di Andrea Crisponi
Tutto questo dibattito, non necessariamente quello relativo al Magnifico Ainis, mi ricorda - metaforicamente parlando - lo stato d'animo provato durante la lettura a perdi fiato delle gesta semiotiche di Guglielmo da Baskerville ed Adso da Melk, in Il Nome della Rosa. Tanti segreti e misteri avvolgevano quella misteriosa biblioteca del monastero il cui accesso era osteggiato dai frati e al cui interno si consumavano sinistri riti ed omicidi/suicidi. Questo per dire che, l'atteggiamento di alcuni nei confronti della cultura ("cultura", Cultura) ricalca lo stesso dei frati del monastero, quello del romanzo, che attraverso l'ostracismo, l'ostruzionismo, cercavano di impedire che due estranei avessero libero accesso negli ambienti della cultura non convenzionale, quella dei libri apocrifi, delle interpretazioni della Bibbia non impregnate di retorica.
Ecco, questo è il mio modestissimo atteggiamento innanzi alla cultura sarda che, perché no?, trova manifestazione nelle pagine dei testi scritti interamente in sardo (Gianfranco ha parlato di oltre 200 opere ormai pubblicate), da un lato avventuriero e curioso, dall'altro guardingo ed apocalittico. Il che, secondo me, dipende da un atteggiamento fortemente contrapposto tra chi, come il gestore di questo blog, ha a cuore le sorti e la diffusione del sapere e soprattutto del conoscere la nostra cultura in tutte le sue forme, e chi semina paletti delimitanti con in cima un segnale di stop. Il problema è che a differenza del romanzo di cui scrivevo sopra non capisco quale sia il mistero che avvolge il sardo, la sua cultura, la sua gente, la sua storia, le sue tradizioni come una cappa di nubi gonfie di pioggia. Certo è che parte di quelle nubi si annodano attraverso traversie politiche, scelte demagogiche che danno del sardo-lingua come del sardo-cultura una immagine, a mio avviso, folkloristica e non rispecchiante le peculiarietà identitarie. Vi è anche chi le rifiuta, ma in realtà non le conosce. Poi vi è chi le rifiuta perché non le condivide, e ne ha tutte le facoltà. Purché non si tratti di ideologia o di luogocomunismo.
Quanto al Signor Ainis ed alle sue prese di posizione, nonché a proposito della sua verve da professore intransigente e severo, propongo qui una frase che un caro amico prete mi disse qualche tempo fa: "E' facile essere frosci col culo degli altri" aveva detto, in un periodo di strascichi polemici riguardanti la manifestazione del gay pride a Roma. E la stessa massima la propongo a chi, una volta abbandonata la Sardegna, pensa di proporsi quale Deus ex Machina e di poter dettar le regole del saper vivere crogiolati altrove. Ebbene, io credo che se qualcosa deve cambiare deve prendere forma e sostanza nell'Isola anche se i contributi di tutti saranno di sicuro rilevanti e bene accetti. Ma per cambiare bisogna essere radicati nel territorio, capire personalmente il livello di incidenza delle varietà linguistiche come delle feste paesane e dare a ciascuna il proprio spazio, non facendo il modo che "solo" il ballo sardo sia un tratto identitario, ma anche un canto in rima, o ancora meglio un romanzo, che finalmente possa essere trattato alla stregua di qualsiasi altro testo letterario e non quale un capriccio intellettuale di chi si prende la briga di scrivere in sardo per diletto.
Ne approfitto per complimentarmi per il post appena pubblicato.
sabato 2 maggio 2009
giovedì 30 aprile 2009
Caro Ainis, è sicuro di meritare il Nobel?
di Massimo Pittau
Evidentemente quell’illustre sconosciuto che è Gabriele Ainis ha avuto l’assicurazione che nella prossima tornata gli verrà assegnato uno dei Premi Nobel (ma in quale sezione? Boh?). Solamente con questo presupposto si può comprendere la decisione e la sicurezza che egli ha dimostrato nel prendere a sculaccioni noi, poveri Sardignoli che ci interessiamo della storia (o – come lui dice - fantastoria) del popolo sardo, del tutto buttati dunque nel nostro presunto glorioso passato, mentre non ci accorgeremmo che i nostri nemici ci stanno perfino togliendo di sotto ai piedi il terreno – costituito tutto dalle preziosissime “terre refrattarie” -. Noi dunque ingenui “passatisti”, mentre LUI - il maiuscolo è d’obbligo – è il solo “avvenirista” e soprattutto il solo che ha in tasca la soluzione di tutti i problemi della nostra Isola.
