di Francesco Cesare Casula
Ho letto con interesse e rispetto tutto ciò che è stato scritto (33 interventi!) sul mio ultimo lavoro che, in fondo, è il mio testamento storico a futura memoria. In esso, cerco di sostituire la storia regionale dell’isola, che non ha forza proponente al di là del mare (a nessuno, al fuori di noi, interessano i nostri nuraghi, la nostra lingua, le nostre tradizioni, la nostra società, la nostra antropologia, ecc. ecc.), con la storia degli Stati che in Sardegna si formarono dal periodo antico a quello contemporaneo, perché questi hanno valore universale, uguali in tutto il mondo.
Ma, chi mi vuol seguire su questa strada, non può usare le sue categorie tradizionali, non può far ricorso all’antropologia (= è sardo il fonnese o il cabrarese e non il piemontese o il ligure), non può richiamarsi alla politica (= siamo stati sempre dominati, non abbiamo fatto noi l’Italia ma i savoiardi). Se mi vuol seguire in questa nuova strada deve rifare il mio percorso istituzionale, con pazienza e intelligenza (mi ci son voluti quarant’anni per liberarmi dall’italianità della storia). Deve prima tornare all’analisi grammaticale delle scuole elementari, e riabituarsi a distinguere fra il nome (concreto) e la cosa nominata (per esempio, se si dice: Regno di Sardegna si deve scrivere a fianco: titolo e nome di uno Stato; così pure per il Ducato di Savoia che, ugualmente, è il titolo e il nome di uno Stato. E dietro la parola Stato c’è un popolo stanziato in un determinato territorio che ubbidisce alle stesse leggi. Per cui, non si può uscire fuori dai binari e dire che, in sostanza, il Regno di Sardegna non era altro che il Regno di Savoia. Sarebbe come dire che i miei antenati non sono mai esistiti, perché a vivere nel Regno di Sardegna nel Trecento, nel Quattrocento, nel Cinquecento ecc. erano i francesi della Savoia).
Stabilito il rapporto fra il nome e la sostanza, si torni al nome: Repubblica Italiana. Esso qualifica indubitabilmente uno Stato, il nostro Stato. Ebbene, mi dicano i detrattori quando è nato, dove è nato, e qual è la storia di questo Stato, del nostro Stato… A questo punto, sono disposto a dialogare...
29 commenti:
Franco Pilloni scrive:
Grazie professore.
Lei scrive e parla come dovrebbe fare un maestro elementare. Così semplice e così chiaro che anche i bambini possano capire univocamente.
Ciò, fra le altre cose, è indice di idee molto chiare in testa.
Ma non s'illuda, perché ci sarà sempre qualcuno che capirà solo ciò che gli fa comodo.
Gentile Professor Casula, ho ancora molte perplessità e trovo difficoltà nel controbattere a chi, da un punto di vista savoiardo (ossia del Ducato di Savoia) sostiene che fu lo Stato savoiardo a inglobare quello sardo e non viceversa, anche se dopo il 1847, il nuovo Stato nato dalla Fusione Perfetta fu chiamato Regno di Sardegna. Torino rimase sempre la capitale ufficiale, capitale sia politica che economica. Da un punto di vista sabaudo, sostanzialmente, il Ducato di Savoia rappresenta lo Stato fondante dello Stato italiano attuale.
Anche se fu Ducato, era comunque sempre uno Stato, e da piccolo che era, attraverso alleanze, guerre e tanta diplomazia, arrivò a inglobare sempre nuovi territori e altri Stati, compreso quello sardo.
Prima della fusione perfetta, la corona dei Savoia, come lei giustamente insegna, era una confederazione di Stati riuniti sotto un unico sovrano.
Dopo, con la fusione perfetta di tutti questi Stati, la nuova entità che nacque fu chiamato Regno di Sardegna (...un nome doveva pur averlo), ma poteva anche chiamarsi Regno di Savoia e sarebbe stato altrettanto corretto, almeno così sostengono chi avversa la teoria della statualità. Chiedo scusa se, davanti al suo sapere, sto dicendo una castroneria. Con tanta stima,
Nenneddu Pau
@ Nenneddu
Lei come gran parte di noi è vittima della pessima informazione storica, fino alla mistificazione, corrente nella scuola italiana. Se lei sapesse che il Regno di Sardegna è tale dal 1328, che nel 1720 le grandi potenze non affidarono ai Savoia la Sardegna, ma il Regno di Sardegna, molte delle sue perplessità cadrebbero.
