di Efisio Loi
“Perché continuate ad applicare le categorie delle vostre ideologie ottocentesche per spiegare fatti di quattro, cinquemila anni fa? Consigli di anziani, comunque aristocratici, che subentrano al sovrano nella ‘gestione della cosa pubblica’? Popolo che si ribella perché ‘gli ultimi capi tribali non avevano più rispettato la comunità’?”
Così mi apostrofa Norax (d’ora in avanti lo chiamerò Norace perché anche a me, norax, dà l’idea di un antidepressivo) nel guazzabuglio dei brandelli di sonno in cui mi dibatto ogni volta che mi capita di eccedere nel pasto serale. Ci avrei giurato che sarebbe tornato a visitarmi in sogno. Gli ho dato questo nome sia perché non si è presentato, sia come segno di rispetto verso le ipotesi del mio amico Montalbano – mi posso definire tale, Pierluigi? –
In su bisu, Norace così continua: “Introduzione della proprietà privata? ‘Aferra, aferra’ dei pubblici terreni, mentre prima c’era il capo che distribuiva a piacimento? Dicasteri, sale di Consiglio? Sarei curioso di sapere a quale sistema costituzionale avete pensato. Monocamerale o bicamerale?”
Cerco di reagire debolmente: “Ma, ma…e il parallelismo con l’Egeo e con l’Oriente? E l’analisi diacronica e sincronica? E l’analisi della cultura materiale, stratigraficamente con precisione inquadrata? E poi – e qui mi altero – Pierluigi è uomo d’onore. Ha la scienza dalla sua!”
“La sciiieeenza…” – Riprende quello con tono sarcastico. – “Ti sei dimenticato di quegli scienziati che, l’altro giorno, per sostenere le loro tesi sul ‘riscaldamento globale’, tentavano di mettersi segretamente d’accordo su quali dati far circolare e quali nascondere all’opinione pubblica?”
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venerdì 30 aprile 2010
mercoledì 28 aprile 2010
Oe est die de sa Sardigna e de sos sardos

Casteddàios, tataresos e aligheresos no ant chertu bortulare s'Istadu, su Rennu sardu, si non catzare su Guvernu de s'ìsula in manos a gente còmprida dae foras, dae sos àteros istados sardos. Mancu Giommaria Angioy e sos revolutzionàrios chi l'amparaiant giughiant in mente de revessare s'Istadu sardu: su progetu insoro fiat de l'agabare cun su feudalèsimu e de pesare s'autoguvernu de sa Sardigna, ponende mente a sas ideas giacobinas chi compriant dae Frantza e dae sa Revolutzione sua.
Est deghesete annos chi festamus sa Die de sa Sardigna e est 17 annos chi grustos de intelletuales, mancu male semper prus pagos, crìticant s'issèberu fatu dae su Parlamentu sardu de pesare a custa occurrèntzia sa festa de su pòpulu sardu. Sos prus, arresonende cun sas categòrias polìticas de oe (tìrria contra a sa forma monarchica de s'Istadu, innòrantzia de sa forma federale de su Regnu de Sardigna, e gasi e gasi), bèfulant sos sardos de tando chi una die nche catzant “sos piemontesos” e de pustis pagu tempus acolligint cun entusiasmu mannu su Capu de s'Istadu, su Re de Sardigna, est a nàrrere.
Sos prus betzos de nois s'ant a amentare it'est capitadu in Itàlia a sos tempos de su Guvernu Tambroni, trìulas de su 1960. Partidu comunista e partidu sotzialista ant pesadu tando una rebellia manna contra a su guvernu de Fernando Tambroni: in Reggio Emilia b'at àpidu sete mortos. Su presidente de du Consìgiu s'est dèpidu dimìtere de pustis bator meses de guvernu. Ma nen sos comunistas nen sos sotzialistas ant mai pensadu de revessare s'Istadu italianu nen su presidente de sa Repùblica, Gronchi. Pensare chi sos revolutzionàrios sardos de su 1794, pro tènnere s'istima de custos intelletuales bennidores, depiant bortulare sa monarchia e isfassare su regnu sardu est una tontesa chi cun s'istòria non bi pitzigat ne a muru ne a gianna. Ma custa est sa torrada de chie arresonat de sos tempos colados cun sas ogreras ideològicas de oe. In custu e in àteros domìnios.
