mia madre non è matta lei, anzi. Devo aver preso da papà. Secondo, da non trascurare, perché non ero mai stato a Monti Prama e mi era cresciuta la curiosità dentro. Forse che non era una buona occasione questa? Avrei potuto incontrare qualcuno con cui parlare, ecc. ecc. La volete sapere una cosa? Monti Prama è a un tiro di schioppo dal nuraghe di Tzrigottu.
Ora, solo oggi al mio ritorno a casa (scusate, dimenticavo di dire che sono andato e tornato a piedi “a bia sarda”, dove non c’era più me la sono inventata come un cane che va “a fiuto”. Perché, forse che non c’è un sacco di gente che va a Santiago di Compostella per vecchi sentieri? Io preferisco quelli nostrani, che sono pure più antichi), solo oggi dicevo ho acceso il computer per vedere la posta e il blog. Bene, mi sono accorto che è successo un casino; un casino solo perché io e altri ottocentomila sardi non siamo andati a votare? E che modi son questi? Che requisiti ha questa democrazia se non rispetta l’opinione della maggioranza dei cittadini? Ci si vuol demonizzare?
A me, in fondo, importa poco anche di questo, ché già sono matto di mio.
Volevo dire che a Monti Prama - Monti per modo di dire, può essere chiamato monte con molta benevolenza, come se fossimo nei Paesi Bassi - non ero solo. C’era un altro (matto come me? Ancora più matto?) con due bandiere: le ha piazzate proprio dove pareva che fosse il punto più alto, con la conseguenza che non si vedevano, o si vedevano ben poco dalle strade circostanti. Però c’erano. Anzi, ci sono ancora, perché là le ha lasciate “a garrire al vento”, come avrebbe detto De Amicis, o giù di lì. Dunque, eravamo in due? Il numero giusto per conservare un segreto, come si sa. Invece è arrivato anche il terzo, in auto, e per il segreto ormai si era in troppi.
No hapu appubau a nisciunus, non mi è parso di vedere alcuno che si nascondesse tre l’erba alta per spiarci, né è passato alcun mezzo con sopra una gabbia che trattenesse un qualche animale inferocito che urlasse, ringhiasse, ruggisse, barrisse, gracchiasse, muggisse, ragliasse… Solo un vecchio su un vecchio trattore ci ha salutato con la mano. E non aveva telecamere, che non fossero i suoi occhi.
Dunque, io sono stato a Monti Prama. Altri sono andati a votare. E allora?
Mi dovrei vergognare io?
Non credo proprio. Si vergogni piuttosto chi è sano di mente, chi è saggio, chi sa di storia e di geografia altrui. Insomma, si vergogni chi vuole, oppure non si vergogni affatto. Chini s’indi frigat?
Ma io a Monti Prama ci sono proprio andato. Ho le foto e due testimoni. L’Europa può attendere, Monti Prama non può. Queste le mie priorità. Parola di matto!

sabato 13 giugno 2009

Intercettazioni: come "Sarvamentu" diventò "Armamento"

