venerdì 8 ottobre 2010
Errori a destra e a manca, ma la barca dello Statuto va
Era scontato che gli esclusi prendessero cappello, accampando ragioni di non adeguata visibilità o di mortificazione territoriale. Così come era nelle cose che l'opposizione parlasse di montagna che ha partorito un topolino. Sarebbe stato degno di un chiodo nel muro che gli esclusi dicessero “Va bene, purché sia salvo il bene della Sardegna” e che l'opposizione avesse inventato qualcosa di più originale. Fatto sta che Cappellacci ha formato il suo governo dopo che, in un moto di ribellione contro i fiorentinismi dei partiti, aveva sciolto il vecchio.
Tutto bene? Manco per niente: si è preso molte più ore delle 48 che aveva detto essere necessarie e sufficienti per risolvere la crisi e, quel che è peggio, ha formato una giunta maschilista: neppure una donna fra i dodici assessori. Cosa che, immagino, le elettrici gli vorranno far pagare, quando Cappellacci chiederà loro di rinnovargli il consenso. Due errori politici, la lungaggine e il maschilismo, a cui l'opposizione ha risposto con la richiesta di scioglimento del Consiglio regionale. Un pesante errore, fatto nel mentre il Parlamento sardo discute di sovranità della Sardegna, di revoca del patto costituzionale del 1948, di autodeterminazione del popolo sardo (tutte cose condivise a sinistra e a destra).
Ai due errori politici di Cappellacci, parlamentari e consiglieri regionali del Pd hanno, insomma, risposto nella maniera più incongrua in un momento costituente: chiedendo al presidente della Repubblica di sciogliere il Parlamento sardo. Un atto di gravità eccezionale che suonerebbe inevitabilmente come un alto là alla scrittura della nuova Carta della Sardegna, tanto più grave perché, ne sono convinto, dettato da un riflesso condizionato e non da un disegno politico di alto profilo. Come fanciulli che, non riuscendo ad averla vinta con i compagnetti, chiedono l'intervento del babbo.
Salvo gli assessori riconfermati ed i nuovi su cui sarebbe preconcetto dare un giudizio di valore, Cappellacci ha nominato un assessore che, per la sua militanza nazionalitaria, potrebbe assicurare una direzione intelligente del processo di elaborazione del nuovo Statuto speciale. Mario Floris, ex presidente regionale ed ex presidente del Consiglio, fece propria nel Parlamento sardo il disegno di legge costituzionale firmato e presentato in Senato da Francesco Cossiga. Si trattava di un adattamento alla Sardegna dello Statuto catalano, una provocazione positiva in un momento in cui, si era nel 2002, la politica sarda traccheggiava intorno all'idea di dare qualche aggiustatina allo Statuto del '48.
Vi si parlava, in maniera incerta ma se ne parlava, di Nazione sarda, di bilinguismo, di autogoverno e della proposta si occuparono anche i giornali italiani come di un fatto degno di nota. Successivamente, Cossiga, appoggiò la proposta del Comitato per lo Statuto in una telefonata diffusa nel corso della assemblea di presentazione della proposta. Floris non è indipendentista, come gran parte dei politici sardi, e lo ha dichiarato nel suo intervento nel recente dibattito sulle riforme in Consiglio regionale. La sua idea è quella di un progetto che attraverso lo Statuto e “il patto per il federalismo che dobbiamo contrattare e sottoscrivere con lo Stato prima e con l'intero sistema delle autonomie locali poi, veda riconoscere alla Sardegna e ai sardi quei poteri di autonomia e di indipendenza politica, economica e finanziaria che sono propri di una Repubblica federale”. Un federalismo autentico, insomma, contrattato e non concesso, un compromesso fra una confederazione di entità indipendenti e una autonomia nazionale.
Meno di quel che il diritto internazionale consente alla Sardegna di pretendere, più di quanto l'attuale Costituzione consente. Floris è l'unico, del nuovo governo Cappellacci, che ha ricevuto un riconoscimento da parte dell'opposizione. D'altra parte, il centrodestra ha affermato durante la riunione degli “Stati generali” di qualche giorno fa di aver fatto propria la proposta del Comitato per lo Statuto.
Come dire? Ci sono le condizioni perché esca qualcosa di buono da questa fase costituente apertasi nel nostro Parlamento e, bisogna che così sia, nella società sarda..
giovedì 7 ottobre 2010
Melis: le mie "fandonie" e i pozzi di scienza
di Leonardo Melis
“Da archeologa vi dico che di tutte le teorie scritte solo quelle del prof ugas e bernardino sono le più sensate... quelle di leonardo melis sono solo fandonie che lui sparge solo per scopo di lucro... se volete saperne di più leggete solo libri di scrienza e non romanzi” (C.C.) Altro commento sempre di archeobimba: “Ma molte persone non capiscono la differenza fra le teorie che si basano su elementi concreti e quelle diffuse da una nuova specie di "commercianti": questi ultimi non danno nessun elemento di riscontro, ma fanno leva sull'orgoglio della gente e allora convincono... e questa gente continua a vendere libri alle spalle di tutti gli archeologi che faticano a trovare un impiego qualunque...” (D.M.)