I Savoia e il loro governo, nei loro rapporti internazionali, fecero sempre riferimento alla Sardegna; del resto a ciò erano obbligati dai trattati internazionali. Per dire: in una lettera riservata spedita al re dopo gli accordi di Plombières con Napoleone, Cavour scrisse: "L'Imperatore, appena fui introdotto nel suo gabinetto, entrò nell'argomento, che era stato cagione del mio viaggio. Incominciò col dire che era deciso di aiutare la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l'Austria...". La Sardegna, non la Savoia, e visto che era una lettera riservata, se Cavour avesse pensato come lei suppone, avrebbe parlato di Savoia. Non le pare?
Grazie per la risposta ZF, ma la Sardegna intesa come Regno di Sardegna, come Stato sardo, perché appunto dopo il 1847, tutti gli stati si fusero in uno solo e questa nuova entità fu chiamata Regno di Sardegna, per cui sardi erano tutti i sudditi, sardi erano i funzionari, i ministri, il re stesso, ecc,ecc.
Ma se nel 1847 lo Stato sardo, quello Nizzardo, quello Savoiardo, quello Genovese si fusero in uno, questa nuova entità da chi aveva ereditato maggiormente, dallo stato sardo o da quello sabaudo? O da nessuno e riparti ex nuovo? Perché mi sembrava di capire che a partire dal 1720, Casa Savoia avesse iniziato una lenta armonizzazione delle leggi all’interno degli Stati della Corona. Lo sappiamo bene anche noi che, quando piano piano i Savoia introdussero molteplici riforme, le antiche tradizioni sarde furono scombussolate!.
Ecco è questo che non mi è abbastanza chiaro: dopo la armonizzazione e poi fusione del 1847, quale tradizione degli antichi stati pesava di più all’interno del Regno?, quale apporto, in termini di organizzazione civile, di organizzazione statale e militare fu predominante nel nuovo Stato, la tradizione savoiarda o quella propriamente sarda?
Certo poi su ‘’Rennu’’, quello del 1297- 1324, aveva un titolo più alto rapportato a quello di ‘’Ducato’’, ma sostanzialmente l’apparato statale sabaudo era più ben preparato ed efficiente di quello sardo nel momento in cui si fusero. Saluti,
Nenneddu Pau
Per quanto mi sforzi non riesco ad appassionarmi al tema. Che ce ne viene dal sapere che il regno di Sardegna ha inglobato la Savoia e poi, estendendosi, ha dato vita al regno d'Italia e, quindi,all'attuale repubblica? I sardi erano i paria del regno di Sardegna (basti ricordare come ci trattava il marchese di Rivarolo, il Bogino etc), poi sono diventati i paria del regno d'Italia, e quindi quelli della repubblica italiana. La tesi del prof. Casula mi pare formalmente corretta, ma chissà perché io non ne traggo alcuna soddisfazione. Forse perché proprio noi sardi abbiamo permesso di allignare a quella mala pianta dei Savoia.
Io penso che del nostro passato non dobbiamo buttare niente. Tutto ci è prezioso, anche ciò che accadde in anni bui. Non penso che le colpe siano solo dei Savoia, ma anche nostre: non dovevamo accettare la fusione perfetta con gli stati di terraferma. Anche io però non ho chiara quella fase. Quello che venne dopo il 1847, fu un nuovo regno di Sardegna o era sempre lo stesso del 1324 ? E se era lo stesso, che fine ha fatto l'eredità degli altri stati della corona?
Minnia
Al di là dei punti di vista, riconosco che è importante conoscere nei dettagli anche questi aspetti della nostra storia. Non tanto per passione ma, come disse un tale di cui non ricordo il nome: "ricordare il passato per non ripeterne gli errori". E le storture. Aggiungo io.
