mercoledì 24 agosto 2011

Juanne Franziscu

di Mikkelj Tzoroddu

La vita, quasi fosse una gara (solitamente legata al nostro privato più segreto) che siamo costretti a vincere per assaporarne fino l’intima stilla, rende talvolta manifesto il nostro personale agone, senza chiedercene il permesso.
Ma, dall’esterno (certo la parte meno sensibile, come il sottoscritto) tal cosa non è immediatamente percepita come una grande gara. A volte la si visualizza come semplice passaggio d’un guado. La connotazione del “superamento del guado” (estivo), ovvero della necessità di incorrere in quella bisogna, viene con molta riservatezza comunicato dall’atleta ai suoi amici, certo per non preoccuparli, ma soprattutto perché di passaggio privato trattasi. Pertanto, egli tende a minimizzare i pericoli insiti in questo specifico superamento del guado, verso coloro che sono all’esterno del suo intimo personale vivere, ma (forse) anche verso se stesso, perché importante è vivere in proiezione positiva.
Essendo, quindi, ormai a tutti chiaro essere di fronte ad una importantissima competizione, come accade nel seguire qualsiasi gara, si forma una sempre più folta schiera di tifosi, prima muta, ma che poi inneggia, sollecita, sospinge con incitamenti, incoraggia con parole dolci, ma severe, esplode in un grido di soddisfazione per il raggiungimento di una meta intermedia, inneggia a gran voce il nome dell’Amico in gara, lo rincuora e lo tira su quando cade, corre insieme a lui, lo tocca per fargli sentire la sua vicinanza, gli porge un frutto per rinfrancargli le membra, gli dà un grido nell’orecchio per farlo sentire più forte, lo vede che va ben oltre la metà del guado, con lo sguardo e con le grida lo sospinge ed alfine lo vede correre libero al di là del guado, nel più pieno possesso delle sue ristorate forze.

Eja, Franziscu, gai d’ido e gai d’idene tottu sos amicos ki d’ana a iscrier como.
Torra coittande, ca custu blog nos serbiti, at a essere su tuo, ma serbiti a nois, non bi lu iskias?

domenica 7 agosto 2011

Ma quale flottiglia, era solo una flottina!

di Stella del Mattino e della Sera

L’ armatore nuragomane Sextus Nipius è ridotto ai minimi termini. La navicella era solo una. Ancora una volta ho risolto un mistero.  E segnato due puntini. Lilliu, Sculture della Sardegna Nuragica. Nr. 276. Una scritta in latino sul fianco, una scritta in latino sul fondo. Tramandata di generazione in generazione, in una famiglia, fino a divenire proprietà di un ricco signore provinciale, in età romana. Come giustamente suggerito dal Patroni nel 1904 e dal Pais nel 1910. Che in questo modo si resta al passo coi tempi.  

