giovedì 9 luglio 2009

Dall'agonia della chimica un modello diverso di sviluppo

Non capita spesso di andare orgogliosi dei propri ceti politici, troppo spesso presi in beghe di cui alle persone normali sfuggono non solo i significati ma anche i contorni. Quella di ieri, quando il governo sardo si è riunito con i parlamentari sardi, è una di quelle rare occasioni. In gioco c’era – e c’è – per alcuni la sopravvivenza della chimica, per altri (io sono d’accordo con loro) la sopravvivenza di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie. Tutti hanno comunque preso la saggia decisione di lasciare a casa le baruffe e di mettersi a lavorare uniti.
Personalmente sono molto polemico con la scelta, decisa a Roma ma ingoiata in Sardegna come fosse uno zuccherino, di procedere alla industrializzazione petrolchimica e chimica dell’Isola. Lo sono, se mi si permette un ricordo personale, fin dal 1972, quando venni inviato dal mio giornale da Milano a Ottana. Mi parve una pazzia e lo scrissi. Ma adesso, quando si prepara una sorta di Stati generali del popolo sardo, vale la pena mettere da parte recriminazioni e critiche. E vale la pena di cominciare a ragionare, anche su questo blog se ne avete voglia, su un modello economico diverso da quello fin qui conosciuto.
Un “Nuovo modello di civiltà” lo chiamammo nel 1990 in un documento, “Il manifesto di Desulo” elaborato da due dozzine di intellettuali non organici. Vi scrivevamo fra l’altro:
Alla disoccupazione di massa, alla fragilità e impotenza del sistema economico, alla impreparazione ed evanescenza della classe politica sarda, alla vacuità ed evasività delle culture dominanti, cominciano a sovrapporsi le moderne carestie: la carestia dell'aria pulita, dell'acqua potabile, dei cibi non nocivi, degli spazi territoriali fruibili.
La Sardegna, pur non avendo goduto, se non in piccola parte, dei benefici dell'occidentalizzazione, si trova a dover subire pienamente le conseguenze del degrado ambientale e dei mutamenti climatici provocati dai paesi maggiormente industrializzati, Usa in testa. In questo contesto, la difesa e la rigenerazione dell'ambiente isolano in tutti i suoi aspetti si propone come impegno urgente e prioritario, fulcro del nuovo modello di civiltà, a cui tutti gli altri impegni debbono essere subordinati e finalizzati.
Politica, economia, cultura, organizzazione sociale devono avere come oggetto e preoccupazione principale la difesa, la ricostruzione, la valorizzazione e l'abbellimento della terra sarda, pena l'arretramento generale e la disumanizzazione... È ancora possibile che la Sardegna --come isola di Utopia-- diventi un paese in cui si producono aria respirabile, acqua buona, cibi sani, spazi residenziali non congestionati e socialmente non pericolosi, marine e boschi salubri, città e montagne parimenti vivibili al miglior livello umano
.”
Comunque lo si chiami, il nuovo modello economico non può non essere fondato su “la difesa, la ricostruzione, la valorizzazione e l'abbellimento della terra sarda”.
Alla “monocultura della pecora” si è sostituita negli anni la monocultura petrolchimica e comunque industriale che ha semidistrutto la prima; ora questa sta implodendo, scossa da una crisi mondiale di cui ancora non scorgiamo le dimensioni; si sente qua e là avanzare la proposta di una monocultura turistica, forse meno devastante della seconda, ma certo pericolosa. È mai possibile che non riusciamo a pensare alla Sardegna come un’unica, irripetibile e allo stesso tempo variegata terra di prosperità?

20 commenti:

Daniele Addis ha detto...

" il nuovo modello economico non può non essere fondato su “la difesa, la ricostruzione, la valorizzazione e l'abbellimento della terra sarda”"

Bene, il punto di partenza imprescindibile dovrebbe essere la SOVRANITÁ. Senza quella i tanti bei progetti di "nuovo sviluppo" dell'isola sono destinati a rimanere lettera morta.