Un residuo di spirito di casta, evidentemente non rimosso da qualche anfratto, mi istiga a dichiarare una qualche preoccupazione per la legge sulle intercettazioni approvata dalla Camera dei deputati. Mi riferisco alla parte che riguarda noi giornalisti. Quella riguardante i magistrati mi pare sacrosantamente adottata, perché non se ne può più di un Grande fratello che intercetta o può intercettare tutte le conversazioni private sia tra gente che parla al telefono sia di chi conversa per strada. Più che indagini, sembrano pesca a strascico.
Dovere della magistratura è, naturalmente e giustamente, perseguire i reati e condannare chi li commette. Dovere degli organi di polizia giudiziaria è di indagare per scoprire chi delinque, ma non è tollerabile che questo avvenga passando uno scanner su tutta la società, per cogliere una conversazione da cui emerga il sospetto che si sia commesso o si stia per commettere un reato. È giusto, invece, che si intercetti chi è sospettato di aver tentato o commesso un reato. Come mi pare stabilisca la legge approvata. Mi conforta, e mi solleva dal cruccio di poter essere sospettato di berlusconismo, il fatto che anche venti parlamentari dell’opposizione, nel segreto della propria coscienza, abbiano ritenuto giusto un principio sacrosanto: meglio un colpevole libero che un innocente in galera.
Ma dicevo dei giornalisti. Qualcuno dovrà pur riferire loro i contenuti di intercettazioni (spesso consegna loro un intero fascicolo di intercettazioni. È questo qualcuno il responsabile primo, i giornalisti fanno il loro dovere che è quello di riferire quel che sanno. In linea di principio è così e per questo un po’ mi preoccupa la possibilità che finiscano in galera. Solo in linea di principio, però, visto che anche ai giornalisti è richiesta la capacità di vaglio critico e quella di capire che vicende di corna familiare, battute grevi, parolacce e turpiloqui, espressioni di machismo o dileggio delle facoltà sessuali di un maschietto, possono anche essere eticamente non irreprensibili, ma nulla hanno a che spartire con un crimine.
Io mi sono sempre rifiutato di leggere le paginate intere di intercettazioni trascritte, ma quello che ho spesso sentito in televisione esser stato pubblicato anche da serissimi quotidiani mi ha fatto spesso vergognare di avere da 41 anni e passa la tessera di giornalista. Del resto, anche la federazione della stampa e quella degli editori, nel loro appello al Parlamento, riconoscono la “necessità che sia tutelata la riservatezza delle persone, soprattutto se estranee alle indagini”.
Lo hanno detto sempre, ogni volta che hanno riconosciuto di aver pubblicato pagine e pagine di intercettazioni che violavano la riservatezza delle persone e coinvolgevano persone estranee alle indagini. Moltissimi lo hanno riconosciuto, hanno fatto mea culpa, salvo ripetere la stessa cosa, passata la temperie della protesta. Moltissimi hanno tirato il filo, nell’illusione che la società civile e quella politica non osassero reagire. Ora il filo si è rotto e temo sarà difficile, per quanto auspicabile, riaggiustarlo. Ripeto, il fatto che venti parlamentari dell’opposizione abbiano votato il provvedimento sta a significare che dietro la legge sulle intercettazioni non c’è una volontà della maggioranza di autotutelarsi e che, comunque, la necessità di mettere un freno alla degenerazione, giudiziaria, giustizialista e mediatica, delle intercettazioni è più sentita di quanto appaia.
A proposito di degenerazioni. La giornalista della Nuova Sardegna, Valeria Gianoglio, ha riferito qualche tempo fa dell’esito di un processo in Toscana contro dei sardi, dibattimento, a quel che ho capito, fondato su intercettazioni. Scrive la Gianoglio: “Si tratta di migliaia di pagine di dialoghi in sardo stretto. Perizie con risvolti persino comici perché tra le tante cose avrebbero attestato sbagli di interpretazione clamorosi nel tradurre i dialoghi dei sardi intercettati in Toscana. La tipica invocazione sarda, rivolta al cielo, «Sarvamentu» scambiata per «Prendi l’armamento», tanto per citare un esempio.” La “banda dei sardi” è stata assolta. Ma i suoi “componenti” avranno mai un risarcimento per la galera e per l’onta subite, per via della passata di scanner sulla loro vita privata? E per via, anche, della approssimazione con cui le loro parole in sardo sono state interpretate.
Già, perché c’è anche questa complicazione, che dovrebbe rendere avvertiti soprattutto i giornalisti che pubblicano a cuor leggero le intercettazioni: in nessun lingua, la parola scritta rende l’intonazione della voce, il gusto antifrastico di molti parlanti, il sorriso che accompagna una espressione e che è in grado di attribuire alle cose dette un significato diverso da quel che appare. Irresponsabile chi consegna i plichi ai giornalisti, ma poco responsabili essi nel pubblicarne il contenuto.

venerdì 12 giugno 2009

A proposito di segni cuneiformi: in Portogallo...

