giovedì 14 giugno 2012

Scrittura nuragica: gli Etruschi allievi dei Sardi (I)


di Gigi Sanna 
Dedicato ai  'letteratissimi' Sardi nuragici

 Il documento è stato  rinvenuto dal rag. Armando Saba di Allai il 10. XII. 1984, in S'isca de su Nurachi, località sulla sponda sinistra del fiume Massari (o Flumineddu), poco distante dal ponte che si trova all'ingresso del paese di Allai. È in roccia vulcanica  e misura in altezza 36 cm e in larghezza 43 cm. Lo spessore varia tra i 4 e i 5 cm. La forma doveva essere triangolare perché, in maniera evidente, tutto il manufatto si  trova  ad essere, dove più dove meno, smussato in quanto, per tantissimo tempo, era stato 'a lungo nel letto del fiume vicino come semplice ciottolo alluvionale'. Fu fatto conoscere alla fine degli anni '90, tramite fotografie, al prof. Massimo Pittau docente di Linguistica Sarda nella Facoltà di Lettere di Sassari. Questi, ritenutolo documento autentico senza dubbio alcuno lo studiò per un certo tempo e lo pubblicò con  traslitterazione e con commento critico,  filologico e storico,  nel 1994. Nel frattempo  sulla scritta romano-etrusca di Allai si era pronunciato il romanista Lidio Gasperini che, in seguito ad un'ananlisi epigrafica e paleografica, dichiarò apertamente, contro il parere del Pittau,  la certa falsità del documento, aggiungendo che 'se fosse vero che quella di Allai è effettivamente un'iscrizione etrusca, la notizia dell'avvenimento dovrebbe comparire nella stampa di tutto il mondo'. Ai pronunciamenti del Gasperini e del Pittau si è aggiunto, recentemente, quello piuttosto ambiguo dell'etruscologo Marco Rendeli che pur sospettando di non autenticità la stele non si pronuncia però apertamente sulla falsità di essa anche perché ammette di non poter  fornire alcun elemento critico utile per poterla confermare. [sighi a lèghere]

martedì 12 giugno 2012

E se pensassimo alle elezioni sarde come ad elezioni sarde?

Dai commenti ai risultati elettorali di ieri in Sardegna, mi pare assente una considerazione che potrebbe sembrare banale e che invece non lo è: sono qualitativamente diversi da quelli che si sono avuti, appena un mese fa, in Italia. Provo a mettere in luce queste diversità. L'epidemia di sfiducia in tutto ciò che sappia di politica (compresa l'elezione di un sindaco) si è, naturalmente, diffusa anche in Sardegna, ma quel 1 per cento in più di affluenza alle urne rispetto all'Italia è, forse, un timido accenno al fatto che gli elettori cominciano a subodorare l'inganno nella martellante opera di demolizione della politica. Forse, ripeto.
Ciò che è fuori di dubbio è che la logica del voto sardo è diversa da quello del voto degli italiani.
  • Il Centro, ridotto al lumicino in Italia, in Sardegna è uscito vincitore nell'Isola;
  • Il Pdl, anche esso quasi raso al suolo nella Penisola e in Sicilia, qui resiste niente male;
  • Il Pd, sicuro di ripetere in Sardegna il buon risultato ottenuto in Italia, si deve accontentare della speranza di rifarsi, fra 15 giorni, nei ballottaggi a Oristano e a Alghero;
  • Di Pietro, reso arzillo dalle sue vittorie, si è ridotto a partitino dell'1 per cento sia ad Oristano sia dove, come ad Alghero, la sua politica era ben rappresentata da Beppe Grillo;
  • Il vento grillista, che in Italia ha soffiato molto forte e promette di essere bufera nel futuro, ha ottenuto quasi il 15 per cento a Quartucciu e il 5,2% a Alghero (anche se la sua candidata è stata votata da quasi il doppio degli elettori;
  • Dove, a Bolotana, si è presentato da solo, fuori dall'alleanza nazionale di centrodestra, il Partito sardo ha ottenuto il 20 per cento.
Questi dati, al di là del trionfalismo di chi si sentiva moribondo e ha avuto una proroga di esistenza in vita e al di là della delusione di chi si sentiva già vittorioso, significano, credo, che val la pena di ragionare sulla realtà e non sulle speranze, scambiate con l'annuncio di una ineluttabile palingenesi del popolo sardo. Le difficoltà evidenti del governo sardo e del suo presidente, lo sfarinarsi della sua maggioranza in previsione dell'inevitabile sconfitta e anticipando il “si salvi chi può”, la certezza che l'opposizione diffondeva della sua vicina vittoria, avevano dato per scontato che la fine di Cappellacci fosse questione di mesi se non di settimane. C'era già in agenda la data di elezioni anticipate.
Forse ci saranno, è possibile. Ma non per le ragioni che a destra e a sinistra parevano evidenti: la sconfitta della prima e la vittoria della seconda alle elezioni di domenica. Quel voto ha indubbiamente rafforzato Cappellacci nell'immediato, ma non certo salvato. Il problema è che l'opposizione, più che gridare e perseguire il tanto peggio, poco altro ha saputo fare, facendo credere che bastasse schierare le forze del bene contro quelle del male per conquistare le coscienze. Se le elezioni saranno anticipate è perché c'è chi, come il Partito sardo d'azione e suoi alleati, è pronto ad affrontarle, proponendo agli elettori non incartapecorite alternative fra destra e sinistra ma una scelta fra una Sardegna succursale dello Stato e un processo di autogoverno.