Siccome fra i passatisti sculacciati mi sono riconosciuto anche io, l’illustrissimo Gabriele Ainis mi permetta di fargli una lezioncina di storia, dato che questa discipina, in un modo o in un altro, l’ho insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado per 52 anni.
Nella storia dell’Italia il Risorgimento costituisce un punto cruciale e culminante, il quale, ad es., ha conseguito il grandioso risultato storico di unificare in un solo popolo popolazioni di differenti 18 staterelli, che per secoli erano state divise fra loro. Ma il Risorgimento italiano ha avuto effetti grandiosi anche nel quadro della storia europea: ci si chieda quanto sarebbe stata differente la storia dell’intera Europa se, ad es., nella I Guerra mondiale l’Italia avesse combattuto nella Triplice Alleanza anziché nella Triplice Intesa.
Orbene si deve considerare che il Risorgimento italiano è stato tenuto a battesimo da un famoso invito che Ugo Foscolo formulò nella prolusione al suo corso di Rettorica nell’Università di Pavia nel 1809: «Italiani, tornate alle istorie!». E in effetti l’intero Risorgimento italiano è stato preceduto e seguito da numeroosissimi studi di carattere storico, ai quali molti Italiani si dedicarono con tenacia e passione, tutti alla ricerca delle loro radici, tutti volti a trarne gli auspici per il futuro della nuova Italia.
Ebbene, all’illustrissimo Gabriele Ainis, che è convinto di avere l’esclusiva del quadro storico-politico della Sardegna odierna, invece è completamente sfuggito che nell’attuale momento storico in Sardegna c’è in atto un vero e proprio Risorgimento nazionale, alimentato e promosso anche dall’appassionato ritorno che noi Sardi stiamo facendo alle nostre origine storiche, alle nostre radici etniche e nazionali. L’Ainis sicuramente lo ignora: la regione italiana che supera di gran lunga tutte le altre per la produzione di opere e libri di carattere regionalistico, relativi alla storiografia, alla archeologia, alla linguistica, alla storia dell’arte, alla etnologia, alla botanica, ecc., è la Sardegna.
Ed è questo un Risorgimento della Sardegna che va molto al di là del misero apporto dei partiti politici operanti nell’Isola e molto al di là delle conquiste effettuate dalla stessa Autonomia regionale richiesta e finalmente conquistata.
Ebbene, l’appassionato ritorno alle nostre radici, alla nostra storia antica – perfino quella non gloriosa – non è perseguito da noi con una prospettiva “passatista”, ossia come adorazione del passato in quanto passato, ma è perseguito in vista del nostro nuovo futuro che vogliamo costruire, del tutto differente da quello trascorso. Non siamo dunque “adoratori del passato per il passato”, ma siamo studiosi e analizzatori del nostro passato con l’intento di costruire un avvenire molto migliore almeno per le nuove generazioni dei Sardi.
Potrei concludere col richiamo al latino Historia magistra vitae «la storia è maestra di vita», ma preferisco citare una frase di un grande personaggio delle cultura europea, Goffredo Guglielmo Leibniz: Reculer pour sauter «retrocedere per saltare» (evidente richiamo alla gara atletica del «salto in lungo»).
Evidentemente quell’illustre sconosciuto che è Gabriele Ainis ha avuto l’assicurazione che nella prossima tornata gli verrà assegnato uno dei Premi Nobel (ma in quale sezione? Boh?). Solamente con questo presupposto si può comprendere la decisione e la sicurezza che egli ha dimostrato nel prendere a sculaccioni noi, poveri Sardignoli che ci interessiamo della storia (o – come lui dice - fantastoria) del popolo sardo, del tutto buttati dunque nel nostro presunto glorioso passato, mentre non ci accorgeremmo che i nostri nemici ci stanno perfino togliendo di sotto ai piedi il terreno – costituito tutto dalle preziosissime “terre refrattarie” -. Noi dunque ingenui “passatisti”, mentre LUI - il maiuscolo è d’obbligo – è il solo “avvenirista” e soprattutto il solo che ha in tasca la soluzione di tutti i problemi della nostra Isola.
Siccome fra i passatisti sculacciati mi sono riconosciuto anche io, l’illustrissimo Gabriele Ainis mi permetta di fargli una lezioncina di storia, dato che questa discipina, in un modo o in un altro, l’ho insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado per 52 anni.
