di Gigi Sanna
Caro Pittau ,
se tu ti opponi a quello che io sostengo ("E infine ci sono le false scritture") e se mi citi persino il Serra ‘linguellista’ medioevale, io non faccio altro che prenderne atto. Ognuno ha le sue idee e le sue convinzioni ed è legittimo che le sostenga, anche a spada tratta, persino quando sono (o possono sembrare) ridicole. Ma ti esorto a non appoggiarti a chi non ha alcuna, perché lo dimostra, credibilità. Io infatti, neppure con tutta la mia buona volontà, posso concedere credito e trattare da epigrafista uno che non sa riconoscere un sigillo (quello di S.Imbenia di Alghero) e che, in “Phoinikes b Shrdn: i fenici in Sardegna” (p.233), del manufatto dice che “sembra trattarsi di un prodotto nuragico ad imitazioni di quelli orientali, ed, infatti,i segni grafici paiono lettere alfabetiche fraintese”.
No, le lettere sono intese rettamente (anzi sono scritte benissimo), solo che un sigillo - si sa - contiene le lettere in negativo e bisogna riportarlo in positivo per poterlo leggere (v.figg.1 e 2). E infatti c’è scritto S’N YHWH. Le lettere sono protocananee, protosinaitiche e ugaritiche (per contestare questo, cioè un mix di scrittura, bisogna contestare quello che dico in Sardoa Grammata, soprattutto alle pp.85 -179 e 290 -293).
Un mio amico carissimo, noto biblista ed epigrafista, non ha esitato qualche anno fa, durante la presentazione del libro in Cabras, a dire che nell’oggetto risulta scritto il nome di YaHWHé. Ora, l’archeologo in questione se ben ricordi ha cercato di dare a me, pubblicamente, lezioni di epigrafia. Guarda un po’. Osa dare lezioni pubbliche di epigrafia e paleografia uno che non solo non individua e pasticcia con le lettere ma non individua neppure il (banale) valore ed il significato del supporto. Vizietto di alcuni archeologi questo, il pretendere di voler dare lezioni pubbliche di grande sapere aristotelico; com’è successo anche al malcapitato Usai che in Santa Cristina di Paulilatino ha cercato di dire, ad un pubblico generalmente competente, che “spiegava Lui che cos’era l’archeologia” (roba da non credere se proprio non la senti). L’ingenuità, colpevole talora il delirio di potenza, tocca davvero vette incredibili. Ingenuità puerile che ha messo, come sai, palesemente in imbarazzo i suoi colleghi, molto più aperti e prudenti per l’occasione e per il delicatissimo incontro.
Caro Massimo ora cerco di spiegarti perché, tracciando una linea verticale, le due parti risultano speculari, dando (l’errata) sensazione che ci si trovi di fronte a delle decorazioni. Ancora una volta l’archeologo suddetto la butta giù a casaccio, non capisce ancora una volta proprio nulla (così come del resto il Serra) del supporto perché non individua i logogrammi, i logo-pittogrammi e i pittogrammi presenti nel documento: uno di questi macro logogrammi è proprio la torre nuragica, che risulta formata dallo schema degli antropomorfi più lo schema della divinità. Se tu noti, infatti, gli antropomorfi sono riportati una volta verticalmente (al centro del documento) e due volte obliquamente, proprio per suggerire l’idea delle linee immaginarie che rendono ‘nascostamente’ il tronco di cono.
Bada bene che gli antropomorfi non sono riportati nel supporto ad occhiometro ma è il disegno ‘iniziale’ del tronco di cono che dà poi l’esatta collocazione degli antropomorfi che, guarda caso, sono collocati nelle tre ‘nicchie’ dei vani del monumento a tre piani. Se poi volessi la controprova che esiste questa figura (il nuraghe), tracciata con linee immaginarie, devi vedere altro, molto altro, anzi moltissimo altro. Ti ho già pregato nella nostra corrispondenza, caro Massimo, che devi avere la pazienza di leggere bene “tutto” quello che cerco di spiegare. Proprio quella pazienza che tu chiedi agli altri per quanto riguarda la lettura puntuale delle tue numerose opere. Altrimenti sei tu a precipitare in quell’errore fatale che imputi a me, ovvero quello di farsi trascinare e fuorviare ingenuamente da colleghi poco competenti.
Una delle prove è data dal fatto che il trattino verticale (simbolo fallico) è riportato nello schema 11 volte (v.figura 3). Il numero (solare) 12 si completa evidentemente con quello più importante ed imponente, la torre fallica o nuraghe che dir si voglia. L’ho scritto e lo ripeto, il nuraghe non è nient’altro che un betilo (“la casa di Dio”: che tutti riconoscono come fallo) fatto tempio, un edificio imponente, naturalisticamente concepito, per un dio “creatore” o dio “fallo” che ha, tra l’altro, come continua significativa metafora, il toro “focoso”. Certo, so bene che in una società bigotta e che tende, ancor oggi, per radicalismo culturale sessuofobico, ad obliterare tutte le forme naturalistiche “pagane”, sostenere che il nuraghe è un fallo o un betilo enorme richiede una buona dose di coraggio. Ma io non mi faccio impressionare o intimidire dalle beghine e dai bacchettoni, ma solo dai documenti.
