lunedì 31 gennaio 2011

Quel Sant'Uffizio in salsa lombarda

di Augusto Secchi

Dopo aver letto la lista dei libri proscritti da Raffaele Speranzon, Assessore alla Cultura e alle politiche giovanili della Provincia di Venezia, mi sono fatto l’idea che si possa guardare con ottimismo il futuro nostro e dei nostri figli ai quali con tanto fervore l’assessore indirizza le sue politiche educative. Soprattutto se si confronta la sua illuminata lista con l’Index Librorum Prohibitorum, redatta nel 1558 dal Sant’uffizio, o con le liste dei libri degenerati stilate durante i regimi totalitari.
Nella crociata di Speranzon, a dimostrazione che il tempo nell’evoluzione della sua materia grigia non è passato invano, non c’è nessun accenno alla proibizione della lettura di questi libri nel privato della propria casa, nel tepore di un camino o, che ne so, sdraiati in una spiaggia assolata. L’ottimismo si è trasformato in vera e propria gioia quando mi è pervenuta notizia che anche nel delirio del suo omologo regionale, Elena Donazzon, non c’era nessun biasimo alla lettura dei testi eretici in contesti privati e familiari.
E’ chiaro, tuttavia, che se i due campioni leggeranno quest’articolo potrebbero addirittura avventurarsi nella compilazione, a quattro mani, di un’appendice che possa dare a entrambi carta bianca per una vigilanza più capillare del territorio.
Per scusarmi di tanta leggerezza provo a dare qualche pratico consiglio al lettore con la speranza d’essere perdonato. Se affacciandovi alla finestra intravedete un gruppo di invasati che, armati di piede di porco e di torce incendiarie, cercano di scardinare il vostro portone cantando “Viva l’amore”, non perdete tempo: sbarrate la porta come meglio potete e cominciate a scorrere i grani del rosario. Se invece, quest’estate, vi vengono incontro alcuni energumeni che vi guardano in cagnesco con l’immancabile foulard bianco rosso e verde stretto a bandana sulla fronte, avete due alternative: ingollate senza pensarci il libro eretico o chiamate immediatamente il 118. Nel secondo caso, dopo l’ovvio comizio di protesta improvvisato sul vostro ombrellone, che verrà usato come predellino, potete continuare a leggervi in santa pace il vostro libro proscritto. Ma, mi raccomando, leggetelo con circospezione. Magari occultandolo con l’ultimo numero di Oggi. Rivista, a quel che si dice, molto apprezzata dai due assessori. Le ultime indiscrezioni, peraltro non confermate, dicono che questa preferenza sia dovuta al fatto che la rivista sia piena zeppa di figure. Ma queste sono le solite insinuazioni comuniste alle quali, il Nostro, e la Nostra, risponderanno facendo spallucce o, si capisce, acquistando gli arretrati della rivista che invieranno gratuitamente alla biblioteca di San Donà di Piave che, qualche anno fa, ha tolto dai suoi abbonamenti la rivista Micromega che faceva venire spaventose emicranie ad alcuni utenti che amano vestire di verde. Ma anche qui c’è un lato positivo che non può essere taciuto: la visione della rivista sopraccitata non ha controindicazioni. L’assenza di emicranie, ad esempio, è garantita. E questa, con i tempi cupi che corrono, non è cosa da poco.



sabato 29 gennaio 2011

Pittau vs. Alinei vs. Pittau

Questo blog si è occupato diverse volte della Teoria della continuità di Mario Alinei (le ultime il 10 ottobre di quest'anno e il 18 ottobre), una teoria che, com'è noto, si mette di traverso alle certezze di linguisti e non solo loro sull'origine delle lingue, quella sarda fra di esse. Una teoria che nei più suscita poco interesse anche per il fuoco di sbarramento sollevato, in riviste specializzate, dalla linguistica ufficiale. Il blog di Mauro Peppino Zedda ha pubblicato due articoli molto critici di Massimo Pittau il 20 gennaio ed ieri ed ospita oggi la replica di Mario Alinei. Segnalo lo stimolante dibattito.

venerdì 28 gennaio 2011

Il prof Bernardini, Sant'Imbenia e spillone nuragico di Antas

Si è discusso, e spero si continui a farlo, dello spillone di Antas, sul quale, secondo il professor Paolo Bernardini, si leggono lettere fenicie. L'archeologo, docente di Archeologia fenicio-punica e di Storia e archeologia del Vicino oriente antico, e dal 2008, ricercatore di archeologia fenicio-punica nella sede oristanese dell'Università di Sassari, ne parlò nella primavera dello scorso anno durante un convegno organizzato dal Museo civico di Senorbì. Parlò anche d'altro nella sua relazione su "Segni potenti: la scrittura nella Sardegna protostorica". E mi pare di notevole interesse leggerne un brano centrale. 

Ma torniamo in Sardegna e fermiamoci sulla costa algherese dove, tra Ia fine del IX e gli inizi dell'VIII sec. a. C., sorge e si sviluppa un importante emporio indigeno, frequentato da genti di cultura levantina e greca: Sant'Imbenia. E' questo il caso esemplare di un luogo in cui la fisionomia commerciale prevalente e la convergenza di culture di etnia diversa innescano un forte mutamento interno in cui Ia circolazione di segni scrittori assume straordinario significato.
Il sigillo di Sant'Imbenia, con scritte
fenicie secondo Bernardini, proto
sinaitiche secondo Gigi Sanna
Compaiono in questo sito i phoinikeia grammata. ma anche un sigillo di produzione locale in cui appaiono una serie di segni che sono stati in genere ritenuti privi di uno specifico significato semantico ma invece allusivi ai segni potenti, alle lettere reali che facevano bella mostra di se sui sigilli dei mercanti orientali; il suo possessore, evidentemente un “imprenditore” indigeno, aveva ben presente la forza ideologica e sociale del sigillo e questa forza reclamava per sé attraverso il controllo diretto dell'efficacia dei segni. Oggi si è pensato che il sigillo in realtà non sia una “invenzione” naive: vi si sono letti tentativamente un ayin e un heth accompagnati da una teoria di punti, forse in rapporto con registrazioni di peso o di quantità.
Vi sarebbe quindi la registrazione consapevole, in ambiente indigeno e in un contesto di attività emporica di segni in relazione a una proprietà o un'officina, forse accompagnati da determinativi di quantità. Segni più decisamente scrittori, del resto appaiono sulla pancia di un'anfora vinaria prodotta nell'emporio algherese e rinvenuta in un altro grande emporio dell'estremo Occidente: Huelva, in cui abbondante è la circolazione di materiale sardo.
Non sfuggirà il rapporto strettissimo esistente tra circolazione di segni scrittori e una determinata produzione di manufatti, le brocche ascoidi, collegate al consumo del vino da una parte, alla produzione del vino delle fertili terre sarde dall'altro (che si tratti della Nurra o dell'Oristanese); e non sarà inverosimile pensare a un rapporto logico tra commercializzazione di alcuni prodotti e dei loro contenitori ed esigenze di registrazioni relative alla proprietà, allo botteghe e alle quantità.
Allo stesso arco cronologico di Sant'lmbenia (fine del IX-inizi dell'VIII sec. a. C.) appartiene un singolare oggetto restituito dalla necropoli indigena di Antas in territorio di Fluminimaggiore: nella terra nera e carboniosa che circonda i pozzetti funebri e all'interno di alcune fossette votive, riempite di carboni e resti di ossa animali è stato rinvenuto uno spillone a capocchia articolata, di un tipo ben noto nella tradizione bronzistica locale, caratterizzato dalla presenza una serie di lettere fenicie incise sulla lama. La sottolineatura del rango dei personaggi che trovano posto nelle tombe individuali si accompagna, nel santuario di Antas, alla testimonianza eccezionale della scrittura, intesa certamente come elemento di prestigio, segno potente e magico che smuove nel profondo le corde emozionali e simboliche di una società “illetterata”: la successione delle lettere proposta dopo una prima lettura, k r(?) m k sembra fare riferimento a un nome locale, indigeno, trasposto nei phoinikeia grammata.
[...] vi è da sperare che nuovi documenti e testimonianze possano aumentare il ventaglio delle nostre conoscenze e condurre ad un sostanziale approfondimento della riflessione in questo campo di ricerca. 

