domenica 8 giugno 2008

Le scritte nuragiche, tecnicamente parlando...








Trascrizione della scritta e il nuraghe di cui si parla in questo articolo.

di Gigi Sanna

Avevo detto che l’ubicazione della scritta nuragica che sta sull’architrave del nuraghe, con l’indovinello di “l’astrologo nel pozzo”, non l’avrei svelata e non la svelerò. Mi sono “offeso”, se permettete, perché nessuno ha partecipato al concorso per aggiudicarsi il primo biglietto per visionare e ammirare il documento. Lo farò solo se il responsabile della Sovrintendenza ammetterà che si tratta di qualcosa di “straordinario” o, perlomeno, di “interessante” e mi chiederà, ma “ufficialmente”, di dire dove si trova e quando l’ho scoperta. Anzi l’abbiamo scoperta, perché eravamo in tre. Tutti notoriamente non falsari, altrimenti per chi solo sospetterà e metterà la lingua biforcuta ancora e anche qui, giudicherà il tribunale.
Poiché non mi posso portare a casa un masso di qualche tonnellata senza far crollare definitivamente il nuraghe, avverto che è inutile che qualche funzionario “manu militari” la cerchi da me o da qualche sindaco amico al quale l’avrei consegnata. Questo non vuol dire che nel frattempo non ne possa offrire una trascrizione fedelissima, che ora offro come ennesimo contributo per una discussione avviata da tempo ma che ora, solo ora, diventa, con il confronto serrato, davvero interessante.
Ora, poiché qui il detto confronto verte sull’epigrafia (ma sarebbe bene dire più correttamente sulla paleografia) vorrei dire che non bisogna amareggiarsi e prendersela eccessivamente con chi, pur affermando di non essere un epigrafista, parla da epigrafista e da paleografo e dà addirittura saggi del mestiere. Anzi bisogna, in qualche modo, ringraziarlo perché così ognuno può rendersi conto di come si trattano i documenti che man mano si scoprono e perché l'epigrafia nuragica - chiamiamola così - non fa neppure un passino, almeno in certi ambienti. Anzi si comprende bene perchè con certi disinvolti (a dir poco) comportamenti di taluni si incoraggiano nei Forum il pressappochismo e la licenza di spararle grosse senza un minimo di controllo critico e autocritico. I piccoli imitano, si sa, o scimmiottano i più grandi.
Ho parlato, in una mia precedente, del “rispetto” umano (di passaggio: cosa c'entra Massimo Pittau , inserito di straforo e velenosamente trattato da “dilettante”? Che cosa c'entrano le “ruggini” personali? Non ho forse implorato di bandirle?). Ora, purtroppo, devo parlare del rispetto per il documento. Quel rispetto che invocava e prescriveva per i suoi allievi la grande Margherita Guarducci, mica il dichiarato “popolano” Pilloni. Perché è davvero biasimevole andare così, sperando che la forza delle narici, come è stato detto, funzioni più delle facoltà raziocinanti.
A chi parla di epigrafia ponendo lettere “somiglianti” alle latine vorrei umilmente, da non specialista (controllato però sempre, e strettamente, da specialisti), che se io scrivessi putacaso in protocananeo Aba Nonnis oppure Lello Mattana (mettendo anche le vocali) qualcuno scoprirebbe che scrivere nel 2008 e scrivere con scrittura lineare nel XV secolo a.C. è, per non pochi grafemi, la stessa cosa. Per convincersene basta solo provare, usando noti repertori (del Cross,del Naveh, del Garbini, ecc.), se proprio non si vuole credere a quelli “sardi” del sottoscritto. E sempre per il suddetto rispetto, bisogna considerare che i documenti nuragici costituisco tutti un'unità di scrittura collocabile in un certo arco di tempo e in un certo spazio e nessuno di essi va trattato separatamente, pena l'impossibilità di capirci qualcosa. Perché parlando disinvoltamente di farfalle si va così davvero… “a farfalle”.
Ma è per capire ancora di più la grandezza della posta in gioco che mando la trascrizione del documento, preziosissimo (fatelo vedere a Maria Giulia Amadasi, che fra poco sarà in Sardegna). Infatti esso costituisce, a mio parere, nella serie dei documenti nuragici sinora scoperti, un interessante e determinante punto di raccordo tra il protocananeo e il fenicio arcaico della stele di Nora. Anzi illumina il “significato” non solo formale ma anche contenutistico di questa, affiancandosi al piccolo frammento di stele (sempre di Nora) ripescato e studiato dal Cross e giustamente collocato nel XI secolo a.C.
Quest'umile non “specialista” (ma che capisce quanta fatica si faccia a conquistarsi le medaglie sul campo!), fa presente che il “lamed” iniziale (da non credere!), i due “mem” a cinque tratti ben marcati, lo “he” con la barretta obliqua orientata a sinistra e non a destra, sono tutti segnali, incontestabili, di notevole arcaicità. E la lettera beth, il cui occhiello viene sfruttato anche come bulbo o radice dell'albero, non suggerisce niente? Non ci porta diritti diritti all'alberello di Perdus Pes (Perdu Pes sì, perché per “afferrarlo” bisogna saper leggere il documento e capire da dove “precisamente” proviene). E l'esimio epigrafista non epigrafista delle lettere “latine”, che non vede neppure la macroscopica cosiddetta Tanit (edicolata) di Pitzinnu e glissa sui serpentelli e che non osserva il supporto con la coppella ellissoidale superiore dell'altare che obbliga ad una e a una sola lettura, non sa davvero neanche cosa significa l'alberello?
Non sa proprio che è la lettera protosinaitica “kaph”? Non sa che è la lettera “sacra” per eccellenza di una certa divinità e di una certa scrittura a lei organica? Cosa dirà ora quando la vedrà di nuovo? Forse si lascerà scappare che sono “cose incredibili”. Sì, davvero incredibili, ma sono lì davanti a noi, bellissime, pur con tutta la loro scostante dose di incredibilità! Ma questa è la “scienza”: basta leggersi bene Kühn e Popper e la storia dei cigni neri. Qualche sabato o la domenica, senza impedimenti di scartoffie (o anche di grandi saggi), i filosofi della scienza possono offrire delle letture davvero illuminanti.