lunedì 11 giugno 2012

La battaglia di Cornus è (anche) un romanzo



Nell’aspro e lungo contrasto fra le due grandi città del Mediterraneo antico – Roma e Cartagine – la Sardegna divenne terra di contesa. La prospettiva di una prolungata schiavitù non si confaceva con l’animo insofferente dei sardi. In piena Seconda Guerra Punica, Ampsicora seppe unire i focolai di sommossa in un unico esercito e stringere alleanza con la potente rivale di Roma.
La trama si evolve tra gli ambienti delle città costiere di Cornus e di Tharros, la metropoli nord-africana, il deserto del Maghreb e i riti ancestrali di una Sardegna post nuragica, in una successione di sorprendenti colpi di scena. Il racconto ci fa rivivere l’epopea di una narrazione epica, diventata leggenda con la misteriosa quanto incomprensibile morte del suo protagonista, che attinge con dovizia di particolari da una documentazione storica precisa.
E' quanto racconta Pietro Scanu, medico con la passione dell'archeologia, nato a Cuglieri, in questo romanzo edito da Condaghes, alla sua prima uscita ad Oristano. Giovedì "La battaglia di Cornus" sarà presentata nell'Antiquarium arborense dall'archeologo Raimondo Zucca.
enti di riqualicazione professionale.

domenica 10 giugno 2012

La thonca sarda e gli illiri


di Alberto Areddu

In queste ore, tanto tormentate, non sappiamo se i Greci torneranno alla loro amata e svalutata dracma. Lo facessero ne guadagnerebbe il loro smisurato orgoglio nazionale, ma ne perderebbe forse l'assetto economico nostro ed europeo. Se sono giunti a ciò è per la poca lungimiranza con cui una improvvida politica ha aperto i rubinetti del debito pubblico, onde apparire un posto dove si guadagnava bene senza produrre nulla, col peccato della grandeur di ritenersi in grado di ospitare barconi di emigrati del Terzo Mondo, per vedersi infine i suoi sostenitori vessati con sovrappesi di gran lunga superiori alla  intrinseca pochezza dimostrata.
Eppure sono loro i Greci (o i padri dei loro padri, sarebbe meglio dire) i numi tutelari della nostra civiltà, basata sull'esercizio della Ragione, sono loro che sull'antica dracma, incidevano in effigie su di un lato il viso di Atena, dell'intelligenza perspicua, contrapponendola sull'altro alla locale civetta (invero più simile per dimensioni al nostro assiolo), perché tale animale vedendo nel buio agli occhi degli antichi Greci (e forse prima dei predecessori Pelasgi) risultava il protettore di città, e quindi rivestiva un ruolo largamente positivo, poi soppiantato dalle odierne significanze negative; così doveva esser che la civetta diventasse per il mondo il simbolo stesso della ricchezza e grandezza di Atene e della sua intrinseca divinità. Tracce di un qualche uso simbolicamente positivo e protettivo della civetta, è rimasto anche da noi se col nome di prunatzonca (nome di pianta che, contenendo, come pare, il nome dell'animale) indichiamo una specie di pruno selvatico, il quale serviva a difendere i chiusi dall'intrusione di estranei o come protettore delle piante utile dal proliferare di altre selvatiche.
Desmond Morris, il noto naturalista, in un bellissimo libro, ha ricostruito vita e passione di questo animale double face, tanto fascinoso quanto tenebroso; tanto amato in passato quanto sacrificato nel Medioevo. Io mi son limitato a far riscaturire da quelle plaghe balcaniche il suono inesplorato della nostra thonca, precisando quale contesto ora più che mai vero sia sotteso alla sua esistenza, e basando tutto ciò su prove linguistiche e non sugli alambicchi di qualche iberico cazzaro.