Zuliè ha detto...

Non credo che qui il vero problema sia la sovranitá. O magari lo è ma sinceramente mi sembra che la Regione (anche dipendendo dall'Italia) abbia i mezzi per reagire a tutto questo.
Che la chimica chiuda in Sardegna potrebbe essere solo una cosa positiva. I posti di lavoro che si perdono si potrebbero recuperare per la bonifica del territorio (che ovviamente spetta all'Eni e non dovrebbe ricadere sulle nostre spalle...di nuovo) e investire in quello che Gianfranco chiama "nuovo modello di sviluppo". Sarebbe sicuramente meglio che continuare a buttare soldi nelle mani di questa gente per salvare forse 800 posti su 3500 e riniziare tutto da capo tra 6 mesi o forse meno.
Che chiudano ma che paghino quello che devono pagare. Che restituiscano la terra allo stato naturale e se questo non è possibile che ci risarciscano. Mi pare che siamo stati giá truffati abbastanza da questa industria per continuare a supplicare di rimanere.

zfrantziscu ha detto...

Ho parlato troppo presto e troppo presto ho espresso soddisfazione per l'unità dei ceti politici sardi che ieri avevano delegato il presidente della Regione a rappresentarli.
E di poco fa una dichiarazione di Renato Soru che definisce Cappellacci "un burattino". Delegittima i suoi compagni di partito e pazienza. Il fatto è che tenta di riportare la politica a guerra per bande, proprio quando ci sarebbe bisogno di unità.

Anonimo ha detto...

Leggevo con interesse questo argomento e mi venivano in mente alcune semplici considerazioni: In una democrazia, la classe politica è sempre quella preposta a stimolare la direzione economica del territorio. Io preferisco un'approccio più Keynesiano alla situazione: E' la politica che deve consentire al mercato la sua espansione e non viceversa. Quando la politica non ha capacità di programmazione e di pianificazione, questo lo si deve generalmente a due motivi: L'assenza di risorse per poterlo fare; oppure una classe dirigente che non ha le capacità minime per mettere in moto quel processo di direzionalità economica. Spesso queste basse capacità sono a loro volta subordinate a modelli, comportamenti e costumi dell'intervento pubblico radicati in prassi centraliste che peggiorano l'azione politica in campo economico e ne inibiscono lo sviluppo. Da un lato insomma non c'è finanza pubblica per investimenti, dall'altro non c'è una classe politica preparata assieme ad una classe imprenditoriale che risulta rarefatta ed impreparata a nuove sfide (oltre che impossibilitata a farlo), e sopra di tutti naviga il centralismo che con i suoi postulati (burocrazia, assenza di valida autonomia, politiche del Credito e dell'energia, etc) determina l'impasse di un territorio. In un epoca di forte terziarizzazione selvaggia per l'occidente, non è infatti sbagliato pensare ad una diversificazione economica per salvaguardare la produttività generale. Ma anche per fare questo occorrono operatori economici a cui la politica non ha creato sotto i piedi il terreno per poter esistere: Istruzione, management, fiscalità, Credito, investimenti, etc. Uno dei problemi che segnalava non molto tempo fa anche l'Associazione della Piccola e Media Impresa in Sardegna (API) era la scarsezza di condizioni che possono portare allo sviluppo ed alla diversificazione: Se nessuno interviene sul Credito, se nessuno rilancia il discorso sul marchio, se nessuno promuove una nuova politica energetica ed infrastrutturale, se nessuno investe in conoscenza e management per la formazione di operatori locali CHE SANNO investire in un dato prodotto e se non si interviene mai sulle leve fiscali, tutto rimane lettera morta. L'economia non si diversifica, non nascono nuovi operatori economici, nè esterni e nè interni: Non si attirano capitali e nè si investe in loco generando a catena nuove opportunità professionali. Gli esterni perché trovano un sistema ostile in cui operare, gli interni perché oltre a questo problema, hanno quello della scarsa preparazione suddetta. In più abbiamo una classe dirigente che non capisce la definizione di "pianificazione quadro", il cui senso è quello di concepire lo sviluppo economico a 360 gradi su diversi livelli. Non si capisce che fisco, Credito, infrastrutture, energia e quant'altro sono elementi iscindibili allo sviluppo. In Sardegna si tende a ragionare per compartimenti stagni e forse a trattarli in separata sede, oppure a non trattarli neppure. Si cercano politiche tampone del momento per mandare avanti lo status quo. E' così che prospera pure l'assistenzialismo ed il clientelismo: Laddove non si amministra lo sviluppo ma lo status quo. Per giocare bisogna conoscere le regole del gioco, e noi abbiamo consiglieri regionali di diversi partiti i quali spesso non hanno neppure chiari in testa questi concetti. E quei pochi che ce li hanno sono inseriti in logiche esterne al nucleo del discorso. Questo meccanismo a imbuto non si fermerà se non sapremo contrapporgli un modello politico territoriale che abbia ben chiaro il concetto di interventi quadro da abbinare alla sovranità. Un po ciò che afferma anche l'Onorevole Maninchedda quando abbina il concetto di sviluppo socio-economico a quello del potenziamento di sovranità. Il problema è che il PSD'AZ stesso oggi non ha nè un programma di medio-lungo termine, nè le strutture ed il personale per poterlo promuovere. La verità è che siamo all'anno zero anche nella formazione di quel progetto politico. - Bomboi Adriano