E qui è partito l'attacco delle archeobimbe/i... pattuglia d'avanscoperta inviata da archeobuoni decisamente riconoscibili.
I commenti dei loro compagni di classe si moltiplicano. Sopratutto dopo che Melis è intervenuto con una frase secca in cui scriveva che negli interventi vi era ravvisata l'ingiuria e il reato penale.
Un altro archeobimbo, certo N.S. di Cagliari (quarantenne però) se la prende, oltre che con Melis con Laner, Frau, Sanna... e parte con una filippica che non si c...a nessuno, mentre nella pagina di Leonardo su facebook arrivano decine di messaggi di solidarietà, ma questo fa ancora più inc... il N.S. di Cagliari che continua da solo con il suo sproloquio dicendo che "il vile Melis tanto non avrà il coraggio di rispondere"... infatti nessuno se lo caga... eccetto un poveraccio che pare essere contrario, ma non osa poverino e dice che "tu ne sai di sicuro più di me... ti risponderà Melis se vuole..." E il N.S. continua lancia in resta a trafiggere ... il vento. QUI
Non so se davvero qualcuno li ha mandati o se agiscono in proprio in quanto missionari della Dea Ragione, resta il fatto che, anche io, tentando di ridurre gli insulti al dialogo, mi sono preso la mia piccola dose di gentili improperi, come di uno da cui ci si aspetta "maggiore preparazione". Davanti a tanta scienza, ho preferito una pavida via di fuga. [zfp]
Longobardi-Bizantini su e giù nel futuro dei Sardi antichi. Che casino
Non sarà sfuggito, agli osservatori più acuti, lo stravolgimento che alcuni reperti archeologici sardi stanno operando, millimetro dopo millimetro e certezza dopo certezza, sul panorama storico Mediterraneo. Avevamo in precedenza segnalato come il documento di Pozzomaggiore sposti indietro la civiltà romana di oltre 2000 anni .
Un secondo manufatto, il nuraghetto del museo di Dorgali, ci confermò la presenza del sistema numerario romano ancora nella Sardegna nuragica. Ora arriva, da un'origine inattesa, la sconvolgente notizia che la controparte orientale dell'impero Romano d´Occidente, quello Bizantino, esisteva già almeno nel I millennio a.C. Lo confermano le decorazioni a punti e virgola della stele di Polis tis Chrysochou, sorprendentemente simili agli elementi decorativi della ormai famosa linguella per cintura Longobarda di Tzricotu (figura 1). Che però attenzione, Longobarda non è: come ci dicono i reperti di Castel Trosino , essi furono sí trovati in una necropoli Longobarda, ma sono di manifattura mediterranea ed origine Bizantina. Ne consegue che la stele di Polis tis Chrysochou, per le evidenti analogie, è Bizantina anche essa. Colei risale al VI-V secolo a.C. e poffarbacco, ecco catapultati nella Cipro del I millennio a.C. il luogo ed il tempo d'origine dell'impero Romano d'Oriente.
Forse. Ma forse dobbiamo spingerci ancora più indietro nel cercare gli antenati di Basilio e Giustiniano: i cunei cuneiformi ed i possibili punti e virgola delle tavolette di Ugarit (vd. Figura) potrebbero farci pensare ad una datazione ancora più antica, riproponendo tra l'altro la questione se i cunei dell'Ugaritico siano in realtà meri elementi decorativi (come sospettiamo da tempo), conservatisi tali fino al Medioevo sardo, a fare da elemento evidentemente arcaicizzante ed indipendente dalla derivata cultura locale.
Insomma, come si può ben capire, le derive identitarie e relative pulsioni sardesche ricevono documento dopo documento dei terribili colpi.
(1) Terence B. Mitford, UNPUBLISHED SYLLABIC INSCRIPTIONS OF THE CYPRUS MUSEUM, MINOS, VOL 7, NO 1 (1961)
mercoledì 6 ottobre 2010
"Stati generali": fa capolino sa Carta de Logu noa de Sardigna
È molto difficile che, leggendo i quotidiani o vedendo la televisione, qualcuno abbia idea di che cosa sia successo ieri nella riunione dei cosiddetti Stati generali convocata nell'aula del Parlamento sardo. Non solo per l'ovvia difficoltà di riassumere in 565 parole (L'Unione sarda) o in 741 (La Nuova Sardegna) o in pochi minuti (le Tv) oltre cinque ore di dibattito, ma per una sorta di rimozione del senso di quanto è accaduto. Certo, il titolo di Stati generali, in ricordo degli États généraux che precedettero la Rivoluzione francese, era alquanto enfatico, ma si è trattato di una assemblea in cui la classe dirigente sarda, nelle sue componenti politica, sociale, comunali e provinciali, culturale, si è detta come intende costruire un rapporto nuovo, o ex novo, fra la Sardegna e lo Stato.
