sabato 10 marzo 2012

L'Italia si accorge della Carta europea delle lingue e ratifica


La notizia ufficiale è: “Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro degli affari esteri e del Ministro per gli affari regionali, ha ratificato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie. La ratifica va considerata come un recepimento formale dei contenuti della Carta, dal momento che l’Italia è intervenuta con una legge in materia già nel 1999” (Comunicato del Consiglio dei ministri). Su questa bella notizia, attesa dai più ottimisti dal 1992 quando fu redatta la Carta europea e dai più fin dal 2000 quando l'Italia la firmò, si è inaugurata in Sardegna la sagra della approssimazione mediatica e del tartufismo politico.
Quotidiani e Tv straparlano del fatto che il governo Monti ha autorizzato l'insegnamento del sardo a scuola. Per tutti, un titolo: “Nelle scuole italiane sarà possibile insegnare anche il sardo”. Per carità di casta non insisto sul fatto che l'ignoranza non solo non è una scusante, ma non è mai buona premessa per scrivere. La possibilità legale di insegnare il sardo a scuola deriva dalla legge dello Stato n. 482 del 1999, non dalla Carta europea che, semmai, rafforza i diritti delle lingue di minoranza. Quei diritti, sia detto per inciso, che proprio i media quotidianamente calpestano.
Esulta il segretario del Partito sardo, Colli, al quale credo vada riconosciuto il merito di aver riesumato all'attenzione del suo partito la questione della lingua a lungo sepolta da un'ondata di economicismo. Ed esultano l'assessore regionale della Cultura Milia e il presidente della Regione Cappellacci, con l'aria di dirci: Adesso che il Governo italiano ha ratificato la Carta, vedrete che cosa saremo capaci di fare. In realtà, come lo stesso Monti suggerisce con quel “recepimento formale”, non c'è alcun potere in più per la Regione rispetto a quelli che già aveva avuto con la legge 482. L'insegnamento del sardo a scuola era già possibile con quella legge dello Stato, come ricorda l'appello lanciato dal Comune di Sardara.
Però faremo finta di credere che la insufficiente iniziativa della Regione in merito di insegnamento del sardo a scuola (insufficiente, non assente, va sottolineato), derivasse dalla mancata ratifica della Carta europea. Oggi questa ratifica pare ci sia (dico pare, perché non so se basterà la decisione del Governo o ci vorrà quella del Parlamento). Vedremo se il finanziamento regionale della lingua sarda e delle altre lingue proprie della Sardegna sarà adeguato o se continuerà a rappresentare la ridicola percentuale di sempre, alla faccia della considerazione – questa sì importante – fatta dalla Regione secondo cui la lingua è motore di economia. Comunque sia, l'atto compiuto ieri dal Consiglio dei ministri è importante e conforta quanti da decenni si battono per il sardo e per il gallurese, il sassarese, l'algherese, il tabarchino. Speriamo, come suggerisce Roberto Bolognesi nel suo blog, che non perdiamo la grande occasione inseguendo la nostra passione per la divisione.

A Oliena a discutere di sovranità


Può nel XXI secolo una terra come la Sardegna essere in grado di determinare la sua fiscalità, il suo svluppo socio-economico e il suo futuro, in competizione e da protagonista in Italia e in Europa?” A questo quesito tenterà di rispondere la discussione che ci sarà questa sera alle 19,30 nella biblioteca di Oliena. Organizzata da “Autonomia e Progresso, Consulta nazionalista”, si avvarrà dell'intervento del presidente della associazione, Antonio Putzu, dello storico professor Francesco Cesare Casula, del presidente della Fondazione Zona franca, Mario Carboni e dello scrittore Gianfranco Pintore.

venerdì 9 marzo 2012

Sìndicos sardos, a nos moimus pro sa limba sarda?