Carchi intelletuale de custa iscola ideològica si l'est torrende a pensare e a cunsiderare sos fatos de s'istòria in su cuntestu insoro. Est una cosa bona. Cheret nàrrere chi b'at isperu. E chi sa Die de sa Sardigna at a sighire a èssere in sa cunsèntzia de sos sardos, comente amentu de fatos chi los faghent pòpulu e non gente.
In sa foto: S'intrada de Giommaria Angioy in Tàtari, de Giuseppe Sciuti
martedì 27 aprile 2010
Il Poltbjuro della Nvls contro la bieca reazione
Il Politbjuro della NVLS è inquieto. La bieca reazione in agguato ha osato l'inosabile: “Si può fare una mostra del libro in Sardegna senza gli scrittori sardi?”, si chiede indignato un giornalista (La Nuova, 25 aprile) che così si risponde: “Sembra una contraddizione ma a Macomer è accaduto proprio questo”. È accaduto, infatti, che gli scrittori della NVLS non sono stati invitati a parlare dei loro romanzi, come invece fanno un giorno sì e l'altro pure nel loro quotidiano di riferimento.
La spiegazione data dagli organizzatori della Mostra del libro in Sardegna è che si era deciso di esporre i libri stampati da case editrici sarde. Una scusa, è vero, risibile, posto che i primi tre libri presentati venivano da fuori, ma questa è una innocente concessione al provincialismo. Però il Politbjuro della “Nouvelle vague letteraria sarda”, la NVLS appunto, non è di questo che si indigna. “Gli” scrittori sardi lì sono iscritti e solo essi hanno diritto a essere considerati tali, laonde per cui fuori loro fuori la narrativa sarda.
Ma perché tanta protervia da parte della bieca reazione? È chiaro: “Molti degli autori appena citati (cinque in tutto, NdR) si sono schierati pubblicamente per Soru alle elezioni regionali del 2009”. Della qualcosa, bisogna ammetterlo, nessuno si era accorto. Anzi tutti eravamo convinti che la NVLS fosse il luogo geometrico della letteratura in Sardegna e che l'appartenenza politica c'entra nulla. Del resto, è solo un caso che di quei magnifici cinque la Digital library della Regione sarda abbia pubblicato in epoca soriana ogni respiro, che il loro giornale di riferimento li segua dal momento in cui cominciano a scrivere a quando pubblicano, non mancando di segnalare ogni loro spostamento e ignorando ciò che d'altro si produce nell'Isola in materia di narrativa.
Peppino Marci, critico letterario dei migliori esistenti, uomo di sinistra, ha recentemente scritto: “Un (intraprendente) scrittore pubblica un libro con una (intraprendente) casa editrice. Un (compiacente) critico scrive un'articolessa che un (compiacente) redattore mette in pagina con grande risalto. Direte: e allora, cosa c'è di male? Niente; se si esclude che fanno tutti parte della stessa area politica, che da decenni se la cantano e se la suonano sostenendosi l'un l'altro e sostenendo gli stessi leader, dando quotidiane lezioni di pubblica moralità all'intero universo; facendo, in sostanza, i propri affari”. (L'Unione sarda, 12 aprile).
E stiamo parlando, qui, della narrativa in italiano. Quella in sardo, nonostante i quasi duecento titoli, non esiste proprio, né esistono i suoi autori. E passi per il Politbjuro della NVLS e dei suoi portavoce: non esiste neppure per la bieca reazione in agguato. Quando si dice gli opposti estremismi.