di Herbert Sauren

Caro Gianfranco,
Ho letto sul tuo blog che Pettinato ha segnalato segni cuneiformi in Sardegna. Suppono che si tratti di Giovanni Pettinato che ha fatto i suoi studi a Heidelberg , in Germania, negli stessi anni che li ho fatti io. Ti invio attestazioni di segni cuneiformi in Portogallo e di un testi bilingua assiro-semitico del sud ovest, che ho pubblicato qualche anno fa.
Ho letto con interesse il contributo di Maria Rita Piras e dell’evoluzione dell’uomo padrone della scrittura – si può fare altrettanto per le lingue, dal suono alle parole. Farò presto le mie osservazioni.
Vedi l'articolo (in francese) sui segni cuneiformi trovati in Portogallo

giovedì 11 giugno 2009

Così la protesta a Monti Prama sbarcò sulla Cnn

di Gabriele Ainis

Ebbene lo ammetto: mi sono sbagliato!
Pensavo che quella di disertare le urne ed andare a Monti Pramma fosse una sciocchezza, poco più che un’ironica rimpatriata di vecchi amici che si contano per vedere chi c’è ancora, chi è andato per età, chi ha accettato di lavorare in banca, si è sposato ha fatto i figli ed è una fine un po’ peggiore. Sempre tra la Via Emilia e il West.
E invece, guarda un po’ tu che sorpresa, ecco il raduno oceanico che ha coperto il Sinis di umanità varia, per una volta tutti uniti sotto i quattro mori, senza distinzioni di sardismo e sardità: Sardi Tutti!
É vero: pensavo che nessuno se sarebbe accorto. In fondo, mi dicevo, a chi può interessare se quattro gatti vanno a mangiare pane e merka su una collinozza sconosciuta, che pensano investita di chissà quale simbolica missione salvifica perchè ci hanno ritrovato quattro sassi che hanno dato il destro per una bella litigata? (Come se poi non ci fossero motivi seri per litigare, altro che storie!)
Ma insomma diciamolo: avevo torto marcio. Chi si aspettava la reazione nervosa di Barroso di fronte alle giuste rivendicazioni dei Sardi? E che effetto vederlo balbettare smarrito di fronte alle domande incalzanti della giornalista della CNN, che gli mostrava le immagini incredibili del Popolo Sardo giustamente assente dai seggi, stanco delle millenarie soperchierie patite!

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mercoledì 10 giugno 2009

Tuvixeddu: ecco perché è importantissimo

di Alfonso Stiglitz

Caro Gianfranco,
non passa settimana che sulla stampa non emerga il problema della diatriba su Tuvixeddu, con parsimonia nell’Unione Sarda, per ovvii motivi editoriali, più ampiamente nel resto dei media. Una diatriba talvolta incomprensibile ai più perché ridotta ad accese contrapposizioni, quasi che l’area archeologica sia un mero strumento di potere, e in parte lo è. Da anni le associazioni ambientaliste e gli archeologi si battono perché quella che è, senza ombra di dubbio, una delle più importanti aree archeologiche dell’isola sia oggetto di maggiore attenzione e rispetto; una battaglia ultraventennale che ha infastidito politici, progettisti e costruttori non solo per il problema specifico ma perché, a Cagliari e non solo, l’urbanistica (termine nobile travolto spesso e volentieri dall’edilizia) è pascolo esclusivo delle succitate categorie e off limits per gli altri.
Ma perché Tuvixeddu (e Tuvumannu) è importante e perché la lotta per la sua salvaguardia riguarda tutta la Sardegna e il mondo intero, che devo dire finora è sembrato più attento di tanti sardi.
Tuvixeddu-Tuvumannu è un vasto colle che si estende da viale Sant’Avendrace sino a via Is Mirrionis – via Campania, caratterizzato da due cime, quella di Tuvumannu (o Monte della Pace) a est, un tempo alta 110 m e quella di Tuvixeddu, alta 96 m, separate da una piccola valle segnata da tempo immemorabile da una strada, oggi asfaltata, via Is Maglias. Quest’area è oggi uno dei più importanti siti archeologici della Sardegna, per l’ampiezza della presenza culturale, dall’età neolitica ai giorni nostri e per la sua estensione territoriale: solo l’area delle tombe a camera fenicie di età punica copre una superficie di una settantina di ettari. Se pensiamo che il Parco archeologico oggi in realizzazione copre appena cinque ettari ci rendiamo conto già visivamente della sproporzione tra la percezione edilizia dell’area e quella archeologica.
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martedì 9 giugno 2009