giovedì 27 gennaio 2011

Che noia, questa politica italiana

Nicchia, Virginia Oldoini
Da quasi sette lustri nutro per la politica italiana lo stesso interesse che ho per quella spagnola o francese o tedesca: politiche da considerare per i riflessi che hanno nelle scelte europee coinvolgenti gli interessi della Sardegna e, nel caso di quella italiana, in quanto incide, più spesso male che bene, anche sulla vita di noi sardi. Per il resto, non mi appassiona affatto, anzi trovo noiosa e mal scritta la storia di contrapposti dossier per contrapposte trame, assai meno intrigante di altre, scritte in momenti di analoghi declini di stati.
Lo sgomento per la prorompente (e per ora presunta) attività sessuale di Berlusconi e, al contrario, la strenua difesa del suo diritto ad averla, al massimo spaventa chi vede affacciarsi, all'alba del III millennio, uno scontro fra sostenitori e avversari dello Stato etico. Intendiamoci, se davvero i magistrati dovessero provare che il presidente del Consiglio si è portato a letto una minorenne nessuna condanna potrebbe essere più meritata. Pensate, però, allo sbigottimento che avrebbero provato gli attuali censori politici di Berlusconi se avessero dubitato che Monica Lewinski potesse essere minorenne quando si intratteneva con Clinton, idolo di parte consistente dei catoni odierni. Certo non lo avrebbero indicato come leader del sognato centrosinistra mondiale. Se quella ragazza marocchina scivolò veramente fra le lenzuola dell'Orco e lo fece da minorenne, lo si condanni e non se ne parli più.
Eppure non mi pare questo sia, o lo sia ancora, il dato più rilevante della valanga di notizie che è rovesciata quotidianamente su di noi circa questa vicenda. Si insiste meno sull'aspetto penale della questione (sesso con una minorenne) e molto più sull'aspetto etico, l'andare a escort dell'anziano presidente, cosa, per altro, che egli nega di aver mai fatto. Centinaia di pagine di intercettazioni pare riguardino questo aspetto moralmente censurabile (oltre che deprimente) ma penalmente irrilevante. Né la prostituzione né la frequentazione di prostitute è reato. E, a quel che so, la legge punisce i reati non i comportamenti amorali o immorali.
Il Vaticano è nel suo diritto quando censura i comportamenti dei credenti se questi violano la legge divina. Che questa censura sia utilizzata strumentalmente da una parte del mondo laico, lo si può comprendere alla luce della piega barbara presa dalla politica. E sarebbe persino sopportabile se questo mezzo fosse giustificato da un fine ritenuto buono: la destituzione del Tiranno che non si riesce a vincere con il voto. Quel che temo è che una parte consistente della società italiana, nella politica, nella magistratura, nei media, sia attratta dalla sirena dello Stato etico. Troppe frasi, troppi ragionamenti, troppe indignazioni circolanti in questi giorni portano a temere che stiano tornando a galla le vecchie suggestioni comuniste circa la divisione dell'umanità fra i migliori, quelli che capiscono la verità perché moralmente integri, e i reietti corrotti e corruttibili, servi fin nell'anima. Un razzismo antropologico che si affaccia, per la verità più nel mondo intellettuale che in quello politico. Il quale mondo, però, in gravissima crisi di identità dipende sempre più dai suoi maitres à penser da una parte e dall'altra dal capo carismatico.
Ho sincera compassione per questa politica italiana e della sua proiezione sul popolo italiano e non ringrazierò mai abbastanza di appartenere ad un popolo diverso che vorrei immaginare lontano da quel verminaio. Non è che lo Stato a cui abbiamo dato il nome dal 1324 al 1861 sia vissuto immune da storie di commistione fra sesso e affari di stato. Nel 1859 il primo ministro sardo, Camillo Benso conte di Cavour fece scivolare fra le lenzuola dell'imperatore Napoleone III la bella e disponibile Nicchia, al secolo Virginia Oldoini contessa di Castiglione, detta anche “la vulva d'oro del Risorgimento”. Certo, la bellissima Nicchia è entrata nel Panteon delle eroine prima sarde e poi italiane, dando qualcosa di più in basso della vita per la patria. Nessuna delle fanciulle che vantano o millantano notti di passione con Berlusconi ambiscono a entrare nei libri di storia e si accontentano di quelle patinate dei rotocalchi. Chi se ne serve sta tentando di farcele entrare, loro malgrado, come definitivi colpi di maglio assestati al Tiranno. Dubito che ce la faranno. Non solo per questo, ma anche per questo trovo decisamente noiosa la politica italiana.

mercoledì 26 gennaio 2011

Ed ecco a voi lo spillone nuragico con "lettere fenicie"


I lettori più assidui di questo blog ricorderanno le notizie, date dall'amico Mauro Peppino Zedda, del ritrovamento di uno "spillone nuragico" ad Antas di cui parlò Paolo Bernardini in un convegno a Senorbì. Riporto quella che, se non ricordo male, fu la prima. Scrive Mauro Peppino il 24 aprile di quest'anno: "il titolo della bellissima relazione di Paolo Bernardini era: "Segni Potenti: la scrittura nella Sardegna Protostorica" , ieri l'ho sentito ora ho in mano l'abstract, dove inzia col dire che i primi segni scrittori che appiono in sardegna sono quelli del lineare A impressi nei lingotti ox-hide (che lui (anch'io e tanti altri sulla scia della Sandars) vede connessi con l'arrivo in sardegna degli Sherden.
Cita dunque il sigillo di Sant'imbenia, la stele di nora, altre iscrizioni fenicie , dunque alcune lettere impresse in ceramiche nuragiche e conclude con lo spillone dell'età del ferro (una "novità" appena uscita da un magazzino in cui era conservato 20 anni!!) mostra una iscrizione con segni fenici corrispondenti a K, R (?), M, K. Per Bernadini si tratta di un nome indigeno scritto con alfabeto fenicio".
Ecco, venti anni dopo di ricovero nel magazzino dove il prof. Bernardini lo ha trovato, lo spillone nuragico con scritte in "alfabeto fenicio". Ma si tratta davvero di "alfabeto fenicio"? Io non ho alcuna competenza per dire che così sia o che così non sia. Ho solo il sospetto, per altro ben alimentato, che "l'alfabeto fenicio" sia il rifugio di quanti giurano che la scrittura comincia in Sardegna con l'arrivo dei fenici. Secondo quanto ha detto l'infelice sottosegretario Giro, invitando ad un atto di fede "come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura". Le cose, come è noto, sono assai meno rassicuranti per i teologi del conosciuto.
Ci sarà pure un epigrafista, che conosca sia l'alfabeto fenicio sia quelli protosinaitico e protocananeo (che mi si dice esistono davvero), capace di confermare o smentire quanto dice il prof Bernardini? So che Gigi Sanna parlerà anche di questo spillone nel suo corso di epigrafia nuragica che comincia sabato a Oristano. Aspetteremo. Ma se nel frattempo qualche altro epigrafista volesse "leggerlo", in accordo o in disaccordo con Bernardini, ci solleverebbe dal sospetto che i latinisti vedono alfabeto latino ovunque e che i fenicisti fanno lo stesso col fenicio. Sono cosciente che anche questo appello cadrà come gli altri nel nulla. Ma lo faccio lo stesso. Non si sa mai che fra i deisti del conosciuto qualcuno cominci a provare un po' di imbarazzo e voglia provare l'ebbrezza dell'eresia.

PS - C'entra nulla con l'argomento, ma segnalo lo stesso il bello scambio di idee che sul blog di Mauro Peppino Zedda c'è fra lui, Massimo Pittau ed altri a proposito della Teoria della continuità di Mario Alinei.