sabato 9 giugno 2012

Il codice della vendetta e la neo-lingua dei poltroni

L’altro giorno, il paese in cui sono nato ha sepolto il suo diciassettesimo morto ammazzato negli ultimi cinque lustri. Giommaria Serra, pastore, è stato assassinato nel suo ovile, nelle campagne di Irgoli. Di quattordici di questi omicidi non si ha sentore né di responsabili né di indiziati. Per un duplice omicidio, quello di due fidanzati di Irgoli, è stato condannato all’ergastolo un giovane della vicina Orosei. E qui, in questi giorni una bomba ha “avvertito” un altro giovane che – secondo i media, ma pare non ci siano tracce nei verbali degli inquirenti – avrebbe favorito il riconoscimento dell’assassino, ancora presunto, visto che è stato condannato in primo grado.
In questa catena di crimini, pare abbia ripreso la parola il codice della vendetta, il cosiddetto codice barbaricino, al cui riuso evidentemente hanno dato una mano l’inefficienza di polizia e carabinieri, l'eclissi della comunità e l’abbattersi sulla pastorizia di una crisi forse senza precedenti, moltiplicata dal menefreghismo della politica. La “menzogna vitale”, vitale per potere s’intende, secondo cui i modelli della modernità avevano sconfitto il diritto consuetudinario, è supportata da una neo-lingua mediatica densa di parole e di concetti travisati. La “balentia” è definita un disvalore; la “omertà” – concetto estraneo al codice della vendetta – è il paravento dietro cui nascondere l’inefficacia delle forze dell’ordine e l'incapacità di comprendere; la “disamistade” è trasformata in faida, sovrapponendole cioè un istituto giuridico di origine germanica. Una neo-lingua orwelliana, usata non solo dal potere per rafforzare con il travisamento il suo dominio sulla società, ma anche da una parte della intellettualità sarda vuoi per marcare la sua distanza da una società che l’ha prodotta e che non capisce, vuoi per sottrarsi all’obbligo di interessarsi ai fenomeni sociali e culturale endogeni: esistono comodi schemi preconfezionati, perché non servirsene?
Quasi che l'ovvia condanna della violenza come mezzo per dirimere i conflitti, esimesse dall'indagarne le cause. Celebrando la messa davanti alla bara dell'ucciso, il vescovo di Nuoro ha pronunciato parole di alto profilo e, come doveva fare, invitato al perdono familiari e amici di Serra. Come non condividere l'appello? Del resto solo veri balentes, quelli che saprebbero come e quando esercitare la vendetta, hanno la forza di poter perdonare persino una offesa così grande, senza passare per titules. Il dramma è che la società dei balentes – tutt'altro che lineare e senza pesantissime contraddizioni, ma pur sempre riconosciuta – è stata trasformata in società di malfattori senza regole, in cui persino la vendetta non ha più gradualità e proporzionalità, ma è un cieco esercizio della violenza.
L'illusione di combatterla attraverso la delazione, la fine della cosiddetta omertà, è appunto tale: una illusione. Tant'è che, nel mio paese, 14 su 17 assassini sono ancora liberi, ammesso che i condannati siano poi anche colpevoli. Così come illusoria è la speranza che il codice della vendetta abbia lasciato il posto al codice penale italiano, tanto più quando i soggetti dei gruppi in disamistade si rendono conto che offesi e offensori (a volte nell'una parte, a volte nell'altra) non hanno giustizia.
Lunedì e martedì ad Austis ci sarà un convegno cui è stato dato il titolo Antropologia della vendetta e che ispirato ad Antonio Pigliaru, filosofo del diritto sardo che nel 1959 pubblicò la sua famosa ricerca dal titolo La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico. A parte le relazioni di esperti di filosofia del diritto e di antropologia del diritto, ci sarà il resoconto di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi locali sull’attuale percezione dell’offesa e dell’obbligo della vendetta nelle comunità di Austis e di Sedilo. Chi ha promosso il convegno, la Pro Loco e il Comune di Austis e ELSA Cagliari (European Law Students Association), ha avuto una idea che può apparire anacronistica solo a chi ha ormai perso ogni passione per la realtà della Sardegna. C'è solo da augurarsi che alla oggettività della ricerca non si sovrapponga la condanna ideologica dell'arcaismo. Una griglia utilizzata, e molto, dai poltroni.

