domenica 8 giugno 2008

Le scritte nuragiche, tecnicamente parlando...








Trascrizione della scritta e il nuraghe di cui si parla in questo articolo.

di Gigi Sanna

Avevo detto che l’ubicazione della scritta nuragica che sta sull’architrave del nuraghe, con l’indovinello di “l’astrologo nel pozzo”, non l’avrei svelata e non la svelerò. Mi sono “offeso”, se permettete, perché nessuno ha partecipato al concorso per aggiudicarsi il primo biglietto per visionare e ammirare il documento. Lo farò solo se il responsabile della Sovrintendenza ammetterà che si tratta di qualcosa di “straordinario” o, perlomeno, di “interessante” e mi chiederà, ma “ufficialmente”, di dire dove si trova e quando l’ho scoperta. Anzi l’abbiamo scoperta, perché eravamo in tre. Tutti notoriamente non falsari, altrimenti per chi solo sospetterà e metterà la lingua biforcuta ancora e anche qui, giudicherà il tribunale.
Poiché non mi posso portare a casa un masso di qualche tonnellata senza far crollare definitivamente il nuraghe, avverto che è inutile che qualche funzionario “manu militari” la cerchi da me o da qualche sindaco amico al quale l’avrei consegnata. Questo non vuol dire che nel frattempo non ne possa offrire una trascrizione fedelissima, che ora offro come ennesimo contributo per una discussione avviata da tempo ma che ora, solo ora, diventa, con il confronto serrato, davvero interessante.
Ora, poiché qui il detto confronto verte sull’epigrafia (ma sarebbe bene dire più correttamente sulla paleografia) vorrei dire che non bisogna amareggiarsi e prendersela eccessivamente con chi, pur affermando di non essere un epigrafista, parla da epigrafista e da paleografo e dà addirittura saggi del mestiere. Anzi bisogna, in qualche modo, ringraziarlo perché così ognuno può rendersi conto di come si trattano i documenti che man mano si scoprono e perché l'epigrafia nuragica - chiamiamola così - non fa neppure un passino, almeno in certi ambienti. Anzi si comprende bene perchè con certi disinvolti (a dir poco) comportamenti di taluni si incoraggiano nei Forum il pressappochismo e la licenza di spararle grosse senza un minimo di controllo critico e autocritico. I piccoli imitano, si sa, o scimmiottano i più grandi.
Ho parlato, in una mia precedente, del “rispetto” umano (di passaggio: cosa c'entra Massimo Pittau , inserito di straforo e velenosamente trattato da “dilettante”? Che cosa c'entrano le “ruggini” personali? Non ho forse implorato di bandirle?). Ora, purtroppo, devo parlare del rispetto per il documento. Quel rispetto che invocava e prescriveva per i suoi allievi la grande Margherita Guarducci, mica il dichiarato “popolano” Pilloni. Perché è davvero biasimevole andare così, sperando che la forza delle narici, come è stato detto, funzioni più delle facoltà raziocinanti.
A chi parla di epigrafia ponendo lettere “somiglianti” alle latine vorrei umilmente, da non specialista (controllato però sempre, e strettamente, da specialisti), che se io scrivessi putacaso in protocananeo Aba Nonnis oppure Lello Mattana (mettendo anche le vocali) qualcuno scoprirebbe che scrivere nel 2008 e scrivere con scrittura lineare nel XV secolo a.C. è, per non pochi grafemi, la stessa cosa. Per convincersene basta solo provare, usando noti repertori (del Cross,del Naveh, del Garbini, ecc.), se proprio non si vuole credere a quelli “sardi” del sottoscritto. E sempre per il suddetto rispetto, bisogna considerare che i documenti nuragici costituisco tutti un'unità di scrittura collocabile in un certo arco di tempo e in un certo spazio e nessuno di essi va trattato separatamente, pena l'impossibilità di capirci qualcosa. Perché parlando disinvoltamente di farfalle si va così davvero… “a farfalle”.
Ma è per capire ancora di più la grandezza della posta in gioco che mando la trascrizione del documento, preziosissimo (fatelo vedere a Maria Giulia Amadasi, che fra poco sarà in Sardegna). Infatti esso costituisce, a mio parere, nella serie dei documenti nuragici sinora scoperti, un interessante e determinante punto di raccordo tra il protocananeo e il fenicio arcaico della stele di Nora. Anzi illumina il “significato” non solo formale ma anche contenutistico di questa, affiancandosi al piccolo frammento di stele (sempre di Nora) ripescato e studiato dal Cross e giustamente collocato nel XI secolo a.C.
Quest'umile non “specialista” (ma che capisce quanta fatica si faccia a conquistarsi le medaglie sul campo!), fa presente che il “lamed” iniziale (da non credere!), i due “mem” a cinque tratti ben marcati, lo “he” con la barretta obliqua orientata a sinistra e non a destra, sono tutti segnali, incontestabili, di notevole arcaicità. E la lettera beth, il cui occhiello viene sfruttato anche come bulbo o radice dell'albero, non suggerisce niente? Non ci porta diritti diritti all'alberello di Perdus Pes (Perdu Pes sì, perché per “afferrarlo” bisogna saper leggere il documento e capire da dove “precisamente” proviene). E l'esimio epigrafista non epigrafista delle lettere “latine”, che non vede neppure la macroscopica cosiddetta Tanit (edicolata) di Pitzinnu e glissa sui serpentelli e che non osserva il supporto con la coppella ellissoidale superiore dell'altare che obbliga ad una e a una sola lettura, non sa davvero neanche cosa significa l'alberello?
Non sa proprio che è la lettera protosinaitica “kaph”? Non sa che è la lettera “sacra” per eccellenza di una certa divinità e di una certa scrittura a lei organica? Cosa dirà ora quando la vedrà di nuovo? Forse si lascerà scappare che sono “cose incredibili”. Sì, davvero incredibili, ma sono lì davanti a noi, bellissime, pur con tutta la loro scostante dose di incredibilità! Ma questa è la “scienza”: basta leggersi bene Kühn e Popper e la storia dei cigni neri. Qualche sabato o la domenica, senza impedimenti di scartoffie (o anche di grandi saggi), i filosofi della scienza possono offrire delle letture davvero illuminanti.

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