giovedì 10 febbraio 2011

2011 Sardegna nello spazio, la sindrome di Quirra

Prova a fuoco del lanciatore satelliti Vega nel poligono
del Salto di Quirra. Capo San Lorenzo

di Mario Carboni

L’attività delle basi militari in Sardegna è stata più volte turbata in anni recenti dalle denunce e dai risultati ottenuti da medici e scienziati indipendenti. Un esempio clamoroso è quello della base USA dei sottomarini a propulsione ed armamento nucleare nell’arcipelago della Maddalena dove, alle denunce dei medici, alle evidenze epidemiologiche, ai rilievi indipendenti della presenza in mare di isotopi radioattivi le autorità politiche e sanitarie hanno sempre risposto con commissioni d’inchiesta e pareri rassicuranti di illustri accademici. Questo impressionante susseguirsi di denunce indipendenti e di indagini ufficiali, dagli esiti immancabilmente tranquillizzanti, ha avuto finalmente fine solo nell’inverno del 2008, con la ritirata della marina USA dall’arcipelago.
Anche dopo la chiusura definitiva della base della Maddalena resta attiva in Sardegna una imponente struttura militare finalizzata principalmente all’addestramento e alla sperimentazione di nuovi armamenti.
Le attività più importanti si irradiano dall’aeroporto militare NATO di Decimomannu verso i tre principali poligoni di tiro: quello di Capo Teulada (aeronavale e mezzi corazzati), quello di Capo Frasca (bombardamenti aerei) e combattimenti aerei elettronici e quello di Perdasdefogu-Quirra (dedicato principalmente alle attività missilistiche e di sperimentazione).
Recentemente l'attenzione pubblica si è concentrata su questa ultima area al centro di grandi interessi strategici ed economici, con imponenti progetti di ampliamento e di investimento da parte dell’industria militare.
Una serie di denunce da parte di medici di base e di comitati locali di cittadini si sono susseguite a partire dal 2001, facendo emergere una situazione sanitaria preoccupante nei territori limitrofi al Poligono Interforze Sperimentale dell Salto di Quirra (PISQ).
A queste denunce sono poi puntualmente seguite le smentite ufficiali e le commissioni d’inchiesta tranquillizzatici.
Attualmente è in corso un'inchiesta ordinata dal Procuratore del Tribunale di Lanusei, Domenico Fiordalisi, che ha anche effettuato diversi sequestri di relitti e zone del poligono per individuare le cause di tante malattie e malformazioni staremo a vedere.

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mercoledì 9 febbraio 2011

SardosEuropeos: su natzionalismu sardu a dies de oe

S'assòtziu de istùdios natzionales “SardosEuropeos” si presentat custu sàpadu chi benit cun sa debata “Sardos e Sardigna in s'època de sa globalizatzione: ideas e movimentos”. S'addòviu est in Tàtari, in sa Sala cunferèntzias de s'Oratòriu de sa crèsia Mater Ecclesiae in carrera de Luna e Sole.
Custu est su programma de su mangianu (dae sas 9.30 a sa una):
Presentada de sas finalidades de SardosEuropeos e cunfrontu cun:
Giuanne Frantziscu PINTORE, «Ideas e movimentos natzionales in Sardigna in sos ùrtimos 30 annos»
Diegu CORRÀINE, «Contra a s'assimilatzione linguìstica e natzionale, unu movimentu culturale e polìticu plurale e modernu»
Vissente MIGALEDDU, «Soverania ambientale in Sardigna»
Antoni BULÙGIU, «Natzionalismu, internatzionalismu e globalizatzione»
Federicu FRANCIONI, «Sa Sardigna in su mundu mannu e terrorosu»
— Antoni Maria PALA, «Natzionalismu: paris in sa diferèntzia»

A merie, dae sas 13.30 a sas 18.30 b'at a àere sos interventos de sos partetzipantes interessados e su concruimentu de custa prima manifestatzione de SardosEuropeos.