Daniele Addis ha detto...

Ma se il nuovo modello deve essere fondato su “la difesa, la ricostruzione, la valorizzazione e l'abbellimento della terra sarda”, come si puó pensare di realizzarlo senza la sovranitá su quella terra?

Anonimo ha detto...

La risposta Addis si chiama autonomismo...è quello un potenziamento graduale della sovranità. Ma il termine oggi in Sardegna sembra qualcosa di apocrifo. Senza una vera fase autonomista non creeremo mai i presupposti per realizzare una vera indipendenza o quantomeno, far maturare ed accompagnare nel tempo col consenso dei Sardi l'isola verso un referendum sull'autodeterminazione. Dall'indipendentismo attuale non si capisce granché, probabilmente perché non c'è una strategia. Autonomismo signica fare riforme nella scuola, in campo economico, etc. Sono questi elementi che portano autocoscienza o quantomeno spingono in quella direzione. - Bomboi Adriano

sardopator ha detto...
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Daniele Addis ha detto...

Bomboi, io non ho detto che la sovranitá è inscindibile dall'indipendenza (in quel caso si tratterebbe di PIENA sovranitá, ma non vorrei spaventare quelli abituati a pensare in piccolo), quindi si puó realizzare anche attraverso l'autonomia.
Chiedere agli indipendentisti di svolgere il ruolo degli autonomisti (poiché questi sono evidentemente degli incapaci) mi pare un po' troppo.
Siamo tutti consci ache all'indipendenza bisogna arrivarci gradualemnte attraverso riforme mirate, quello che differenzia autonomisti ed indipendentisti veri è che i primi chiedono timidamente al governo italiano se quelle riforme vanno bene e di fronte ad un rifiuto non si arrabbiano, anzi, considerano legittima la decisione e tornano a casa con le pive nel sacco, magari cercando di salvare la faccia modificando la legge secondo le direttive del governo di turno ed esultando alla fine per il "magnifico risultato" comunque raggiunto.
Un indipendentista comunica al governo il proprio progetto di riforma e non accetta pareri negativi riguardanti, ad esempio, una riforma scolastica o l'insegnamento della lingua ecc...
solo in questo modo, attraverso la ferma volontá di operare delle riforme a prescindere dal parere del governo centrale, si puó creare un'effettiva autonomia in grado di fungere da viatico per l'indipendenza.

Quella attuale, remissiva di fronte a qualsiasi decisione del governo centrale che giustifica di fronte al proprio popolo, crea la coscienza inversa, quella che fa credere di aver bisogno di un'autoritá superiore che ci dica qello che possiamo o non possiamo fare sulla nostra terra.

giuseppe mulas ha detto...

