Credo che mi piacerà, e non poco, il nuovo film di Salvatore Mereu, Sonetaula. E questo malgrado gli sforzi della congrega degli anti-identitari (naturalmente sardi) e nonostante l'aiuto che lo stesso Mereu, in una infelice intervista con una Tv (naturalmente sarda), ha dato loro. Come capita spesso è stato un critico italiano, Goffredo Fofi (il quale evidentemente non soffre della sindrome dell'autocolonizzato), a farmi capire che nel film non mi imbatterò nella fastidiosa e ormai insopportabile reprimenda dei modernisti contro l'arcaismo dell'identità sarda.
Quel che avevo letto fino ad allora mi faceva temere il peggio degli stereotipi. Gianni Olla su La Nuova Sardegna parlava di "banali ragioni d'orgoglio identitario" (banali?) e diceva come Sonetaula fa risaltare "una sorta di messaggio nascosto: la violenza e la solitudine sentimentale, sessuale, repressiva, rabbiosa, come "tabù visivo" e prima ancora verbale dell'intera cultura sarda non metropolitana". Walter Porcedda, sempre sullo stesso quotidiano, parla della "maledetta via crucis della balentia", di pellicola interpretata "in sardo e in lingua italiana" (la seconda è lingua, l'altro chissà cos'è?), di "terra alla vigilia del passaggio alla modernità".
Per fortuna, se di deve dar retta a Fofi, Mereu "ha voluto dialogare con i morti, con i suoi morti, e richiamarli sciamanicamente in vita perché rivivano la loro pena e possano raccontarla, finché si può". Speriamo: non se ne può più degli stereotipi di chi si mette in testa di raccontare ai sardi e forestieri la Sardegna "autoesotica" che piace tanto ai forestieri, così convinti che la Sardegna sia come la pensano loro che sono disposti a investire i propri soldi per comprare romanzi che li confortino nel loro immaginario.
Nella foto: la porta dell'abitazione di Orgosolo scelta da Mereu per ricostruirvi la bottega del barbiere.
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