sabato 22 novembre 2008

Una zeppa per i feniciomani. Piccola, accontentiamoci

Quando sembrava tutto fatto per il “Parco del Golfo dei fenici”, un sindaco, quello di Santa Giusta, Antonello Figus, ha dato l’alt! Per la verità, a quel che ufficialmente si sa, i motivi dello stop hanno poco a che fare con un doveroso no a questa operazione auto-colonializzante. Anzi, Figus, si dichiara d’accordo. Le ragioni sono di bassa bottega politica (la questione della “gestione” del Parco) e di sana diffidenza sul che cosa comporti quella parola, Parco.
Accontentiamoci di quel che passa il convento della politica. L’importante è che qualcuno inizi a porsi dei problemi sulla portata dell’operazione di un gruppo di feniciomani e di, spero, solo inconsapevoli amministratori che neppure si sono posti il problema se fosse giusto intitolare un intero golfo a un popolo che, arrivato pare in pace, ha poi figliato una bella genia di conquistatori e di dominatori.
Nessuno, credo, contesterà mai la creazione di un Parco archeologico fenicio e se questo fosse il nome scelto per l’impresa, nessuna questione. Certo, personalmente e data la presenza nel Sinis e dintorni, avrei preferito cominciare con un Parco dei Nuraghi, o un Parco di Arborea. Non so, mi pare che a sardi solo poco poco dotati di autostima, questa doveva essere la prima idea, pronti domani a fare un Parco dei fenici, dei Longobardi, dei Pisani, dei Genovesi, dei Catalano aragonesi e, to’, persino dei Bizantini. Anche loro ci hanno lasciato cose di pregio, insieme ad altre un tantino meno raccomandabili. Ma che c'entra cambiare la geografia chiamando quello di Oristano Golfo dei Fenici, o dei Longobardi o dei Catalani? Non è che gli archeologi di bizantinerie, longobarderie etc sono ancora troppo deboli, più sicuramente dei feniciomani, per imporre queste vie della denazionalizzazione della Sardegna?
Su forum e blog, questa operazione furbetta fatta per dar lustro a una confraternita religiosa di studiosi feniciomani è oggetto di severe critiche. Vi segnalo in proposito la raccolta di firme cominciata ieri con il titolo Giù le mani dalle nostre origini. Non sarebbe poi male se in molti segnalassimo a chi di dovere tutto il nostro disaccordo.

Documenti nuragici: colleghi occupatevene

di Herbert Sauren

Caro Pintore,
mi ha detto una volta che più di 40 iscrizioni non ancora decifrate si trovano in Sardegna. Perché esitano i miei colleghi a discutere il contenuto dei documenti? Io vorrei dare volentieri un aiuto, e in quanto professore emerito non sono certo un concorrente.
Al momento della pubblicazione di una iscrizione, un collega aveva segnalato il luogo del ritrovamento, ma non ho mai ricevuto alcun commento sulla lettura che ne avevo fatto.
Lei ha segnalato nel suo blog che la stele di Nora è stata esposta a Parigi [nella foto, NdR]. Per me, questa iscrizione è un canto da cantare mentre si pigia l’uva per fare il vino nuovo. La parola della prima riga est “t r s”, *tirosh, “il mosto, il vino nuovo”.
Da dove vengono i Tartessiani? Apparentemente un popolo di ubiquità, in Sardegna, a Huelva, a Marsiglia, a Tarsus, etc. Un popolo dei miti o della storia?
Mi piacerebbe avere risposte serie dei colleghi. La sollecito a porre la questione nel suo blog.