Per quanto riguarda l'autonomia, sulla carta tutti i bei discorsi non fanno una grinza,nei fatti in 60 anni non si sono visti risultati concreti, anzi si sono visti ma in senso negativo.Per quanto ancora dobbiamo aspettare che ci arrivi una manna dal cielo ? E' lampante che non si possa piu' essere cosi' in buona fede da credere che le priorita' della Sardegna non siano sempre state e saranno sempre subordinate agli interessi dell'Italia.
Ho ri-scoperto, leggendo il libro di Giovanni Ricci "Sardegna criminale", che il 2 giugno del 1946,data del referendum per la scelta tra Repubblica o Monarchia, in Sardegna vinse la Monarchia con il 60.9%.Non giudico sulla bonta'della repubblica o viceversa della monarchia, fatto sta che la Sardegna ha espresso un voto il quale non si e' concretizzato in fatti,gia' dagli esordi il nostro volere e' stato sacrificato al volere della maggioranza della "nazione" Italia.Mi si dira': "e' la democrazia baby!Il punto e' che io non mi sento di condividere le mie scelte di sardo con le scelte dell'Italia ." Dovremmo avere ancora fiducia e sperare in cosa ? Che la Sardegna avra'ampi spazi di manovra sulla gestione delle sue priorita'?.E tali priorita' pero' dovrebbero essere condivise e portate avanti da amministratori che pur essendo sardi abbiano come referenti i partiti con sede a Roma ?

Il matrimonio forzato con la "grande patria" per me e' finito,io mi sento separato in casa.

Riguardo l'Eni e le possibilita' che risarcisca il territorio...

http://dorsogna.blogspot.com/2009/06/leni-e-il-parco-del-ticino.html

Zuliè ha detto...

Per Sardopator: abbellimento della Sardegna non vuol dire necessariamente bloccare qualunque attivitá umana per preservarne la natura. Io sono nata in uno dei paesi che rientravano nel Parco del Gennargentu e parlo di questa realtá, perchè la conosco. Il Parco era solo l'ennesima imposizione dall'alto per chi voleva che il centro Sardegna diventasse un bel parco etno-zoologico in cui i turisti potessero venire 2 o 3 mesi all'anno a fare le foto ai nativi. Nessuno ha considerato il fatto che nonostante la popolazione abbia sempre vissuto in queste zone dei frutti della terra (in senso lato e intendo qui legname, pietra, prodotti agropastorali e quant'altro), sia rimasta una delle zone piú boscose in Italia.
Puntare sull'abbellimento dell'Isola non vuol dire farne una riserva naturalistica ad uso e consumo dei turisti ma sfruttare quelle che sono le competenze e la saggezza delle persone che qui ci vivono e hanno saputo preservarne la natura, apprezzata e rispettata proprio perchè dava da mangiare alle persone. O almeno questo è quello che pensa una bidduncola come me, sicuramente gli alti funzionari statali e regionali che spesso non hanno neanche mai visto il centro Sardegna, se non nelle sagre organizzate a posta per loro, sapranno molto meglio cos'è meglio per noi. Parco compreso.

Anonimo ha detto...

Addis in Sardegna forse ci manca un soggetto politico che funga da collante, in molti Paesi hanno un soggetto nazionalista che non escludendo l'indipendenza lavora sul piano autonomistico. E noi, che forse ci servirebbe maggiormente qualcosa di simile, cosa abbiamo? Solo rissa continua. - Adriano

p.atzori ha detto...

Premesso che non ho votato Cappellacci, mi pare che dire di Cappellacci che è un burattino significhi offendere chi l'ha eletto. Soru piuttosto, che io purtroppo votai, dimostra sempre più di essere incapace, assolutamente incapace di ragionare in termini di Popolo sardo. Un isconzazogos senza alcuna chance. Un novello Lussu. Se i sardi si son visti costretti a scegliere un burattino di Berlusconi significa che lui per i sardi vale meno di un burattino.

zuannefrantziscu ha detto...