martedì 25 gennaio 2011

Il cartello indipendentista e la sindrome di Stoccolma

L'assemblea del cartello elettorale in una foto del
sito Nazionalisti sardi
Il lento lavorio di Sardigna natzione per arrivare a una qualche forma di unità del mondo indipendentista è stato premiato. Ad Ittiri si sono ritrovate numerose sigle di quell'arcipelago e hanno deciso di dar vita ad un cartello elettorale che dovrebbe presentarsi sotto un unico simbolo alle prossime consultazioni. È una buona notizia non solo per quanti hanno a cuore l'indipendenza della Sardegna ma anche per quanti non ne possono più di una politica che procede per divisioni e, peggio, per scissioni. Dando così l'impressione che il chentu concas chentu berritas sia il tentativo di ricavare un berretto gallonato per ogni testa piuttosto che, come io credo, l'icona della indipendenza di pensiero dei sardi.
Ma più che la presenza di sigle quel che colpisce è l'assenza di partiti e movimenti che per ispirazione ideale e nella pratica politica si situano nell'area di quanti affermano la sovranità dell'Isola e vogliono dare a questa una forma istituzionale. Non so se queste assenze sono dovute ad un rifiuto a partecipare o al fatto che più semplicemente non sono partiti gli inviti a prender parte al processo unitario, sia pure limitato a un cartello elettorale. Constato che era presente la consigliera regionale dei Rossomori Zoncheddu che ha votato contro la mozione sardista per l'indipendenza ed erano assenti i sardisti che quella mozione hanno presentato e votato ed erano assenti gli altri deputati regionali che votarono il documento sardista. Né c'erano gli altri che, astenendosi, hanno mostrato attenzione alla questione.
La Nazione sarda è di sinistra” mi disse qualche anno fa un deputato regionale naturalmente di sinistra. Si trattava evidentemente di una captatio benevolentiae, ma una bestialità non si trasforma in cosa intelligente solo perché buone sono le intenzioni. Perché questa sciocchezza, trasformata in iniziativa politica e culturale come sembra delinearsi con il cartello indipendentista, porta a conseguenze aberranti. La nazione sarda rimane tale se a governarla è la sinistra e diventa chi sa che cosa se governata dalla destra? La Sardegna è indipendente se va sinistra e torna dipendente se va a destra? E, peggio ancora, il cartello che si delinea si propone di conquistare all'indipendenza chi oggi non è indipendentista o vuole conquistare alla sinistra chi oggi tale si sente indipendentista?
Tutta la sinistra sarda presente nel nostro Parlamento ha, con esclusione di un solo deputato del Pd ma con l'inclusione dei Rossomori, votato contro la mozione del Psd'az. La destra si è divisa: alcuni suoi deputati hanno votato a favore, una decina di loro si sono astenuti, gli altri hanno ripinguato la schiera giacobina. La scelta del “cartello elettorale” di escludere chi non è di sinistra è naturalmente legittima e rappresenta, anzi, un momento di chiarezza. In tutte le nazioni senza stato che si interrogano sul loro futuro istituzionale gli indipendentisti si schierano secondo le proprie sensibilità, di sinistra, moderate, di destra. Con il risultato, però, che a governare sono gli altri. Che succeda anche in Sardegna è normale, anche se spiace che non si comprenda come così facendo si allontana nel tempo, fino a diventare evanescente, il raggiungimento dell'obiettivo che ci si propone.
Il pre-giudizio che, per ragioni ideologiche e di schieramento, include chi, nel momento della assunzione di responsabilità, vota contro l'indipendenza ed esclude chi le vota a favore solo perché gli uni si dichiarano di sinistra e gli altri di destra ha davvero senso? O scatta ancora una volta la sindrome di Stoccolma?

lunedì 24 gennaio 2011

La storia del coccio di Mogoro secondo Marco Minoja

Immagine del frammento di Mogoro che la
Soprintendenza non si ritrova più. Ma assicura
che lo sta ricercando
Del frammento proveniente da Villanovafranca o Senorbi gli uffici competenti dispongono della fotocopia di una fotografia. Sono in corso ricerche in proposito”.
È quanto ha risposto il sottosegretario Giro alla questione posta al suo ministro, Bondi, dalla senatrice Luciana Sbarbati (“nel sito di Villanovafranca (o a Senorbi), circa trent'anni fa, fu ritrovato un coccio probabilmente risalente al XV-XIV secolo avanti Cristo, che presenta iscrizioni cuneiformi, individuate come tali da un assiriologo della fama del professor Giovanni Pettinato”) e a quella analoga sollevata dal senatore Piergiorgio Massida. Come si può facilmente immaginare, per rispondere a questioni tanto specifiche, un governante deve servirsi di informazioni ricevute da uno o più esperti di propria fiducia.
E chi più del soprintendente archeologico per le Province di Cagliari e Oristano, il dottor Minoja, avrebbe potuto aiutare il Ministero a rispondere? In effetti così è stato e le 22 parole impiegate dal sottosegretario altro non sono che un imbarazzato riassunto di un lungo documento firmato dal Dottor Marco Minoja in cui non si limita a dare informazioni sul frammento proveniente da Villanovafranca o Senorbì (in realtà, scopriremo, da Mogoro). Si abbandona a considerazioni sui cattivoni che non perdono occasione per diffamare le due Soprintendenze archeologiche della Sardegna pur di sostenere l'esistenza di una scrittura nuragica che tutti sanno non esiste.
Com'è dunque andata la questione del frammento, secondo Minoja? Fino all'estate 2010, data delle due interrogazioni, la Soprintendenza di Cagliari non aveva alcun documento o notizia relativi al coccio. È stato il racconto dell'anziano prof. Antonio Maria Costa, da tempo in pensione e malato, già ispettore onorario e già curatore del Museo Civico di Senorbì ad illuminare i funzionari della Soprintendenza. Egli fornì ad essi anche una fotocopia di una fotografia in bianco e nero del reperto. L'anziano professore in pensione e malato raccontò che intorno al 1980-1982 “sarebbe stato” incaricato verbalmente dal soprintendente Ferruccio Barrecca, scomparso nel 1986, di effettuare un sopralluogo nell'area archeologica di Puistèris (Comune di Mògoro - OR), dove erano in corso lavori lungo la 131. Nelle vicinanze della casa cantoniera dell'Anas, alle pendici della collina di Puisteris furono trovati dei reperti poi trasferiti nel Museo civico di Senorbì.
Nel 1995, in quel museo da poco inaugurato si tenne un convegno sul tema "I gioielli antichi della Sardegna. Origini, produzione e tradizione", organizzato proprio dal prof. Costa; in quell'occasione egli “avrebbe” mostrato una fotografia del reperto al prof. Giovanni Pettinato, allora docente di Assiriologia all'Università di Roma e intervenuto al convegno come studioso di orientalistica, che “avrebbe” espresso grande interesse per questo reperto, sul quale comparivano alcuni elementi impressi di forma triangolare, tali da suscitare l'idea di segni di scrittura cuneiforme.
Il soprintendente Barrecca è defunto, il prof Costa è vecchio e malato, negli uffici della Soprintendenza non c'è traccia del reperto, nel Museo di Senorbì – come la Soprintendenza ha “appurato” con una telefonata – non esistono reperti provenienti da Puisteris (ma invece dalla vicina Serra de sa Furca); l'unica sarebbe stata chiedere al professor Giovanni Pettinato. Ma, disdetta, non è stato possibile attivare un contatto diretto col professore, oggi collocato a riposo. Peccato, perché il dottor Minoja confida che sarebbe stato importante acquisire il racconto di prima mano, soprattutto in merito al suo giudizio sui segni nel reperto. Il tentativo di rintracciare l'assiriologo risale al luglio dello scorso anno, la risposta del sottosegretario è del 20 gennaio di quest'anno: non è dato sapere se la “latitanza” del prof Pettinato (che nel frattempo è stato anche in Sardegna) sia durata sei mesi o se nel frattempo sia stato possibile “attivare un contatto diretto”.
Ma niente di importante, comunque. Quel frammento – assicura il soprintendente – è pertinente senza ombra di dubbio alla facies culturale della Sardegna preistorica detta di Ozieri. Di almeno duemila anni più vecchia di quanto Pettinato ha immaginato. Certo, un esame del coccio con i moderni metodi della termoluminescenza potrebbe trasformare in un più onesto “ad occhio” il “senza ombra di dubbio” o persino creare certezze che la facies cultura di Ozieri non c'entra. Ma il coccio non c'è più e non resta che fidare nelle parole del Ministero: “Sono in corso ricerche in proposito”.

domenica 23 gennaio 2011

Usque tandem Cadreghina...

di Francu Pilloni

Dal vangelo apocrifo di Francesco Maria [preso in]Giro: “Disse Caifa: I reperti non rechino traccia di scrittura; soggiunse Anna: è ben esplicitato in tutti i testi scientifici da noi scritti sulla civiltà nuragica, che questa non ha mai conosciuto la scrittura”.

C’è qualcuno nell’isola che s’ispira ai precetti di questo vangelo, di cui si sospettava l’esistenza e da poco reso di pubblico dominio?
Gira voce che ve ne sia più d’uno, collegati dal sacro vincolo del giuramento del pane e del companatico, pronunciato in cerimonie d’iniziazione in cui ogni adepto riceve, per custodirla gelosamente, la prova del peccato originale.
Tutti questi segni, saltati fuori dal ventre della terra, non vanno distrutti in linea di principio, ma gelosamente custoditi, portati sempre con sé anche sotto la doccia, mai lasciati in giro per bacheche, cassetti, ripostigli, accessibili agli infedeli.
E se le portano con sé alle riunioni tutte le prove, ciascuno la sua, simulando a volte come nascondiglio il reggiseno, dalla parte dove l’appendice è pendula, aggiungendo in tal modo il dilettevole all’utile. C’è anche chi, puntando sulla forma concava, la sistema in guisa di chiocciola da pugilatore, lascia intendere ben altra consistenza circa i propri attributi. E se qualcuno arriva che zoppica, la colpa è della colpa originale nascosta dentro la calzatura: purtroppo per lui non gli è concesso di togliersi il sassolino dalla scarpa, ma continua ad automartirizzarsi l’incavo del piede: ora il destro, ora il sinistro, lo scambio è permesso.
A cosa tende, chiederete, tanta dedizione in un’organizzazione semiclandestina? Quali le finalità ultime?
Sbaglia chi pensa che si proponga di fare una rivoluzione, di travolgere il potere esistente e sostituirsi ad esso: questa organizzazione è già il potere, tende semplicemente a mantenere lo status quo.
Mio nonno soleva dire: “Is feminas si pesant tenendusì de accontu, ma arribbat s’ora chi si scoberrint, po chi sigat sa vida”. Le femmine crescono riguardandosi, ma arriva il momento che si aprono, perché la vita continui.
E allora: usque tandem abutere, Cadreghina, patientia nostra?
Fino a quando dunque, tu che stai seduta in cattedra, abuserai della nostra pazienza?
Quando ti aprirai per permettere anche a noi l’accesso, per far sì che la storia possa continuare?
Mio nonno, sempre lui, una volta mi disse: “ …
Scusate, ma questo mi raccomandò di tenermelo per me.