Ecco fatto. Buona fortuna a lei, professor Sauren, e a tutti noi. [gfp]

venerdì 21 novembre 2008

Sardegna “la più grande isola” del Mediterraneo

di Michele Zoroddu

Erodoto scrive nel V sec. a. C. le sue Storie ed ivi definisce per ben tre volte, forse copiando Ecateo, la Sardegna come la più grande di tutte le isole. Mirsilo di Metimna nel III secolo a.C. chiamò la Sardegna Ichnusa per la sua somiglianza con l’orma del piede. Pausania, nella seconda metà del II secolo d.C., chiamò la Sardegna Ichnoussa perché «la forma dell’isola è molto simile all’impronta del piede umano».
Ora, lettori e studiosi moderni che si sono imbattuti negli scritti di Erodoto e Pausania, hanno valutato con malcelata sufficienza quanto riportato dallo storico e dal periegeta, ritenendo che gli Antichi fossero stati vittime di un grosso errore di valutazione, dal momento che a noi risulta chiaro che è la Sicilia ad essere la più grande isola del Mediterraneo. Quindi, stimolati dalla presenza di questo mistero nella storia antica della Sardegna, abbiamo voluto verificare come sia stato possibile che gli Antichi, abbiano potuto coniare quella definizione.
Abbiamo fatto una ricerca sulle più antiche rappresentazioni grafiche dell’Isola, più precisamente fra quelle afferenti le discipline che ricostruiscono e studiano le mappe dei livelli marini, relative a varie migliaia di anni dal presente. Ebbene il livello del mare ha avuto la propria dimensione condizionata dagli accadimenti che nel tempo si sono succeduti. In modo più generale influirono su di esso quei fenomeni astronomici, geologici e climatici che hanno interessato l’ultima parte della vita della Terra che ci riguarda nello specifico.

(CONTINUA)

giovedì 20 novembre 2008

I feniciomani all'attacco

Avete presente quel golfo che all’altezza di Oristano si apre verso la Spagna? Da lì, cinquemila anni fa partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci, poi intorno al XIV secolo partirono e approdarono le navi dei shardana. Di quel mare si servirono i costruttori dei nuraghi del Sinis che, intorno al 1000 avanti Cristo scolpirono le grandi statue di Monti Prama. Molti secoli dopo, ai tempi del Regno di Arborea, lo attraversarono i battelli dei Giudici per le loro missioni diplomatiche in Europa. Nel frattempo quel mare fu attraversato dai sardi che andavano in Etruria e degli etruschi che venivano a commerciare. Un golfo sardo, insomma, come fu sempre conosciuto.
Sapete come lo vogliono ribattezzare? “Golfo dei Fenici”. E non sono poi così sicuro che quel nome sia solo una idea pubblicitaria di quegli archeologi (il canonico Spanu non avrebbe esitato a chiamarli feniciomani) che da tempo si battono per la costituzione del “Parco archeologico del Golfo dei Fenici”. Temo che finirà come per Monti di Mola, l’antico e bel nome di quel che oggi è “Costa Smeralda”, come una classe dirigente insulsa (e un po’ bottegaia) consentì si ribattezzate un pezzo di terra sarda. Mi sono sempre chiesto se “Monti di Mola”, sponsorizzato da una potenza finanziaria come quella dell’Aga Khan, sarebbe stato un nome meno di richiamo.
Insomma, chi sa se il nome Golfo di Oristano non lascerà posto nelle carte future a quello di “Golfo dei Fenici”. Solo in Sardegna penso si può permettere, senza che ci sia alcuna costrizione geo-politica, che una civiltà di antichi conquistatori (grande civiltà, senza dubbio) faccia quel che non ebbe in mente di fare all’epoca del dominio: cambiare il nome di una intera regione geografica. Avrà, su questa violenza, una qualche influenza il fatto che a proporre e a dirigere questa operazione sono alcuni fra i maggiori studiosi di fenicerie? O è solo una malignità? Non parlo, per carità di patria, degli amministratori che questa violenza hanno accettato con grande gioia.
Voi, certamente, siate convinti che il crinale che divide le epoche sia la nascita di Gesù Cristo: si dice infatti che la tal cosa è successa in un certo anno avanti Cristo o dopo Cristo. E nel resto del mondo così è. Qui da noi c’è chi propone un diverso crinale: “Tra i 14 pezzi anche un magnifico arciere del periodo prefenicio” titola oggi La Nuova Sardegna la notizia della restituzione del bronzetto trafugato e ritrovato nel Museo di Cleveland. A Sant’Antioco, dunque, secondo quel titolista (non il cronista) le ere sono o avanti o dopo i Fenici. E sì che nel testo dell’articolo si riferisce della reazione del sindaco della cittadina al ritrovamento dell’arciere nuragico, simile a quello che si deve più sopra e trovato a Teti.
Dice Mario Corongiu: “Mi piace sottolineare che questo bronzetto è di eccezionale bellezza e ricorda che il nostro patrimonio culturale risale anche a prima dell’arrivo dei fenici nel nostro territorio e che nella nostra isola ci sono e sono davvero tanti, i segni della presenza dei nuragici. Basti ricordare che la densità di nuraghi nel nostro territorio è fra le più alte, se non la più alta, dell’intera Sardegna. Forse vorrà dire qualcosa". Già, ma che cosa? Forse che sarebbe l’ora di ridurre alla ragione i tanti baronetti dell’archeologia sarda che, sol perché studiosi della civiltà fenicia, ritengono che tutto il prima non vale nulla? O forse che la Regione sarda debba finalmente intervenire con forza per indurre la Soprintendenza e i suoi feniciomani a considerare la grande civiltà fenicia solo una delle civiltà che su questa terra si sono sviluppate, prima fra tutte – se non altro per anzianità – quella nuragica?
Non vorrei che, in preda ad un delirio di feniciomania, a qualcuno venisse in mente di ribattezzare S. Antioco come Phoinix o altro nome fenicio.