martedì 8 febbraio 2011

Federalismo: gattopardi lì e complessati qui

Questo federalismo incombente non mi piace, sa tanto di graziosa concessione a che tutto cambi perché nulla cambi. Ma non si può certo dire che sia qualcosa di ininfluente per i popoli della Repubblica, dal sardo all'italiano e a tutti gli altri che popoli si sentono. Comunque sia, è una tessera nel mosaico che, se completato, certificherà il cambiamento della natura della stessa Repubblica da unitaria ed autonomista in qualcosa d'altro, anche se non federalista. Forse è il massimo possibile in una Italia largamente dominata da una cultura giacobina o forse è il tanto sufficiente per alimentare l'illusione chiamata Italia unita. E scusate se è poco.
Si tratta non della “svolta epocale” evocata dalla Lega (ma, si sa, 'o scarrafone è bello a mamma sua), ma di qualcosa di più importante di una leggina fatta per accontentare una lobby. Purtroppo così viene considerata a destra e a manca. La maggioranza, sconfitta nella commissione bicamerale per il federalismo, si arrampica sugli specchi per mostrare ai suoi federalisti convinti che nulla è perduto e vara in quattro e quattr'otto un decreto che non aveva alcuna possibilità di superare il vaglio del presidente della Repubblica. Le opposizioni fanno, se possibile, di peggio e dicono che voterebbero il federalismo se la Lega levasse loro dalle scatole Berlusconi. Come dire: a noi del federalismo non ce ne può fregare di meno (alcune di quelle forze anzi gli sono contrarie), però se la Lega ci fa il piacere di fare quel che noi non siamo in grado di fare, far cadere Berlusconi, beh, allora lo voteremo.
Ho letto analisi meno grossolane di questa, ma quasi tutte a questo nocciolo della questione si riducono. Come si fa a dar un minimo di credito alla politica ridotta a questi livelli? Giganteggia, così, la figura di Comesichiama Casini che, almeno, da sempre dichiara che di federalismo non vuol vedere neppure l'ombra. Se non fosse per il fatto che questa politica melmosa ha pesanti riflessi su quel quartiere del villaggio globale che è la Sardegna, verrebbe da dire: “Arrangiatevi voi italiani, noi ci dissociamo”. E invece no, siamo nelle peste anche qui; la qualità della nostra politica non è tale da farci pensare possibile partecipare autonomamente a un processo federalista, almeno con la dimostrazione del possibile. Con uno Statuto nuovo, intendo, che riguardi certo la Sardegna, ma che restituisca al federalismo un significato non truffaldino né gattopardesco. Quello di un patto, un phoedus fra parti diverse.
La maggioranza di governo ha tra le mani una proposta che fu condivisa anche da chi oggi è schierato diversamente (Roberto Cappelli, allora capogruppo dell'Udc e Ignazio Artizzu, allora capogruppo di An e oggi di Fli, entrambi, quando si dice l'ironie della parole, aderenti al Polo della Nazione, italiana va da sé). Sempre questa maggioranza ha un suo disegno di legge in merito presentato in Senato e depositato in Consiglio regionale. Nell'opposizione anche il Pd ha a disposizione un disegno di legge, anch'esso presentato in Senato e trasmesso al Consiglio regionale. Il fatto è che, come ho avuto modo di scrivere, la Commissione autonomia è da cinque mesi senza presidente. Pietrino Soddu, ex presidente del governo sardo ed ex parlamentare della Dc, oggi una delle menti più lucide del Pd sardo, in un'intervista definisce gravissima la mancata elezione del presidente “ma mi sembrerebbe strano che il Consiglio fosse paralizzato da una nomina. La verità è che forse non sa che cosa fare”.
Temo che abbia ragione Soddu, pur se anche lui debba attribuirsi una qualche responsabilità, non essendo proprio l'ultimo arrivato da quelle parti. In queste pagine ho diverse volte segnalato, con ottimismo che in molti mi hanno rimproverato, relazioni e interventi a favore della sovranità e del diritto all'autodeterminazione, fatti da esponenti dell'opposizione e della maggioranza. Ma, evidentemente, un conto è leggere un importante discorso in Consiglio e altro conto è capire dove certi concetti portino. E, una volta compreso, attrezzarsi a fare.
Quello di decidere in piena libertà lo status politico, sociale, culturale della Sardegna è un diritto sancito e garantito da trattati internazionali. Ma è come se il complesso della politica sarda avesse il terrore di chiedere di poterlo esercitarlo: c'è sempre il rischio di sentirsi dire di sì. E allora sì che sarebbero guai, sic stantibus rebus.