Su Cunsìgiu comunale de Sàrdara at aproadu una delìbera chi pedit a sa Regione sarda de si mòere pro chi in Sardigna si atuet sa lege 482 chi amparat sas limbas de sas minorias. E at mandadu una lìtera a sos sìndicos e a sos presidentes de sas provìntzias, firmada dae su sìndicu de sa bidda, Giuseppe Garau, cumbidende·los a una atzione cumune. “Una dii s'iaus a podi agatai a arrespundi a fillus e nebodis nostus de su poita eus lassau morri sa lìngua de Babbus nostus” iscriet Garau.
Sa delìbera
S'Aministratzioni Comunali de Sàrdara at postu intre is obbietivus polìtigus s'amparu de sa lìngua nosta. Si scit ca su Sardu arriscat seriamenti de si sperdi po mori de s'intrada in crisi de sa trasmissioni de una erèntzia a s'àtera. Pensaus duncas chi non si potzat prus fai de mancu de ddu fai intrai in scola in s'oràriu normali paris a is àteras disciplinas. Sa lei 482/99, a s'art. 4 rètzitat: “Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado è previsto anche l'uso della lingua della minoranza come strumento di insegnamento”.
Duncas sa lei “previdit” e po podi fai su chi est previdiu, sempri su pròpiu artìculu narat: “Al momento della preiscrizione i genitori comunicano alla istituzione scolastica interessata se intendono avvalersi per i propri figli dell'insegnamento della lingua della minoranza.” Est craru ca custu ddu depit pregontai sa scola in su mòdulu de iscritzioni, aici cumenti sutzedit, po nai, po s'imparu de sa religioni catòlica. A custu pretzetu gia de diora si cunfromant is scolas Friulanas anca esistit che innoi etotu una situatzioni de bilinguismu imperfetu.
S'aministratzioni at duncas delibberau in Consillu Comunali de cumbidai sa RAS/Assessori a sa Cultura, Comissioni a sa Cultura e “L'Osservatorio regionale lingua e cultura sarda” po s'ativai cun s'Ufìtziu Scolasticu Regionali po chi donit inditus pretzisus a is Diretzionis Didàticas de s'ìsula, giai po s'annu scolàsticu 2013/2014, po su chi spetat a su dispostu de lei arremonau, e duncas fruniri su mòdulu de pre-iscritzioni de sa pregonta de si avalessi po is fillus de s'imparu de sa lìngua sarda.
Bosu pregontu duncas, po tenni prus fortza, de assumi de pròpiu initziativa. Una dii s'iaus a podi agatai a arrespundi a fillus e nebodis nostus de su poita eus lassau morri sa lìngua de Babbus nostus.
Cun sa seguresa de agatai sa sensibbilidadi giusta, Bosu torru gràtzias e profitu de s'ocasioni po saludai.
Giuseppe Garau, sìndigu de Sàrdara

giovedì 8 marzo 2012

Siate buoni, se no niente carriera


Oggi si inaugura ad Oristano il terzo corso di epigrafia nuragica. A Gigi Sanna, ideatore e conduttore del corso, hanno scritto una lettera di auguri Jean-Claude Fradin e Joseph Grivel, presidente e segretario della Associazione Museo Glozel. Vale la pena di conoscerla, se non altro per avere conforto: le ottusità non hanno confini definiti.

di Jean-Claude Fradin* e Joseph Grivel**

Caro Professore, Glozel illustra magistralmente il proverbio, improntato al Vangelo di Luca, secondo il quale “Nul n'est prophète en son pays” e che in italiano dovreste esprimere con “Nessuno è profeta in patria”.
In effetti, raramente un patrimonio sarà stato altrettanto bistrattato in Francia. Nel 2001, un agente del Ministero della cultura ha persino scritto che bisognava ormai smettere di parlarne. Perpetuava così, in forma contemporanea, i divieti dell'inquisizione e la pratica degli autodafé.
Lo Stato francese si è impegnato due volte contro Glozel. La prima rimonta al 4 ottobre 1927, data nella quale il Ministero della pubblica istruzione e delle belle arti apre una istanza provvisoria in previsione di classificare (confiscare?) le scoperte e il sito di Glozel. Ma il progetto è abbandonato quattro mesi dopo. La famiglia Fradin ricopre allora ciò che gli apparteneva legittimamente. Quel giorno, lo Stato francese, sia pure suo malgrado, ha salvato Glozel preservando il suo status di patrimonio privato.
Il secondo impegno dello Stato data di trenta anni. Nel 1983, il Ministero della cultura finisce per accettare – per ragioni non scientifiche – a far procedere con qualche sondaggio nel sito di Glozel, in zone sterili o già scavate. Il rapporto di questi lavori non è mai stato pubblicato e non lo sarà certamente mai. Ma le conclusioni del rapporto, poco favorevoli, sono state rese pubbliche. Un po' come se ci si chiedesse di validare ad occhi chiusi il teorema di Fermat senza fornirne la dimostrazione. Salvo che gli atti di fede si riservano a Dio.
In questo contesto ostile, non si può affatto prendere in considerazione in Francia lo sviluppo della sia pur minima curiosità riguardo Glozel in ambito universitario, se non correndo il rischio di compromettere la carriera. In un paese in cui l'archeologia professionista è funzionalizzata, un giovane archeologo non entra nel mestiere abbordando un soggetto che la gran parte dei suoi pari discreditano. Lo stesso capita a un giovane epigrafista.
Se Glozel è sostenuto in Francia, è dunque per via di istituzioni private. D'altro canto, liberi dai nostri pregiudizi Esagonali, numerosi ricercatori stranieri non hanno esitato, in qualità, a impegnarsi in questo studio.
Il Museo di Glozel si è dato come missione primaria di conservare le scoperte fatte nel Campo dei morti e di difendere la memoria dei primi scopritori, Emile Fradin e Antonin Morlet. Non è impegnato nel dibattito archeologico ed epigrafico che questo patrimonio ha suscitato. In questa controversia sempre molto vivace, il nostro ruolo si limita dunque a quello si attenti spettatori. Ma questa riserva non ci impedisce di essere sensibilissimi ad ogni intrapresa scientifica che consideri Glozel un soggetto serio, degno di essere studiato.
È questa curiosità benevola che noi abbiamo percepito nel suo interesse per Glozel, caro Professore, e della quale la ringraziamo calorosamente.