Europee: noi, i sardo-masochisti

È fatta. Anche questa volta siamo riusciti a farci del male e la teoria che meglio nulla che poco ha trionfato. Contenti come pasque perché al Parlamento europeo non ci andremo neppure questa volta, i sardo-masochisti esultano sventolando la bandiera “pro chi progat in sa de compare, mègius non progat”. I partiti italiani se ne sbattono: la loro rappresentanza c’è e potranno comportarsi a Strasburgo senza l’incomodo di un ambasciatore degli interessi della Sardegna che, a gana o a mala gana, avrebbe comunque agitarli, pena la sua delegittimazione fra cinque anni.
E per piacere, non continuiamo a sventolare la questione della circoscrizione unica: stante questa legge, non avremmo eletto nessuno. Il fatto è che a Francesca Barracciu e a Maddalena Calia sono mancate poche migliaia di preferenze per essere elette: ottantamila elettori del Pd non hanno dato la preferenza alla prima e novantamila della seconda le hanno negato la preferenza. Hanno avuto entrambe i voti sufficienti alla loro elezione, non le preferenze.
Nessuna delle due è in sintonia con l’idea che ho della Sardegna, ma meglio la loro flebile voce di sarde, comunque autonomiste, che l’afasia completa.
Non è in discussione la scelta dell’elettorato sardo di non andare a votare. La responsabilità è dei partiti che sono stati incapaci di spiegare, presi come erano da una battaglia campale tutta interna allo Stato italiano, che cosa si andava a votare. Non il Parlamento della Repubblica, dove evidentemente tutte le culture politiche rappresentative devono esserci, ma un luogo dove si parla di politiche europee e dove le diversità o parlano o non esistono. Come la nostra, ma non come la siciliana, o la basca o la catalana che esistono e si faranno ascoltare.
Adesso, però, è il momento di farci sentire, senza attendere i mesi precedenti le prossime europee fra cinque anni. A cominciare dai partiti e dai movimenti che non hanno riferimenti e segreterie italiane. Oggi neppure si parlano, divisi non sulle prospettive a medio termine, ma da diffidenze più ideologiche che politiche e culturali. Si tratta di oltre un quinto dell’elettorato sardo, come dire oggi il terzo schieramento in Sardegna. Una proposta per cambiare l’iniqua legge elettorale per le Europee non può limitarsi a chiedere lo scorporo della Sardegna dalla Sicilia, deve far valere il diritto della Sardegna (e delle altre regioni a statuto speciale) ad essere rappresentata nel Parlamento europeo. Meccanismi elettorali per far sì che questo diritto sia assicurato se ne possono trovare quanti si voglia, a cominciare da quello che preveda un quorum nazionale e non statale com’è oggi o l’assegnazione dei due seggi ai partiti più votati.
Resta la considerazione che, allo stato attuale delle cose, senza un partito o una lista sardista (intendo, sia chiaro, una lista che faccia riferimento solo ed esclusivamente alla Sardegna), a vincere saranno sempre e comunque i grandi partiti rappresentati in Sardegna. E resta inteso che, preliminarmente, si debba essere d’accordo sul fatto che il dato fondamentale è essere comunque presenti nel Parlamento europeo, non la perfetta coincidenza delle idee dei candidati con le idee di chi vota. Anche nell’ipotesi che si abbia un numero di eurodeputati risultante dalla costituzione della Sardegna in stato indipendente, la nostra Isola non potrà avere 1.400.000 deputati, ma neppure uno per ogni movimento dal 3 o 4 per cento. Se ci rassegniamo a questo e all’idea che l’unità presuppone concessioni reciproche, la strada può essere in discesa.