mercoledì 19 novembre 2008

"Sottocultura" barbaricina alla sbarra

Sarebbe interessante sapere – per noi che al processo per il sequestro Pinna non eravamo presenti – che cosa effettivamente ha risposto il pubblico ministero Gilberto Ganassi alla richiesta di un imputato di avere un confronto faccia a faccia con il sequestrato.
Secondo il cronista di La Nuova Sardegna, il pm avrebbe detto: “La richiesta di parlare in aula guardando in faccia la parte offesa non trova nessun riscontro in campo giuridico, è una usanza del codice barbaricino, il cosiddetto s’accaramentu che si concretizza quando c’è il chiarimento faccia a faccia con una persona che non si teme”.
Più stringata la cronista di L’Unione sarda, secondo cui Ganassi avrebbe detto: “Questo nella sottocultura barbaricina si chiama accaramentu ed è estraneo alla giustizia”.
Uno dei due ha censurato le parole del magistrato: o l’uno per indorare con un eufemismo una espressione al limite del razzismo, quel “sottocultura barbaricina”, o l’altra per battezzare di suo spontanea volontà il “processo barbaricino” con un crudo e, ripeto, razzista “sottocultura barbaricina”. Entrambi, però, riferiscono di una incultura del pm che o bolla di “sottocultura” s’accaramentu o ne parla senza sapere di che cosa si tratti.
S’accaramentu, ben più che “barbaricino”, visto che Sedilo non è certamente in Barbagia (a meno che Barbagia non sia considerato non un luogo, ma una categoria dello spirito), è stato ed è un modo di risolvere contrasti davanti a sos òmines, a persone di provati equilibrio e equanimità. Non è estraneo, dunque, alla giustizia né al giusto, anzi, ma semplicemente al codice italiano. Ad un prodotto della storia e della politica, che ieri non c’era e domani potrebbe non esserci.
Non c’era fino alla metà dell’Ottocento, quando ancora vigeva La carta de Logu, e non è detto che debba necessariamente vigere in eterno. La giustizia esisteva anche con la Carta de Logu e continuerà ad esistere anche dopo che, faccio solo per esemplificare, o entrerà in vigore un codice europeo o uno sardo.
Resterebbe poi da dimostrare che quella che ha prodotto il codice sardo o barbaricino sia una “sottocultura” o, come io penso, una cultura giuridica cui è stato impedito di svilupparsi e modernizzarsi. Ed è da dimostrare anche che la cultura, quella a tutto tondo, sia approdata in Sardegna solo con i codici italiani.