* Presidente della Associazione “Museo di Glozel”
** Segretario della Associazione

mercoledì 7 marzo 2012

Perché la lingua sarda è sempre una priorità. Anche ora


di Micheli Podda
 
Sembrerebbe quantomeno inopportuno mettersi a parlare di lingua sarda in un momento così drammatico per l'intera società sarda, perchè tolto il clima e la natura, gli abitanti e le tradizioni, alla nostra isola poco altro rimane.
Siccome però la speranza è davvero l'ultima a morire, c'è da sperare che la situazione non rimarrà così grave in eterno, e prima o poi un'alternativa o una via d'uscita si troverà e la ripresa ricomincerà gradualmente. Ma quando questo avverrà e finalmente avremo un minimo di serenità economica (fra cinque, dieci, quindici anni?) non potremo certo ripartire, per quanto riguarda la lingua, dalla situazione in cui l'avevamo lasciata. In quei cinque, dieci o più anni, la possibilità di riprendere l'uso del sardo sarebbe ancor più difficile, considerando quanto già oggi lo sia. Perchè la lingua si allontana sempre di più dalla mente e dal cuore di tutti i sardi: dei bambini che ne sono ormai privi totalmente (scuola e Tv), dei giovani che la considerano inutile e dannosa per il loro inserimento sociale e per il loro futuro, degli adulti che solo in parte sperano e operano con sempre meno energia (io fra questi), degli anziani che difendono il loro piccolo spazio vitale con la lingua italiana, evitando di essere morti prima del tempo.
In queste condizioni, come dicevo, non è che il recupero si interrompe, e può riprendere dallo stesso punto in qualunque momento; no, una parte sarà persa per sempre. Diverse volte mi sono reso conto di come, a distanza di venti o trent'anni, alcuni termini o espressioni o costrutti normalmente usati non mi fossero più così chiari e facili nell'utilizzo e nella comprensione. Se questo capita a me, significa che capita anche ad altri, forse in modo anche più grave. D'altronde tutti gli studi condotti negli anni recenti hanno dimostrato che la competenza nell'uso del sardo è diminuita in modo costante e inarrestabile dopo gli anni sessanta, con tutte le valide (o meno) iniziative culturali e legislative (legge 26, legge 482, LSC ...) avviate dopo il 1972 (delibera della Facoltà di Lettere di Cagliari per il riconoscimento dei sardi come minoranza linguistica).
La conclusione è questa: qualunque altro problema si stia affrontando (economico, politico, culturale, sociale...) e di qualunque gravità esso sia, il problema della lingua deve essere seguito contemporaneamente in modo costante, senza alcuna pausa, o i danni sarebbero più gravi e irreversibili; questo è un dato di fatto, sicuro e ammesso da tutti. Discutibile invece potrebbe essere ancora l'opportunità di salvare la lingua, che forse per qualcuno non sarebbe così importante; ma la grande maggioranza dei sardi, e sopratutto dei "maledetti" intellettuali, è del parere che lo sia, e che la lingua rappresenti effettivamente l'anima di un popolo, la sua identità, il contenitore di tutta la sua cultura.
Se così è, e lo è, allora non bisogna trascurare neanche per un momento la questione linguistica, contemporaneamente a qualunque altra questione. Resta da vedere come, in che modo, perchè appena si entra nel merito sappiamo come finisce: incomprensioni, ripicche, contestazioni, divisioni, talvolta insulti. Per questo mi auguro che gli appassionati che hanno voce in capitolo, come gli amministratori di blog come questo, sollecitino nuove iniziative che portino assolutamente e in breve ad un obiettivo: l'attribuzione del prestigio che spetta alla lingua sarda, raggiungibile soltanto con l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole, subito. Tutto il resto è ben poco, quasi nulla.