Il dibattito su questo blog è sempre stimolante e sono grato a interlocutrici e a interlocutori. Anche all'amico bavarese sardopator al quale ha risposto Zulie', tonaresa abitante una zona della Sardegna fra le più boscose del Continente e boscosa perché né il Wwf né il governo italiano è riuscita ad imbalsamarla con il Parco statale del Gennargentu.
Il problema è che, temo, sardopator ha della Sardegna l'idea che gli viene consegnata da certa stampa che è specializzata nel dipingere tutto secondo le proprie convenienze politiche.
La cosiddetta "legge salvacoste" è stata bocciata dai sardi non perché presi da un delirio mattonaro, ma perché pessima legge, nata da un delirio savonaroliano. Questa legge insieme ai piani paesaggisti ha avuto un effetto poco conosciuto: ha impedito l'ammodernamento degli ovili.
Del Parco (carrozzone burocratico per sistemare politici trombati e ambientalisti) ha già detto Zulie'. Case abusive: certo che sono un problema, ma sono state fatte nonostante esistesse una legge urbanistica ferrea (la 45, voluta da Cogodi), proprio perché abusive.
E poi, mi scusi, basta con il considerare la Sardegna come un luogo delle belle coste e basta, queste ci sono e le vogliamo tutelare al massimo possibile, ma non come mummie imbalsamate. L'ambiente da contemplare 51 giorni all'anno non ci va bene. L'ambiente è anche l'uomo, il suo diritto ad usarlo senza consumarlo. Come per millenni abbiamo fatto, prima che ci fossero wwf e ambientalisti con SUV. Se è tanto bello, il merito è di chi lo ha abitato.

Daniele Addis ha detto...

Bomboi, il fatto è che in quei paesi in cui l'autonomia è effettiva i rappresentanti dei partiti "statali" sono degli autonomisti veri che non guardano in faccia agli "amici" del governo centrale,non quelli nostri all'acqua di rose il cui principale compito è quello di blandire i propri concittadini per tenerli buoni nell'interesse del proprio partito e della propria poltrona.

È un atteggiamento che proprio non riescono a perdere, guarda Soru e Cappellacci: il primo invece di starsi zitto come stava facendo ultimamente, ha scelto di parlare per attaccare l'avversario proprio nel momento in cui stava alzando un pochino la testa... spero quindi che Cappellacci gli faccia fare una sonora figuraccia dimostrandogli con i fatti che non è un burattino come dice lui; l'altro stava invece andando bene per una volta, dicendo di essere pronto a porsi a capo dei sardi contro ENI e governo centrale (se questi non avesse provveduto)... peccato la tendenza a parare il popó del governo emerga da questa sua dichiarazione

"Ci troveramo nei prossimi giorni - ha detto Cappellacci -per avviare un momento di politica alta dove tutte gli interpreti si troveranno uniti nel dare una risposta forte ed inequivocabile di fronte all'atto inaccettabile minacciato dall'Eni, mosso da mere speculazioni e che rientra in una più ampia serie di azioni portate avanti dall'ente di Stato, ben oltre la volontà e gli indirizzi dello stesso azionista"

... ben oltre la volontà e gli indirizzi dello stesso azionista... che quindi è senza colpa. Vabbé, vediamo cosa succederá nei prossimi giorni e poi giudichiamo, ma almeno le premesse per un'azione unitaria dei sardi ci sono.

sardopator ha detto...
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Anonimo ha detto...