Nella storia dell’Italia il Risorgimento costituisce un punto cruciale e culminante, il quale, ad es., ha conseguito il grandioso risultato storico di unificare in un solo popolo popolazioni di differenti 18 staterelli, che per secoli erano state divise fra loro. Ma il Risorgimento italiano ha avuto effetti grandiosi anche nel quadro della storia europea: ci si chieda quanto sarebbe stata differente la storia dell’intera Europa se, ad es., nella I Guerra mondiale l’Italia avesse combattuto nella Triplice Alleanza anziché nella Triplice Intesa.
Orbene si deve considerare che il Risorgimento italiano è stato tenuto a battesimo da un famoso invito che Ugo Foscolo formulò nella prolusione al suo corso di Rettorica nell’Università di Pavia nel 1809: «Italiani, tornate alle istorie!». E in effetti l’intero Risorgimento italiano è stato preceduto e seguito da numeroosissimi studi di carattere storico, ai quali molti Italiani si dedicarono con tenacia e passione, tutti alla ricerca delle loro radici, tutti volti a trarne gli auspici per il futuro della nuova Italia.
Ebbene, all’illustrissimo Gabriele Ainis, che è convinto di avere l’esclusiva del quadro storico-politico della Sardegna odierna, invece è completamente sfuggito che nell’attuale momento storico in Sardegna c’è in atto un vero e proprio Risorgimento nazionale, alimentato e promosso anche dall’appassionato ritorno che noi Sardi stiamo facendo alle nostre origine storiche, alle nostre radici etniche e nazionali. L’Ainis sicuramente lo ignora: la regione italiana che supera di gran lunga tutte le altre per la produzione di opere e libri di carattere regionalistico, relativi alla storiografia, alla archeologia, alla linguistica, alla storia dell’arte, alla etnologia, alla botanica, ecc., è la Sardegna.
Ed è questo un Risorgimento della Sardegna che va molto al di là del misero apporto dei partiti politici operanti nell’Isola e molto al di là delle conquiste effettuate dalla stessa Autonomia regionale richiesta e finalmente conquistata.
Ebbene, l’appassionato ritorno alle nostre radici, alla nostra storia antica – perfino quella non gloriosa – non è perseguito da noi con una prospettiva “passatista”, ossia come adorazione del passato in quanto passato, ma è perseguito in vista del nostro nuovo futuro che vogliamo costruire, del tutto differente da quello trascorso. Non siamo dunque “adoratori del passato per il passato”, ma siamo studiosi e analizzatori del nostro passato con l’intento di costruire un avvenire molto migliore almeno per le nuove generazioni dei Sardi.
Potrei concludere col richiamo al latino Historia magistra vitae «la storia è maestra di vita», ma preferisco citare una frase di un grande personaggio delle cultura europea, Goffredo Guglielmo Leibniz: Reculer pour sauter «retrocedere per saltare» (evidente richiamo alla gara atletica del «salto in lungo»).
Nessun culto fallico a S'Urachi

Caro Gianfranco,
l’intervento di Tonino Mura e Piero Zenoni, pacato nella forma (fatto raro), ci da notizia della formazione di un gruppo di volontari che si propone di contribuire alla tutela e salvaguardia dei nostri beni archeologici; un evento importante visti gli scarsi mezzi e forze di cui disponiamo. Importante per far crescere la consapevolezza della necessità di tutela. I pericoli che i beni corrono, infatti, sono soprattutto legati ai lavori agricoli, ai lavori edilizi e, in generale, ai lavori pubblici e, ovviamente ai tombaroli.
S’Urachi, fortunatamente, è oggi in una situazione relativamente tranquilla essendo in buona parte (ma non tutta) di proprietà comunale. Ha subìto a suo tempo dei danni sia con l’asportazione di una parte consistente dei blocchi delle torri e delle murature per realizzare il vicino abitato di San Vero, con la realizzazione di una cava per l’estrazione della terra per la realizzazione dei mattoni crudi di cui ci resta la discarica (il famoso strato dello Tzunami) e, in epoca più recente, la sua trasformazione in discarica pubblica e infine la realizzazione della vecchia strada provinciale che passa sopra due delle torri dell’antemurale.
