D. In tutti questi viaggi, pur non essendo gite culturali, gli shardana avranno conosciuto popoli che usavano la scrittura. Possibile che non si siano incuriositi nel "nuovo" mezzo e non lo abbiano introdotto nella loro società?
L’uso della scrittura nell’antichità è funzionale al modello politico. Non tutti scrivevano e non tutti potevano usare la scrittura. La scrittura nell’età del Bronzo è limitata alle regioni dei grandi imperi e dei grandi regni, comprese tra la Mesopotamia, il Medio Oriente, l’Egitto, l’Anatolia e l’Egeo, cioè alle regioni governate da re che avevano un ampio territorio alle loro dipendenze. Solo i potenti della terra potevano farne uso per ragioni di prestigio, cioè per far conoscere le loro gesta e per invocare gli Dei, ma soprattutto per registrare i loro beni negli archivi, per finalità commerciali e per esigenze epistolari tra gli stessi re, principi e generali.
I popoli dell’occidente Mediterraneo cominciano a impiegare la scrittura solo agli inizi del I ferro cioè nel IX-VIII secolo. La cognizione dei segni di scrittura vi giunse però almeno sin dalla prima metà del XX secolo (bronzo antico), come evidenziano i segni sulle ceramiche eoliane studiate dal Bernabò Brea, mentre in Sardegna è documentata almeno a partire dal Tardo bronzo con i segni sui lingotti di rame di matrice egea. Per l’uso della scrittura però non basta la conoscenza, occorre la convenienza e la necessità.
È istruttivo, al riguardo, ciò che avvenne per i Cartaginesi con le emissioni monetarie. Nel V secolo, essi continuavano a usare pesi di rame e argento per pagare i soldati, mentre la gran parte delle città greche ricorrevano alle più agili ma anche più leggere (dunque sostanzialmente meno apprezzate) monete in argento e bronzo Come mai? Perché essi controllavano il mercato del rame e dell’argento e potevano agevolmente avere il sostegno dei soldati mercenari offrendo ad essi un valore effettivo in metallo superiore a quello delle monete. Quando nel IV secolo anche per Cartagine giunsero i momenti della crisi economica, allora la città africana fu obbligata anch’essa a ricorrere alla monetazione.
È verosimile, dunque, che durante l’età del Bronzo i Sardi, esattamente come gli Shardana, non impiegassero la scrittura. Infatti, non sono giunti a noi documenti epistolari degli Shardana né con l’Egitto, né con altri popoli. Ciò non esclude, peraltro che i Sardi possano aver utilizzato singoli segni di scrittura (acquisiti presso i popoli con i quali ebbero i più stretti contatti) per siglare i loro lingotti metallici, in rame e piombo. Questi segni hanno un valore ponderale o di contrassegno del produttore o del committente di tali manufatti.
D. Lei sa che, soprattutto in questi ultimi periodi, qua e là per la Sardegna si sono trovate tracce consistenti di scrittura. Che idea se ne è fatta?
I lingotti in rame che circolano in Sardegna mostrano segni attestati nei sistemi di scrittura minoica, micenea e cipro-minoica. Dunque, per l’ipotetica introduzione della scrittura nella nostra isola nell’età del Bronzo bisognerebbe guardare innanzitutto all’orizzonte geografico e culturale egeo. Al momento non esistono documenti archeologici che dimostrino chiaramente, per l’età del Bronzo, l’impiego nell’isola di un qualsiasi sistema di scrittura, neppure di matrice egea.
Diversamente è anomalo il fatto che intono al VI secolo la Sardegna risulti una delle pochissime regioni dell’Occidente che non usa un qualsiasi sistema di scrittura. Invero, nel primo Ferro in Sardegna è documentata la presenza di marchi di origine alfabetica non solo nei lingotti di piombo ma anche nei recipienti in ceramica (es. a Monte Olladiri di Monastir) e ciò induce a essere ottimisti circa l’introduzione di un sistema di scrittura nell’isola tra il IX e il secolo VIII, dopo l’avvento dei Fenici sulle coste, i movimenti coloniali greci nel Tirreno e, soprattutto, l’avvio delle aristocrazie isolane che presuppongono l’ampliamento dell’utenza commerciale e l’insorgenza di nuove leadership, per le quali la scrittura poteva essere non solo uno status symbol, ma anche un’esigenza di natura economica.
