
Quel che avevo letto fino ad allora mi faceva temere il peggio degli stereotipi. Gianni Olla su La Nuova Sardegna parlava di "banali ragioni d'orgoglio identitario" (banali?) e diceva come Sonetaula fa risaltare "una sorta di messaggio nascosto: la violenza e la solitudine sentimentale, sessuale, repressiva, rabbiosa, come "tabù visivo" e prima ancora verbale dell'intera cultura sarda non metropolitana". Walter Porcedda, sempre sullo stesso quotidiano, parla della "maledetta via crucis della balentia", di pellicola interpretata "in sardo e in lingua italiana" (la seconda è lingua, l'altro chissà cos'è?), di "terra alla vigilia del passaggio alla modernità".
Per fortuna, se di deve dar retta a Fofi, Mereu "ha voluto dialogare con i morti, con i suoi morti, e richiamarli sciamanicamente in vita perché rivivano la loro pena e possano raccontarla, finché si può". Speriamo: non se ne può più degli stereotipi di chi si mette in testa di raccontare ai sardi e forestieri la Sardegna "autoesotica" che piace tanto ai forestieri, così convinti che la Sardegna sia come la pensano loro che sono disposti a investire i propri soldi per comprare romanzi che li confortino nel loro immaginario.
Nella foto: la porta dell'abitazione di Orgosolo scelta da Mereu per ricostruirvi la bottega del barbiere.
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