Per chi si fosse distratto (o fosse stato distratto da altro) la sera del 20 gennaio: Giro è il sottosegretario dei Beni culturali che quel giorno indossò le vesti di Caifa ed Anna per dire quelle parole sante. [zfp]

sabato 22 gennaio 2011

Ischimus in uv'est ma no it'est: appellu a sos epigrafistas - We know WHERE, but not WHAT it is: a call to epigraphists - Sappiamo dov'è, non cos'è: appello agli epigrafisti


de/by/di Stella del Mattino e della Sera

Custu documentu epigràficu, in curtzu “Su bìculu de Putzumajore”, est istadu bogadu a craru sa prima bia dae su chircadore indipendente e iscritore Leonardo Melis. In s'ùrtimu libru suo “Shardana, Jenesi degli Urim” nos at mustradu una fotogràfia, cun sa trascritzione e prima bortadura de s'iscrita fatas dae s'epigrafista Gigi Sanna. Finas a duas dies a como e siat su logu de s'agatu e siat su de su costoimentu fiat disconnotos pro sa gente. [sighi a lèghere]

This epigraphic document, shortly “The shard from Pozzomaggiore”, has been first presented by the independent researcher and writer Leonardo Melis. In his last book “ShardanaJenesi degli Urim” a photo, a transcription and a tentative translation of the document by the epigraphist Gigi Sanna, have been proposed. The whereabouts of the find where, until two days ago, undisclosed to the public. [see all]

Questo documento epigrafico, in breve “Il coccio di Pozzomaggiore”, è stato presentato per la prima volta dal ricercatore indipendente e scrittore Leonardo Melis. Nel suo ultimo libro “Shardana, Jenesi degli Urim”, ci ha proposto una foto, con trascrizione e traduzione tentativa del testo da parte dell'epigrafista Gigi Sanna. Fino a due giorni fa il luogo di ritrovamento e di conservazione del reperto non erano noti al grande pubblico. [leggi tutto]

venerdì 21 gennaio 2011

Chi ha incastrato Roger Bondi?

Non è certo la prima volta che i governanti raccontano mezze verità e spudorate bugie ai loro colleghi parlamentari che li interrogano per sapere qualcosa. L'opposizione protesta, la maggioranza ingoia e tutto finisce lì, con al massimo qualche strascico mediatico. La vicenda che vi racconto, temo, non avrà né proteste (almeno pubbliche) né abbozzamenti imbarazzati né riflessi mediatici. Perché trattasi di archeologia e di scritture antiche, domini che sono difficili da masticare e che, soprattutto, non sono richiesti nell'esame d'ammissione al Parlamento. Del resto sarebbe ingeneroso pretenderlo, visto che neppure gli addetti ai lavori, gli archeologi a busta paga presso le Soprintendenze e il Ministero che le finanzia, si interessano e, se si interessano, negano di farlo.
Tutti gli amici del blog sanno che l'anno scorso un migliaio di persone firmarono una petizione dal titolo: “Abbiamo il diritto di sapere, la Soprintendenza parli”. Due parlamentari, Luciana Sbarbati dell'Udc, e Piergiorgio Massidda del Pdl, presentarono due interrogazioni dal contenuto simile e entrambe mutuate dalla petizione popolare.
Sono passati quasi sette mesi (tempo inconsueto per le risposte del governo ai parlamentari) e ieri, finalmente, la risposta del Ministero. Non del ministro Bondi ma del suo sottosegretario Giro. L'ho pubblicata ieri sera, appena arrivato il testo, nel mio sito. Si tratta di un documento disonorevole, indegno non tanto del povero sottosegretario che si è limitato a leggere quanto gli avevano passato le Soprintendenze sarde e i funzionari ministeriali di collegamento, quanto degli autori delle informative che varrà la pena di rendere pubbliche, quando le avremo in mano. Una, intanto, c'è.
La navicella inesistente
Chi già ha letto la risposta del povero Giro, avrà, per dire, notato una risposta relativa alla barchetta nuragica di Teti. Eccola: “Per quanto riguarda la Navicella nuragica fìttile da Teti devo riferire che l'immagine trasmessa dai promotori della petizione è risultata assolutamente incomprensibile agli archeologi delle nostre Soprintendenze che, d'altra parte, non hanno alcuna notizia in merito al ritrovamento "nei pressi di Teti" di una navicella nuragica "con evidenti segni di scrittura". Se un ritrovamento è stato fatto potrebbe essere stato effettuato al di fuori delle ricerche ufficiali e da persone non autorizzate. Assicuro, a tale proposito, ogni attività utile al recupero del reperto.”
Un paio di considerazioni in merito, ma su questa bugia ritorneremo, eccome, anche per considerare se non sia finalmente venuto il momento di denunciare alla magistratura i bugiardi (sperando che solo di questo, di bugiardi, si tratti). Che semplici archeologi, non epigrafisti, non comprendano scritture che non hanno mai studiato è assolutamente normale. Ma che dalla Soprintendenza di Sassari e Nuoro arrivi al Ministero la notizia di non sapere nulla della barchetta fittile di Teti, ritrovata a S'Urbale nel 1994, ricoverata per lungo tempo nel Museo di Teti, lì vista da molta gente e lì fotografata, e ora – ci si dice – in corso di restauro a Li Punti, beh, questo supera abbondantemente il tollerabile. A meno che – come temo – davvero la barchetta fittile di Teti non esista più o abbia subito un energico trattamento di pulizia.
Ma c'è un aspetto, in questa poco commendevole vicenda, che mi intriga. Leggete che cosa scrive il povero sottosegretario verso la fine del suo componimento: “I reperti citati dai promotori non recano peraltro alcuna traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura”. Tralasciamo pure questa ultima frase che farebbe vergognare Monsieur de La Palisse (la scrittura nuragica non esiste perché non esiste). Il fatto è che quanti hanno scritto le baggianate per il sottosegretario sono tanto avviluppati nei loro ideologismi da non essersi accorti che né la petizione, né l'interrogazione di Massidda né quella di Sbarbati hanno mai parlato di “scrittura nuragica”.
Sigmund Sigmund, dove diavolo ti sei cacciato: quanto si ha bisogno di te non ti fai mai trovare.


giovedì 20 gennaio 2011

Tra imbrogli e menzogne ecco la risposta di Bondi

Il Ministero per i beni e le attività culturali ha dato oggi risposta alle interrogazioni dei senatori Massidda e Sbarbati, ricavate dalla petizione "Abbiamo diritto di sapere, la Soprintendenza parli". Ahimè hanno parlato, le due soprintendenze sarde. E hanno fornito al povero sottosegretario Giro, per la risposta, delle informazioni che vanno dalla misinformazione alla menzogna alla vaghezza imbarazzata. Il tutto avvolto in una arroganza che se fa male alla scienza, certo non fa bene al Governo che si riduce a rispondere così alle questioni poste da due senatori.
Si parlerà a lungo di questa vergogna. Per il momento, credo sia utile che siano i nostri lettori a farsi un'opinione, leggendo la risposta integrale del povero sottosegretario.