La spiegazione data dagli organizzatori della Mostra del libro in Sardegna è che si era deciso di esporre i libri stampati da case editrici sarde. Una scusa, è vero, risibile, posto che i primi tre libri presentati venivano da fuori, ma questa è una innocente concessione al provincialismo. Però il Politbjuro della “Nouvelle vague letteraria sarda”, la NVLS appunto, non è di questo che si indigna. “Gli” scrittori sardi lì sono iscritti e solo essi hanno diritto a essere considerati tali, laonde per cui fuori loro fuori la narrativa sarda.
Ma perché tanta protervia da parte della bieca reazione? È chiaro: “Molti degli autori appena citati (cinque in tutto, NdR) si sono schierati pubblicamente per Soru alle elezioni regionali del 2009”. Della qualcosa, bisogna ammetterlo, nessuno si era accorto. Anzi tutti eravamo convinti che la NVLS fosse il luogo geometrico della letteratura in Sardegna e che l'appartenenza politica c'entra nulla. Del resto, è solo un caso che di quei magnifici cinque la Digital library della Regione sarda abbia pubblicato in epoca soriana ogni respiro, che il loro giornale di riferimento li segua dal momento in cui cominciano a scrivere a quando pubblicano, non mancando di segnalare ogni loro spostamento e ignorando ciò che d'altro si produce nell'Isola in materia di narrativa.
Peppino Marci, critico letterario dei migliori esistenti, uomo di sinistra, ha recentemente scritto: “Un (intraprendente) scrittore pubblica un libro con una (intraprendente) casa editrice. Un (compiacente) critico scrive un'articolessa che un (compiacente) redattore mette in pagina con grande risalto. Direte: e allora, cosa c'è di male? Niente; se si esclude che fanno tutti parte della stessa area politica, che da decenni se la cantano e se la suonano sostenendosi l'un l'altro e sostenendo gli stessi leader, dando quotidiane lezioni di pubblica moralità all'intero universo; facendo, in sostanza, i propri affari”. (L'Unione sarda, 12 aprile).
E stiamo parlando, qui, della narrativa in italiano. Quella in sardo, nonostante i quasi duecento titoli, non esiste proprio, né esistono i suoi autori. E passi per il Politbjuro della NVLS e dei suoi portavoce: non esiste neppure per la bieca reazione in agguato. Quando si dice gli opposti estremismi.
lunedì 26 aprile 2010
Ma tutti i miti possono diventare storia. Nausicaa, per esempio...

Il titolo assegnato dagli organizzatori alla Mostra del libro di Macomer, anno 2010, è "Sardegna nel Mito". Zuannefrantziscu la presenta nel suo Blog intitolando il suo articolo con un termine molto significativo: "Tutto è mito, niente è storia".
Dovendo sintetizzare al massimo il contenuto del mio libro “Sardegna, l'isola felice di Nausicaa”, questo concetto espresso da "Zuanne" può essere tranquillamente rovesciato, in quanto "tutti i miti possono diventano storia". Per suffragare una tale affermazione ho depurato dai miti gli elementi di fantasia: quanto resta, specie in termini geografici e narrativi, contiene informazioni reali sulle vicende del tempo.
La ricerca sulle fonti antiche è stata condotta rinunciando a priori agli assiomi consolidati, infatti una mente sgombra dai preconcetti è libera di spaziare su campi rimasti ancora inesplorati e di rivisitare le fonti disponibili. Insomma, niente voli Pindarici, ma riflessioni sul contenuto delle antiche fonti comparandone i dati con gli elementi reali individuati nel territorio e in quelli forniti dall'archeologia.
Il modello culturale proposto ricostruisce gli aspetti delle origini della cultura sarda, svelandone le radici remote ancora oggi presenti nelle antiche fonti bibliche egiziane e greche; la comparazione di queste fonti consente di ricostruire quello che era il vero scenario dell'Età del Bronzo, che comprendeva, insieme alle maggiori culture orientali, la Sardegna nuragica, in vera e propria competizione con le stesse nella navigazione, nelle costruzioni, nel possesso dei metalli e nelle arti.