lunedì 7 febbraio 2011

"Segni potenti" che Lilliu conosce da 63 anni? Solo una barbarica sintesi


di Stella del Mattino e della Sera

E’ il lontano 1948 quando l'archeologo Giovanni Lilliu pubblica un reperto in bronzo alto 22 cm, esposto al Museo di Cagliari. Il candelabro è dono del signor Vallero-Usai di Sassari, come specifica la scarna didascalia, scritta a mano, forse proveniente da Santa Maria di Tergu.
Il professore descrive l'oggetto, che battezza “doppiere”, nei minimi particolari, sottolineando la ricorrenza dei numeri pari: vi sono 2 faccine, una davanti e l'altra dietro; 2 braccia/corna che definisce – erroneamente – simmetriche; 4 ghiere alla base delle due coppette terminali, 8 incisioni traingolari su ogni coppetta; 8 segni ideografici a punteggiatura, disposti in rigida alternanza sotto le faccine. Quasi sono caduto dalla sedia: 8 segni ideografici è come dire 8 ideogrammi! Ed “a punteggiatura”; è come dire che i segni son fatti come quelli sulle barchette di Sextus Nipius!
A sinistra, il pugnaletto gammato
nel libro di Lilliu. A destra, il pugnaletto
gammato della navicella di Teti
Lilliu ci dice che i due segni ricorrenti sono quelli del pugnaletto gammato (una vecchia conoscenza, ricordate la navicella di Teti, quella che "non esiste"?) e di una sorta di bastone lunato che non riesce bene ad identificare. Un segno si riesce a vedere anche nel particolare mostrato in figura. Signor Sanna a lei quel bastone non pare una Yod o meglio un Wav? Il professore dice che è storto perché hanno disegnato male e scoordinati, a mano libera, e definisce l'intera composizione una “barbarica sintesi plastica”. Nella sua opera successiva, Sculture della Sardegna Nuragica, riprende l'oggetto e ci spiega che non vi è nessun dubbio sulla autentica e genuina educazione nuragica di chi modellò l'oggetto, secondo la consueta tecnica delle cera persa. Non ci mostra più i segni ideografici, ma dice che ne han messi 8 per riempire l'horror vacui. Questa cosa non l'ho ben capita, ma sono sconvolto: che Sextus Nipius fosse un Nuragico?
O, peggio ancora, vuoi vedere che i Nuragici non sono mai esistiti ed erano semplicemente... Romani in ferie?