martedì 2 agosto 2011

Amici e nemici

di Francu Pilloni

I miei nemici sono i miei amici.
Buttata giù così, questa dichiarazione sembra fatta per banalizzare il messaggio evangelico, ma il significato resta sibillino. Voglio affermare, fuori dagli equivoci, che gli amici che ho sono i miei unici nemici. Non lo sostengo perché infermo di mente o uso ad andare contro corrente, per fare del sensazionalismo a buon mercato e senza senso, per amore di contraddizione o di giochi di parole. Lo dico perché lo penso e lo penso perché a questa conclusione sono pervenuto mediante un lungo, non sempre lucido, ma pacato ragionamento. Eccolo.
Andiamo con ordine: sono partito dalla constatazione realistica, se non proprio cinica, secondo la quale è invalsa la prassi di misurare il valore di un uomo dal numero dei suoi nemici. Non so, non ricordo, se la formulazione dell’assioma sia antico o recente, né conosco il nome di chi l’ha formulato per primo, non ho intenzione di addossarla al solito Andreotti, anche se affiorano incontestabili affinità elettive.
Esiste comunque un riscontro positivo verso il parametro di giudizio innanzi espresso da parte di chi vive una vita sociale, lavorativa o politica, e i casi concreti, tratti dalla cronaca o dalla storia, o ancora più semplicemente dalla personale esperienza di ciascuno, ben amplificati nei toni, nei tempi e nei modi, costituiscono dei binari paradigmatici su cui far correre il treno delle proprie presunzioni. Detta più alla buona, la faccenda si presenta come una sfida in cui si contano i nemici propri o di qualcun altro, ma più spesso i propri, veri o presunti, come se ad ogni nemico corrisponda un punteggio da sommare in un’immaginaria classifica di un campionato di calci e pugni, perlopiù simbolici ma non meno dolorosi. Più grosso il nemico, quanto più subdolo e potente, tanto più rilevante è il punteggio che ci si annette, indipendentemente, a volte, che la relativa partita sia stata vinta o persa.
È così prepotente la smania di contare e sommare i propri nemici che spesso qualcuno se li inventa. Per stare nel concreto e nel mondo piccolo di questo blog o nei suoi dintorni, non abbiamo sperimentato come un qualsiasi “signor nessuno” assurgesse prepotentemente alla ribalta solamente perché ha inteso crearsi dei nemici con le sue inverecondie? E quanti hanno eretto a simbolo della loro rivalità un Sergio Frau o un Gigi Sanna, giusto per restare agli argomenti che qui più si discutono, solo per fare punteggio contando sulla grandezza dei loro avversari?
Seguendo questa logica, a chi non piacerebbe avere per nemico un Obama, tanto per fare un nome, o lo stesso Berlusconi? Oppure, uscendo dal campo della politica e svariando nell’arte, nel sociale e nello sport, a chi non piacerebbe bisticciarsi con Umberto Eco o con Eugenio Scalfari, col proprio arcivescovo o con la Federica Pellegrini? Si pensi alla grandezza di questi nemici, al punteggio acquisito, all’importanza che si assumerebbe di fronte ai conoscenti e al mondo intiero! Quanta e più che se li si considerasse propri amici.
Evenienza che a me è preclusa perché, se è vero che io conosco tutti questi personaggi per il nome, per la faccia e per quanto hanno detto e fatto e ancora fanno, è altresì veritiero che nessuno di essi conosce me, né di nome, né di fatto. Posso dunque essere io il nemico misterioso, l’incubo notturno per qualcuno di loro? Ragionevolmente direi proprio di no e lo spero con tutto il cuore perché io sono un uomo senza nemici. E se sono senza nemici, piccoli o grandi che siano, ho zero punti in classifica e non conto proprio niente. Me ne dovrei dolere e forse qualche volta me ne sono rammaricato. Ma è acqua passata e passata da tanto.
Non sono però così fuori dal mondo per non capire che avere nemici, competitors dice Obama, è un grosso stimolo a far bene, a non sbagliare, a migliorarsi. Pungoli tutti che evidentemente a me mancano. In compenso ho degli amici: non sono tanti, non sono legati a ciò che faccio o a ciò che dico, sono soprattutto persone legate da una simpatia istintiva, che mi accettano così come sono, con tutti i miei limiti. Questa situazione, che pure mi sono creato e che accetto, rappresenta per me nessuna delle possibili motivazioni che mi spingano a migliorarmi, a far meglio le poche cose che riesco a fare più o meno decentemente, dato che, qualsiasi intrapresa porti a termine o lasci a mezza strada, sono sicuro che i miei pochi amici non ritireranno la loro amicizia, di cui vado fiero.
E questo, a ben vedere, non è un bene per me.
Se ora asserisco nuovamente che i miei amici sono, in concreto, i miei nemici, gli unici che ho, sbaglio di molto?
Qualcuno, a questo punto, potrebbe scuotere la testa per darmi ragione, ma non s’illuda che stia facendo il mio bene: mi contraddica invece e si erga a mio nemico e rivale, perché ne ho proprio bisogno: ho ancora zero in classifica.