In questo scenario trovano la loro giusta collocazione in Sardegna luoghi ideali come Tarsis-Tartesso, l'isoletta di Erizia che ospita il Giardino delle Esperidi, le Isole dei Beati, il regno di Crono e Atlantide; allo stesso modo rientrano nella storia genti come gli Sherden, i Cari, i Pelasgi-Tirreni e i Dori-Eraclidi, inoltre la civiltà nuragica diventa la vera "catalizzatrice" di molti misteri rimasti irrisolti della preistoria.
PS - Per chi avesse piacere di esserci, presenterò il mio lavoro a Cagliari il 6 maggio, alle ore 1900, presso l'Associazione culturale ITZOKOR, via Lamarmora 123.
Che cosa dice la politica cantonale nuragica alla politica di oggi?
di Carlo Carta
Entro in punta di piedi in questo interessante dibattito (e me ne uscirò subito appena sentirò le prime urla) perché sento il dovere di dire qualcosa su questa “politica cantonale nuragica”. Ne parlai a Santa Cristina di Paulilatino durante un dibattito dell’allora embrionale e litigioso Partito Democratico della Sardegna. Ricordo che feci un intervento proprio in questo blog, stimolando un bellissimo dibattito con te Gianfranco ed il compianto (mai abbastanza) nostro comune amico Eliseo Spiga. Oggi mi fa piacere che alcuni studiosi se ne occupino, ma mi fa piacere ancor più che nel PD (oltre sempre a litigare) ci sia qualcuno che comincia a parlare di nuovo Statuto Regionale, di legge Statutaria e soprattutto di Indipendenza. Ne parla ovviamente Renato Soru, che come sempre con coraggio ha fatto da apripista, ne posso liberamente parlare io. Mi rendo conto che non è cosa semplice, soprattutto quando hai a che fare con un Partito nazionale, italiano. Tuttavia ne parliamo, attraverso dibattiti tra la gente, organizzando eventi culturali a dimensione locale.
Da sempre mi attanaglia questo dubbio su che tipo di struttura avrebbe potuto avere la società nuragica, in una sua ipotetica evoluzione moderna, se non fosse mai stata sottoposta agli influssi culturali dei vari invasori che sino a qui si son succeduti. Una cultura, quella Nuragica, nettamente antiurbana. Diretta conseguenza di ciò che rimaneva della cultura ereditata dai loro predecessori “i Sardi Coppelliti”. Un villaggio nuragico poteva certamente aspirare a divenire città, ma necessitava ovviamente di un intervento esterno e politico. Un monarca o una o più divinità. Con la buonanima di Eliseo si parlava e si scriveva parecchio di Confederazione Comunitaria e di come organizzare l’Isolamento delle comunità nuragiche e pre-nuragiche, facendone un punto di forza e non di debolezza delle stesse.
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Entro in punta di piedi in questo interessante dibattito (e me ne uscirò subito appena sentirò le prime urla) perché sento il dovere di dire qualcosa su questa “politica cantonale nuragica”. Ne parlai a Santa Cristina di Paulilatino durante un dibattito dell’allora embrionale e litigioso Partito Democratico della Sardegna. Ricordo che feci un intervento proprio in questo blog, stimolando un bellissimo dibattito con te Gianfranco ed il compianto (mai abbastanza) nostro comune amico Eliseo Spiga. Oggi mi fa piacere che alcuni studiosi se ne occupino, ma mi fa piacere ancor più che nel PD (oltre sempre a litigare) ci sia qualcuno che comincia a parlare di nuovo Statuto Regionale, di legge Statutaria e soprattutto di Indipendenza. Ne parla ovviamente Renato Soru, che come sempre con coraggio ha fatto da apripista, ne posso liberamente parlare io. Mi rendo conto che non è cosa semplice, soprattutto quando hai a che fare con un Partito nazionale, italiano. Tuttavia ne parliamo, attraverso dibattiti tra la gente, organizzando eventi culturali a dimensione locale.