sabato 7 giugno 2008

"Macché scritte, sono punti e virgola"

di Mirko Zaru

Se posso, vorrei dire qualcos'altro basandomi sugli ultimi interventi. Parliamo delle tavolette di Tzricotu (foto a sinistra, NdD):
- Presentano decorazioni punto e virgola, ben conosciute in ambito archeologico, delle quali è indiscussa la collocazione temporale tra VIII e il IX secolo d.C. che possiamo vedere nel riquadro BLU e ROSSO di ambedue le immagini;
- Hanno pressoché la stessa forma (adattate chiaramente al posizionamento delle stesse su un fodero);
- Quelle di Tzricotu (chissà se poi sono effettivamente di Tzricotu) sono delle matrici dalle quali si ottenevano dei puntali come quelli nell'esempio;
- Sono state interpretate rovesciate (probabilmente perché più riconducibili a forme già viste in ambito nuragico, come centine di stele di tombe dei giganti, addirittura menhir ecc.)
- Nella parte alta hanno la medesima schematizzazione con simbolo circolare centrale nel riquadro VERDE (probabilmente la sede dell'attacco delle stesse!).
Non mi sembra, perciò che a questi puntali di foderi (e alle loro matrici) si possa attribuire una scrittura nuragica, torniamo sempre al discorso che non per forza tutto quello che si trova in un nuraghe è per forza nuragico.
Poi in qualsiasi cosa si può vedere ciò che si vuole (nel nostro caso tori e figure antropomorfe!).
Per quanto riguarda Su pallosu, bisognerebbe avere la stratigrafia delle varie USM, (e più precisamente la USM del ritrovamento) la zona infatti ha moltissime testimonianze di frequentazioni di epoche differenti! Credo che Alfonso Stiglitz ci possa dare qualche informazione in più, soprattutto sulla parte che riguarda lo scavo subacqueo della zona!
L'iscrizione del nuraghe Pitzinnu (che finalmente è stato appurato trattasi di quello di Abbasanta ) è altrettanto interpretata in maniera errata a mio parere.
Premetto che non sono un epigrafista ma ci sono dei caratteri su quella pietra che io conosco benissimo, e sono gli stessi con il quale sto scrivendo adesso!
Mi sembra evidente che la “pietra di ABBASANTA” và letta in questo modo!
Inoltre si può notare come le lettere siano state ricalcate di recente con uno strumento metallico (potrebbe essere anche una chiave!!!) . E' questo il modo di trattare una iscrizione qual che sia? Credo proprio che la risposta sia un “no” secco! La parte bassa è altrettanto leggibile!
Ripeto, il sottoscritto non è in grado di interpretare il significato della scritta, ma è molto facile riconoscere i caratteri . Se la scrittura “nuragica” è esistita, siamo molto lontani dal trovarla, e soprattutto, potrà essere scoperta solo attraverso studi scientifici e durante indagini di scavo stratigrafiche!

