Si deve forse al nuovo sovrintendente archeologico, Azzena, se finalmente si comincia a tirar fuori dagli archivi il "dossier Monte Prama". Le tonnellate di pietre fatte a pezzi, trovate nel Sinis nel 1974 (trentaquattro anni fa), che in un certo periodo della nostra storia erano statue, stanno per restituirci forme di guerrieri e di chi sa che cos'altro. I restauratori di Li Punti pare non si facciano molte illusioni sulla possibilità di ricostruire molte di quelle sculture, ma vivaddio almeno si comincia.
Tutto è bene qualche che finisce (o promette di finire) bene? Sì, ma solo in parte. Trentaquattro anni di colpevole dimenticanza, mescolata con l'incredibile ignavia di chi aveva in mano quei reperti, possono aver recato danni forse non recuperabili.
Si è scoperto molto recentemente che i giganti di Monte Prama erano stati colorati di nero e di rosso dai loro scultori. Colori, a quel che si dice, di origine animale. Si sa che, attraverso l'analisi al C14 di resti organici, è possibile risalire all'età delle tinte e, quindi, delle statue. E sapere, così, se hanno ragione i feniciomani a datarle a un'epoca successiva all'arrivo dei Fenici, o se hanno ragione quelli che le fanno risalire al X o all'XI secolo avanti Cristo. Questa analisi, sia detto per inciso, non potrà essere fatta in Sardegna perché nella nostra isola, per quanto ricchissima di reperti archeologici, non c'è strumentazione adatta.
La domanda che c'è da porsi, con timore e con rabbia, è a questo punto: Possibile che gli archeologi che hanno lavorato nel sito, prima di autorizzare il trasporto delle migliaia di pezzi, non si siano accorti che alcuni di questi erano dipinti?
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