Di tutti questi danni è oggi incombente solo la strada provinciale; è stato realizzato un nuovo tronco stradale dismettendo il vecchio che è stato di recente declassato a favore del Comune. Il passaggio di proprietà dovrà essere ratificato (chissà quando) dal Consiglio Regionale. Il Comune ha avuto comunque l’autorizzazione a rimuovere la strada e a rimettere in luce la parte occultata dell’antemurale, che dovrebbe essere relativamente “ben” conservata, quantomeno a somiglianza delle torri già note. A questo fine il Comune già da vari anni ha presentato il progetto per avere un finanziamento sufficiente per realizzare l’opera, finora senza alcun risultato. Speriamo di essere più fortunati.
Nel frattempo, con i pochi fondi disponibili ha avviato la realizzazione di una nuova recinzione; un pezzo alla volta quando è possibile. Anche per questo era stato presentato un progetto POR, proprio per realizzare le poche strutture necessarie per permettere di rendere visitabile in sicurezza l’area, purtroppo non ammesso a finanziamento. Posso assicurare che la volontà di dare un aspetto migliore a questo complesso c’è, mancano i mezzi.
Così come per gli scavi. Negli ultimi 15 anni siamo riusciti a svolgere solo due brevi campagne di scavo che ci hanno permesso di chiarire alcuni elementi della pianta del nuraghe e della stratigrafia delle fasi di riutilizzo. Le notizie dell’ultima campagna di scavo (2005) le abbiamo inserite nel sito del Comune contemporaneamente ai lavori, e sono leggibili all’indirizzo www.sanvero.it, cliccando sotto la voce Museo.
Veniamo ai “giganteschi falli circoncisi”. In realtà si tratta di mensoloni di varie forme, di quelli che normalmente si trovano vicino ai nuraghi e che erano posizionati sulla cima delle torri, a sostenere una sorta di terrazzo, se ne possono vedere ancora in situ, sulle torri, nel nuraghe Losa, in quello di Barumini e nell’Albucciu per citare i più famosi. Niente culto fallico mi dispiace.
Più complesso il discorso della seconda foto pubblicata, che parrebbe riportare o a elementi decorativi di una struttura o a decorazioni falliformi note in epoca romana; il blocco è fratturato e non permette di capire la reale forma del rilievo.
Una cosa però va sottolineata tutti questi reperti non appartengono a s’Urachi, ma si tratta di elementi rinvenuti nei decenni nel paese e trasportati a s’Urachi in via provvisoria, in attesa del trasferimento nel giardino interno del Museo; cosa che dovrebbe avvenire (faccio gli scongiuri) entro l’anno. Da dove vengono? San Vero ha una trentina di strutture nuragiche ma, personalmente, ipotizzo la provenienza almeno di una parte dei mensoloni da s’Urachi, ma è una mera supposizione. Il secondo elemento, quello con la protuberanza cilindrica (forse un fallo o forse no) è invece di provenienza assolutamente ignota (parlo della provenienza originaria).
Se mi permetti, posso invitare Tonino Mura e Piero Zenoni (ma chiunque altro voglia) a fare con me una visita al nuraghe così avremo modo di toccare con mano le molte problematiche della tutela di questo e di altri importanti siti di quest’area e del Sinis.
Ecco i falli del nuraghe S'Urachi

Abbiamo notato nei post a corredo dell’articolo Toh, chi si rivede: i Shardana, che il prof. Gigi Sanna ha parlato della presenza di alcuni falli che egli avrebbe rinvenuto, più di dieci anni fa (1998), con il suo amico Gianni Atzori nei pressi del nuraghe s’Urachi di San Vero Milis. La notizia è verissima perché appena un anno fa io ed alcuni amici appassionati di archeologia abbiamo trovato, nei pressi del cancello della traballante recinzione, i reperti fallici di cui sopra, buttati e confusi in un ammasso di pietre.
Incuriositi, un po’ sorpresi e molto preoccupati del fatto (la vicinanza all’entrata poteva consentire a qualsiasi malintenzionato di portar via gli oggetti) abbiamo provveduto immediatamente a scattare delle fotografie che pensavamo potessero servirci, tra l’altro, per segnalare il caso a qualche archeologo o alla Sovrintendenza. Dal momento che da poco tempo abbiamo costituito un’associazione (GRS: Gruppo Ricerche Sardegna) che ha come scopo fondamentale:
salvaguardia, documentazione, censimento e valorizzazione dei siti archeologici e dei beni storico culturali/cultuali della Sardegna antica, nell’assoluto rispetto delle normative vigenti in materia di conservazione e tutela dei siti; segnalare alle competenti autorità scavi clandestini o manomissioni dei siti archeologici, anche effettuando controlli e visite periodiche,ecc., il tutto anche attraverso dibattiti, convegni, studi particolari della nostra associazione, mostre fotografiche, ecc.,
abbiamo ritenuto che potesse avere un qualche significato la nostra testimonianza fotografica. Per questo motivo la sottoponiamo alla sua attenzione e, eventualmente, a quella dei lettori tutti del Blog.
