Io avrei votato come la maggioranza degli irlandesi, no al Trattato di Lisbona, anche se con motivi opposti ai loro. Gli irlandesi lo hanno fatto, sostanzialmente, per la paura che l'Europa che ne sarebbe risultata mortificasse il loro Stato-nazione; io per cercare di combattere un'idea di Europa proprietà degli stati-nazione. Essi non vogliono un'Europa federale, io la vorrei. Vorrei, cioè, un'Europa in cui tutti i popoli-nazione, anche quelli, come il sardo, che non hanno un proprio stato, abbiano la stessa dignità di quelli che si sono costituiti in stato.
IL TRATTATO DI LISBONA, al pari di quello per la Costituzione europea bocciato da francesi e olandesi (anche in quel caso per motivazioni simili a quelle irlandesi) è fondato sul non riconoscimento delle nazioni senza stato e della loro identità. In particolare sul disconoscimento della lingua, fondamento, si sa, dell'essere una nazione. Le lingue europee, nel Trattato di Lisbona (come nella fallita Costituzione europea), sono solo quelle degli stati, ufficiali non perché diffuse, colte, parlate da grandi comunità, ma solo ed esclusivamente perché lingue di stato.
Così è lingua ufficiale europea il maltese, parlato da 400 mila persone, ma non il sardo, seconda lingua più diffusa nella Repubblica italiana, non il catalano, parlato da sei milioni di persone. Esser riconosciuta lingua ufficiale non è una coccarda da mettersi sulla giacca: è una opportunità economica e politica che è concessa solo in virtù di ottocenteschi parametri statalisti.
IL FIGLIO DI UN maltese, tanto per dirne una, può aspirare a diventare traduttore simultaneo o interprete europeo da e nella propria lingua. Mio figlio, di lingua madre sarda, laureando in lingue europee ed extraeuropee, no. Se lo vuol fare deve passare attraverso l'italiano. Uno dei cardini del Trattato è che "L'Unione si fonda sui valori del rispetto ... dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze". Ma non contempla, fra le discriminazioni messe al bando, quella fondata sulla lingua parlata. Afferma che l'Unione rispetta "la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica", ma si tratta di una "diversità" di lingue ufficiali: il cittadino europeo ha "il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione in una delle lingue dei trattati e di ricevere una risposta nella stessa lingua". Solo, dunque, in una lingua ufficiale. Uno dei quattrocento mila maltesi sì, uno dei sei milioni di catalani no.
IL NO IRLANDESE, naturalmente, non tiene conto di questi aspetti gravissimi, se non altro per il fatto che anche la piccola Irlanda, al pari di Malta, ha una lingua riconosciuta fra quelle ufficiali. Ma, al di là dei motivi del no, il risultato è che i popoli-nazione senza stato, e in quanto tali discriminati, hanno più tempo per farsi valere. Non sarebbe male se il Parlamento sardo, incredibilmente assente nel dibattito europeo, quasi che i sardi non avessero interessi culturali e linguistici da difendere, si desse una mossa.
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