PS - Il proprietario di questo blog declina ogni responsabilità, ove le affermazioni dell'autore di questo articolo sul presunto deterioramento della scritta di Nuraghe Pitzinnu fosse ritenuta diffamatoria. Le foto della scritta cui si riferisce Mirko Zaru si trovano nel mio sito. (gfp)

venerdì 6 giugno 2008

Stiglitz: "Guarda che le analisi ci sono già tutte"

di Alfonso Stiglitz

Caro Gianfranco
Una risposta rapida: nello stupirmi per questo tuo innamoramento delle tesi su Atlantide e sul fatto che praticamente, caso unico nel mondo della scienza mondiale, l’onere della prova non sia in carico di chi avanza una teoria, ma debba essere l’Ente pubblico a ricercarla, vorrei sommessamente farti notare alcune cose:
1) le analisi sul terreno (i miracolistici carotaggi) esistono già, sono centinaia e centinaia, in tutte le situazioni possibili, effettuate da studiosi di diverse competenze e per scopi diversi; esistono le stratigrafie delle aree archeologiche che in modo ben più completo possono certificare l’esistenza o meno di un maremoto.
Compreso Barumini, di cui sono noti i dati sin dagli anni ’ 50: ebbene non è coperto da fango ma da strati di vita successivi a quello nuragico, come è costantemente documentato nelle aree archeologiche; (se vai sul sito della rivista Il Manifesto sardo troverai vari articoli sul tema, con i dati che riguardano Barumini, il Sinis, s’Urachi)
2) la civiltà nuragica non è scomparsa nel 1200, né vi sono segni di un cataclisma traumatico di quella civiltà; e anche qui i dati sono disponibili a tutti; anzi da quel momento c’è una rapida crescita e sviluppo (pensa ai pozzi sacri o ai bronzetti e alle statue)
3) l’affermazione che i nuraghi della pianura siano coperti (perché colpiti da maremoto) mentre quelli delle montagne si sono salvati, è un’autentica sciocchezza: vieni a trovarmi a San Vero e ti dimostrerò con una semplice passeggiata l’inconsistenza dell’affermazione.
Infine una domanda al giornalista Gianfranco Pintore: com’è che nel profluvio di articoli su Frau e interviste a lui nessun tuo collega trovi il tempo di chiedergli conto del perché ignori i dati scientifici da decenni a disposizione di chiunque voglia leggerli? Com’è che mai riesci a vedere un’intervista sul problema a un archeologo sardo? Com’è che è stato difficilissimo far pubblicare qualche raro articolo critico sui nostri giornali.
Prova a fare uno spoglio e probabilmente ti stupirai. Ti evito l’elenco della sequela di insulti che Frau riserva a chiunque esprima un’opinione differente dalle sue, puoi trovarli in internet. Sempre a proprosito di giornali, prova a chiederti come mai il numero divulgativo della rivista Darwin, scritto da archeologi sardi o che operano in Sardegna e che ha venduto più di 20.000 copie senza parlare di Atlantide, è passato e passa sotto silenzio nella nostra stampa? (peraltro è scaricabile gratuitamente dal sito della Regione).
Facciamo una cosa trova il tempo di venire, intervistami, dati alla mano e ti mostrerò perché la Sardegna non è Atlantide: almeno tu sarai disponibile a sentire l’opinione di un archeologo sardo (visto che per l’autore di Atlantide siamo tutti degli ignoranti, dei servi, dei pazzi, mentre invece i suoi grandi esperti, guarda caso tutti continentali...). Ti mostrerò anche il famoso strato dello tzunami.