Marco Pinna
Qualcuno invece ga detto che la storia si ripete, e a me pare che abbia ragione quel qualcuno. L'uomo non ha mai tratto una lezione salutare dal proprio passato. Anche oggi, del resto, la maggioranza dei Sardi é unionista, cioè per la fusione perfetta, come si disse allora.
Bene. Vi ho letto, e avvio il dialogo.
Immaginate lo Stato come una macchina viva, che ingrandisce o rimpicciolisce alla bisogna, secondo la sorte: c’è la vettura (= l’istituzione), c’è il guidatore (= il capo dell’istituzione), ci sono i passeggeri (= il popolo dell’istituzione). Fino alla scuola marxista nelle scuole si faceva la storia del guidatore (= storia positivista), o la storia delle battaglie, delle paci, delle alleanze che il guidatore realizzava (= storia evenemenziale).
Con la scuola marxista si è cominciato a fare la storia dei popoli (= le rivolte popolari, le rivoluzioni, le lotte di classe, ecc.).
Applicate queste due metodologie alla storia sarda moderna e contemporanea, noi sardi ne usciamo a pezzi: chi ci ha guidato è sempre stato un forestiero (o catalano, o castigliano o savoiardo o piemontese). Inoltre, non abbiamo mai fatto una rivoluzione malgrado la teoria della “costante resistenziale sarda” (l’unica persona con un po’ di spirito rivoluzionario, Giommaria Angioi, l’abbiamo abbandonata a Oristano e costretta a fuggire in esilio a Parigi fino alla morte).
Per favore, non parlatemi della rivolta antipiemontese del 1794, perché sarebbe umiliante.
Quindi, se seguiamo queste due strade, non abbiamo nulla da dire alla Nazione. Non siamo stati nessuno, non siamo nessuno, e ben vengano i continentali a scoparci (con nostro assenso e gusto): possono mettere e dismettere il G8 a La Maddalena; possono promettere e non realizzare la Sassari-Olbia; possono posizionare i parchi eolici nei nostri mari; possono assicurare che nei nostri territori militarizzati (!) non ci saranno le centrali nucleari, ma nella vallata del Tirso, forse, sì. E potrei continuare all’infinito, certo che a questo non si opporrà Cappellacci (e sono di Centrodestra!), né la sua Giunta, né l’Assemblea regionale assenteista.
Ma credo fermamente che se - unici al mondo - facciamo prima di tutto la storia dell’automobile, e, solo, poi, la storia del guidatore e dei passeggeri, si ribalta il modo di pensare della società sarda e italiana (il guidatore non sarà più un esterno ma un membro interno della macchina, e i passeggeri, di qualsiasi razza siano, saranno i passeggeri di quella data macchina e non di altra).
Uscendo dall’esempio: che il nostro attuale Stato, oggi chiamato Repubblica Italiana, si chiamasse prima Regno d’Italia, e, prima ancora, Regno di Sardegna dal 1324 è indubitabile, e chi vuole le prove documentarie dell’assunto legga il mio ultimo libro intitolato sintomaticamente: ITALIA. IL GRANDE INGANNO (1861-2011), Sassari, gennaio 2010. È talmente provocatorio che nessun editore continentale l’ha voluto pubblicare, nessun giornale nazionale l’ha voluto recensire, e, penso, nessuno o pochi lo vorranno leggere con mente sgombra da preconcetti.
E adesso rispondo a chi non si scalda, o non si vuole scaldare a questo fuoco. Io non sono uno storico scolastico, ma un storico politico. Uso il mio strumento (= la storia) per avere un ruolo primario nel panorama nazionale (immaginate se a Torino, a Firenze, a Roma, a Napoli, a Palermo i nostri bambini nelle scuole imparassero che lo Stato per cui lavoreranno, pagheranno le tasse, faranno il militare, ecc. ecc. è nato in Sardegna nel 1324 e che è vissuto per secoli del sudore e del sangue di noi sardi indigeni, poveri, malarici, stupidi e disuniti, ma che senza di noi non ci sarebbe, oggi, quell’entità chiamata Italia).