venerdì 8 giugno 2012

Distratti dalle beghe, ci fregano un diritto internazionale


Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” protestarono gli ambasciatori mandati da Sagunto a Roma. Mentre nel Consiglio regionale si bisticcia, la Sardegna e le sue prerogative vengono espugnate, vien da attualizzare. A Cagliari la politica è impegnata in uno scontro fra gruppi di potere, l’Ufficio regionale del referendum si sostituisce alla Corte costituzionale e, motu proprio, dichiara incostituzionale il referendum sull’indipendenza promosso dal movimento di Doddori Meloni. È uno degli atti più gravi (anche se non inedito, come vedremo) perpetrati contro il diritto di un popolo alla propria autodeterminazione. Un diritto garantito dalle Nazioni unite con l’avvallo della Repubblica italiana. Non uno dei partiti sedicenti autonomisti ha avuto qualcosa da dire e, salvo quelle di Partito sardo, Sardigna natzione e, naturalmente, Malu Entu non si è levata alcuna protesta.
So benissimo – non sono improvvisamente diventato qualunquista – che le discussioni in Consiglio regionale hanno senso e che le parti hanno ragioni da accampare: l’opposizione condannando l’assenza di Cappellacci e del suo governo al completo in un’importante discussione; la maggioranza giustificando l’assenza del presidente impegnato in un confronto fra regioni e Stato; la presidente del Consiglio censurando l’affronto istituzionale fatto dalla giunta che con la sua assenza ha impedito lo svolgimento della seduta. Che lo scontro istituzionale non sia banale è certificato dalle voci di un possibile ricorso ad elezioni anticipate.
Il problema è che i partiti, tutti salvo il Psd’az, si stanno massimamente interessando solo ad uno dei due scontri istituzionali che si sono aperti. Anzi, di quello più grande, che coinvolge la Regione e un suo ufficio, quello del referendum, neppure si ha consapevolezza. Il Governo sardo e il Consiglio regionale avrebbero dovuto reagire all’unisono contro questo affronto che, ripeto, lede non solo la sovranità del popolo sardo, ma soprattutto un diritto sancito dall’Onu e riconosciuto dallo Stato italiano e del suo Parlamento. La speranza è l’ultima a morire e, quindi, speriamo che ci sia una reazione, grave almeno quanto l’atto dei magistrati dell’Ufficio del referendum.
Questa inaudita bocciatura ricorda da vicino un’altra avvenuta nel 1987, quando la Consulta impedì lo svolgimento di un referendum, anch’esso consultivo, sulla base americana di Santo Stefano, alla Maddalena. Allora ci furono reazioni ambigue: i partiti italiani, con qualche eccezione individuale di uomini politici, condivisero la decisione del Governo italiano che aveva impugnato la indizione del referendum e della Corte costituzionale di bocciatura. Anche allora, il Partito sardo, che guidava il Governo regionale con Mario Melis, protestò con molta forza, ma non ebbe il coraggio di indurre Melis a dimettersi da presidente della Regione. Un grave errore che, messo insieme ad altri, alla fine decretò la riduzione al lumicino di un partito che appariva in costante crescita.
So che, nello stato comatoso e rissoso della politica sarda, è solo un sogno di normalità impossibile. Ma se tutti i partiti presenti in Consiglio, anche quelli che risultano dalla polverizzazione della maggioranza, avessero per una volta il gusto di sollevare tutti insieme gli occhi dal cortile in cui si becchettano, per interessarsi a questioni sostanziali, di diritto internazionale, credo che la stragrande maggioranza dei sardi avrebbe una considerazione diversa da quella che oggi ha di quel cortile. Allora, anche la richiesta di dimissioni di Ugo Cappellacci in reazione alla bocciatura del referendum, apparirebbe meno dettate da ragioni di bottega politica. 