Caro Alfonso
Trovo non molto conveniente avere l’ultima parola in una discussione nel corso della quale “le parti” hanno già espresso le proprie convinzioni. Lo faccio solo quando, come in questo caso, qualcuno mi pone questioni. E allora: ho smesso di innamorarmi delle tesi molto tempo fa, quando mi accorsi che le magnifiche sorti e progressive nascondevano una buggeratura. Della tesi di Sergio Frau non sono innamorato. Constato che c’è e che le antitesi, a mio parere, non sono convincenti.
Quanto a ciò che agita le menti dei miei colleghi giornalisti, ho smesso di interrogarmi. Penso avesse ragione il presidente della Convenzione europea, Giscard d’Estaing che, a chi gli chiedeva come mai la stampa non seguisse i lavori del suo organismo, rispose: “Può darsi perché non vedono correre sangue”. Per il tuo invito, grazie. Non mancherò, anche se non sono in grado di dire quando potrò onorare l’impegno.
PS – Qualche ora prima del tuo, ho ricevuto un interessante commento di “Francesco” al mio articolo (non mi riesce chiamarlo post) che ha suscitato il tuo graditissimo intervento. Lo consiglio a te e a chi ci segue.

E poi ci sarebbe la questione dell'Isola di Atlante...

E poi ci sarebbe la questione dello tzunami che, sospetta Sergio Frau (“Le colonne d’Ercole”), avrebbe, come un gigantesco schiaffo di Poseidone, cancellato la civiltà nuragica nella parte campidanese della Sardegna. Intorno, grosso modo, al 1200 aC.
Detto un po’ alla grossa (Frau ci ha scritto “una chilata di libro”, quantifica lui scherzando) il quadro è questo: le Colonne d’Ercole, oltre le quali Platone situava l’isola di Atlante, erano allora poste fra la Sicilia e l’Africa e la grande isola era la Sardegna. I suoi abitanti avevano fatto da monelli e Poseidone li punì con un suo poderoso schiaffo, un enorme maremoto più possente di quelli che oggi, con parola giapponese, conosciamo come tzunami.
Su questa affermazione il mondo scientifico si è diviso tra chi apprezza la tesi di Frau e chi o non la considera verosimile o francamente la deride. Anche chi, non addetto ai lavori, ha impattato con questa storia affascinante, si è schierato da una parte o dall’altra. Resta il fatto che la sua traduzione grafica e fotografica in una mostra itinerante (“Atlantikà”) ha viaggiato fra Cagliari, Parigi, Roma e Torino suscitando ovunque interesse e discussioni.
A parte i lettori del libro di Frau, libro per altro non facile, che solo in Sardegna sono oltre 30 mila, sono oramai centinaia di migliaia le persone che si sono interessate alla questione. “È un fatto mediatico”, rimproverano i critici, ed è in parte sicuramente vero, visto che l’autore, giornalista di La Repubblica, ha avuto il sostegno del suo giornale e spazi in importanti televisioni. È anche vero che una tesi così affascinante non poteva non colpire fantasia ed intelligenza di chi ha passione per un passato largamente sconosciuto, anche per responsabilità di chi non ha messo altrettante passione e scienza nel suo studio. Tutto vero. Ebbe’?
Alcuni studiosi affermano che “la moderna ricerca archeologica e storica evita il ricorso a cataclismi, invasioni e migrazioni come spiegazione risolutiva dei cambiamenti culturali”. Altri mi ha detto che la tesi dello tzunami non regge, poiché certi luoghi che sarebbero stati sommersi dal fango del maremoto lo sono stati, in realtà, a cominciare dall’era della conquista romana, mille anni dopo il supposto tzunami. Argomentazioni certo frutto di conoscenza e non forzatamente di pregiudizi.
Allora non resta che una cosa da fare, soprattutto per impulso degli scettici. Accogliere la sfida che Frau ha ripetutamente lanciato: si affidi a studiosi competenti la ricerca della verità. Si facciano carotaggi del terreno, si studi il fango che per secoli ha ricoperto grandi nuraghi come quello di Barumini, prima che Giovanni Lilliu ce lo restituisse. Che cosa osta, soprattutto se si è sicuri che Frau – il quale, va detto, è pronto a rimettersi in discussione – ha raccontato fole?
C’è una ragione che spieghi gli ostacoli frapposti ad amministratori disposti a coofinanziare le ricerche? Perché la Regione, che pure non ignora la portata della questione, non promuove queste ricerche alla fine delle quali si troverebbe o la conferma di qualcosa che in termini di turismo culturale (e dunque di economia) potrebbe essere speso in tutto il mondo o il definitivo silenzio sulle ipotesi di Sergio Frau? Per questioni di soldi?
Da quel che so, le ricerche sull’ipotetico tzunami costerebbe qualche decina di migliaia di euro, meno di novanta/ottanta mila. Nel gennaio dello scorso anno, il Ministero dei beni culturali ha stanziato 250 mila euro (tre volte tanto) per il restauro dei pavimenti a mosaico del grande frigidarium delle terme centrali di età imperiale a Nora. Opera meritoria, va da sé, trattandosi di un grande tesoro della Sardegna. Ma forse, in ordine di priorità, non più importante dello scoprire se davvero l’Isola di Atlante e la Sardegna erano la stessa cosa. O se, invece, non c’entrano nulla l’una con l’altra.