sabato 6 giugno 2009

Indipendentismo: dietro le parole senza fatti, solo delusioni

di Michele Pinna

La Costituzione italiana nel suo nascere prese atto che nel Paese di Cavour, di Mazzini e di Garibaldi vi erano delle regioni che, per la loro storia diversa, per le loro condizioni geografiche e per una certa situazione sociale e culturale, avevano bisogno di una sussidiarietà particolare che potesse integrare ed equilibrare i loro differenziali negativi che, altrimenti, le avrebbe messe al di fuori dei processi di ricostruzione che all’indomani del fascismo si rendevano necessari per lo sviluppo della nazione. Con un articolo preciso la legge generale del nuovo Stato democratico codificò “le regioni autonome a statuto speciale“, nonchè l’esigenza di tutelare le lingue minoritarie presenti in alcune regioni che altrimenti sarebbero scomparse dinanzi al prestigio e all’uso ufficiale dell’italiano.
L’autonomismo della Costituzione italiana servì a stemperare le spinte separatiste provenienti dalla Sicilia, placò l’esigenza delle popolazioni tedesche e franco provenzali che inglobate nello Stato italiano scalpitavano perché venisse riconosciuto loro lo status di regioni culturalmente “altre”, servì in Sardegna a mitigare l’anelito di un popolo-nazione che non aveva saputo o potuto farsi Stato e a soddisfare le ambizioni di una classe dirigente con pochi progetti, ma ambiziosa e facilmente adattabile alle nuove esigenze atlantiste della democrazia cristiana degasperiana. Un autonomismo voluto dall’alto, come più volte è stato detto, corruttore, compradore, un autonomismo che anziché dare autonomia ha creato...

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venerdì 5 giugno 2009

Scritture nuragiche in ordine sparso

Diversi lettori di questo blog mi hanno inviato, da qualche mese a questa parte, annunci sul ritrovamento di scritte su nuraghi o nelle loro vicinanze più o meno prossime. Naturalmente, ogni volta, viste le fotografie allegate (spesso fatte con cellulari), li ho ringraziati, ma ho detto no alla loro pubblicazione per due ordini di motivi.
Il primo è che io non sono notoramente un epigrafista, ma solo un giornalista desideroso che si faccia luce su cose pelesemente oscure.
Il secondo è che, quindi, non ho gli strumenti culturali e scientifici per accreditare la bontà e autenticità dei ritrovamenti.
Resta comunqe un fatto. Da quando l’archeologia sarda, grazie ad Internet, ha preso ad uscire dalle torri eburnee della Soprintendenza e dalle pubblicazioni a circolo chiuso, la questione della scrittura nuragica ha preso il rilievo che le si confà. Anche questo blog ha fatto la sua parte contribuendo a denudare il re. È stato, a volte, sospettato di indulgenza nei confronti della “Archeologia misteriosa”. Una sciocchezza. Semmai ha nessuna indulgenza per i misteri sparsi sui ritrovamenti, da quello davvero incredibile sui reperti trovati nel Lago Omodeo e sequestrati dalla Sopintendenza nel gennaio 2008, a quello del silenzio sulle scritture trovate in Sardegna su conci, massi, architravi, oggetti.
Il silenzio è stato di tanto in tanto rotto per dire, pubblicamente o anche privatamente, che quella trovata non è scrittura nuragica, ma mai per dire: “Quella lì è una scrittura di quest’altra civiltà”. Mai. Con tutto l’affetto che mi lega al professor Gigi Sanna, che ha rintracciato la scrittura nuragica su una quarantina di reperti, sarei disposto a dirgli che ha sbagliato, il giorno che un altro epigrafista dimostrasse scientificamente che si tratta di altra scrittura. Ma questo non avviene mai. Non viene neppure contestata la dottoressa Maria Rita Piras che in segni tracciati da malatti di Alzheimer ha rintracciato molte delle lettere di scrittura nuragica come individuate da Sanna. Semplicemente si ignorano lei e i suoi serissimi studi.
Che ci sia la speranza che, passato l’interesse, tutto entri nel dimenticatoio? Che ci sia il timore che troppi libri debbano essere riscritti insieme alla demolizione di certezze preconcette? Si tratta di una difesa d’ufficio della prevenzione secondo cui in questa parte del Mediterraneo la scrittura è arrivata solo nel IX secolo con i fenici? Le domande possono essere a loro volta nidificate, e la risposta per ora è zero. Ma ce n’è una ancora più intrigante: non è, per caso, che la scrittura nuragica non è stata trovata perché non è stata cercata e, se vista, ignorata per non caricarsi di problemi?
Di qui, da questi dubbi che si fanno strada nella mente di moltissimi, l’attenzione per segni conosciuti da molti, ma mai presi in considerazione per tener fede al pregiudizio: “I sardi antichi non scrivevano perché non sapevano scrivere” o, all’altro: “I sardi antichi non avevano bisogno di scrivere”. Di qui il timoroso annuncio che, di tanto in tanto, ricevo di ritrovamenti di testi scritti sulla pietra. Di qui anche una mia risposta ricorrente: “Statevene zitti e non spargete notizie. Un giorno o l’altro cambierà il vento”. Ma, dentro di me, sento l’onta di una sconfitta della scienza archeologica e delle altre ad essa connesse., per ragioni, queste sì, misteriose.