E siccome chi è interessato non troverà soddisfazione nei grandi media, ecco il link al sito del Consiglio regionale che fornisce il resoconto delle cinque ore di dibattito. Gli Stati sociali (sindacati e imprenditori) hanno badato all'economia, ma in alcuni casi non solo ad essa; gli Stati comunitari (Enti locali) piuttosto al decentramento dei poteri dalla Regione e dallo Stato a loro favore; gli Stati politici (i parlamentari) hanno mirato al cuore del problema: il superamento dell'autonomismo verso la costituzione della Sardegna in entità federata.
È da loro che è venuto il disegno del percorso che, se ci sarà la capacità di un alto compromesso fra le diverse sensibilità, potrebbe portare a una nuova Carta della Sardegna. Secondo il senatore democratico Antonello Cabras (presentatore di un disegno di legge costituzionale) preliminare ad ogni altro discorso è la denuncia del patto costituzionale che ha portato nel '48 all'attuale Statuto speciale “perché una decisione di questo tipo obbliga lo Stato a confrontarsi con la Regione per costruire una revisione, un nuovo Statuto”. I senatori del Pdl Delogu e Massidda hanno messo sul tavolo della discussione prossima ventura Sa Carta de Logu noa pro sa Natzione sarda, la proposta redatta dal Comitato per lo Statuto e fatta propria da Massidda in un suo disegno di legge costituzionale.
Di questa proposta, chi legge i quotidiani sardi e ascolta le tv non sa alcunché, visto che mai ne hanno parlato. E continuano anche oggi a nascondere, neppure citando quel che è stato detto ieri. Si tratta, come qualche amico di questo blog ricorderà di aver letto, della attribuzione alla Sardegna di tutte le competenze salvo le quattro tradizionalmente attribuite agli stati federali. “Non è il Vangelo, però – ha detto Delogu - è la dimostrazione che qualche cosa di concreto si è fatta, che qualcosa di concreto si può fare”.
Pare di capire che, attraverso la proposta di Cabras e quella del Pdl, il prossimo dibattito sul nuovo Statuto sardo possa portare a qualcosa di assai meno vago di quanto i media abbiano fino ad oggi riferito. E di quanto, di conseguenza, i sardi siano stati indotti a sperare.
martedì 5 ottobre 2010
Aiuto, mi son preso il mal di Sardegna
di Stefano Baldi
Salude Zuanne Frantzisco,
non ci conosciamo, ma io ho avuto modo di apprezzarti tramite Sa losa de Osana e il tuo blog.
Sono un toscano di 57 anni che, dopo qualche decennio di frequentazioni saltuarie della vostra terra, ha finalmente vissuto lo scorso febbraio l’esperienza dei carnevali sardi.
La accarezzavo da tanto. Già mi aspettavo qualcosa di forte, ma la potenza ancestrale di quanto ho vissuto in quei giorni è stata devastante. Faccia a faccia col mito, qualcosa di difficile da definire mi ha artigliato l’anima e ha scatenato un bisogno di appartenenza che va al di là di ogni mia possibilità di controllo. L’urgenza di farmi sardo, indipendentemente dall’origine anagrafica, mi ha spalancato un mondo nuovo di rapporti e conoscenze, dove in qualche caso mi è ancora difficile orientarmi.
Come primo passo ho deciso di imparare sa limba. Leggo tutto quello che posso reperire in sardo, compatibilmente con la mia rapidità di lettura e il tempo che posso sottrarre a famiglia e lavoro, ed è cosi’ che ho incontrato il tuo libro. Dal libro al blog, sempre affascinato dai misteri archeologici della vostra terra e intrigato dalla vivacità delle discussioni. E il movimento indipendentista che tuttora mi addolora e non riesco a condividere, ma fra i cui esponenti ho trovato persone che stimo e con cui ho stretto amicizia.
In questi mesi ho avuto modo di apprezzare il lavoro di ricostruzione di una identità linguistica sarda, partecipando, fra le altre cose, al corso online dell’Università di Cagliari, tenuto da Mario Puddu, e assistendo al dibattito, spesso polemico, fra i vari partecipanti. Un’esperienza che mi ha dato la misura di quanto importante e complesso sia il compito di unificare i vari ceppi della lingua sarda, e dell’urgenza di portarlo a compimento; sono fiero di averci, in qualche misura, preso parte, anche se in veste di spettatore impotente, dato che del sardo ho una conoscenza passiva e limitata e non riesco ancora a parlarlo.