Così la penso sulla presunta scrittura nuragica

di Alessandro Usai

Intervengo per la seconda volta nel blog da Lei diretto perché chiamato in causa, ma con la speranza che le risposte che darò soddisfino per lo meno alcune domande senza che alcuno pretenda di ridurmi a "parafulmine ufficiale" della polemica sulla presunta scrittura nuragica.
1. Non sono il Soprintendente per i Beni Archeologici; sono il funzionario responsabile per l'alto Oristanese e come tale sono tenuto a conoscere tutto nel territorio di cui mi occupo, e a difendere in ogni modo lecito, soprattutto con l'onestà e la dedizione personale oltre ogni orario di lavoro, la rispettabilità del mio Ufficio.
2. Partecipo a questo blog in forma del tutto personale ma con la convinzione di rappresentare anche tutti i miei colleghi archeologi, tanto della Soprintendenza quanto dell'Università e anche privati professionisti, in quanto tutti portatori della stessa deontologia professionale.
3. Sono un archeologo specialista della civiltà nuragica e per ovvi motivi conosco i rudimenti dell'epigrafia, ma non sono un epigrafista.
4. Parlo e scrivo solo di ciò che conosco: le "tavolette" di Tzricotu (Cabras) e le pietre di Benerega (Paulilatino: non Perdu Pes e e nemmeno Lugherras!) e di Nuraghe Pitzinnu (Abbasanta). Non parlo di cose riservate. Delle altre cose si chieda agli interessati.
5. Per quanto a me finora noto, nell'archeologia mondiale le "tavolette" di Tzricotu somigliano solo alle placche di cinturone longobarde. Se sono oggetti originali, come sembra, possono risalire solo al quel periodo (VIII-IX sec. d. C.). Con tutta evidenza, si tratta di decorazioni astratte e simmetriche; io ho visto una placca longobarda decorata in questo modo con l'aggiunta di alcuni caratteri latini. A mia conoscenza, nessun epigrafista sostiene che si tratti di scrittura.
6. Sulle pietre di Benerega si vedono motivi incisi diversi tra loro: molti somigliano a serie di M maiuscole in sequenza orizzontale, anche sovrapposte e contrapposte a mo' di immagini di farfalle; inoltre si notano una specie di alberello schematico rovesciato, una sorta di chiave, altri schemi lineari indecifrabili. Anche le tecniche di incisione sono diverse: alcune sono piuttosto larghe e profonde, apparentemente ottenute con strumenti a punta arrotondata, e sono talora incrostate da muschi e licheni; altre sono sottili, superficiali e rigide, apparentemente ottenute con strumenti molto duri e appuntiti, ed hanno un aspetto più fresco.
7. Sulla pietra del nuraghe Pitzinnu si vedono innegabilmente lettere di aspetto latino: MBA, MS, LA. Altri segni, orientati in modo diverso e quindi incisi in momenti in cui la pietra era sistemata in modo diverso, sono difficilmente comprensibili; tra questi, uno formato da due M contrapposte a mo' di farfalla, analogo a quelli già osservati su alcune delle pietre di Benerega. Un altro segno strano e interessante sta nella parte alta della pietra. Anche qui ci sono segni profondi ed altri appena accennati, evidentemente incisi in tempi diversi da persone diverse e con strumenti diversi.
8. Per mille motivi ben noti a chi studia la civiltà nuragica, i nuragici sono il popolo meno probabile cui si possa cercare di attribuire tutti questi segni (e certo non perchè fossero rozzi e incivili!); piuttosto, la Sardegna è stata abitata da tanti popoli sicuramente in possesso della scrittura e soprattutto dell'arte del disegno! A Benerega non c'è l'ombra di manufatti nuragici. Il nuraghe Pitzinnu, come dice il nome che sicuramente è molto vecchio, è un piccolo nuraghe che non deve essere stato mai importante nemmeno per i nuragici; forse non fu mai completato, sicuramente è stato molto smantellato e qualcuno in tempo imprecisato ha cercato di spaccare l'architrave con due profondi solchi (è inserito nello stesso muro della famosa pietra). Anch'io sono curioso di saperne di più, ma il professionista non ha fretta anche se è curioso. Prego tutti di conservare la curiosità e di non avere fretta. Sarò ben lieto di esaminare altre di queste pietre; ma con le responsabilità e gli impegni soverchianti del lavoro che svolgo, questa non è una priorità; soprattutto, anch'io attendo il parere dei veri esperti, cioè gli epigrafisti titolati, e finora nessuno ha avvallato la stravagante ipotesi della scrittura nuragica.
9. Quanto alle bufale, sentire che le presunte iscrizioni nuragiche sarebbero di volta in volta espresse in caratteri protosinaitici, cuneiformi, etruschi, latini ecc. ecc. solleva ovvio stupore e incredulità.
10. Chi vuole documentarsi su un falso accertato e di dominio pubblico consulti nel volume 9 (tomo 2) della serie "L'Africa Romana" (Sassari 1992) gli interventi di Massimo Pittau (pp. 637-644) e di Lidio Gasperini (pp. 645-649): il primo dilettante di lingua ed epigrafia etrusca, il secondo specialista della materia. Buon divertimento!