Concludendo (chiedetemi ancora lumi se non sono stato chiaro), usando il mio strumento (la storia) pretendo, insieme agli amici con cui ho lavorato alla riscrittura di un nuovo Statuto, un’autonomia speciale ed unica, al limite della sovranità; altrimenti…
Anch'io ringrazio Francesco Cesare Casula per avermi chiarito diversi dubbi. Lui dichiara di averci messo quarant'anni per liberarsi dal limitato punto di vista italiano nella lettura della Storia. Con il suo contributo ci mette in grado di bruciare le tappe e di affrancarci anche noi dall'italianità della storia.
A noi adesso poco importa se per costruire lo Stato italiano a partire dall'antico Regno di Sardegna il ruolo dei sardi fu soprattutto quello di indossare una divisa e di offrire carne ai cannoni austriaci. Siamo stati comunque artefici dello Stato italiano. Se dunque i Sardi vorranno disporre sovranamente del loro futuro (leggi indipendenza statuale), hanno il diritto di assumere l'atteggiamento dei padri della patria italiana, o dei fratelli maggiori se si vuole, in nome del sangue versato e non solo. Penso anche ai tributi che gravavano sui nostri terreni prima dell’Unità d’Italia e fino a metà e oltre del secolo scorso. La patria italiana non faceva differenze tra un ettaro di terreno sassoso in Sardegna e un ettaro di terreno della Val Padana.
Potremo dire ai nostri fratelli italiani che sono abbastanza grandi per cavarsela e che in ogni caso da vicini di casa se hanno bisogno di aiuto glielo daremo. Ma che mai più potremo trascurare la nostra terra e i nostri figli. Siamo a un’ora di volo da Barcellona, due da Madrid, due da Parigi e da Berlino, Londra, ecc., con, anzi, senza Alitalia.
I nostri giovani viaggiano e studiano le lingue. L’Italia non garantisce più valide opportunità per loro. La società gerontocratica che si è andata affermando gliele chiude. E in ogni caso, a prescindere da questi mali, sentiamo il dovere di intraprendere una strada tutta nostra.
Intanto occorre inserire la Storia della Sardegna e in particolare del Regnum Sardiniae nei testi scolastici, chiudendo il periodo dello sciovinismo italico che tutto annulla in nome della grandeur italica.
Anche io ringrazio Il Prof. Casula. Leggerò il suo "ITALIA. IL GRANDE INGANNO" per capire più a fondo il suo punto di vista.
Sono solo un pò perplesso riguardo: "la riscrittura del nuovo statuto, l'autonomia speciale e unica, al limite della sovranità; altrimenti". Credo che dopo la costituzione del 1948, la Sardegna abbia effettivamente e costituzionalmente avuto la possibilità di esercitare "una qualche specialità e autonomia", pur nei grossi limiti che questa mette a disposizione. Sappiamo tutti come è andata e come ancora và.
Mi chiedo: ostentiamo la nostra identità; la nostra lingua e cultura; la nostra plurimillenaria storia; lamentiamo la nostra insularita che penalizza l'economia; ecc. ecc., ma chi, cosa vogliamo essere? Cosa vogliamo fare? Rivendicare ancora e ancora .. e aspettare che altri risolvano le nostre questioni?
L'ostacolo principale, a mio parere, "paradossalmente", siamo noi stessi. Il nostro presente e il nostro futuro, "oggi", dipende dalle decisioni che noi prenderemo, pacificamente e responsabilmente nei confronti dell'italia e del resto della comunità internazionale.
Marco Pinna
Anch'io ringrazio il prof. Casula. Ora il suo pensiero mi é più chiaro e trovo che ha ragione da vendere. Purtroppo, storicamente i sardi sono sempre stati al servizio di qualcuno. Dai mitici shardana dei faraoni, al Tercio de Cerdena (si diceva così?) della battaglia di Lepanto e alla Brigata Sassari, abbiamo sempre combattuto per la libertà altrui, e quasi mai mai per la nostra. A mio parere, per i sardi ci vorrebbe un grande ideale, una nuova frontiera da raggiungere, che li accomuni tutti. Ma figuriamoci, continuamente in bilico fra la gelosa conservazione dell'identità e la smaniosa voglia di renderci belli davanti al primo forestiero che passa, non ci riconosciamo neppure in un santuario comune, ma solo in quello delle singole aree geografiche. Siamo troppo indietro, culturalmente parlando.