Sono un loro umile servitore e riporto sempre quello che dicono. Anche quello che in fondo sarebbe più prudente (e profittevole) non dire. E non la sparo grossa per il solo gusto di spararla. Sappi comunque, se non ne fossi a conoscenza, che lo stesso nome di YaH (Yahwhé) è dato nei documenti del Negev (sinaitici) da una lettera maschile e da una lettera femminile che indicano il chiaro sesso dell’uno e dell’altra. Basta documentarsi un pochino e, come vedi, la cosa non è poi così strana come può sembrare.
Lo stesso nuraghe però riporta, come potrai notare facilmente, il “segno” femminile od il numero corrispondente al segno femminile (il “tre”), prova questa che lo stesso monumento riporta la “scrittura”, ovvero che esso è così concepito per “essere letto” e con ben precisi valori fonetici. Questo tipo di scrittura, come sai, la usavano gli egiziani. Così come per l’egiziano geroglifico, tre erano gli aspetti che contavano anche della scrittura nuragica: Bellezza (Decus),Simbolo e Suono. L’ultimo è sempre presente ed è importante come gli altri due. Ci è voluta tutta la forza di un tale francese per dimostrarlo nell’Ottocento, contro l’opinione “universale” dei cocciuti e presuntuosi simbolisti.
Per questo, a Sassari ho sostenuto che il vaso di La Prisgiona di Arzachena non ha solo il DECUS e il SYMBOLUM ma anche l’aspetto fonico. Tori, serpenti e bidenti etc. danno, per “rebus” e per “acrofonia”, i suoni consonantici che completano gli aspetti decorativi e simbolici. Potrei continuare, ma non so quanti avranno voglia di seguirci in un discorso tecnico (epigrafico, alfabetico e linguistico) riguardante la tavoletta A 1 di Tzricotu. Sulle altre tre tavolette poi dovremmo discutere per settimane perché non solo confermano la prima, ma si arricchiscono di ulteriori segni che portano diritti diritti ai documenti francesi di Glozel e alla scrittura pitica greca del XIV-XIII secolo a.C.
Caro Massimo, capisco il tuo commovente istinto “paterno” di protezione, ma non devi ritenere che mi faccia “raggirare da falsari” o “fuorviare” da chicchessia nel portare avanti la mia tesi sull’esistenza della scrittura nuragica nella seconda metà del Secondo Millennio a.C. Ti prego inoltre di tener conto che non faccio mai una sola mossa senza che mi consulti con altri epigrafisti ed altri linguisti, non solo dell’Isola ma anche fuori di essa. Tutto quello che vedi scritto e studiato, anche se porta la mia firma, non è solo mio ma di altri, tantissimi altri. Come del resto deve essere, se un lavoro vuol essere serio.
Quanto poi all’autenticità o meno dei documenti che studio e presento, permettimi di avere un fiuto – per così dire - perlomeno pari al tuo perché ciascuno di noi ci tiene molto a non essere ritenuto un ingenuo o, addirittura, un fesso. Chiudo dicendoti ancora una volta che i documenti di Tzricotu, a dispetto di molti, sono tra i capolavori dell’arte della scrittura di ogni tempo. Il fatto che non li si riconosca affatto in certi ambienti archeologici dipende da tanti motivi: presenza di apriorismi ingiustificati, resistenze di “scuola”, ignoranza quasi totale dei codici alfabetici arcaici, pressappochismo nella lettura, presunzione di voler risolvere immediatamente quesiti difficilissimi, ecc. ecc. .
Ma bada che non esiste solo Tzricotu: esistono (se si vuole solo parlare di epigrafia con scrittura lineare) altri trentasei documenti (e crescono sempre più) che dimostrano che gli scribi nuragici shardan avevano un concetto altissimo, perché religioso, della scrittura. Se le forze mi assisteranno conto di pubblicare il “Corpus” delle iscrizioni nuragiche entro la fine dell’anno. Forse dall’insieme dei documenti e da una visione sinottica di essi potrà crescere quella sensibilità, del resto già presente, che porterà, ne sono convinto, ad un approccio più aperto (non a chiusure o isterismi) allorché si scoprono gli ostici segni della scrittura antica.
Tra questi documenti c’è anche la stele di Nora che è scritta “proprio” in semitico, caro Massimo, ovvero in nuragico perché, pur essendo qui presente, in netta maggioranza, una popolazione di lingua indoeuropea, i documenti si scrivevano in lingua semitica, semplicemente perché la parte che dominava era quella semitica. Un po’ come accadeva durante il periodo punico, romano, bizantino, spagnolo e anche italiano. Ho scritto pochi giorni fa che nella stele forense non c’è scritto Bi SHaRDaN (in Sardegna) ma He ‘aBa ShaRDaN (Lui Signore Giudice). Ma tu proprio non mi vuoi ascoltare. A Pula qualche settimana fa mi hanno ascoltato e capito in molti senza obbiezioni. Ma sono sicuro che anche tu mi ascolteresti maggiormente se avessi davanti a te in diacronia, dai più antichi ai più recenti (sino alla stele di Nora), tutti i documenti sinora rinvenuti in vari luoghi della Sardegna.
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