Come giovani ricercatori abbiamo fatto la scoperta con disappunto perché riteniamo che il fatto che simboli così importanti per la cultura nuragica e di tali dimensioni

Ci sembra una cosa davvero incomprensibile. Quasi che in maniera bigotta ci si vergogni di una certa cultura dei sardi antichi che, da quel che si capisce, con la loro raffigurazione realistica del sesso maschile e femminile intendevano esaltare la forza generante e creativa della divinità.
Sul problema se i falli che si trovano siano circoncisi non abbiamo la competenza per dirlo in assoluto ma sia da quelli trovati a s’Urachi sia da quelli scoperti in altri numerosi luoghi della Sardegna, ci sembra di capire che è altamente probabile che le popolazioni nuragiche usassero tale pratica, ovviamente di natura religiosa. E ciò è molto importante, va da sé, per chi sostiene che i nuragici conoscevano e usavano gli alfabeti semitici e che fossero imparentati con i popoli medio-orientali.
Solo però dalla raccolta completa e da un serrato confronto documentario si potrà dire definitivamente se questo sia vero o non.
mercoledì 29 aprile 2009
Giacobini all'assalto di Sa die de sa Sardigna

C’è chi, come Giorgio Melis, irride alla cacciata dei piemontesi con questa argomentazione: la loro cacciata fu “seguita, pochi anni dopo, dal loro ritorno acclamato dagli stessi ex rivoltosi che trainavano la carrozza reale sostituendosi ai cavalli”. Melis sa benissimo che i rivoltosi non avevano alcun progetto di rovesciare il Regno di Sardegna, ma “solo” il governo della terra che aveva dato il nome allo Stato allora “federale”. E siccome lo sa, non resta se non la malafede a spiegare la sua acredine che si estende alla “ridicola pretesa di dirsi nazione” da parte della Sardegna”.
C’è anche chi, come Eugenia Tognotti, è più raffinatamente sleale. Si inventa un avversario di comodo nel “mito di una presunta autoctonia, di un ethnos incontaminato”. Forse c’è qualcuno che coltiva questo mito, ma francamente non è da una studiosa come la Tognotti mettersi a polemizzare con i frequentatori di un qualche Bar dello Sport che, fra una maledizione e l’altra contro le donne, il tempo e il governo, trovano il tempo di pensare a baggianate del genere. Non resta, anche qui, che la malafede.
Questa è uno strumento utilissimo a rimuovere la sostanza delle cose, soprattutto quando non si ha il coraggio, o semplicemente la voglia, di confrontarsi con i significati più profondi delle cose. Si irride alla “cacciata dei piemontesi” come simbolo nazionale, perché in realtà non si vuol riconoscere l’esistenza della Nazione sarda che è il risultato ovvio non di una purezza etnica (Dio ce ne scampi e liberi), ma di una mescolanza di genti cominciata nel Paleolitico e mai finita.
La controprova di come, quella parte di intellettuali sardi che accede ai giornali, rimuova la parola stessa Nazione riferita alla Sardegna, è nelle cronache di Sa Die de sa Sardigna celebrata ieri in Consiglio regionale. Il presidente della Regione, Cappellacci, ha parlato sei volte di Nazione sarda, i giornali neppure una volta. Non è consueto, è anzi molto raro, che in un suo discorso un presidente della Sardegna parli della sua terra in termini di Nazione “con proprio territorio, propria storia, identità ed aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, ed assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell'Isola dal prenuragico ad oggi”.
Altrove, dove la stampa avesse meno retropensieri e pregiudizi ideologici, la rivendicazione della qualità di nazione alla terra governata da chi così la definisce avrebbe avuto risalto. Come si dice, avrebbe fatto notizia. Qui no, anzi qui ci si preoccupa di censurare, di occultare, con la coscienza che in una società dell’informazione sono i giornali a decidere che cosa esista e che cosa no: un fatto non raccontato semplicemente non esiste. La completezza dell’informazione può attendere. Forse solo un équipe di psicologi e sociologi sarebbe in grado di dare una spiegazione.
