lunedì 23 gennaio 2012

L'Alcoa non deve chiudere. Certo, e poi?

Abbiamo credo tutti la propensione ad emozionarci ai drammi collettivi e molto meno a quelli individuali, alle tragedie dei grandi e non dei piccoli numeri. La minaccia di 500 licenziamenti è un dramma, quella della chiusura di una minuscola attività un triste affare personale. Non è giusto, ma temo che così continueranno ad andare le cose. La capacità di coinvolgere media e gente che conta accresce poi la sensazione di vivere una tragedia sociale. Gli operari e i quadri sindacali della Alcoa di Portovesme sono riusciti a far parlare giornali e telegiornali della loro vicenda (la minacciata chiusura della fabbrica). Ed hanno ottenuto pubblica solidarietà da calciatori e cronisti sportivi e milioni di persone hanno, quindi, saputo che esiste l'Alcoa di Portovesme con il suo carico di drammi.
Non molto tempo fa, l'isola dell'Asinara occupata dai cassa integrati della Vinyls divenne famosa in Europa, e non solo, come sede della lunga protesta operaia. Ancora oggi esiste e funziona il sito che porta il nome della iniziativa ed un molto letto raccontatore delle battaglie sindacali in tutto lo Stato. Mediaticamente efficace, politicamente funzionale a far crescere le simpatie per l'opposizione e anche per la maggioranza regionale che si mossero l'una e l'altra nei confronti del governo Berlusconi.
Di Alcoa, insomma si parla, non è più solo un argomento sindacale, come lo sono, per esempio, la vertenza per il calzificio macomerese Queen e le altre decine che hanno puntellato questi anni di desertificazione industriale della Sardegna. Se ne parla come si è parlato della Vinyls di Portotorres e dell'occupazione dell'Asinara. Operai e sindacati chiedono che l'Alcoa non chiuda, che la multinazionale americana – si è letto anche questo – non pensi solo all'economia ma anche all'etica. Chiedono alla politica di agire, di muoversi per scongiurare la fine della produzione di alluminio in Sardegna. Questa politica di mangiamangia, di membri della Casta, di ladri e fannulloni è, per un attimo, utile, insomma.
Certo non è compito degli operai e dei loro quadri sindacali dire come superare la crisi che comporta la chiusura dell'Alcoa, né lo è dei sindacati che, però, una certa complicità l'hanno con la scelta sciagurata di impiantare in un'isola fabbriche inquinanti e divoratrici di energia. E da quando lo Stato non è più imprenditore, neppure esso può essere invocato come risolutore della crisi. Non può, insomma, sostituirsi alla multinazionale americana per tenere aperta la fabbrica, come, invece, pare suggerire – se non ho capito male – chi dice che l'Alcoa può anche andarsene dalla Sardegna, purché qui rimanga la produzione.
Quale potrebbe dunque essere il ruolo della politica in questa e in altre vicende simili? Il ruolo che fino ad ora non ha esercitato: creare le condizioni, attraverso la zona franca per esempio, per un modello di civiltà nuovo per la nostra isola. Un modello che prenda atto della fine della vecchia industrializzazione e che, se industria ha da essere, sia fondato sulle risorse materiale e umane della Sardegna. Nell'accompagnare l'affermarsi di questo modello, ci sarà bisogno di una grande quantità di lavoratori per riparare i disastri ambientali e ripristinare l'ambiente la cui bellezza dovrò tornare ad essere la caratteristica prima dell'isola.
Un sogno, un'utopia? Forse, ma certo non più sogno ed utopia dell'immaginare una multinazionale statunitense che metta l'etica fra i criteri produttivi.

4 commenti:

elio ha detto...

Ho letto ieri sul sito di Roberto Bolognesi “La sfida che nessuno raccoglie: il presente”. È questo il presente? A me e, mi è sembrato di capire, anche a Gianfranco, sembra il passato. Il passato fa brutti scherzi: quanto più è recente, incredibilmente, tanto più riesce a distorcere la realtà. Attardarsi in anni lontanissimi ci porta alla divisione, allo scontro; qualcuno ci si è scavato una nicchia (o spera di farlo) e la difende colle unghie e coi denti; si mobilita l’Accademia e non lo fa direttamente ma per interposta persona, l’acume e la dottrina, “l’ingegno” non devono uscire dalla torre eburnea, non vanno sprecati con chi non ha “titolo”, si giostra solo con “is de nosus”, allora ci si può levare anche la pelle.
Non è un paradosso ma, la difesa di “Alcoa” e la difesa dell’Accademia, tendono allo stesso scopo: salvare l’esistente, “su connotu”. La differenza sta in questo: nella scontro sul lontanissimo passato, sono botte da orbi, in quella del “presente”, sono tutti d’accordo, anche quelli che dell’Alcoa e suoi lavoratori non gliene sbatte un benemerito. Anzi, è tutta una gara a chi meglio difende, a chi più “resiste”. Fino a stravolgere la realtà, appellandosi, come fa notare Gianfranco, all’etica di una multinazionale. È più comodo e paga nell’immediato, altro che affaticarsi a cercare soluzioni credibili

Grazia Pintore ha detto...