sabato 5 febbraio 2011

Dal cilindro di Bartoloni, ecco due iscrizioni filistee. Cananee per pochi

Ci sono un paio di cose interessanti nel libro “Fenici e Cartaginesi (780-238 aC)” che il professor Piero Bartoloni ha scritto per La Nuova Sardegna che il quotidiano ha diffuso in decine di migliaia di copie. Come altri della collana, la pubblicazione è sotto forma di lunga intervista con tratti, questa almeno, più consoni ad un catechismo che ad un testo scientifico, sia pure divulgativo. Chi sa? Forse per ragioni di sintesi. E che sintesi. “A partire dal 1500 aC circa, lungo le coste della Sardegna si alternano prima i mercanti micenei, quindi, in successione, dopo la scomparsa dei regni micenei e l'invasione dei “Popoli del Mare”, a partire dai primi decenni del XII secolo aC, i naviganti vicino-orientali, dapprima i Filistei, abitanti della Palestina, quindi i Ciprioti e i popoli delle città della Siria settentrionale e, infine, i Fenici”.
Valesse anche in archeologia un po' di coerenza interna (interna ad uno stesso scritto, intendo, indipendentemente dalla verità contenuta) che affidabilità assegnare al libro? Credo che non solo molti studiosi indipendenti, ma anche non pochi archeologi titolati avrebbero qualcosa da dire su questa ricostruzione dello scenario geo-politico in cui era la Sardegna antica. Ma è la coerenza che mi interessa fra la notizia dell'invasione dell'isola da parte dei Popoli del Mare e quella secondo cui all'arrivo dei fenici lo “sfruttamento delle miniere [era] ancora di proprietà delle popolazioni nuragiche”. “Ancora” vuol dire o che non l'avevano persa mai, o che i Popoli del Mare invasori prima avevano espropriato i nuragici che hanno poi reintegrato nella proprietà o che ai PdM delle miniere di rame e argento proprio non importava nulla? O che, molto più semplicemente, non ci fu alcuna invasione perché, direbbe Marcello Cabriolu, i popoli del mare c'est nous?
Dicevo però di informazioni interessanti nel libro del prof Bartoloni. Riguardano il sito nuragico di Sant'Imbenia. Qui, scrive l'archeologo, sono state trovate “due brevi iscrizioni filistee, incise su frammenti di ceramica”. Non si tratta, par di capire, del sigillo nuragico con lettere fenicie secondo il dr Bernardini e incolte scopiazzature secondo il dr Rubens D'Oriano. Sono scritte filistee, di genti che, vedi lo scenario geo-politico di Bartoloni, nella frequentazione della Sardegna hanno preceduto i Ciprioti, “i popoli delle città della Siria settentrionale” (popolazioni cananee, scriverà più il là l'autore) e i Fenici.
Non ci sono date, secondo le migliori tradizione di gran parte dell'archeologia sarda, salvo quella dell'arrivo dei Fenici, 780 aC. Ma, stando alla cronologia delle visite, i Filistei sarebbero arrivati prima e le “due brevi iscrizioni” di Sant'Imbenia sono dunque lì a mostrare che quella scrittura cananea ha preceduto il fenicio in Sardegna. Salvo che questo "popolo, ma non [...] entità politica", dopo aver introdotto nell'Isola "l'uso consistente e diffuso del vino, noto nel mondo nuragico forse fin dal XV secolo aC" (ce l'avevano ma non sapevano evidentemente a che cosa servisse), abbia importato oggetti di antiquariato filisteo. 
Un'altra popolazione cananea precedette i Fenici, proveniente dalle “città della Siria settentrionale, abitate da popolazioni cananee e aramee”. Per ora di loro iscrizioni non si segnalano tracce, ma la marcia di avvicinamento dell'archeologia ufficiale alla scrittura, diciamo, pre-fenicia in Sardegna è ai primi passi. Ci vuole pazienza.

giovedì 3 febbraio 2011

Da Tharshos a Luxor con un papiro di pace

di M.M. Fenu

Vi ricordate di Andrea Mulas, il maratoneta di Oristano che corre nelle maratone di tutto il mondo per portare il messaggio della civiltà della Sardegna? Lo fa sempre in modo originale, ispirato sempre -dice lui - dalle albe, dagli scenari luminosi del Sinis (dove si allena per la corsa) e dalle voci arcane che, di quando in quando, gli suggeriscono dove andare e persino il 'quando' andare.
Il papiro della corsa
Stavolta quelle voci misteriose, dietro le colline brulle e sabbiose e le palme nane del Monti gli hanno suggerito il Nilo, il 'serpente padre' antichissimo di Luxor, le Piramidi d'Egitto, i templi, le tombe e i geroglifici più belli del mondo.
Vestito dunque in costume sardo, berritta al vento, è stato ancora una volta l'attrazione del foltissimo pubblico perché, di quando in quando si fermava, non per prendere fiato, ma per mostrare il suo bellissimo papiro che gridava non solo a Luxor ma a tutto il mondo il messaggio del saluto e della pace: 'Nyny' . Il famoso saluto antico egiziano pieno di una carica concettuale affettiva inesprimibile e intraducibile  se non con un libro di molte pagine. E lo gridava da sardo 'shardan' di Tharros (lui messaggero straordinario ed impensabile della capitale antica della Sardegna) servendosi delle scritte 'geroglifiche' sia egiziane che sarde dell'età del bronzo, pensate e disegnate con arte affettuosa  dal designer suo amico fraterno Iano direttore della KLS.
Ha desiderato fortemente ed ottenuto altre due cose dai suoi amici e dalla sua città di Oristano: d'essere accompagnato durante la corsa, per testimonianza, da un fotografo di grande talento come Gianfranco e dalla firma prestigiosa dell'Eleonora arborense che oggi guida politicamente la città. Con la firma di quest'ultima 'governatrice' sindaco, Angela Nonnis, ha portato formalmente, in un altro papiro, al governatore di Luxor, il messaggio di pace tra i due popoli che simbolicamente s'incontrano, ciascuno con i segni antichi, dopo tremilla e quattrocento anni per onorare, ancora una volta, 'Ra', il Dio d'Egitto e del Sinis di Sardegna, nonché 'frate sole' di tutte le creature della terra.