Su foghu de Sant'Antoni in Orosei


Una imàgine de su fogu de Sant'Antoni, su 16 de ghennàrgiu de ocannu in Orosei. Si nd'ais gana de lu bìere incarchende inoghe b'at unu video de 6 minutos chi lu contat. Sas imàgines sunt de Annedda Muscau.

mercoledì 19 gennaio 2011

La fatwa di Madau contro il "sardismo reazionario"

In uno psichedelico articolo per il manifestosardo, l'archeologo Marcello Madau aggiunge ad altri noti (razzisti, filo-nazisti) un nuovo epiteto per dire de disprezzo per quanti stanno fuori del Tempio della Dea Ragione: questa volta, oggetto della fatwa sono gli infetti da “sardismo reazionario”. E chi sarebbero costoro? Quanti fanno “delle sceneggiate isteriche [...] ogni qualvolta si parla di fenici, o di progetti che il nome dei fenici portano”, coloro che arrivano, “delirio che genera delirio, a negare l’esistenza [dei fenici], in un patetico ma concettualmente preoccupante ‘negazionismo’”. Insomma, chi come me non è della partita feniciomane o che trova orripilante che la feniciomania arrivi a ribattezzare in Golfo dei fenici quello di Oristano o, anche, osi rimettere in discussione il Verbo, intaschi la sua parte di scomunica e cerchi di rimediare nelle preci notturne, implorando il perdono della Dea Ragione.
Il Madau mica scherza. In una sua riflessione che apparentemente nulla c'entra con il suo articolo (dall'enigmatico titolo “S. Imbenia, i nuragici e Marchionne”), lancia un messaggio a noi vandeani. Invita i consoci adoratori deisti a “non dimenticarsi di preferire [...] il modello della rivoluzione francese rispetto a quello della rivoluzione americana. Concedendo qualcosa come la rinuncia alla guillotine, ma nulla sui diritti del lavoro e dei popoli”. Ti aspetteresti qualcosa di diverso da un giacobino sostenitore del “Ça ira ça ira”, ahilui rassegnato a rinunciare alla ghigliottina? No, evidentemente.
Eppure ci vuole una certa dose di faccia tosta, nel sostenere che i suoi padri putativi avessero rispetto dei diritti dei popoli. Chiedere, per conferma ai bretoni, agli occitani, ai baschi, ai corsi, agli alsaziani. E, avendo una macchina del tempo, chiedere ai girondini, sterminati dai giacobini perché favorevoli alla soggettività dei popoli, quello occitano in primis. O chiedere ai corsi che si sono visti respingere dal Conseil Constitutionnel il loro statuto perché osava parlare di popolo corso; o agli altri popoli della Francia con lingua propria che si son visti senza tutela della Carta europea perché, messieurs, in Francia c'è una sola lingua: il francese. Tutti figli della Rivoluzione che manda in brodo di giuggiole il Nostro.
È, però, un peccato che Madau si lasci prendere la mano dal suo sacro furore ideologico. Perché nel suo articolo sconclusionato – che parte da S. Imbenia e approda a Sergio Marchionne, sì proprio quello della Fiat, dopo aver mostrato il filo rosso che lega i fenici all'Unità d'Italia – dice cose interessanti. Come questa: “Quello dei nuragici di S. Imbenia è un rapporto con Fenici che arrivarono già con profili ‘compositi’ – ciò che spiega meglio la loro ‘multiculturalità, ma anche le loro relazioni – grazie ai segni filistei, libanesi e ciprioti, e le ceramiche euboiche: contesti così articolati noti in oriente e nel mar Egeo, a Cipro come in Siria e in Fenicia”. Insomma, mi pare di capire, che questo “sardista reazionario” neghi che i Fenici fossero un popolo. O ho capito male?

martedì 18 gennaio 2011

L'inutile invenzione della scrittura

di Stella del Mattino e della Sera
Un informatore mi segnala un inedito testo mesopotamico e la sua traduzione. Per motivi di riservatezza non posso rivelare nulla di più, se non il messaggio che ne emerge: non fosse stato per un manipolo di potenti, avremmo avuto la scrittura un paio di millenni prima del previsto. Il testo riporta un dialogo rivelatore che si svolse 7000 anni fa, durante una storica riunione rimasta finora segreta.

“Signori, vi ho convocato nella caverna delle riunioni perché il Dr. Agrrrwata vuole mostrarci i risultati dell'ultimo lavoro di ricerca del suo gruppo. Prego Dr. Agrrrwata.”
“Grazie signor Presidente. Questo è davvero un giorno speciale. Sarete i primi a vedere la nostra tecnologia rivoluzionaria, creata per registrare e preservare pensieri ed idee per un periodo indefinito di tempo, e riportarli alla mente a piacere: l´abbiamo  chiamata SCRITTURA.”
“Intende dire che avete inventato una nuova tecnica di memorizzazione?”
“No, niente affatto! Abbiamo inventato un codice per mezzo del quale ogni pensiero, parola o discorso può essere tradotto in simboli, simboli che possono venire riportati su questa tavoletta di argilla usando un apposito strumento detto stilo. Dopo una fase di apprendimento ognuno potrà guardare questi simboli e, attraverso una procedura che abbiamo chiamato LETTURA, ricostruire il pensiero o il discorso originale. I simboli che ho tracciato qui ora, per esempio, riportano le parole che lei ha appena detto. Ognuno sarà in grado di leggerli e dire ““Intende dire che avete inventato una nuova tecnica di memorizzazione?” e questo per tutti gli anni a venire. Praticamente per sempre.”
“Non male come gadget. Come funziona?”

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lunedì 17 gennaio 2011

Le morti a Quirra: una questione genetica?

Il video con l'intervista al gen. Molteni
di Augusto Secchi

La memoria non è più quella di una volta. Per ricordare le corbellerie non basta più premere sulle tempie e chiedere alle proprie figlie di abbassare il volume della televisione. Sempre più spesso, per richiamarle alla mente distratta dal contingente, è necessario collegarsi a un motore di ricerca. È quello che ho fatto e che invito a fare a chi, come me, ritiene utile tramandarle a futura memoria. Fra le tante a disposizione ho pensato bene di farmi venire un travaso di bile ripassandomi un filmato segnalato in questi giorni da molti blog.
Un filmato, che avevo del tutto rimosso, in cui il generale Fabio Molteni, comandante interforze del Salto di Quirra, dichiara che gli abitanti dei territori in cui ricade il poligono hanno l’abitudine di impalmarsi fra parenti. Non bastasse si è lasciato andare ad una richiesta che avrebbe fatto sicuramente piacere a Lombroso e al suo allievo Niceforo che, come sappiamo, era così affezionato alla Sardegna che si è preso la briga di misurare i crani dei nostri predecessori così tanto avvezzi al delitto. Siccome il metro non è più di moda il generale chiede che la sua geniale congettura venga confortata da studi genetici sulla popolazione.
Dato che c’ero ho cercato, sempre nel motore di ricerca, le dichiarazioni di indignazione dei nostri politici: di destra, di manca e di centro. Non quelle stucchevoli e opportunistiche di oggi, che si sprecano, ma quelle in replica a questa perla. Dichiarazioni che, ho pensato, ci saranno certamente state. Ma non le ho trovate. Ho riprovato digitando altre parole. Ancora niente. Ma non dispero: probabilmente dipende dalla mia poca dimestichezza con il mondo di internet.
Il motivo per cui mi sono messo a scrivere quest’articolo è solo questo: vorrei che qualcuno, che ha più memoria di me e dei motori di ricerca, mi illuminasse su qualche intervento sdegnato o un moto di stizza o, che ne so, un’alzata di schiena per scrollarsi di dosso almeno qualche briciola di quella sudditanza che tanto fa arrabbiare i nostri politici ogni volta che gliela ricordiamo. In ogni caso io attendo fiducioso perché sono sicuro che, tanta impudenza, non sarà certamente passata in cavalleria. Con la classe politica che abbiamo non c’è nemmeno da pensarlo.