mercoledì 3 giugno 2009

Indipendenza: grande è il caos ma la situazione non è eccellente

Il bel dibattito sulle Europee in corso su questo blog è lentamente scivolato sui temi generali del diritto del popolo sardo ad essere rappresentato in Europa e su quelli ancora più generali dell’autodeterminazione. Vorrei sbagliarmi, ma trovo che nelle cose scritte dai miei interlocutori (che ringrazio e, mi credano, non per rituale) ci sia una qualche confusione che, dicono ad Orgosolo, est a pizas bàrias, a strati.
Nessuno nega al popolo sardo il diritto ad eleggere suoi parlamentari europei neppure con questa pessima legge che ci troviamo: basta che gli elettori vadano i massa a votare i candidati sardi più credibili, elettoralmente parlando, e avremo uno o due parlamentari europei. Il discorso sul “diritto” è naturalmente diverso: quel che si chiede è che in legge sia assicurata alla Sardegna non solo una circoscrizione autonoma, ma la certezza che dall’Isola escano due deputati europei.
Qual è la condizione indispensabile perché ciò accada? Il riconoscimento che il popolo sardo è titolare del diritto all’autodeterminazione? Stando al diritto internazionale i sardi possono già da subito esercitare questa loro facoltà.
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martedì 2 giugno 2009

La guerra di Ilune (Cala Luna), n. 2

di Altri punti di vista

Al signore di Dorgali bisogna riconoscere certo una buona dose di umorismo e fantasia... farà mica il politico di mestiere? È vero che con le parole si può dimostrare tutto e il contrario di tutto, ma è anche vero che alle parole bisogna dare il peso che meritano.
Se toponimi e racconti da focolare possono sostituire fondamenti di topografia e principi giurisdizionali si potrebbe tranquillamente interpellare i discendenti dell'antica colonia ponzese che dei mari e litorali oggetto del contendere tra i due comuni hanno fatto uso in tempi non sospetti. Chissà, magari hanno anche loro qualche rivendicazione pronta nel cassetto. Comunque nel dubbio abbiamo preso una carta topografica.
Poi ci è sorto il dubbio su cosa intendesse l'assessore all'umorismo per carta topografica, e ne abbiamo preso diverse: carte catastali, carte topografiche, carte I.G.M. e anche qualche cartolina illustrata, rigorosamente con la dicitura Comune di Dorgali, in diverse scale e formati. E' proprio vero, basta visionare una qualsiasi carta per rendersi conto che l'arenile "non" ricade nel territorio di Dorgali.
Non volendo lo dimostra lo stesso simpatico topografo sostenendo che il territorio è delimitato dal fiume e qualsiasi fotografia lo dimostra. Dopo di che si può giocare con le parole e le interpretazioni all'infinito, sin anche a sostenere che "l'estuario" del rio, che periodicamente forma la bellissima laguna, originariamente curvasse verso l'entroterra per chilometri sino a sfociare oltre cala Sisine che guarda un po’ è anch'essa nel territorio di Dorgali. Sarà pur vero che Dorgali dispone di un vastissimo territorio, ma evidentemente l'occhio è sempre più grande della pancia.
Una pancia che s'è riempita anche grazie al tanto contestato ticket ed ai servizi che ne sono derivati. Lei contesta al sig. Pintore pregiudizio e parzialità ma in definitiva nel post "la guerra di Ilune" si può contestare allo stesso Pintore una sola imprecisione: di aver attribuito agli amministratori di Dorgali una buona agenzia stampa. Perchè in fondo è sufficiente anche un solo articolo come il Suo per far crollare un castello di sabbia inconsistente come la spiaggia artificiale di Cala Gonone.