Nelle foto di Gianfranco Casu: Mulas all'arrivo; il maratoneta
con un altro concorrente e con il fotografo



E che fosse davvero ispirato Andrea lo ha dimostrato perché 'stranamente' si è trovato a correre proprio nei giorni in cui l'Egitto si è trovato scosso da una protesta popolare che, se non prontamente incanalata nei giusti binari, rischia di travolgere non solo l'Egitto ma la convivenza degli uomini sul pianeta. E lui, sino alla fine, il maratoneta dei Sardi, anche quando pericolosamente si trovava 'rinchiuso' ma senza timore nell'aeroporto del Cairo, non ha esitato a mostrare alla folla il suo papiro, il messaggio del saluto e della pace che gli ha affidato 'Su populu de Tharshos', un piccolo ma sensibilissimo popolo tra i popoli del mondo.

mercoledì 2 febbraio 2011

C'era una volta uno Statuto da riscrivere. Promemoria per sbadati

Dall'assemblea del Parlamento sardo (la millesima dall'inizio della legislatura) enfaticamente chiamata degli Stati generali, sono trascorsi quasi tre mesi. Le importanti parole sul fatto che non sia “più procrastinabile l'urgente necessità di provvedere alla riscrittura di questa norma [lo Statuto speciale, NdR] in chiave moderna, per regolare le fondamenta del nostro essere "Popolo" e "Nazione" all'interno della Repubblica italiana” sono rimaste parole. È vero che 89 giorni, quanti ne sono passati da quel 5 ottobre, sono un trascurabile battito di ciglio nel concetto che la politica ha del tempo, ma nel frattempo il Parlamento italiano ha provveduto, con il cosiddetto federalismo fiscale, a rendere più difficile per la Sardegna darsi una Carta adeguata a quel popolo e a quella nazione prudentemente posti fra virgolette dalla Presidente del Consiglio regionale.
Eppure quella su cui scrivere il nuovo Statuto non è una tabula rasa, qualcosa su cui nessuno abbia riflettuto. Non solo esistono, depositati nel Parlamento sardo, due disegni di legge al proposito (uno del senatore Antonello Cabras del Pd e uno del senatore Piergiorgio Massidda del Pdl), ci sono i lavori del Consiglio e ci sono suggerimenti arrivati dai sindacati e da associazioni culturali, oltre alla proposta del Comitato per lo Statuto garantita dai gruppi consiliari del centrodestra allora all'opposizione. Eppure il Parlamento sardo dette il 18 novembre il mandato alla commissione autonomia di “di provvedere entro novanta giorni ad istruire ed elaborare un percorso costituente finalizzato alla riscrittura dello Statuto”. Si dirà che i novanta giorni non sono trascorsi e che la preoccupazione circa l'inattività della Commissione ha il sapore del pregiudizio.
Il fatto è la commissione autonomia è ancora senza presidente e che dalla sua aula non si sentono arrivare apprezzabili segni di vita, figurarsi propositi sul che fare. Si è, insomma, ancora una volta incartati intorno allo strumento del fare senza avere idee sul che cosa fare. Non ho dubbi sul fatto che la maggioranza abbia enormi responsabilità nella lentezza inquietante con cui il cammino verso lo Statuto sta procedendo. Segno che fra le parole dette e la convinzione c'è una, diciamo così, lotta intestina. Ma l'opposizione non si può atteggiare ad anima bella: se avesse a cuore uno statuto più avanzato di quello che abbiamo avrebbe spinto a che la proposta di Cabras fosse messa all'ordine del giorno del Consiglio, ne avrebbe fatto un terreno di dibattito interno o, almeno, avrebbe tallonato gli avversari, incapaci di portare avanti una proposta che pure avevano fatto propria.
Concetti come sovranità, popolo, nazione (più o meno eufemizzati dalle virgolette), revoca della fusione perfetta del 1847, denuncia del patto costituzionale, indipendenza, ed altri non meno importanti risuonati in Consiglio regionale, sono rimasti sospesi nell'aria come palloncini colorati e coriandoli dopo una festa trasgressiva. Quasi tutti questi cotillons sono già caduti a terra e cominciano a marcire.