venerdì 4 maggio 2012

Demagoghi no, ma imprudenti certo sì


Per quel che li conosco, i promotori del referendum di domenica non sono dei demagoghi coscienti, non sono, insomma, di quei politici che mirano ad ottenere il consenso popolare, fingendo di condividere i malumori e le pulsioni irragionevoli di una maggioranza. Non sono di quelli, per quanto ne so, che promettono risposte positive anche se insensate. E penso che demagogica non sia la determinazione con cui conducono una battaglia sbagliata su due questioni molto popolari: l’abolizione delle province e il castigo della casta.

Molto di sarebbe da discutere sul come e sul perché le due questioni siano tanto popolari. C’è una ragione in sé, naturalmente, e c’è una ragione indotta dal battage che i professionisti dell’anti-casta hanno fatto, fino a sconfinare nel populismo e, appunto nella demagogia. Non mi ci addentrerò. Sulla questione della abolizione delle province, a quel che ho scritto ieri, vorrei riferire una frase che a me pare illuminante, scritta da due economisti (Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, quest’ultimo nominato consulente del governo Monti): “Nemmeno la loro eliminazione produrrebbe effetti macroeconomici forti”. Non è  - oso tradurre – uno di quei provvedimenti che risolvono i problemi: ha un significato etico al pari di altri provvedimenti senza “effetti macroeconomici” come – citano gli stessi economisti – la cancellazione di voli di stato, la limitazione dell’uso di servizio, la rinuncia al compenso da parte di alcuni ministri. Tutte cose eticamente apprezzabili e, credo, apprezzate.
Ma val la pena chiamare i sardi alle urne per ottenere un risultato niente affatto risolutore della crisi economica e con due effetti deleteri? Il primo è la mortificazione della autonomia provinciale, il secondo il licenziamento di molte centinaia di dipendenti o la loro riconversione lavorativa senza, dunque, alcun risparmio. Che cosa c’entra la lotta contro la casta con tutto questo? Si vogliono mandare a casa assessori e presidenti provinciali? Basterebbe adottare un provvedimento simile a quello che vigerà in Italia: niente più giunte e elezioni di secondo grado dei consiglieri provinciali da parte di quelli dei comuni.
Peggio si va, considerando il quesito sulla diminuzione dei deputati regionali da ottanta a cinquanta e l’aumento dei voti necessari alla elezione di un consigliere regionale 17.000 a 28.000, salvo sbarramenti. Questo significa che partiti e movimenti senza risorse finanziarie non potranno mai essere rappresentati nel Parlamento sardo. Questa non sarebbe la vittoria dell’antipolitica o anche solo della critica alla politica: significherebbe semplicemente che i partiti più grandi, quelli che possono mobilitare risorse economiche e finanziarie, non avranno concorrenti.
Si possono naturalmente votare altri referendum non sospettabili di appiattimento sul populismo e la demagogia: quello sull’Assemblea costituente per la scrittura del nuovo Statuto e quello per la diminuzione non dei consiglieri ma dei loro emolumenti. Quel che temo è che andando a votarli, si rende possibile il raggiungimento del quorum anche degli altri referendum. E non sarebbe una cosa buona.

4 commenti:

Adriano ha detto...

Non condivido queste opinioni, il fatto stesso di limitare proprio i partiti di cui ci si lamenta in Regione, dalle province, sarebbe già un passo avanti. In merito ai costi bisognerebbe considerare infatti anche quelli relativi alle tornate elettorali che li riguardano (con tutto ciò che si trascina sotto il profilo politico-clientelare). Le competenze possono essere trasferite, non è necessario che l'eventuale esistenza di un ente intermedio debba essere rappresentata dall'attuale modello istituzionale. Il solo fatto di bloccare un certo balletto ad ogni legislatura sarebbe già un segnale importante. Non si tratta quindi solo di una questione di costi come sostiene il populismo e l'antipolitica (o il qualunquismo). - In merito al quesito sulla riduzione a 50 dei consiglieri regionali, continuo a ritenere relativo il problema, che passi il si o il no la democrazia non dipenderà certo dal numero di seggiole ma dalla legge elettorale che amministra tali seggiole. Un conto è il proporzionale, altro conto il maggioritario. E signori come Mussolini ben sapevano che avere anche 1000 deputati non significava farci sedere mille partiti e minoranze... E c'è sempre l'esempio di Malta, 400.000 abitanti per 65 deputati. Ma questi amministrano anche Esteri e Difesa, assieme a parecchie altre competenze. Poteri che certamente oggi non riguardano il Consiglio Regionale Sardo.
Voterò 10 SI, certamente le cose non cambieranno dall'oggi al domani. Ma, se per ipotesi servissero 5 anni per una legislatura regionale riformista, senza la volontà popolare che il referendum ci offre, la politica sarebbe capace di farli diventare 20..

Adriano Bomboi



Bomboi Adriano

zuannefrantziscu ha detto...

Ho letto sul vostro sito qual è la tua posizione. Ma, come tu non condividi così io dissento, pur sapendo benissimo che a spingerti non è populismo né qualunquismo. Anche tu, però, giri intorno ad epifenomeni (costo delle elezioni, clientelismo, etc). Tutto l'esercizio della democrazia costa, apre le porte al clientelismo, etc.

Adriano ha detto...

Certamente la democrazia costa, ad esempio io sono contrario all'eliminazione completa dei rimborsi elettorali, che andrebbero solo dimunuiti e regolamentati sulla base della trasparenza. O si creerebbero corruttele maggiori nel tentativo di recuperare fondi. Sui 50 consiglieri, io credo che con una buona legge elettorale ci sarebbe spazio per tutti (proprio in considerazione del fatto che oggi il Consiglio Regionale non ha determinati poteri sovrani da esercitare, eccetto quelli presenti). Poi se gli indipendentisti hanno problemi, penso che dovrebbero dare priorità al contenimento della loro frammentazione piuttosto che al numero dei potenziali palchi di protagonismo da conquistare: li chiamo palchi non per sminuire il valore democratico di un assemblea elettiva, ma perché buona parte degli indipendentisti oggi non ha una chiara posizione di governo, neppure sotto il profilo culturale e dei diritti (il discorso linguistico ad esempio). Il discorso clientelare invece lo ritengo molto importante, anche tu stai nella provincia di Nuoro e penso sarai ben a conoscenza sul come venga gestita questa istituzione (e non solo questa). Non è detto che ridurre la presenza dei partiti nel territorio rimuovendo questa tipologia di ente intermedio corrisponda ad una riduzione della democrazia e delle competenze amministrative esercitate fin'ora. Dipenderà dal riassetto degli enti locali e dalla redistribuzione delle funzioni nel territorio.

Della Murgia mi ha preoccupato la sua posizione astensionista. E molti non hanno capito che non ho criticato il diritto all'astensione in se, ma le modalità con le quali è stata giustificata l'astensione. Perché un conto è non essere d'accordo nel merito di un referendum coi suoi contenuti, altro conto è dire "che tanto non cambierà nulla". In più ha confuso i promotori con le proposte. Puro qualunquismo da parte sua e molto pericoloso, specie se lanciato da un nome noto in una terra dove ormai l'astensionismo ha raggiunto livelli record. Ma che l'indipendentismo non intercetta per vari motivi.

Adriano Bomboi

p.atzori ha detto...

se vince il si per i 50 consiglieri regionali, ci sarà un motio in più per non andare in ordine sparso alle elezioni.