domenica 16 gennaio 2011

Pro Silvio Scauro

di Francu Pilloni

Non mi è difficile riconoscere di non essere assiduo di Villa san Martino, dato che non sono un canonico prebendato dell’Archidiocesi di Arcore, e neppure canonico, ma solamente un laico senza prebende. Ciò non m’impedisce di gioire del fatto che il Presidente del Consiglio dei Ministri sia prepotentemente tornato al centro dell’attenzione mondiale, in misura adeguata al suo carisma, visto che non se ne poteva più di Bersani qualunque, di piccoli Casini, dei Tremonti di turno e dei loro compagni di sventura, con le risibili interviste, le asserzioni scontate, le vetuste stravaganti opinioni sulla storia e sulla bioetica.
Insomma, per uno Scilipoti che va, un Berlusconi che torna: non c’è partita!
A favore del Presidente voglio spendermi, non in veste di difensore d’ufficio di cui non abbisogna avendo infeudato un intero foro di avvocati, ma per testimoniare pro veritate.
Premesso che tutti dovrebbero capire come un uomo solo si senta ancora più solo in una grande casa deserta (e che l’addio della signora abbia lasciato sgombro quell’ettaro di villa è comprensibile), sappiamo pure che chi molti amici coltiva, non ha motivo di disperare.
Era il maggio odoroso, direbbe il poeta, o forse era solamente alle porte, allorché il Presidente viene preavvisato di un dono in arrivo in quel fine settimana di tedio. Lui pensa a un pacchetto, o anche a un pacco, ché di questi tempi ci si può aspettare di tutto.
“Ma che pacco d’Egitto! Te la manda lo zio, la maggiorata” sussurra il fedele Fede.
Il dono viene recapitato a mezzo limousine, il Presidente s’illumina, pettina due volte la maggiorata con lo sguardo, pelo e contropelo, le chiede:
“Shei qui per la danza del ventre?”
“Non ho i sonagli” schiva la suggestione l’insidiosa maggiorata.
“Shei qui per la danza dei sette veli?” l’incalza il Presidente.
“Non ho sette veli con me. Solo quello pendulo” s’imporpora castamente la maggiorata.
“Beh, fai quello che shai fare!” s’accontenta il Presidente.
E la maggiorata s’immagina una musica flautata, inizia a schioccare le dita, a schioccare la lingua, a muovere il basso ventre senza alcun sonaglio, senza alcun velo, senza alcuna malizia, senza reticenza alcuna: è la vecchia danza del serpente di un paradiso perduto.
Tutto qui: dove sta il fumo del reato?
I giudici rossi sottilizzano sul fatto che la maggiorata era minorenne quando già era maggiorenne.
Esistono delle riserve sui proponimenti dello zio Fede?
Si può insinuare il minimo dubbio sulla buona fede del Presidente?
A dirla tutta la verità, Lui aveva pensato a un presente dell’amico libico, che di maggiorate in divisa ne tiene una quantità industriale a portata di mano, ma quando se la vide recapitata in borghese, gli risuonò in mente “quale pacco d’Egitto!” e deviò la propria gratitudine verso l’amico Mubby.
Che a primavera fosse ancora minorenne, come si fa solamente a ipotizzarlo?
E nella concitazione, di fronte a tanta mezzaluna fertile, chi avrebbe mantenuto la freddezza necessaria per chiedere o per contare tutte le lune a quella maggiorata?
E chi non si sarebbe ingarbugliato, al momento clou, fra termini lessicali foneticamente tanto simili, quali maggiorata e maggiorenne?
Tanto più che sintomaticamente era pure maggiorente, se nipote di tanto zio, se onorata della nobile incombenza di ripristinare un prestigioso harem di un prestidigitoso Premier di un prestigicomico stato europeo.
Mancano forse, signori della corte, i precedenti illustri?
Chi dimentica il patriarca Abramo che mandò sua moglie a confortare Faraone, spacciandola per sua sorella? E se questa è la nipote, dove sta la differenza?
Può sfuggire come, sessualmente parlando, nei Paesi arabo-parlanti la maggior età delle donzelle si raggiunge in una dozzina d’anni, mentre quella civile in mezza dozzina di dozzine d’anni?
Certo che non, certo che sì.
E non si trascuri il fatto che, all’uopo, il fraterno Presidente Putin aveva messo a disposizione un intero corpo di ballo di cittadine ballerine di un metro e novanta senza tacchi, con le gambe così lunghe che Lui aveva passato in rassegna le loro mezzelune fertili a testa alta.
“È inutile – diceva mio nonno - offrire un’intera siepe di fichidindia a un tedesco, se poi non gli si mostra in cinque mosse come si consumano”. Erano tempi di guerra, coi tedeschi nelle vigne. E questi sono tempi di lotta, coi rossi nei tribunali.
Il fatto che Putin non avesse fornito un manuale d’uso, può essere ignorato e non invocato come attenuante?
Ora io qui non vorrei chiudere un processo per aprirne un altro, ma se le intercettazioni hanno un senso, o anche un nesso, e verosimilmente un sesso, mi pare che siano solamente chiacchiere di chi mormora, di chi non capisce, di chi non intuisce, di chi non sa e vorrebbe sapere. Intercettare Tizio che, proprio perché sa di essere intercettato, sproloquia per inguaiare Caio, che senso ha?
Una trappola di chiacchiere, troppo stretta per ingabbiare la magnificenza del Premier, a bande troppo larghe per trattenerne il carisma.
“Una trappola a bande rosse”, avrà pensato il Presidente, per quanto, in virtù della ponderatezza e della continenza verbale che lo distinguono, neppure sotto tortura sarà disposto ad ammetterlo pubblicamente.

Proibito parlare bretone e sputare per terra


Si deve ad un benemerito profilo su Facebook, Contro lo spot Rai 2010 sui "dialetti": vergogna, sono lingue vive!, la riesumazione di questo manifesto esposto nelle scuole francesi in Bretagna nei primi anni del '900. La cattiva coscienza parigina imputa a un gruppuscolo di estrema destra, ma la cosa è molto controversa, la ideazione del manifesto, quasi a scaricare su di esso l'estremizzazione di misure sensate adottate dalle autorità francesi. Perché di buon senso? Ma perché era necessario impedire che i bambini in Bretagna fossero frastornati dalla frammentazione del bretone in troppe varianti. A me ricorda qualcosa di familiare.

Per chi non conosce il francese, ecco il testo: "Agli alunni delle scuole. E' proibito: 1. di parlare bretone e sputare per terra; 2. di bagnarsi le dita in bocca per sfogliare le pagine dei libri e dei quaderni; 3. di introdursi nelle orecchie la punta di un portapenna o di una matita; 4. di pulire le lavagne sputandoci o leccandole direttamente con la lingua; 5. di tenere in bocca i portapenne, le matite, le monete, etc.
Volete sapere ora il perché queste proibizioni vi sono fatte? Chiedetelo ai vostri maestri che vi daranno le spiegazioni necessarie. Ricordate infine che non dovete solo obbedire personalmente a queste prescrizioni, ma che avete anche il dovere di farle conoscere a tutti.

sabato 15 gennaio 2011

Povero Norace, alle prese con i 150 anni

di Efisio Loi

“Ne dobbiamo parlare?”
Mi tormentava la “finanziaria” che mi aveva aggredito l’apparato digerente; stomaco e intestino non ne volevano sapere di rimettersi in sesto; chi sa perché questo nome? Mah! Sarà perché ricorda la “aviaria” o la legge finanziaria che si discutea in Regione e fa venire il torcibudella a tanti?
Barba per metà alla Garibaldi, per metà alla Mazzini, “lunettes” alla Cavour, era avvolto in un drappo tricolore ma non vedevo se, sul bianco, c’era lo stemma dei Savoia o, non si sa mai, i “pali di Aragona”, dal momento che con una mano sventolava i “Quattro Mori” e con l’altra lo “Albero di Arbarè”.
Al mio sguardo, afflitto per le coliche, ma fortemente meravigliato, sorrise:
“Se permetti: ‘Cunservet Deus su Re// salvet su Regnu Sardu’. Comunque, ripeto, ne dobbiamo parlare?”
“Parlare di cosa?”
Farfugliai, tanto per prendere tempo e rendermi conto di che razza di Norace si trattasse, in quella tormentata notte.
“Hai capito benissimo, dei ‘Centocinquant’Anni’, non fare il suonato.”
Io, che suonato, un pochino, lo sono per mio conto, figuratevi come stavo a tocchi in quella congiuntura influenzal-finanziaria. Avrei potuto dirgli di ripassare, ma al sogno, come al cuore, non si comanda.
“Parliamone”.
Risposi rassegnato, tanto sapevo che avrebbe parlato solo lui.
“Bene! Te ne parlerò, e stammi bene a sentire: la Sardegna, con tutta quella vicenda, non ha mai avuto nulla a che vedere.”
Avrei sobbalzato se lo stomaco me lo avesse permesso senza dar di fuori, tanto l’assunto mi sembrava bizzarro.
“Perché? La Sardegna ha avuto a che fare, secondo te, con l’Unità d’Italia e con il secolo e mezzo da che si è compiuta? Aaaah (non la finiva più con quella “a” leggermente nasalizzata)! Ho capito a cosa pensi, a Francesco Cesare Casula e alla sua ‘Dottrina dello Stato’, mai confutata, a onor del vero, da nessun accademico.

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giovedì 13 gennaio 2011

Sant'Antoni de su fogu a pro' dei turisti?