È anche per questo, oltre che per la qualità del documento, che propongo ai lettori di questo blog il testo integrale del discorso di Cappellacci, che si potrà leggere cliccando qui. La lettura non sposterà di un ette il giudizio politico, contrario, favorevole, neutro, sul nuovo governo regionale. Ma forse aiuterà a capire che la campagna elettorale è inesorabilmente chiusa.
domenica 26 aprile 2009
Gavoi: invidia, denti e pane e formaggio
di Simona C
Gentile Signor Pintore,
una breve replica a quanto da Lei detto.
Solo lo scorso anno ho potuto vivere un po’ del clima del Festival ed è stato bellissimo....
Leggendo pertanto il suo beffardo commento ho pensato: solo l'ignoranza, intesa come mancata possibilità di conoscere può averle fatto buttar giù simili parole. La invito a partecipare al Festival, a conoscerlo, a viverlo: ne resterà piacevolmente ammaliato. Perché capisca finalmente che le parole di qualunque scrittore non hanno cittadinanza.... E non venga a parlarmi di colonialismo, di fronte ad un gruppo di giovani con idee sane e meravigliose che da soli hanno mandato avanti questo incredibile progetto, che, mi permetta di dirlo, se non fosse per la caparbietà, l'ostinazione dei suoi organizzatori, caratteristiche poi queste del sardus vero, non avrebbe avuto vita lunga specie in un piccolo paese come il nostro.
Penso quindi alla lotta che ogni anno questi valorosi "isolani" compiono, contro chi non vuole che esso si svolga a Gavoi (questi sono i veri colonizzatori!!!) penso ai sacrifici iniziali perché fosse data vita ad un sogno così grande. Personalmente poi sono fiera di loro perché nell'abbandonare il precedente sogno di isola hanno optato per un'isola quella delle storie, che, mi creda, per tre giorni l'anno tiene unito il paese, in una felice sintesi tra saperi e sapori..
Cara Simona,
non capisco quale sia l'oggetto del contendere. Conosco Gavoi, i gavoesi, il festival cui ho assistito un paio di volte. Compresa quella (2006, se non sbaglio) durante la quale l'amico Salvatore Niffoi fu zittito perché parlò in sardo. E proprio perché lo conosco, posso criticare l'evento, non certo la generosità di chi ci lavora, né l'ospitalità del paese. Tutto sta nelle due ultime parole del suo molto gradito intervento: saperi e sapori. I primi sono messi a disposizione dai forestieri, i secondi dagli indigeni. E' questa pulsione ad acculturare gli indigeni, simpatici e folclorici fornitori di sapori genuini, che critico con tutta la mia rabbia.
Noto, piuttosto, che neppure lei sfugge alla tentazione dell'eguaglianza matematica critica=invidia. Chi critica il Festival lo vorrebbe portare via a Gavoi. Nella trappola dell'eguaglianza, lo dico tanto perché non si senta sola, è caduta in questi giorni una protagonista dell'edizione del 2007 (anche qui spero di non sbagliare). Nel suo sito, Michela Murgia usa questa categoria dell'invidia in una polemica con Paolo Pillonca che, senza peli sulla lingua, le aveva rimproverato una buona dose di approssimazione in cose scritte da lei in una guida della Sardegna. Non entro naturalmente nella polemica. Interessano di più le argomentazioni prodotte nel sito, fin dal titolo dell'articolo di apertura: "Pillonca e l'uva (Ecce homunculus)".
Scrive Michela Murgia: "L’unica cosa che posso ipotizzare è che il suo fastidio trovi origine nell’invidia di piccolo cabotaggio che spesso prende i letterati di provincia che si ritengono ingiustamente sottostimati, una sorta di corrosivo malessere dovuto al fatto che un altro ha magari la visibilità che vorresti tu". C'è tutta la filosofia della "nouvelle vague letteraria sarda" e del Festival che a lei, cara Simona, tanto piace.
Per quello che lo conosco, non mi pare che Paolo Pillonca nutra sentimenti di invidia. Ma semmai ne provasse, mirerebbe alto. Che so? Gadda, Hemingway, Proust, Tolstoj, forse Satta. Non lo considererei più un amico, se provasse invidia per Michela Murgia o a qualche altro militante della "nouvelle vague letteraria sarda". E se non di invidia si trattasse, cara Simona, ma un semplice esercizio della libertà di criticare le cose che non vanno? Del resto, sa?, se critico il Festival di Gavoi non è per trasportarlo, che so?, ad Ollolai o a Lodine: è perché mi piacerebbe che a Gavoi ci fosse un Festival di confronto e non un avvenimento durante il quale noi mettiamo pane e formaggio e i forestieri i denti per mangiare. [gfp]
Gentile Signor Pintore,
una breve replica a quanto da Lei detto.