Se fossimo in uno studio televisivo, e rappresentassi un ipotetico Partito Nazionale Sardo, con Cappellacci da un lato e Soru dall'altro, farei osservare loro che il dott. Scaroni non è l'ultimo arrivato. Si tratta di un signore alquanto abile persino in geostrategia internazionale: Sono suoi infatti i successi nell'Africa, così come i successi nell'est Europa ed in Asia sul piano della gestione ENI. Decine e decine di operazioni svolte in loco per arrivare agli obiettivi. Qualcosa dai tempi di Mattei è cambiata, ma in peggio. Volete che uno così non si renda conto (anche nei confronti del governo) che 3500 operai per strada non sono 2 o 3 famiglie? A PD, PDL, ed ai sindacati direi: "Lo sappiamo che state facendo tutto il possibile ma che potete permettervi il lusso di darvi addosso a vicenda, perché gli operai saranno convertiti lo stesso. La crisi della chimica capita a fagiolo. Eni sta spianando la strada all'accettazione sociale del nucleare in Sardegna". - Bomboi Adriano

Anonimo ha detto...

Il parco era una grande opportunità della quale noi sardi ci saremo dovuti appropriare. In Italia, e direi nel mondo, i parchi naturali sono stati sempre occasione di sviluppo. Non mi pare poi che i trentini o gli abruzzesi si pongano il problema dei turisti che “vengono a fare le foto ai nativi”. Forse dovremmo chiederci come mai ci sentiamo “nativi”. Avremmo potuto avere il parco, avremmo potuto farlo nostro, avremmo potuto farci venire i turisti 12 mesi all’anno, magari ospitandoli nei nostri alberghi o bed & breakfast, magari organizzandoci per bene, tutti insieme, perché ce ne sarebbe stato per tutti. Invece il parco non si è fatto perché la lobby trasversale dei cacciatori appoggiata dai sostenitori del modello di sviluppo del tipo “alla Costa Smeralda” hanno raccontato ai “nativi” un sacco di cazzate, aggiungiamo poi un po’ di campanilismi di basso cabotaggio, incoraggiati per bene, e il gioco è fatto. Dunque per quattro “campioni” che vogliono continuare ad andare in quelle zone a sbronzarsi e a sparare a pennuti che pesano meno delle cartucce con le quali provano a colpirli, gente di cui mio nonno, che a caccia ci andava davvero e per fame, non avrebbe avuto neanche un briciolo di stima, per questa gente quei nostri gioielli naturalistici, prima o dopo, faranno la fine della Costa Smeralda, dove i sardi non possono nemmeno più entrare. E si, perché la lobby dei cacciatori è solo un’avanguardia, dietro c’è ben altro, e altro che gli interessi dei sardi. Lo scorso anno sono stato a Santulussurgiu e la signora dalla quale alloggiavo, in uno splendido B&B, mi raccontava che le case della parte più vecchia del paese, e più straordinariamente bella, erano state quasi tutte acquistata da continentali. E si, perché mentre noi continuiamo a sparare cazzate e a far vedere ai turisti come siamo bravi a cuocere il maialetto arrosto, loro vengono qui, vedono i nostri tesori e vedono anche quanto siamo rincoglioniti, e zitti zitti comprano il nostro territorio e quanto di splendido ci sta sopra dandoci in cambio quattro specchietti colorati. E ci guardano sbigottiti sbraitare contro il parco mentre ci lasciamo colonizzare per davvero, e ci lasciamo colonizzare da quelli che il suv ce l’hanno sul serio, e magari hanno pure lo yacht. In Costa Smeralda è andata proprio così, e di sardo non c’è più nulla, e i sardi, li si, sono i “nativi”, ed è esattamente questo che sta succedendo nelle nostre altre splendide coste e nell’interno. E la legge salva coste? Me lo ricordo quel paginone comprato da Briatore nei “giornali sardi” per spiegarci come quella legge fosse dannosa per noi “nativi”. E sta a vedere che adesso gli interessi del signor Briatore coincidono con quelli dei sardi. O magari vogliamo sostenere che gli allevatori sardi stessero aspettando la legge salva coste per ammodernare gli ovili? Ma di che parliamo? Nelle campagna elettorale per le regionali Renato Soru non è praticamente mai comparso in tv, dall’altra parte Berlusconi ha condotto una campagna elettorale feroce su tutte le tv nazionali, per cosa? Per un bacino di un milione e mezzo (forse) di elettori? O magari perché anche il nostro caro presidente del consiglio, come Briatore, ha a cuore gli interessi dei sardi?