Prof. Casula: "Ma, chi mi vuol seguire su questa strada, non può usare le sue categorie tradizionali, non può far ricorso all’antropologia..."
...e mi sembra anche che non possa neanche far ricorso alla sociologia e ad altre discipline.
Ma allora lo studio della storia si riduce a qualcosa di molto accademico (nel senso deleterio) e astratto, come infatti la dottrina della statualità mi appare (dai commenti sembra che non sia il solo).
La tanto citata "interdisciplinarità" non è solo una parola di moda nell'accademia, è una pratica che può dare i suoi frutti perché permette di incrociare e integrare diversi punti di vista. La interdisciplinarità sta portando a lavori molto interessanti e promettenti: un esempio è la "micro-economia" che integra concetti e metodi della sociologia, psicologia, statistica ed economia.
Ciò che studiamo è -che ci piaccia o meno- complesso e spesso iper-complesso (con buona pace di coloro a cui piacciono le storielle da scuola elementare). Privarci degli strumenti per cercare di comprendere questa complessità mi sembra che porti inevitabilmente a uno sguardo miope.
Una nota ancora: Il Professor Casula dice: "a nessuno, al fuori di noi, interessano i nostri nuraghi, la nostra lingua, le nostre tradizioni, la nostra società, la nostra antropologia, ecc. ecc.)"
Ma come siamo sfortunati! Vuol dire che siccome a nessuno al di là del mare interessano queste cose (affermazione tra l'altro molto discutibile) vuol dire allora che queste cose non hanno nessun valore? Non è forse questo tipo di ragionamento che porta molti sardi a non voler studiare il proprio ruolo di soggetti attivi della propria storia (abbracciando la visione dei sardi "oggetti" di uno stato)?
Distinti saluti
Oliver Perra (PhD)
Prof. Casula, apprezzo e rispetto il suo sincero autonomismo perché parte da una posizione forte che non esclude pregiudizialmente la via indipendentista come fa la maggior parte dei sedicenti "autonomisti" nostrani, il cui "autonomismo" è più di facciata che reale in quanto a loro interessa solo compiacere le segreterie romane del proprio partito.
A me il suo considerare la storia della macchina, cioè lo Stato, sta bene. Io che sono indipendentista posso dire che, dopo 150 anni, la macchina Italia è un ferro vecchio, quindi ritengo opportuno comprarne una nuova di zecca e solo sarda, agile e scattante per muoversi agevolmente in Europa.
Saluti
Daniele Addis
Per chi vuol conoscere meglio la mia storiografia sardo-italiana, mi ripeto volentieri.
1°) se si passa dalla storia regionale (= storia della Sardegna) alla storia statuale (= storia del Regno di Sardegna), il problema è se è vero o non è vero che l’Italia-Stato di oggi è la Sardegna-Stato di ieri allargata, con tutte le implicazioni sociali, politiche ed economiche che ne consegue.
Se non è vero, ritiriamoci nella nostra insularità e continuiamo ad azzuffarci fra di noi. Carlo Cattaneo, che ben ci conosceva, parlando della Sardegna nel 1861 suggeriva al Parlamento di «… lasciar la cura dei loro beni, dei loro ademprivi, dei loro paberili e stazzi a degli altri aviti ministeri ai Sardi…». Sembra una gentile concessione di autonomismo; in realtà ce la metteva in quel posto in quanto, invece di esserci grato per aver creato lo Stato, ci abbandonava al nostro destino. E, in effetti, dal quel momento siamo un’appendice esotica dell’Italia-Penisola, che dal 1861 è diventata parte totalizzante dello Stato.
2°) Se, invece, è vero che l’Italia-Stato di oggi è la Sardegna-Stato di ieri allargata (leggete: Italia. Il Grande Inganno), il problema è cosa farne di tanta storia.