Ho sempre ritenuto che i sardi dell’antichità non avessero scrittura o, meglio, che per qualche motivo avessero deciso di non farne uso. Il tuo romanzo mi ha spiazzato insinuando che non sia così; è una posizione che ha un fondamento o è un’invenzione del romanziere? Siccome fai riferimento a rinvenimenti reali: i giganti “dimenticati” nei magazzini, le spade votive scomparse, mi viene il dubbio che siano state realmente rinvenute anche scritte incise nei nuraghi e tavolette istoriate di cui non sono a conoscenza. Sono una vittima dell’opera oscurantista dei baroni cattivi e del sovrintendente La Rocca?
Il libro mi piace molto e, da quasi profano, trovo che sia scritto in una lingua bella ed elegante, anche se ogni tanto mi sembra di sentire affiorare la tensione ideologica che ci sta dietro. Una sorta di “sforzo”, a tratti quasi didattico, di riportare in uso uno strumento in qualche misura dimenticato o trascurato troppo a lungo e che bisogna tornare a impiegare massicciamente. Lo specchio di una cultura fra le più antiche del Mediterraneo, con molte crepe forse, ma in cui si può ancora scrutare alla ricerca di radici così profonde da far impallidire la storia, così tenaci da avvinghiarsi all’anima che le riconosce e non lasciarla più.
lunedì 4 ottobre 2010
Il martello di Atropo etrusca e dell'accabbadora sarda
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Su matzolu di Luras |
Di recente è stato messo in dubbio che sia mai esistita in Sardegna l’usanza dell’accabbadura, ossia della “buona morte” od “eutanasia”, praticata dalle accabbadoras (ma anche dagli accabbadores) (due cc e due bb !) su individui in lunga e dolorosa agonia. Chi ha sollevato questo dubbio evidentemente non ha letto l’articolo di Maria Giuseppa Cabiddu, pubblicato nei «Quaderni Bolotanesi» del 1989, num. 15, pagg. 343-368. Si tratta di uno studio molto accurato, circostanziato di fatti, di testimonianze e di bibliografia, il quale non lascia spazio a ragionevoli dubbi intorno al fenomeno studiato ed esposto dalla ricercatrice. Costei presenta anche una lunga testimonianza fàttale da un suo concittadino di Orune, nato nel 1910, testimonianza che praticamente riportava indietro i fatti narrati soltanto di qualche decennio.
D’altronde nel mio libro Lingua e civiltà di Sardegna (II, Cagliari 2004, Edizioni della Torre, pag. 20) ho scritto testualmente: «dal mensile di Cagliari “Il Messaggero Sardo”, del febbraio 2004, sono venuto a conoscenza di un fatto quasi incredibile: un anziano emigrato ha scritto di avere il ricordo chiaro di due casi di eutanasia, effettuata da accabbadoras a Cuglieri, dopo la I guerra mondiale, nei primi anni Venti... In paese se ne parlava in modo molto sommesso e riservato...».
Ancora più recente è la testimonianza riportata da Alessandro Bucarelli e Carlo Lubrano, nel loro libretto Eutanasia ante litteram in Sardegna (Cagliari 2003, pagg. 86-87), i quali, dopo aver seguito passo passo lo studio della Cabiddu, riferiscono due episodi di accabbadura, uno avvenuto a Luras nel 1929 e l’altro avvenuto ad Orgosolo addirittura nel 1952...
Infine segnalo che è comparso di recente il libro di Dolores Turchi, Ho visto agire s’accabbadora – la prima testimonianza oculare di una persona vivente sull’operato de s’accabbadora (con dvd allegato) (Oliena 2008, ediz. IRIS).
D’altra parte ritengo opportuno presentare una notazione propriamente linguistica, che ha una sua importanza: se in tutta la Sardegna centrale fino a mezzo secolo fa erano conosciuti e adoperati i vocaboli accabbadore, accabbadora «accoppatore,-trice» e accabbadura «finitura, accoppamento» (da accabbare, aggabbare «finire, terminare, smettere, esaurire, accoppare, uccidere», a sua volta dallo spagn. acabar), significa che essi facevano preciso riferimento, non a leggende inventate, ma a fatti reali e concreti.
Anche lo studioso gallurese Franco Fresi, in alcuni suoi scritti e interventi, ha riportato la testimonianza di casi di accabbadura avvenuti in epoca recente in Gallura e provocati pure col colpo di un martello tutto di legno dato sul cervelletto oppure su una delle tempie del malcapitato, martello chiamato matzolu «mazzuolo», di cui tuttora esiste un esemplare nel «Museo Etnografico» di Luras. Eccone, in alto, la fotografia.
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