Pietro Murru

Zuliè ha detto...

Non vedo come il Parco potesse essere un'opportunitá di sviluppo. Se i turisti volessero venire a vedere i monti del Gennargentu e la sua bellezza lo potrebbero fare benissimo anche senza parco. Non vedo la necessitá di bloccare lo sviluppo a 360º di un territorio per vincolarlo all'economia turistica (che se non ricordo male è un'economia di settore e nelle prime lezioni di economia ti insegnano che uno degli errori peggiori che si possano fare è proprio quello di fondare la propria economia su un'unico settore soprattutto se questo è estremamente legato ai periodi dell'anno). Tra l'altro, anche senza parco i nostri paesi accolgono quei turisti che vogliono visitare la Sardegna non costiera con strutture alberghiere e l'ospitalitá della gente. Il parco signor Sardopater aveva esattamente la stessa funzione delle nuove province: dare 4 posti di lavoro stipendiati, non dare un'opportunitá di sviluppo. Sennó si sarebbe potuto puntare su altri aspetti della nostra economia che giá esiste e magari aiutarla a uscire dai confini del centro Sardegna. Se davvero i nostri dirigenti avessero avuto a cuore lo sviluppo del Gennargentu avrebbe potuto creare una zona franca (come si fa in molti comuni montani del Nord Italia) o investire su tutte le PMI presenti nel territorio. E invece no. L'unico progetto che abbiamo sono sempre e solo i turisti. Ma giusto per la cronaca da noi di turismo non si vive. A metá agosto inizia giá a far freddo e la gente se ne torna al mare. E quello che lasciano è tre stipendi da cameriere da 700 euro e 4 soldi in cianfrusaglie da regalare a amici e parenti. Bella opportunitá di sviluppo.
E un'ultima cosa, e con questa chiudo. Il fatto di non aver voluto il parco non è una dimostrazione della scarsa unitá dei paesini del centro Sardegna, ma è stata forse una delle poche volte in cui questi paesi si sono uniti per dire no al parco perchè eravamo ben consapevoli che non sarebbe servito a niente. Ma come ho detto piú in alto, siamo solo bidduncoli e quindi sicuramente i signori dirigenti cittadini ne sanno molto piú di noi, no?

sardopator ha detto...
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Zuliè ha detto...

Caro sardopater, forse non ci capiamo o forse non mi vuole capire. Io non sono certo pro squad o simili. Tantomeno sono contraria a qualunque tipo di organizzazione del territorio anche in vista di uno sviluppo del turismo. Non sto dicendo che dobbiamo lasciare tutto nell'anarchia assoluta e sono d'accordo con lei sul fatto che sarebbe un'opportunitá quella di proporre ai turisti qualcosa di piú della semplice bellezza del posto (anche se per quanto ne so io esistono escursioni organizzate e simili, organizzate dai privati, ma questo è un altro discorso). Vivo nel centro Sardegna da 25 anni e non ho mai visto questo turismo folle che i suoi amici le hanno descritto. Anzi lasci che le racconti una cosa.
Durante l'estate io lavoro in un camping in montagna e abbiamo ospiti da tutta Europa e tutti se ne sono andati entusiasti e con la voglia di tornare e di raccontarlo ai propri amici.
Ma al di la di questo, le persone non dicevano NO al parco solo perchè mosse da un'irrefrenabile impulso di ribellarsi alle autoritá. Dicevano No al parco perchè era stato creato e pensato senza ascoltare le opinioni dei diretti interessati, senza sentire le persone che nel territorio ci vivono e lo conoscono. Si puó creare un turismo sostenibile nel centro Sardegna anche senza un Parco, o almeno lo si puó fare con un parco diverso che non blocchi il resto dell'economia del centro Sardegna, che dia altre possibilitá che quelle del turismo e che invece se ben sviluppate rappresenterebbero addirittura un incentivo in piú per i turisti stessi.