giovedì 5 giugno 2008

Il mistero dell'ugaritico scomparso

di Giorgio Cannas

Se davvero, come dice il direttore del blog, questo viene visto in decine di paesi (Francia, Germania, Canada, Perù, Spagna, Stati Uniti, Australia, ecc.) non credo che stiamo facendo una gran bella figura. Ma non tanto per la polemica, che delle volte, se è sana, è il sale delle questioni, quanto per i contenuti.
Lascio da parte anch’io i toni da ipse dixit che provengono da noti bambinoni “critici”, pasticcioni quanto testardi. Preferisco subito parlare di cose concrete. Dal momento che il dott. Usai sembra davvero pronunciarsi a titolo non solo personale, posso sperare di ricevere da lui subito una risposta. Una risposta che riguarda proprio la scrittura nuragica, quella che “stranamente” non trovano mai gli archeologi “specialisti”.
Gianni Atzori e Gigi Sanna da diverso tempo e più volte nei loro scritti hanno parlato dell’esistenza di un coccio nuragico con dei segni di tipo cuneiforme. Ci hanno persino stancato con questa tiritera. Tale coccio è stato rinvenuto, secondo gli autori, nelle campagne di Mogoro (ma più probabilmente in territorio di Villanovafranca) alla fine degli anni ’80 dagli archeologi scavatori autorizzati. Testimoni dell’evento il prof. Raimondo Zucca, che ha riferito della scoperta, ed il prof. Pettinato dell’Università di Roma che lo ha visionato.
Poiché il fatto mi ha incuriosito da tempo e poiché la conferma della presenza del cuneiforme in un frammento di ceramica nuragica potrebbe spiegare molte cose (ad esempio se il tipo di cuneiforme è quello ugaritico, come quello di Tzricotu), ho provveduto a telefonare personalmente al prof. Pettinato per sapere dalla fonte diretta se la notizia corrispondesse al vero. Il professore gentilmente mi ha subito risposto dicendo che il coccio con i segni cuneiformi lo aveva visto e lo ricordava bene, anche se non sapeva dire chi in quel momento lo potesse custodire. Ha aggiunto però: “forse colui che aveva la direzione degli scavi”.
Cito il nome di queste due persone non solo per la loro notorietà ma anche per la loro pronta disponibilità, almeno credo e spero, a testimoniare di quello che hanno riferito. Il prof. Zucca nel 1995 a Gigi Sanna e Gianni Atzori , il prof. Pettinato a me qualche mese fa. Si dice dunque che gli archeologi e la Sovrintendenza non “nascondono” nulla e che tutto mettono a disposizione della gente. Ma allora il coccio dov’è? Perché, nonostante le insistenze degli studiosi, non si riesce a sapere nulla dell’oggetto? Non si potrà certo dire che sia passato poco tempo e che si stia ancora studiando. Dopo quasi trent’anni! E dal momento che parlo di oggetti in qualche modo “spariti”, perché non si dice dove si trova il cosiddetto ‘brassard’ di Is Loccis –Santus (nel disegno qui sopra).
Il prof. Atzeni dice e scrive (in Ministero per i Beni Culturali e ambientali. Soprintendenza Archeologica per le Provincie di Cagliari ed Oristano, Carbonia ed il Sulcis. Archeologia e territorio, 1995, p. 134) che si trova nel Museo di Villa Sulcis di Carbonia.
Se non che, l’oggetto nel Museo non c’è; anzi non c’è mai stato, secondo l’autorevole testimonianza della Direzione del Museo stesso. Se chiedo umilmente dove si trova, come hanno chiesto numerosi visitatori del Museo di Carbonia, commetto forse un reato di lesa maestà? Il dott. Usai inoltre tende, a mio parere, ad imbrogliare un po’ le carte dicendo che le pietre, le tavolette ed altro di scritto le trovano altri e mai gli archeologi. Davvero? E allora il detto brassard di San Giovanni Suergiu chi lo ha trovato e studiato? E chi ha trovato e studiato il sigillo di Santa Imbenia di Alghero? Chi ha trovato e studiato la lametta in oro di Pirosu su Benatzu? Chi per primo ha visto e studiato (privatamente) l’anello di Pallosu di S.Vero Milis? Chi per primo ha visionato e studiato (privatamente) il ‘nuraghetto’ scritto di Uras? Ecc. ecc.
Quanto poi alle pietre ‘interessanti’ (di Paulilatino e di Abbasanta) di cui parla il dott. Usai, lo “interesse” su di esse è già scaduto perché qualcuno parla ancora, per intorbidare le acque, di ‘bufale’, di ‘numeri romani’, di miliari, di pastorelli che si sarebbero divertiti a fare delle incisioni. E tutto va bene, perché fanno così il gioco di certi archeologi intellettualmente disonesti.