Da sempre mi attanaglia questo dubbio su che tipo di struttura avrebbe potuto avere la società nuragica, in una sua ipotetica evoluzione moderna, se non fosse mai stata sottoposta agli influssi culturali dei vari invasori che sino a qui si son succeduti. Una cultura, quella Nuragica, nettamente antiurbana. Diretta conseguenza di ciò che rimaneva della cultura ereditata dai loro predecessori “i Sardi Coppelliti”. Un villaggio nuragico poteva certamente aspirare a divenire città, ma necessitava ovviamente di un intervento esterno e politico. Un monarca o una o più divinità. Con la buonanima di Eliseo si parlava e si scriveva parecchio di Confederazione Comunitaria e di come organizzare l’Isolamento delle comunità nuragiche e pre-nuragiche, facendone un punto di forza e non di debolezza delle stesse.
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domenica 25 aprile 2010
La fine dell’Età del Bronzo in Sardegna

Intorno al X a.C. i sardi cambiano organizzazione sociale passando dal sistema gestito da un sovrano a scelte concordate dall’assemblea della comunità. I nuraghe vengono abbandonati, le cinte esterne e le parti alte abbattute, e alcuni nuraghe importanti vengono trasformati in templi.
In questo periodo si assiste ad un sistematico spoglio dei materiali contenuti all’interno dei nuraghe. Il proliferare dei ripostigli (luoghi nei quali è conservato il “tesoretto” della comunità) segna la fine di un epoca (quella dei regni) e il passaggio ad una società aristocratica gestita dalle famiglie importanti della comunità che sostituiscono i capi tribali che avevano sede nel nuraghe. Il potere passa al villaggio con la comparsa di grandi sale, costruite sopra gli strati del X a.C., destinate all’elezione dei capi.
Una particolarità che inizia in questo periodo è la miniaturizzazione (anche i bronzetti sono espressione di ciò) delle torri che vengono divinizzate e riprodotte in pietra e bronzo. Il nuraghe perde la sua funzione originaria di sede del capo tribale, ma non quella sacra di luogo in cui c’è la divinità o il capostipite. Si riconosce nei costruttori dei primi nuraghe il ruolo di antenati da divinizzare. Evidentemente gli ultimi capi tribali non avevano più rispettato la comunità, o non avevano mantenuto il benessere sociale, e avevano perso il loro ruolo di guide della popolazione. Furono deposti e si cambiò tipologia di organizzazione, mantenendo comunque integro il rispetto nei confronti degli antichi padri della civiltà nuragica.
Il nuraghe è anche la sede di un capostipite e la divinizzazione dell’edificio riguarda sia l’antenato che la sua sede. In pratica si mescolò in un unico simbolo sia il capostipite (costruttore dell’edificio) che l’edificio stesso. Infatti anche nelle necropoli troviamo la rappresentazione dei nuraghe, come a Monte Prama.
Se in antichità ci fu effettivamente l’eroe Norax, come riportato da alcuni autori classici, possiamo spiegare sia il nome dei nuraghe, sia il nome della civiltà, sia il nome dei capostipite. In questo periodo si passa dall’aniconismo all’antropomorfismo delle statue. Il nuraghe rappresenta l’elemento che sta in mezzo: il betilo aniconico si trasforma nel betilo-nuraghe e, a sua volta, questo si trasformerà in sculture in pietra e bronzo a figura di eroi e dei. Gli strati più antichi dei nuraghe sono scavati o tagliati per sistemare vasche, altari e betili-nuraghe, e questo evidenzia una volontà di divinizzare gli edifici. Bisogna, come sempre consiglio, fare attenzione ai contesti stratigrafici perché gli strati non sono uniformi e si rischia di sbagliare le datazioni: l’elemento più recente data il contesto, ma nello stesso strato ci può essere una risistemazione di strutture ed è facile confondersi.
I modelli di nuraghe in pietra sono rovinati e presentano a volte dettagli di difficile lettura, ma quelli in bronzo sono integri e attraverso questi si può capire come era realizzata la parte terminale delle torri.
Un dato importante che invita ad una seria riflessione è che non esistono bronzetti attribuibili a fasi del Bronzo Finale e che gli animali e le figure antropomorfe rappresentate nelle sculture bronzee sono, a mio parere, da interpretare come divinità.