Solo lo scorso anno ho potuto vivere un po’ del clima del Festival ed è stato bellissimo....
Leggendo pertanto il suo beffardo commento ho pensato: solo l'ignoranza, intesa come mancata possibilità di conoscere può averle fatto buttar giù simili parole. La invito a partecipare al Festival, a conoscerlo, a viverlo: ne resterà piacevolmente ammaliato. Perché capisca finalmente che le parole di qualunque scrittore non hanno cittadinanza.... E non venga a parlarmi di colonialismo, di fronte ad un gruppo di giovani con idee sane e meravigliose che da soli hanno mandato avanti questo incredibile progetto, che, mi permetta di dirlo, se non fosse per la caparbietà, l'ostinazione dei suoi organizzatori, caratteristiche poi queste del sardus vero, non avrebbe avuto vita lunga specie in un piccolo paese come il nostro.
Penso quindi alla lotta che ogni anno questi valorosi "isolani" compiono, contro chi non vuole che esso si svolga a Gavoi (questi sono i veri colonizzatori!!!) penso ai sacrifici iniziali perché fosse data vita ad un sogno così grande. Personalmente poi sono fiera di loro perché nell'abbandonare il precedente sogno di isola hanno optato per un'isola quella delle storie, che, mi creda, per tre giorni l'anno tiene unito il paese, in una felice sintesi tra saperi e sapori..
Cara Simona,
non capisco quale sia l'oggetto del contendere. Conosco Gavoi, i gavoesi, il festival cui ho assistito un paio di volte. Compresa quella (2006, se non sbaglio) durante la quale l'amico Salvatore Niffoi fu zittito perché parlò in sardo. E proprio perché lo conosco, posso criticare l'evento, non certo la generosità di chi ci lavora, né l'ospitalità del paese. Tutto sta nelle due ultime parole del suo molto gradito intervento: saperi e sapori. I primi sono messi a disposizione dai forestieri, i secondi dagli indigeni. E' questa pulsione ad acculturare gli indigeni, simpatici e folclorici fornitori di sapori genuini, che critico con tutta la mia rabbia.
Noto, piuttosto, che neppure lei sfugge alla tentazione dell'eguaglianza matematica critica=invidia. Chi critica il Festival lo vorrebbe portare via a Gavoi. Nella trappola dell'eguaglianza, lo dico tanto perché non si senta sola, è caduta in questi giorni una protagonista dell'edizione del 2007 (anche qui spero di non sbagliare). Nel suo sito, Michela Murgia usa questa categoria dell'invidia in una polemica con Paolo Pillonca che, senza peli sulla lingua, le aveva rimproverato una buona dose di approssimazione in cose scritte da lei in una guida della Sardegna. Non entro naturalmente nella polemica. Interessano di più le argomentazioni prodotte nel sito, fin dal titolo dell'articolo di apertura: "Pillonca e l'uva (Ecce homunculus)".
Scrive Michela Murgia: "L’unica cosa che posso ipotizzare è che il suo fastidio trovi origine nell’invidia di piccolo cabotaggio che spesso prende i letterati di provincia che si ritengono ingiustamente sottostimati, una sorta di corrosivo malessere dovuto al fatto che un altro ha magari la visibilità che vorresti tu". C'è tutta la filosofia della "nouvelle vague letteraria sarda" e del Festival che a lei, cara Simona, tanto piace.