Do un titolo al suo commento (che lascio anche là dove lo ha “postato”), signor “Altri punti di vista”, non perché abbia detto la parola definitiva, ma proprio perché è un altro punto di vista, diverso da quello che a me pare il frutto di un accorto martellamento mediatico. Purtroppo, quel che rimane nella mente della generalità dei sardi non sarà questo suo articolo né quello mio che lei cita. Rimarranno i richiami in prima pagina e i grandi titoli interni a dare della vicenda non una informazione ma un teorema.
In sé – la spiegazione la devo ai lettori che si stupiranno di questa insistenza – la questione di Ilune e della sua appartenenza, potrebbe apparire la solita bega fra comuni vicini. La realtà è un'altra e ha a che vedere con una certa filosofia del turismo, quella applicata dai ceti dirigenti di Dorgali (e di alcuni altri sparsi per la Sardegna) allo sviluppo della sua industria delle vacanze: non tanto coccolare e far star bene i turisti compatibili con l’ambiente a disposizione, ma dilatare l’ambiente secondo la domanda di turismo.
Dorgali ha splendidi gioielli sulle coste, da Fuile a Gonone a Cartoe. Gioielli che sopportano un certo numero di villeggianti a più o meno lunga permanenza. Quel numero e non di più. Ma sono normalmente in quantità sproporzionata rispetto alle spiagge a disposizione. Di qui la necessità di una “politica espansionista”, se ci capiamo: le nostre spiagge non bastano, cooptiamo quelle vicine. In estate, partendo da Gonone barche private e barconi riversano molte centinaia di turisti sulle cale di Baunei. Ilune (Cala Luna), certo ma anche Mariolu, Sisine, Goloritzè, per esempio.
Si comprende, così, perché gli amministratori di Dorgali abbiano visto come il fumo negli occhi la decisione di Baunei di moderare lo sbarco di gommoni e barconi con la istituzione di un contributo ambientale su tutto il suo territorio. E, moderandolo, anche di pretendere un contributo al ripristino dell’ambiente, vogliamo dire così?, turbato dall’eccessiva antropizzazione estiva. Si comprende, ma è difficile tollerare la prepotenza che sta sotto la reazione degli amministratori dorgalesi che possono contare su mezzi di informazione pregiudizialmente favorevoli.
Tanto è vero questo, che le intemerate reazioni di questi amministratori si sono scontrate con quelle di ambientalisti come Vincenzo Tiana e di amministratori provinciali ogliastrini che pure appartengono allo stesso schieramento del sindaco di Dorgali. Solo altri punti di vista, certo. Ma danno il segno che non tutto è così pacifico come gli amministratori dorgalesi, e chi sulla stampa li copre, vogliono far credere.

lunedì 1 giugno 2009

La Sardegna a Strasburgo? Possibile, a patto che...