È implicito, per concludere, che le recenti segnalazioni di iscrizioni considerate nuragiche, peraltro documentate fuori contesto e di dubbia pertinenza cronologica, come quelle dell’Oristanese, non possono che lasciare forti dubbi principalmente perché risulterebbero appartenenti a modelli culturali estranei alle esperienze nuragiche sia dell’Età del Bronzo che del I Ferro.
D. La Sardegna dell'epoca, l'epoca degli Shardana, non potrebbe essere quell'isola che Platone chiamò Atlantide? Il filosofo greco avrà avuto pur in testa un luogo fisico e non soltanto un luogo mitico.
In un paragrafo del mio contributo per gli atti del II Convegno di Micenologia (1991), dedicato al mito di Atlantide raccontato nel Crizia e nel Timeo di Platone, nel 1996 scrivevo -e qualcuno avrebbe dovuto registrarlo- che: “un attacco contro l’Egitto da parte di una popolazione occidentale che possiede i metalli e una flotta potente può essere pensabile su un piano storico solo quando la terra dei faraoni, tra il XIV e il XII secolo dovette subire gli attacchi dei Libi, degli Sherden e degli altri popoli del grande Verde”.
Scrivevo anche: “La mitica Atlantide può ben essere identificata nelle varie coalizioni di popoli, comprendenti genti occidentali, come i nord-africani Libu e Mashuesh, e gli abitanti delle “isole che stanno al centro del Verde Grande”, cioè Sherden (Sardi), Tursha (Tyrreni), Liku (Liguri) e Shekelesh (Siculi), venute a contatto, anche conflittuale con l’Egitto dei faraoni Ramses II, Meremptah e Ramesse III”. Inoltre affermavo: “Per inciso, come l’isola atlantidea la Sardegna è una regione decisamente occidentale rispetto ad Atene e all’Egitto, ha una grande e ferace pianura ricca di metalli, possiede splendidi edifici di pietre policrome e opere di ingegneria idraulica”.
Dunque ventilavo l’ipotesi, per la prima volta, che l’isola di Atlantide potesse essere la Sardegna. Però, l’identificazione della terra atlantidea con la Sardegna non è così semplice come parrebbe e, non a caso, la sua dimensione storico-geografica (pari all’Asia e all’Africa (mediterranea) messe insieme, non collima con quella della sola isola di Sardegna. E infatti, implicitamente, per giustificare la straordinaria grandezza dell’isola di Atlantide, facevo riferimento all’insieme delle terre dei popoli del Nord-Africa e delle genti del Tirreno, in espansione verso l’Est del Mediterraneo.
Platone richiama eventi storici oramai mitizzati, come erano quelli relativi all’epopea eroica tramandata da Omero, accaduti almeno in parte e soprattutto registrati in terra egizia, dato che non erano noti alla tradizione letteraria greca. La loro collocazione cronologica è però piena di ambiguità e appare il prodotto dell’intrecciarsi di racconti su accadimenti susseguitisi a molta distanza di tempo tra loro. Invero, questo intreccio serve a spiegare la fine di due civiltà, quella di Atene (che poi sarebbe risorta) e quella senza ritorno di Atlantide attraverso l’intervento del Dio del mare, quello stesso che punì Ulisse, l’eroe di Itaca che pensa e muore sardonicamente.
Della questione, assai complessa, tratterò nel mio libro dedicato agli Shardana. Per certo, la fine della civiltà nuragica non avvenne a seguito di uno tsunami, così favoloso da far sparire nella stessa giornata oltre che l’isola di Atlante anche l’antica Atene, ma, come detto in precedenza, per eccezionali sconvolgimenti politici.
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