Lo slogan pubblicitario della Regione
Più piccola della scritta in italiano, quella in sardo, “Ischintziddas dae su coro”, compare nella pubblicità istituzionale della Regione di promozione dei fuochi di Sant'Antonio, nella notte fra il 16 e il 17 gennaio. Vediamo il bicchiere mezzo pieno: è la prima volta che, almeno per quanto ricordi, la Regione usa anche il sardo nelle sue pubblicità. Vediamolo mezzo vuoto: la gerarchia delle lingue, in grande l'italiano, in piccolo il sardo, equivale alla folclorizzazione di quest'ultimo e contrasta con legge che sancisce l'uguale dignità delle lingue usate.
Se a questo si aggiunge che nel comunicato dell'Assessorato del Turismo (10 gennaio) lo slogan diventa “Schintiddas dau su Coro” e che nello stesso sito dell'Assessorato “Ischintziddas” perde la “I” diventando “Schintziddas”, il bicchiere non solo è mezzo vuoto, ma si fa anche torbido. La lingua sarda non ha, per i responsabili delle due comunicazioni, una ortografia stabile, quella, per dire, che impedirebbe loro di scrivere “Quore” o, che so?, “Talia” invece di Italia. Ma, sciatterie a parte, questa campagna di promozione turistica di una tradizione popolare che affonda le sue origini in una lontana antichità ha sollevato molte polemiche fra i frequentatori dell'Internet, unico luogo mediatico, ormai, in cui si possono confrontare pareri e posizioni culturali.
C'è in alcuni un ieratico sdegno per questa campagna turistica. In qualcuno si individua un sacro furore politico dettato dal fatto che, per sua stessa definizione, questa giunta di destra non può produrre alcunché di buono. Altri sono preoccupati dalla mercificazione dell'identità che l'iniziativa dell'assessore Crisponi comporterebbe. Forse sì, forse il rischio c'è: è quello che corrono i gruppi cosiddetti “folk” che davanti alle telecamere e sui palchi approntati per trasmissioni televisive improvvisano inedite giravolte e curiose figurazioni, che sono sì spettacolari ma che poco hanno a che fare con il ballo sardo. Ed è anche quello corso dai tenores e dei cantanti a chitarra che si piegano alle esigenze degli spettacoli che pretendono canti non più lunghi di una certa quantità di minuti.
Cosicché, facendo dei fuochi di Sant'Antonio un'occasione di richiamo turistico, è possibile che i partecipanti al rito abbiano la tentazione di trasformarlo in uno spettacolo gradito ai turisti, anche a scapito della sacralità e di quel quidam identitario cui su fogu de Sant'Antoni risponde da moltissimi secoli. Il problema esiste, ma non credo si possa risolvere né creando una cintura sanitaria anti-turisti né impedendo che questa sia una occasione di crescita economica. A ben vedere, si ripropone lo stesso dilemma di cui spesso ci siamo occupati in questo blog su desiderabilità o rifiuto dell'utilizzo economico del nostro patrimonio archeologico.
L'idea solo che ci possa essere sviluppo basato sugli elementi fondanti la nostra identità manda in bestia quanti pensano che la Sardegna debba essere una terra misteriosa e indecifrabile, abitata da buoni selvaggi, adusi a campare di altrui benevolenze in cambio della conservazione di un patrimonio culturale e ambientale che appartiene allo Stato e che essi sarebbero portati a distruggere, senza chi dica loro che cosa fare. Il perché abbiano questa idea non lo conosco anche se, avendo da giovane frequentato gli scritti di autori anticolonialisti, credo di poterlo immaginare.
Sono a disposizione, invece, i loro argomenti: voler conoscere le vicende storiche e ancora peggio voler indagarle autonomamente significa indulgere in un sardo-centrismo che ha come risultato finale il razzismo e, in più, non crea lavoro, non risolve l'abbandono dei campi, la desertificazione dei centri urbani, il degrado dell'ambiente e neppure uno solo dei problemi sociali della Sardegna. Pensate che abbia inventato io queste baggianate per crearmi un avversario di comodo? Non è così, si tratta di citazioni autentiche.

mercoledì 12 gennaio 2011

Quirra e le resistibili proteste della politica

Francobollo per il 50° del
Poligono del Salto di Quirra
Chiudere il poligono di Quirra-Perdasdefogu. A mettere la questione nell'ordine delle possibilità non sono solamente i frequentatori di siti e pagine di Facebook che da tempo denunciano la morte per tumore di pastori che pascolano greggi nei dintorni della grande base militare e le mostruosità in animali. È anche l'assessore della Sanità della Regione sarda, Antonello Liori. Oggi serve la verità – ha detto – su quanto succede a Quirra, “anche a costo di chiudere la base, perché ci sono altri dati su cui riflettere”.
Purtroppo, la politica non è credibile, soprattutto in questioni di tanta rilevanza internazionale. Non lo è vista da destra né lo è vista da sinistra e le enfasi poste dall'una parte e dall'altra appaiono come voci tese a catturare consenso più che impegni affidabili. Ciascuna delle due parti ha avuto ministri della difesa ed entrambe, sulla faccenda, si sono comportate senza sentire ragioni. Nelle ultime ore di vita del governo Prodi, il sassarese Arturo Parisi del Pd decise, in contrasto con il governo Soru che se ne stette poi buono, di rafforzare il poligono e al successore La Russa dell'allora An non parve vero che fosse stata la sinistra a levargli quella castagna dal fuoco.
Adesso, immemore della politica condotta dal suo compagno di partito, il Pd sardo cavalca la protesta. Lo stesso fa il Pdl con il suo assessore della Sanità rilanciando la posta. Personalmente sono dell'idea che sia decisamente più facile portare la Sardegna dentro la comunità internazionale degli stati indipendenti che portare le basi militari fuori dalla Sardegna. Basti vedere che cosa succede nella indipendente Cuba che continua a mantenere entro i suoi confini la base statunitense di Guantanamo. Ma una cosa mi pare certa: nell'attuale situazione di dipendenza della Sardegna da scelte di politica estera e di politica militare le minacce della destra e della sinistra isolane sono assai ben resistibili.
Avevano un'occasione storica di mostrare la loro determinazione, sempre che sia verosimile, e l'hanno sprecata quando hanno votato contro l'ordine del giorno del Psd'az sull'indipendenza.
Non si trattava della Dichiarazione di Filadelfia, ma di una semplice (e anche coraggiosa) dichiarazione di intenti e assunzione di responsabilità da parte del Parlamento sardo. L'annuncio di un percorso credibile solo se unitario. Ha prevalso il giacobinismo che alligna in tutta la sinistra e in buona parte della destra sarde. Che cosa diranno questa sinistra e questa destra il giorno che lo Stato, tramite il ministro della difesa, alla richiesta di chiudere la base di Quirra-Perdasdefogu risponderà: “Manco per idea”? 

martedì 11 gennaio 2011

Ma allora è un vizio: cancellati il sardo e le altre lingue tutelate

La carta delle lingue europee di Limes
E' inutile che li cerchiate: il sardo, il valdostano, il sudtirolese e, insieme a queste, altre sette lingue storiche tutelate dalla Repubblica non esistono. La carta è di Limes, la rivista di geopolitica del gruppo L'Espresso-La Repubblica che, dopo le aspre polemiche suscitate da un immondo articolo di L'Espresso contro il friulano e il ladino, ha, bontà sua, riconosciuto queste due ultime lingue, senza per altro assegnare loro un territorio. Con la verve sarcastica che lo contraddistingue, Roberto Bolognesi, parla nel suo blog di questo ultimo insulto dei radical chic del gruppo editoriale. Non ci sarebbe altro da aggiungere, se non che nella paranoia unitarista segnata dallo slogan "uno Stato, una Nazione, una Lingua", Limes annette all'italiano anche la lingua corsa. Proprio come avrebbero voluto i fascisti corsi di A Muvra che negli anni Trenta chiedevano l'annessione della Corsica all'Italia.

lunedì 10 gennaio 2011

Millos mi', finas su bascu unu "dialetto"

Ohi ohi ohi, no lis bastaiat, a unos giornalistas italianos, de li nàrrere “dialetto” a su sardu, a su friulanu e a sas àteras limbas natzionales. Como finas s'euskera est torrada a “dialetto”. S'Adnkronos, dande oe sa noa, bella e de importu, chi Eta at decraradu s'acabu de sa gherra armada, at iscritu: “L'Eta ha annunciato un cessate il fuoco ''permanente, di carattere generale e verificabile a livello internazionale''. Con un video e un comunicato scritto in tre diverse lingue (il dialetto basco, lo spagnolo e l'inglese) pubblicati sul sito del quotidiano “Gara”, l'organizzazione separatista basca precisa di aver avviato un ''procedimento definitivo'' che porterà alla ''fine del confronto armato''.
Custu diat èssere su “dialetto” bascu: “ETAk, nazio askapenerako euskal erakunde sozialista iraultzailek, adierazpen honen bidez bere erabakiaren berri eman nahi dio Euskal Herriari”. E custa sa limba ispannola dae ue su bascu, a pàrrere de Adn, derivat: “ETA, organización socialista revolucionaria vasca de liberación nacional, desea mediante esta Declaración dar a conocer su decisión”. S'allega est sa matessi e francu carchi càmbiu de pagu importu, lu biet unu tzurpu chi euskera e ispannolu sunt pròpiu sa matesi cosa. Ohi sa conca, giai semus a puntu bonu.

domenica 9 gennaio 2011

Falsi di Allai: Crocores 6 un documento fasullo? Davvero davvero?