Per quello che lo conosco, non mi pare che Paolo Pillonca nutra sentimenti di invidia. Ma semmai ne provasse, mirerebbe alto. Che so? Gadda, Hemingway, Proust, Tolstoj, forse Satta. Non lo considererei più un amico, se provasse invidia per Michela Murgia o a qualche altro militante della "nouvelle vague letteraria sarda". E se non di invidia si trattasse, cara Simona, ma un semplice esercizio della libertà di criticare le cose che non vanno? Del resto, sa?, se critico il Festival di Gavoi non è per trasportarlo, che so?, ad Ollolai o a Lodine: è perché mi piacerebbe che a Gavoi ci fosse un Festival di confronto e non un avvenimento durante il quale noi mettiamo pane e formaggio e i forestieri i denti per mangiare. [gfp]
G8: qualcosa di nuovo nella politica sarda

Questa volta no. Basta leggere, possibilmente senza preconcetti, le prese di posizione da una parte e dall’altra, per rendersene conto. Si vedrà come il centro sinistra sardo ha dissentito dalla decisione di quello italiano di appoggiare la decisione del governo Berlusconi, come il Partito sardo (per altro contrario al G8) abbia contestato il senso colonialista dello spostamento, come il centro destra abbia criticato, anche con parole inconsuetamente dure, l’operato del governo. Purtroppo, nei commenti dei frequentatori di blog e di Facebook, hanno prevalso paradigmi ideologici (i politici sardi sono antropologicamente succubi) e stereotipi talmente radicati da non ammettere dimostrazioni del contrario.
Il problema è che per criticare con cognizione di causa, bisogna passare attraverso le noiose fatiche della conoscenza delle cose e, per esempio, attraverso la lettura dei documenti che, pare di capire, non sono comunque in grado di incrinare certezze più simili a verità rivelate che ad acquisizioni critiche. Ed è un peccato, perché così si perde la consapevolezza che qualcosa di importante è successo nella politica sarda, in cui un sentimento nazionale ha prevalso sull’appartenenza a schieramenti.
Dal centro sinistra al centro destra al sardismo non isterico e al nazionalismo le reazioni sono state diverse da quelle che normalmente ci si dovrebbe aspettare. Dal centro destra è venuta l’indicazione di denunciare la incostituzionalità del provvedimento governativo: quando nel consiglio dei ministri si discute di qualcosa che riguarda la Sardegna, deve essere presente il presidente della Regione e così non è stato. Dal centro sinistra è venuta una presa di distanza dall’apprezzamento venuto dal segretario del Pd e da quello della Cgil. Dal Psd’az, alleato del Pdl, è venuta prima una condanna del G8 in quanto tale e poi l’accusa di centralismo rivolta al governo di Roma. I no global sardi di Sardigna natzione hanno duramente polemizzato contro i no global italiani, pronti a fare della Sardegna un campo di Marte per battaglie che con la Sardegna e le nazioni senza stato hanno nulla a che fare.
Ciascuno secondo il proprio ruolo, dalla Sardegna è venuta una voce unica: va bene la solidarietà con l’Abruzzo, ma così com’è la decisione del governo non ci piace. Non so e credo non sapremo mai se un atteggiamento più remissivo dei ceti politici sardi avrebbe avuto lo stesso risultato che si è avuto, almeno negli impegni del governo italiano. I lavori in corso alla Maddalena continueranno, la strada Olbia-Sassari si farà, le strutture realizzate serviranno per futuri incontri internazionali.
Personalmente, se a qualcuno dovesse interessare, ho sempre considerato il G8 come un evento irrilevante, che si faccia sotto casa o nel corno grande della forca, con un occhio di riguardo se mai dovesse portare benefici alla Sardegna. Come alla fine dei conti forse succederà, indipendentemente dal fatto che Obama, Sarkosy e compagni alberghino alla Maddalena o all’Aquila. Resta l’insopportabile alterigia dello Stato nei confronti della Sardegna. Dico Stato e non Governo perché quasi tutto deriva dal non risolto rapporto fra l’Italia e la Sardegna.
Berlusconi ha spostato il G8, Prodi ha bocciato una legge sarda che parlava della sovranità del popolo sardo, Ciampi ha respinto una legge sulla lingua sarda, De Mita ha impedito la celebrazione del referendum popolare sulla base Usa di Santo Stefano. In questi ultimi casi, il ceto politico si è diviso fra i favorevoli al governo amico e gli oppositori al governo nemico. Questa volta, la protesta è stata corale. Forse è il segno che una campagna elettorale all’insegna della sardità ha lasciato qualche segno. Comunque sia, io preferisco vivere in una società in cui il cento politico se non amico non mi sia nemico, piuttosto che in una in cui so preconcettualmente come si comporterà lo schieramento tale e il suo opposto.
Piuttosto che irridere alle reazioni del nemico, preferisco capire se il mio avversario politico, per una volta, è in sintonia con me di fronte a scelte che tutti ci coinvolgono. Del resto, una società davvero autonoma e autogovernantesi, questi presupposti dovrebbe avere.
Nella foto: l'ex ospedale militare della Maddalena
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