Se l’avesse Bossi, ce la farebbe ingoiare a pranzo, cena e colazione. Ma siccome l’abbiamo noi sardi imbecilli (= senza il bastone che ci regga), per autocolonialismo facciamo di tutto di ignorarla, combatterla e, per ignoranza, deriderla.
- continua -
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Di contro, io la insegnerei di forza (con delibera regionale) innanzitutto nelle scuole isolane dalle elementari all’università, in modo da formare generazioni nuove, con mentalità nuova, con strumenti politici nuovi. Poi, la diffonderei fra il popolo con ogni mezzo in modo da farne un’arca di risonanza nei confronti dell’esterno.
3°) All’ultimo, se è vero che l’Italia-Stato di oggi è la Sardegna-Stato di ieri allargata, l’interrogativo più importante è perché farne un’arca di risonanza nei confronti dell’esterno. Basterebbe che l’assumessimo dentro di noi insieme ai nuraghi, alla lingua, alle launeddas e alle tradizioni, bellissime quanto si vuole (e nessuno più di me le ama), ma che al Toscano, al Lombardo, al Laziale, ecc. non interessano perché non le considerano come parte di loro (ed è vero, perché noi siamo una Nazione diversa).
Quindi, a meno che non puntiamo al separatismo, e facciamo rientrare il nostro Stato nei confini dell’isola, com’era dal 1420 al 1847 (ma per far questo ci vorrebbero palle che noi sardi non abbiamo!), il rapporto con l’esterno si riduce al concetto di autonomia, alla pretesa di un’autogestione più politica che amministrativa delle nostre risorse. Come sapete, il Comitato “Firma per la tua Sardegna” (di cui Gianfranco Pintore ed io facciamo parte), ha elaborato una bozza di nuovo Statuto il quale soddisferebbe tutte le nostre esigenze interne ed esterne.
Esso si basa su tre elementi fondamentali che riporto dal testo originale :
– La Sardegna è l’isola più periferica nel Mediterraneo facente parte integrante della Repubblica Italiana e, per questo, rivendica una effettiva, illimitata continuità territoriale con la parte continentale della Repubblica e con il resto dell’Unione Europea (UE)
– La Sardegna è una Nazione con proprio territorio, propria storia, propria lingua, proprie tradizioni, propria cultura, propria identità ed aspirazioni distinte da quelle della Nazione italiana e assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell’Isola dal prenuragico ad oggi. Nel rispetto delle libertà religiose e di pensiero dei suoi cittadini,
riconosce le bimillenarie radici cristiane della società sarda, punto di arrivo del lungo cammino del Popolo della Sardegna. Per questo gestisce e coltiva in sovranità la propria eredità culturale, materiale e immateriale, in un ordinamento istituzionale nel quale la Regione Autonoma della Sardegna è dotata di sovranità a titolo uguale a quello dello Stato
centrale, ripartita consensualmente secondo la presente Costituzione sarda
– La Sardegna è la base istituzionale dell’attuale Stato italiano, il quale secondo la Dottrina: “… non è altro che l’antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini…” nato il 19 giungo del 1324 e per secoli pregnato dal sangue e dal sudore e dalla fatica dei Sardi
Caro prof, Casula,
la sua disquisizione per quanto corretta dal pinto di vista giuridico, mi pare vorrebbe far passare in secondo piano le forze politiche, sociali e culturali che nel risorgimento unificarono politicamente la penisola italiana.
Inoltre lei da per scontato che il regno di sardegna fosse un soggetto giuridico che apparteneva ai sardi, mi pare che la sua analisi non tenga in conto che il regno di sardegna fu creato dal Papa (a cui era infeudata mezza Europa) e che lo donò al re di Aragona, con licenza di conquistarselo!
Che i sardi debbano andare orgogliosi di essere stati conquistati dal Re d'aragona e di Sardegna, su licenza papale non mi pare un bell'orgoglio.
A me pare che dovremmo essere i fieri discendenti di coloro che alla guida di Mariano IV e poi della figlia Eleonora combatterono per l'indipendenza dell'Isola. (Per evitare fraintendimenti chiarisco che in quell'epoca storica era "normale" che la sardegna venisse conquistata da una delle superpotenze dell'epoca).
