Rimettendo a posto le montagne di carte conservate ormai da decenni e venute alla luce in un recente trasloco, ho ritrovato tanti pezzi dimenticati dell'ormai pluridecennale dibattito sulla lingua sarda. Oltre che per l'archeologia, e sono d'accordo dato che ne parliamo da tempo, forse bisognerebbe investire qualche euro nei lavori socialmente utili, per non perdere la memoria di ciò che si è detto e non detto sulla lingua sarda.
Scavare negli archivi, raccogliere articoli sui quotidiani e periodici, pubblicare e ripubblicare libri e scritti, raccogliere la letteratura recente in lingua sarda.
Sopratutto bisognerebbe censire e pubblicare, magari commentando storicamente ciò che si è scritto ed è rimasto sepolto nei nuraghes di carta che attendono di essere scavati.
Nel passato, malgrado il seppellimento della nostra storia, cultura e tradizioni, da parte del colonialismo e autocolonialismo, chi aveva buona volontà intraprendeva personali campagne di scavo.
Oggi, a giudicare dal dibattito sulla lingua mi sembra che molti che discutono, non solo non cerchino di scavare ma non tengano conto neanche di ciò che è alla luce del sole.
Si parla sul sentito dire, su luoghi comuni superati, su concetti che richiamano più la polemica che il confronto delle idee.
Un dibattito aperto da Gianfranco Pintore sul suo blog è continuato su di un altro sulla base di una cronichicchia della Nuova Sardegna che riportava maldestramente i contenuti della conferenza stampa de Su Comitadu pro sa limba sarda recentemente ricostituito.
Nella foto: Febbraio 1978, l'annuncio della campagna per la legge popolare sul bilinguismo
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