All’inizio dell’Età del Ferro ci fu l’introduzione della proprietà privata e nei villaggi ci si impadronì dei terreni, mentre prima c’era il capo tribù che decideva a chi darli e a chi toglierli. Si passa dai villaggi alle prime città: ci sono dicasteri, sale del consiglio, palestre e strutture idrauliche, che vanno letti in funzione di un processo di urbanizzazione simile a quello che avvenne nelle città greche. Le case iniziano a presentare molti ambienti, si tratta di case padronali con laboratori, bagni, strutture termali, magazzini e camere per dormire. I sardi in questo periodo erano in rapporto con levantini e greci e iniziarono ad organizzare delle vere e proprie città.
sabato 24 aprile 2010
Ecco l'alfabeto nuragico nell'albero della scrittura

di Gigi Sanna
Dal 2004 ad oggi, i documenti nuragici rinvenuti in diverse località della Sardegna, ma soprattutto nell'area centro occidentale (Paulilatino, Abbasanta, Seneghe, Norbello) si sono quasi quadruplicati confermando 'ad abundantiam' le caratteristiche della scrittura arcaica sarda della seconda metà del secondo Millennio a.C.; codice che, per quanto originale sotto diversi aspetti (notazione varia della lettera 'b', riporto del segno 'commentatore', legame stretto tra scritta e 'numero', ecc.), prendeva chiaramente spunti (principio dell'acrofonia, scrittura 'a rebus', direzione della lettura varia) dalle elaborazioni formali delle scuole degli scribi delle città (di Ugarit, di Tiro e di Biblo in particolare) dell'attuale territorio compreso tra la Siria, il Libano e la Palestina.
Ricordo l'osservazione del Naveh circa il documento di Nora come spia di rapporti culturali EST-OVEST: oggi può essere tranquillamente non solo fatta propria ma anche consolidata ed ampliata sulla base della più che vivace documentazione scritta sarda che, come si è già detto in questo Blog, quanto a tipologia 'protocananaica', ha superato addirittura la stessa documentazione della lontana 'patria' d'origine che risulta composta da una trentina di documenti circa.
Rapporti culturali Est-Ovest che però - lo ribadiamo ancora una volta - non hanno consentito, stando almeno alle nostre ricerche (di 15 anni e più), di rinvenire documenti di scrittura di tipologia 'cretese' o greca ( lineare A, lineare B, cipriota).
Da ciò possiamo ricavare che il codice 'protosinaitico-protocananaico' giunse in Sardegna, con ogni probabilità intorno al 1600-1500 a.C., cioè già all'alba della costruzione dei Nuraghi, delle Tombe di Giganti e dei Pozzi sacri, in alcuni dei quali monumenti le scritte (pittografiche e/o lineari) consonantiche ritrovate denunciano la presenza del Sardus pater ('ab šrdn) o della divinità ('el -yh), per il quale il codice fu espressamente inventato, nonché la presenza dei 'figli tori' di quella stessa divinità .
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Ho come l'impressione che batti e ribatti, la questione della scrittura antica registri una lenta marcia di avvicinamento, oltre che una prudente battuta d'arresto del "no" a priori, da parte di settori più avvertiti dell'archeologia sarda. A Serri, il mio caro amico Giovanni Ugas ha detto che, oltre che nei lingotti oxhide, vi sono dei caratteri alfabetici "levantini" impressi nelle ceramiche nuragiche a partire dal bronzo finale o dall'età del Ferro; e, parlando a Senorbì, il professor Bernadini ha detto di ceramiche nuragiche dell'età del ferro che mostrano segni dell'alfabeto fenicio, e di uno spillone bronzeo nuragico con 4 lettere fenice. Sono informazioni che ci ha dato Mauro Peppino Zedda in suoi post su questo blog. Per ora sono levantine e/o fenice. E se lo fossero, fenice intendo, come le iscrizioni della Stele di Nora? L'importante è, comunque, che la cappa di silenzio cominci a mostrare crepe. [zfp]
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