L'inno a scuola. A Pyongyang? Macchè in Italia


Sarei oltremodo curioso di sapere quanti genitori italiani sentiranno un brivido imbarazzante quando sapranno che i loro figli di ordine e grado saranno costretti ogni mattina a cantare: “schiava di Roma Iddio la chiamò” e a giurare che “siam pronti alla morte, l'Italia chiamò, sì!”. In molte scuole quella brutta marcetta era cantata da tempo e si può credere che si sia trattato di una libera scelta dei babbi e delle mamme oltre che una imposizione degli insegnanti che godono, si sa, di libertà di insegnamento, a volte confusa con libertà di indottrinamento.
Se dovesse passare la legge in discussione in commissione parlamentare, la libertà diverrebbe obbligo non solo di canto ma anche di memorizzazione e di esegesi. In questo sforzo, come si ricorderà, si cimentò Roberto Benigni con esiti grotteschi infarciti di rivoltante sciovinismo e di sciocchezze storiche. Sciovinismo e sciocchezzaio che, già avendo avuto alti apprezzamenti e incoraggiamenti, temo saranno le colonne sonore di gran parte dell'indottrinamento. I ragazzi sapranno così che nel 202 aC Scipione combatteva per l'Italia, che nel 1200 Legnano era una città italiana e che italiano era nel 1500 Francesco Ferrrucci. Più che una storia, quella raccontata nell'Inno di Mameli è un viaggio indietro nel tempo su una nave da cui si inietta nel passato lo sconosciuto virus della italianità.
Inno brutto, ma dicono alcuni, non peggiore di altri inni statali e inni nazionali. Giusto ed infatti queste mie considerazioni non cambierebbero se fosse della stessa qualità di una toccata e fuga di Bach. È l'imposizione di un inno “nazionale”, come materia di studio e di esercizio della retorica patriottarda ad essere intollerabile. Tanto più che l'inno di una sola delle nazioni della Repubblica. Credo sia una operazione che gli stessi proponenti la legge (Pd e Pdl) guarderebbero con disgusto applicata nelle scuole di Pyongyang, da dove pure devono aver tratto aspirazione.

martedì 6 marzo 2012

Il protoromanaico e le sue radici: avanti e indietro dal Sinai alla Sardegna


L'ansa "romanaica"
di Stella del Mattino e della Sera

Cari lettori, mi si segni un punto sulla lavagna: emerge un altro documento in protoromanaico, scrittura da me più volte testimoniata e che dimostrerebbe finalmente la non-esistenza delle culture proto-sinaitiche, proto-cananaiche e protozoiche in generale. Soprattutto nuragiche. Si sappia che d’ora in poi tutto lo Scritto è fenicio e quello che non è fenicio è romanaico. Veniamo al documento, segnalato dall’Epigrafista Elucubrans major  (che lo chiamò erroneamente “coccio con androgino e lettere arcaiche proto sinaitiche e protocananaiche”) e ripreso dal Signor Alfonso che pare sia un esperto in materia: un epigrafista con la e minuscola ma non per questo meno competente!  Alfonso sostiene trattarsi di un’ansa palesemente romana: per me ha ragione, essendo essa zeppa di caratteri alfabetici latini. Si vede da lontano un chilometro. Esso si inserisce a pieno titolo nella linea evolutiva proto-romanaica, iniziata come sappiamo nel Sinai nel XVIII sec. a.C.. E vi assicuro che non lo dico per fare un piacere all’Unità di Italia! 
Le immagini parlano da sole. Gettando una sinistra luce romantica, anzi romanaica sulla rotella di Atropa, che ancora non gira nel verso giusto. La seduzione dell’Antico è il passato: oggi non indurmi in tentazione e liberami dal Male nuragico, così sia.