Questo blog si è a lungo occupato dei ciottoli iscritti ritrovati nei pressi del nuraghe Crocores un anno di secca del lago Omodeo. Sono stati chiamati i ciottoli di Allai, benché in realtà vengano da Bidonì, perché ad Allai furono identificati da Gigi Sanna come reperti etruschi. Fu sollecitato ad esaminarli dal Comune e dallo scopritore, Armando Saba, un gentiluomo appassionato di archeologia che ha pagato la sua passione prima con una denuncia al Carabinieri da parte della Soprintendenza, poi con un rapporto dei CC che lo accusavano di falso senza mezzi termini, quindi con una perizia dell'etruscologo dottor Marco Rendeli anch'esso senza alcun dubbio sulla falsità dei reperti e infine con il rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Oristano. Prudenza avrebbe consigliato l'affidamento della perizia a un epigrafista e non a un pur bravo archeologo, fanno mestieri differenti. Tant'è che Gigi Sanna, con questo articolo e con altri che ci ha promesso, smonta pezzo a pezzo la tesi del dottor Rendeli sui "falsi di Allai", una tesi, val la pena di ricordare, non solo accademica né innocentemente culturale: porterebbe un uomo in galera, se il Tribunale di Oristano dovesse prenderla per buona, senza una controperizia di chi sia esperto nella "scienza che decifra e mira a datare le epigrafi". [zfp]

di Gigi Sanna

Premessa metodologica - Margherita Guarducci, la grande studiosa epigrafista fiorentina del secolo scorso, autrice del famoso testo di 'Epigrafia Greca' in 4 volumi, così scriveva alla p. 4 in 'L'epigrafia greca dalle origini al tardo impero' (ripubblicato dall' Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2005) a proposito del 'metodo' dell'epigrafista (che fosse questi un principiante o non): “Parlando di metodo intendo, naturalmente, alludere a quel metodo sano e fecondo, unico per tutte le discipline, che si basa, come scrivevo in Epigrafia Greca (p. 26) 'sulla obiettiva considerazione del documento, sul rispetto di qualsiasi elemento ch'esso ci offre, sulla deduzione rigorosamente logica delle conseguenze dalle premesse'”.
Tra le altre raccomandazioni, dunque, si sottolineano:
a) l' obiettiva considerazione del documento.
b) il rispetto di qualsiasi elemento che esso ci offre.
c) la deduzione rigorosamente logica delle conseguenze dalle premesse.

Descrizione dell'oggetto - Il documento chiamato Crocores 6, rinvenuto dal rag. Armando Saba, cartografo e funzionario della RAS alla fine degli anni '80, in territorio di Bidonì presso il Nuraghe Crocores (quando il lago Omodeo si trovava ad essere completamente in secca), è un oggetto di pietra fluviale di forma allungata (ellissoidale) dalle misure di cm 5 in altezza e cm 1,5 in larghezza. Un oggetto dunque molto piccolo, dallo spazio scrittorio assai limitato, che fa da supporto ad una scritta composta complessivamente da 27 segni disposti su 9 linee di 3 segni ciascuna (v. figura).

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sabato 8 gennaio 2011

Anniversario n. 1 e anniversario n. 2

di Francu Pilloni

Non so se interverrò a una delle celebrazioni del 150° anniversario dalla nascita dello Stato Italiano; se qualcuno m’invita, non rifiuterò. Non so dire se l’evento di per sé fu un bene o un male; non mi accodo all’ andazzo che lo esorcizza come il Male Assoluto: mio nonno diceva “cosa fatta, forti che ferru”, un’azione portata a termine, resiste come il ferro.
Inoltre, se dal basso delle mie conoscenze, guardo alla cartina geopolitica europea del 1815, mi pare di poter arguire che le regioni italiche peninsulari, e le isole vicine, fossero uscite dal travaglio del Congresso di Vienna così frammentate, legate a doppio filo con gli Stati vincitori (e anche vinti, vedi la Corsica) che prima o poi ne avrebbero rivendicato il possesso, o almeno da quelle basi sarebbero partiti per accampare i loro diritti. E i diritti dei vincitori, com’è ben noto agli storici di professione e persino agli apprendisti, non si discutono, perché prima o poi vengono supportati da una qualche filosofia politica, come fu quella dell’espansione coloniale in Africa che contemplava lo “spazio vitale” per gli europei.
A questa logica forse sfuggiva solamente il Regno di Sardegna, ma è vero che in Casteddu de susu già si parlava francese. Da lì, nolenti o volenti gli stessi governanti, si cominciò nel 1821 per finire nel 1870, anche se lo Stato Italiano fu dichiarato tale nel 1861: parte da qui il conto degli anniversari, differenti di quelli di Roma capitale. Non ci fu una legge del Regno di Sardegna, in quel 1861, che non sia stata estesa a tutto il neonato Regno d’Italia. Per gli ex sudditi di Sua Maestà, quelli sardi in particolare, niente cambiò in questo senso, salvo sentirsi diluiti come i ceci di una pentola nel brodo più grande della marmitta Italia. Ora l’Italia non ha più il sapore dei ceci, ci pare di capire, non ostante molti ne siano stati sacrificati per fare questo minestrone.
Ecco il nostro problema di sardi, assurti nel frattempo al ruolo di cittadini, almeno nominalmente: si può tornare indietro?
È azzardato dare un sì o un non come risposta secca. Chiediamoci allora se è: lecito, legale, possibile, conveniente, condiviso.
Che sia lecito dal punto di vista morale, mi pare indubbio, così com’è legale dal punto di vista dei principi fondamentali dei popoli per i quali si prevede la possibilità di autodeterminarsi liberamente come aggregazione politica-statuale. E certamente mi sbilancio a dire che non è impossibile, ma non so quanto sia probabile per quanto io personalmente la auspichi. Credo poi, a fiuto, che sia conveniente; quanto sia condiviso, ciascuno risponda per sé.
Gli anziani-giovani che dal profondo della loro esperienza badano al sodo, si chiedono: sarà una cosa a portata di mano? Avrà un percorso pacifico?
Si rifletta su cosa pensassero quei quattro “scalmanati” che nel marzo del 1821 chiedevano non un Regno d’Italia unito, ma solamente più diritti ai sudditi di sua Maestà il re sardo.
Ecco, qui mi torna in mente lo sbarco di pochi “scalmanati” a Civitavecchia che non hanno chiesto un nuovo Regno sardo, ma solamente più attenzione e più giustizia [1].
Lo Stato ha risposto come tutti sanno: non diversamente da come fece la polizia del regno sardo. E ciò indirizza in parte la previsione di una risposta all’ultima domanda.
Ci si potrebbe chiedere: ma sta scherzando? C’è da sorridere al paragone di un Floris col Mazzini?
Bene, intanto Felice Floris ha dalla sua una barba scura e ispida, meglio del genovese; in più ha dimostrato di avere gli attributi al posto giusto e un cervello lucido nei momenti di crisi.
E poi, Cosa fatta, forti che ferru.
Come Tommaso, per credere si può scegliere di vedere e toccare prima con mano; ma quando vedo il fico schiudere le gemme, capisco che l’estate è vicina.
In questo senso, il nostro Floris è proprio fico!
E non lo dico solamente per ridere.
[1[ Civitavecchia, 28 dicembre 2010: segnatelo nel vecchio calendario. Da qui partirà il conteggio degli anniversari per il futuro RE.SA.R.P.E (Regno Sardo con Re Pastore Eletto).

A proposito della logica dei vincitori, chi ne ha voglia e possibilità, si legga sulla Nuova Sardegna di oggi, pagina 9, un commento di Vittorio Emiliani titolato "Quel simbolo minacciato dalla ignoranza militante". L'ignoranza, va da sé, è quella di quanti non esultano per il tricolore italiano. Quello nato il 7 gennaio 1797 a Reggio Emilia come stendardo della napoleonica Repubblica cisalpina morta "il 26 gennaio 1802 per far nascere un nuovo Stato napoleonico chiamato, come quello di oggi, Repubblica italiana, che cambiò il titolo e il nome in Regno d'Italia il 18 marzo 1805 con sorprendente coincidenza onomastica con quello del 1861. Però, dopo essersi annesso il Veneto nel 1805, le Marche nel 1807 e il Trentino nel 1809, anche questo Stato ebbe termine in seguito al trattato di Parigi del 30 marzo 1814, e, con esso, il suo tricolore" (Francesco Cesare Casula, Italia Il grande inganno, pag 137). Come si vede, ha ragione Francu Pilloni: i diritti dei vincitori prima o poi vengono supportati da una qualche filosofia politica. E poco importa che sia fondata su falsificazioni della storia. [zfp]