martedì 18 novembre 2008

La superiorità antropologica della nouvelle vague

La discriminazione contro la letteratura in sardo attuata dalla Regione ha oramai raggiunto livelli vergognosi e su tutto aleggia il tanfo della consacrazione della superiorità antropologica degli autori in italiano su quelli in sardo. La Regione spende a favore di commercianti in linna pintada che allestiscono in Sardegna festival letterari, importando a volte solo i rimasugli di festival italofoni e sempre, comunque, linna pintada in tinta unita. La Regione che si fa vanto di voler valorizzare l’identità sarda, la lingua e la cultura, che innesca battaglie (a questo punto solo demagogiche) per l’autonomia, nel concreto finanzia un processo di inculturazione di cui immagino abbia grande bisogno.
L’ultima operazione ha per titolo “Paesaggi d'autore” e parte da una buona idea: quella – come riferisce L’Unione sarda di oggi – di pubblicare cinque guide turistiche per raccontare la nostra isola: guide ai luoghi della scrittura. Diciamo subito che non c’è un solo testo di uno scrittore in sardo: né Benvenuto Lobina, né Michelangelo Pira, né Lorenzo Pusceddu, né Nanni Falconi, né Franco Pilloni, né Antoni Maria Pala, nè alcuno delle altre decine e decine di autori in sardo.
E, invece, ma chi ne avrebbe potuto dubitare? vi sono a profusione due categorie che, a parte i grandi del passato, danno conto di un’altra superiorità antropologia: quelli della “nouvelle vague letteraria sarda” (i migliori perché ça va sans dire “stanno dalla parte giusta”) e quelli che la critica letteraria italiana ha scelto come rappresentanti della “letteratura sarda”. Non ci troverete Isalle di Michelangelo Pira, La piana di Chentomìnes di Natalino Piras, Capezzoli di Pietra di Eliseo Spiga, La stirpe de re perduti di Paola Alcioni, tanto per citare i primi che mi vengono a mente.
Ma, si dirà, non si voleva fare una antologia e le scelte forzatamente includono ma anche escludono. Verissimo, ma è curioso: a parte gli autori in sardo che proprio non esistono, gli altri sono tutti “dalla parte giusta” e in quanto tali eletti.
Chi sa negli autori di questa malinconica operazione di regime almeno un po’ si vergognano?

venerdì 14 novembre 2008

L'unità d'Italia, una immane sciagura

di Franz Koren

Fa piacere leggere lettere come la sua, signor Pintore. E strano che il tuttologo gliel'abbia pubblicata. E' vero che, quando si parla di ex-nazioni, stati o patrie passate poi SOTTO l'IT, improvvisamente si scatenano isterie incontrollate, proprio da paventare possibili scenari da Kosovo, e perché no da ex-Cecoslovacchia?
Considero l'"unità" d'IT una immane sciagura causata da un grossolano errore della storia, alla quale bisognerà mettere mano, prima o poi, per restituire dignità alle varie componenti.
Qui da noi, in Friuli, c'è stata la magnifica PATRIE DAL FRIUL che tanto onore e lustro ha dato alla nostra macroregione. Il friulano è la quarta lingua ufficiale d'IT.
L'Italietta si vergogna non solo -e a ragione- della propria storia recente, ma anche della storia moderna sulla quale si basa tutto il patrimonio culturale che si ritrova.
Tanto delicati ed accondiscendenti verso una nazione straniera -Vaticano-, tanto passivi verso il Lombardo-veneto, la mitica Sardegna etc.
Sostengo che l'IT avrà una difficile durata, garantita ancora da un certo diffuso benessere economico. Appena dovesse scricchiolare qualcosa, certamente passerei dall'altra parte perché non ho intenzione di difendere alcun privilegio di altri (di questo si tratta).
Spero sia d'accordo con me (e di non averLa scandalizzata).

P.S. noi friulani ci consideriamo figli di un grosso incesto. I nostri pro-avi nel 1866 ci hanno sodomizzato con il referendum definito qui da noi "la grande truffa": urne per il sì a dx (con salsicciotti e polenta), urne per il no a sx con un addetto a prendere il nome. Risultato (dopo 6 giorni di scrutinio)? 97% sì, 1% no, 2% nulle.
Il pseudo-stato aveva già fatto i festeggiamenti dell'"unità" 2 giorni prima dell'esito del referendum!!!