Le ribadisco dunque che a mio parere ci si dovrebbe spendere affinchè la Sardegna diventi uno degli stati della UE.
cordialmente
Mauro Peppino Zedda
Sono d'accordo con Mauro Zedda tranne che in un particolare, dove sono d'accordo con il Prof. Casula: noi sardi non abbiamo le palle. E poichè lo sanno tutti, gli altri manco ci calcolano. Troppo pochi per incidere anche se tutti uniti, figuriamoci disuniti come siamo.
BF
Il tema, nel modo in cui lo espone il Prof. Casula è irresistibilmente interessante, devo però confessare che il commento senza peli sulla lingua di Mauro Peppino Zedda, ha il suo fascino. "Conquista". Chiederei gentilmente solo una cosa al Prof. Casula, premesso che geograficamente la Sardegna è una terra distinta e distante dall'italia, "separata" dall'italia dal mar tirreno, potrebbe, al posto di "separatismo", usare il termine "indipendentismo"?
Cordialmente ringrazio
Marco Pinna
Concordo con Marco Pinna. Trovo l’uso del termine “separatismo” contradditorio rispetto al concetto di Regno sardo matrice dell’Italia. Noi tutt’al più stiamo dicendo agli altri italiani che possono fare a meno di noi e che noi dobbiamo rispondere alle nostre aspirazioni, dobbiamo riprendere rapporti interrotti con la Spagna e il resto dell’Europa, che cioè intendiamo integrarci senza più dipendere da uno Stato che abbiamo costruito insieme ad altri e che ci limita. La nostra Nazione ha intenzione di affermarsi. “Separatismo” è un concetto negativo che non si addice alla voglia di affermazione. Se non si superano certi termini come si può pensare di riuscire almeno a darsi un altro statuto, una “Carta de Logu noa de Sardigna”?
@ Zedda,
messa da parte la questione dell’orgoglio e della fierezza, rimane il fatto che i Sardi hanno onorato tutte le rate della macchina Italia (sangue e sudore) e che sarebbe una stupidaggine rinunciare alla proprietà. Noi quindi non dobbiamo agire come chi fa le valigie di nascosto (separatismo), ma come chi in pieno giorno chiama i fratelli italiani a ricontrattare i patti a partire dal loro azzeramento.
dove trovo il suo libro signor Casula?non riesco a reperirlo da nessuna parte
@ Marcello Lampis
Se mi invia la sua mail trasmetterò la sua richiesta al professor Casula
La mia mail: pintoreg@yahoo.it
@zuannefrantziscu
Non è possibile trovarlo in libreria?
Marco Pinna
in libreria non si trova (anchio l'ho cercato proprio stamattina) probabilmente perché è stato stampato pochi giorni fa
@ Lampis, Pinna, Atzori
Il professor Casula mi dice che il suo libro dovrebbe essere in libreria la prossima settimana
Caro prof. Casula,
se lei avesse ragione ci dovremmo dare da fare per modificare il nome del "nostro" stato rendendolo affine al suo nome originale. trasformiano la repubblica italiana in repubblica sarda, mettiamo la capitale ad Aristanis e il sardo come lingua ufficiale dello stato (ovviamente sostituiamo la carta costituzionale con un aggiornamento della carta de logu).
un discendente di Mariano IV
Cari amici che mi seguite, non voglio rispondere né ai complimenti né alle critiche perché quello che dovevo dire l'ho detto e non mi pacciono le chiacchiere. Una cosa, però, mi preme precisare: vengo dalla storia sarda e italiana tradizionale fin da bambino, e mi ci son voluto quarant'anni di studi e ricerche sui documenti d'archivio per scoprire che è ingannevole; quindi, non venite a reinsegnarmela. Come l'ho superata sta nelle mie pubblicazioni (basta andare in internet e cliccare sul mio nome e vedere cosa ho scritto in circa 50 volumi e in circa 300 articoli scientifici). Saluti a tutti.
dunque la ringraziamo di averci fatto sapere che il suo libro è in libreria!
Mauro Peppino
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