Purtroppo il problema della Sardegna non è solo l'Alcoa e altre fabbriche,c'è anche la lotta dei pastori.Praticamente si sta andando verso lo sfascio dell'economia sarda.Lo stato italiano sembra essersi dimenticato della nostra isola.Non posso aggiungere altro perchè non sono addentro a tutti i problemi della Sardegna ma quando vedo in televisione le proteste,ribadisco ,molto dignitose,dei sardi mi commuovo ed indigno particolarmente.

Grazia Pintore ha detto...

Per quanto riguarda la difesa della bellezza della Sardegna non ci sono dubbi.Ci vorrebbe un valido rispetto dell'ambiente.GFP ,tanti anni fa,fu unu dei primi a lottare contro lo sfruttamento della Sardegna da parte di una industria inquinante,di cui, e me ne scuso,non ricordo il nome.Bisognerebbe valorizzare i lavori più consoni alla nostra isola, come l'artigianato,il turismo,etc.

mario carboni ha detto...

Le proteste anche le più eclatanti che i sardi attuano e anche subiscono sono certamente giustificate, non solo per le misure del governo Monti che aggravano i costi aggiuntivi che la Sardegna soffre a causa dell'insularità e delle infrastrutture da terzo mondo e dall'abonorme costo dell'energia dovuto mediamente al 60% di tasse.
Se è venuta l'ora di pretendere un nuovo Statuto di sovranità e l'applicazione completa di quello vigente e non attuato in molte sue parti, queste rivendicazioni sono totalmente assenti dal complesso movimento che si agita nelle piazze sarde.
La mancanza di obiettivi di scenario e strategici rischia di vanificare qualunque azione di lotta che sia, come deve essere in questi giorni, di politica generale e di contestazione del ceto sindacal-politico sardo e delo Stato colonialista e non una somma di interessi giusti ma corporativi.
Si sommano le proteste ma mancano le proposte.
Una in particolare che potrebbe risolvere alla radice molte questioni e sopratutto come realizzare una politica economica e fiscale che dia slancio nuovo, vitale e autocentrato alla Sardegna basato sui diritti della nostra Autonomia Speciale.
Si tratta della attuazione dell'Art. 12 del nostro Statuto che recita da 60 anni " Saranno realizzati i Punti franchi".
Premesso che l'U.E. ha superato la differenza e le discussioni fra punti e zone franche sta di fatto che ancora incredibilmente e colpevolmente non si è data attuazione al D.Lgs. del 10 marzo 1998 n.75, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 7 Aprile 1998 n. 81 che ha ISTITUITO LE ZONE FRANCHE NEI PORTI E NELLE AREE INDUSTRIALI AD ESSI FUNZIONALMENTE COLLEGATE, di Cagliari, Olbia, Oristano, Porto Torres, Portovesme ed Arbatax.
Ancora più colpevole, censurabile e grave è che la Zona franca di Cagliari che ha beneficiato anche di un successivo decreto del Presidente del Consiglio del 7 giugno 2001 che detta ulterriori disposizioni per la sua operatività e stabilisce che a gestirla sia la Società consortile CAGLIARI FREE ZONE-Zona franca di Cagliari.
Questa società i cui azionisti al 50% sono l'Autorità portuale di Cagliari e il Cacip-Consorzio industriale provinciale di Cagliari, costituita da oltre dieci anni e con 280.000 euro di capitale sociale è INCREDIBILMENTE INATTIVA.
Quindi mentre la Zona franca di Cagliari potrebbe partire da subito, per le altre le Giunte regionali che da oltre 13 anni si sono succedute non hanno, come loro dovere effettuato le delimitazione ed ogni altra disposizione necessaria per la loro operatività, inviandole al Governo affinchè con decrerti separati le renda operative..
In tutte le zone interessate dalle norme d'attuazione dell'art. 12 dello Statuto e per esempio a Porto Vesme, la realizzazione della Zona Franca potrebbe essere una soluzione al rilancio di tutta l'economia del Sulcis, per la riconversione industriale e nei servizi avanzati sostitutiva di attività chiuse ed in chiusura come l'ALCOA , inquinanti ed energivore ma che lasciano sul lastrico centinaia di famiglie senza alternativa.
La Fondazione Sardegna Zona Franca che ha oltre 2000 soci nel suo sito Facebook "Sardegna Zona Franca/Sardigna Logu Francu" invita i decisori politici a fare il loro dovere nel rispettare i diritti dei sardi espressi nello Statuto vigente e paventa che se il Movimento di protesta, i Sindacati, le forze politiche continueranno ad ignorare la soluzione Zona franca, tutte le loro lotte possano concludersi nell'agitare pericolosamente i muscoli e col rischio di gravi provocazioni , ripetendo inutilmente la richiesta di conservazione e assistenzialismo e in definitiva in un buco nell'acqua perchè sono senza proposte operative ignorando che la Zona Franca significa sovranità fiscale e sovranità fiscale è la base dell'autogoverno e dello sviluppo economico e di qualsiasi forma o grado di Indipendenza.