Forse, il movimento trasversale che in questi anni ha combattuto per lo scorporo della Sardegna dalla Sicilia per le elezioni europee ha commesso un errore: quello di aver chiesto lo scorporo e basta. La mia è più che una critica, è un’autocritica per aver appoggiato la richiesta ogni volta che ho potuto. Il fatto è che, se pure il Parlamento italiano avesse creato la circoscrizione Sardegna e le avesse assegnato i due deputati parlamentari spettanti, con tutta probabilità non avremmo eletto nessuno.
Cerchiamo di capire perché. Anche per le elezioni europee vale il quorum statale che si ricava dividendo il totale dei votanti per il numero dei deputati da eleggere: 72. Poniamo che voti il sessanta per cento degli elettori italiani e cioè 33 milioni di persone: il quorum sarebbe 458 mila. Se in Sardegna votasse la stessa percentuale (il 60%) andrebbero a votare 840 mila elettori e molto difficilmente uno schieramento riuscirebbe a raggiungere il quorum, neppure da immaginare che possano raggiungerlo in due.
Il problema, quindi, non era e non è tanto quello della creazione della circoscrizione sarda. Sarebbe necessario un sistema che comunque assicuri alla Sardegna due deputati europei. Dopo di che, si aprirebbe una questione squisitamente politica. Il sistema bipolare in atto in Italia e in Sardegna premia, per definizione, i due poli e lascia poche speranze ad altri schieramenti, neanche nell’ipotesi che tutti gli altri si unissero in un solo polo. Cosa molto più che peregrina, se pensiamo solo al fatto che persino il mondo nazionalista e sardista è diviso da questioni difficilmente comprensibili a chiunque.
A che io sappia, neppure la proposta, avanzata da Giorgio Cannas su questo blog ma rilanciata in molti altri siti internet, dal mondo a cui era principalmente rivolta si è meritata qualcosa in più di un’alzata di spalle. Tutto si gioca nel campo del minoritarismo, nella speranza di potersi accreditare le astensioni o le schede nulle. Il quaranta per cento delle astensioni? E’ merito della campagna del Psd’az e di Sardigna natzione per non andare al voto. Sessanta mila schede nulle? E’ merito dell’Irs che ha invitato ad annullare il voto.
Paradossalmente, è proprio l’accorpamento della Sardegna e della Sicilia nella circoscrizione Isole a rendere possibile l’elezione di uno o due deputati sardi degli schieramenti maggiori, Pdl e Pd. Al di là dei sondaggi che assegnano due deputati al Pd e quattro al Pdl, è certo che la circoscrizione Isole sarà rappresentata in Europa da otto deputati. I siciliani, dato che sono tre volte i sardi, hanno la possibilità di eleggere tutti gli otto deputati. Ma se i sardi vogliono e riescono a concentrare le loro preferenze sui candidati con maggiori possibilità (Barracciu, Calia, Dettori) è nell’ordine delle cose che uno o due di loro superino gli ultimi dei candidati siciliani. Essi sono sei nel caso del Pd e sette nel caso del Pdl (visto che Berlusconi se pure eletto dovrà lasciare il posto al primo dei non eletti). I candidati siciliani dovranno necessariamente farsi concorrenza l’uno con l’altro per avere il maggior numero di preferenze. Quelli sardi sono o due (Pd) o uno solo (Pdl): la conflittualità interna o non esiste o è limitata a due persone che, teoricamente, potrebbero avere lo stesso numero di preferenze, dato che quelle esprimibili sono tre, e avere un resto più alto di quello del primo dei non eletti siciliano.
Gli altri schieramenti minori, a sinistra, al centro, a destra presentano in Sardegna candidati senza possibilità di riuscita, a meno di miracoli che con la politica hanno poco a che spartire. La loro è una testimonianza utile solo a raccogliere voti a favore del partito di appartenenza e alla elezione di un candidato forestiero. La testimonianza è un fatto importante ma nulla ha a che vedere con la questione che riguarda la Sardegna e la sua possibilità di essere rappresentata a Strasburgo. Serve a far superare lo sbarramento statale del quattro per cento a un partito e a consentirgli di eleggere deputati nelle circoscrizioni in cui sono più forti, non nella nostra isola. In teoria, e anche nella pratica, il voto a un candidato sardo servirà ad eleggere un pugliese o un molisano.
In Valle d’Aosta, l’autonomismo si è guadagnato il primo posto in due liste, l’una appoggiata dal centrodestra l’altra dall’Italia dei valori. Esistono serie possibilità che uno dei due candidati arrivi a rappresentare la propria terra. Naturalmente, questo posto in lista i due movimenti autonomisti l’hanno conquistato perché in Valle d’Aosta rappresentano quel “valore aggiunto” che li rende necessari alla buona riuscita del Pdl o dell’Italia dei valori. Certo, è un’altra storia quella della Vallé: il fatto è che questa storia diversa l’Unione valdostana e gli altri movimenti autonomisti hanno saputo costruirsela, sia attraverso uno Statuto il cui Titolo VI è interamente dedicato alla lingua e all’insegnamento di essa sia attraverso una radicata identità nazionale.
Purtroppo in Sardegna non esistono condizioni almeno simili e non esiste un partito o un insieme di movimenti che possano pretendere dall’uno o dall’altro schieramento un’alleanza che li veda protagonisti.
Se davvero è per i sardi questione prioritaria essere rappresentati nel Parlamento europeo, l'obiettivo è a portata di voto: basta che il centrosinistra e il centrodestra concentrino le loro preferenze sui candidati sardi. La rappresentanza nazionale sarda potrebbe essere assicurata. Certo, nessuno dei tre è in grado di rappresentare tutte le sensibilità politiche esistenti in Sardegna, ma questo è un discorso diverso e non c'entra con l'urgenza, che abbiamo sentito e sentiamo, che la Sardegna possa parlare a Strasburgo e a Bruxelles.