PS - Sull'argomento, segnalo l'interessante articolo di Adriano Bomboi

giovedì 7 giugno 2012

Fantalinguistica formato esportazione


Venisse da Nuuk, capitale della Groenladia, un professore di kalaallisut a dirti che quella lingua è un guazzabuglio di dialetti e che è parlata da solo sessanta mila persone, ne prenderesti atto, senza star lì a sottilizzare. Non ti chiederesti perché mai uno dovrebbe venire a raccontarti balle: sarà così. No, che non è così; è vero che quella lingua ha tre dialetti principali, ma il kalaallisut è lingua ufficiale ed è parlata, eccome. E penseresti che l’ipotetico professor Friðfinnson, vista la scarsa fortuna in patria delle sue tesi demolitrici se la tenta all’estero, dove del kalaallisut si sa nulla.
Non so chi, il sito dell’Università di Stoccarda non dice se la sua Jun.-Prof. Daniela Marzo o il nostro professor Edoardo Friðfinnson Blasco Ferrer, ma qualcuno di loro ha insegnato a degli incolpevoli studenti che “i dialetti sardi che in generale vengono divisi in due o tre macrovarietà (il campidanese al sud, il logudorese al nord e il nuorese nella Sardegna centrale), divergono notevolmente tra loro” e che “nel nord dell'isola si parlano anche il sassarese e il gallurese, che oggi vengono comunemente classificati come varietà dell’italiano”.
La misinformazione (quella sottile arte di dire cose parzialmente vere in un contesto falso) continua: “Per lungo tempo, si è ipotizzato che su circa 1.600.000 di abitanti della Sardegna 1.500.000 (o circa l'80% della popolazione, vedi, ad esempio, Mensching, 32004: 13) parlasse in sardo. Che questi numeri oggi non siano più assolutamente attendibili, ce lo dimostrano anche i risultati di una recente indagine sociolinguistica della Regione Autonoma della Sardegna (Oppo 2007: 7) secondo la quale solo il 68,8% degli intervistati, parla, oltre all’italiano, anche una varietà locale delle altre lingue parlate in Sardegna (e quindi non necessariamente una varietà sarda). Il 29% degli intervistati dichiara di padroneggiare passivamente una delle varietà, e il 2,7% parla esclusivamente l'italiano”. Da notare, prego, quel “solo il 68,8%” e quel capolavoro di mistificazione “oltre all’italiano…”.
Chi sa che direbbero in Italia se leggessero, che so?, che il 68,8% degli italiani, parla, oltre all’inglese , anche una varietà locale delle altre lingue parlate in Italia? Che vince il ridicolo? Appunto. Che il groenlandese Blasconnson, fra ripartizioni della lingua e ricerca di origini basche, ce la metta tutta per dipingere realtà psichedeliche del sardo è abbastanza noto. Il fenomeno era finora circoscritto alla Sardegna: ora non più, se è davvero lui ad aver fatto disinformatzia a Stoccarda. Niente di male, però: anzi fa bene esportare un po’ di fantalinguistica sarda in un momento come questo di difficoltà per l’export isolano.