Le scritte non sono nuragiche? E che cosa sono?

E va bene. Mettiamola così: queste tre scritte (trovate rispettivamente a Pedru Pes, Nuraghe pitzinnu, Su Pallosu) non sono nuragiche, non sono state fatte, insomma, dai sardi che in questa terra costruirono, fra le altre cose, i nuraghi. Né lo sono le altre venti o trenta che sono state trovate su edifici, per terra vicino a siti antichissimi, su massi incastonati in muretti a secco e così via dicendo. Non lo sono neppure quelle che compaiono su quattro piccoli bronzi trovati a Tzricotu, uno in mano alla Soprintendenza e tre visibili solo il fotografia.
Due archeologi di chiara fama (Stiglitz e Usai) e un appassionato studioso (Zaru), su questo modesto blog hanno espresso o certezza che non siano nuragiche o molti dubbi che lo siano. Altri, privatamente, mi hanno scritto chi per mostrare interesse, altri per esprimere dubbi e perplessità, altri per consigliarmi prudenza. Sempre su questo blog, lo scopritore di gran parte di queste scritte, Sanna, sostiene che lo siano.
Sulle scoperte meno recenti ha scritto un ponderoso, e di non facilissima lettura, volume, Sardoa grammata. Seicento pagine, dense di fotografie, grafici, disegni e proposte di decifrazione delle scritte. La gran parte delle cose che scrive sono in grado di convincere la mia poca scienza e la mia grande curiosità. E lo hanno fatto. Ma, facciamo così: facciamo come se queste cose scritte, ponderate, coraggiosamente messe in piazza, non esistano. Gli oggetti su cui queste cose sono scritte, però, esistono, eccome.
Esistono le tavolette di Tzricotu: non sono sigilli scritti? Che cosa sono (e per rispetto alla nostra intelligenza, non ci si dica che sono fibbie longobarde)?. Esistono il cosiddetto brassard Is Locci Santus, il sigillo di Quirra, quello di Su cungiau de is mongias di Uras, la fibula di Valleverde, il concio della chiesa di San Pietro di Bosa, il coccio di Orani... e, da poco, si sono trovati massi scritti nei pressi dei nuraghi Lugherras e Pitzinnu, oltre alla scritta sull'architrave di un altro nuraghe (il cui scopritore si riserva di comunicare quale sia). Così come esisterebbe un'altra scritta (si dice in caratteri ugaristici) ritrovata a Mogoro e di cui non si hanno più notizie.
Dunque, mettiamola così: tutte queste scritte, o, a scelta, alcune di queste, non sono nuragiche. Chi le ha fatte? E quando? Il dottor Usai, nel suo intervento su questo blog, scrive: "Le notizie non trapelano perché siamo tenuti alla riservatezza. Lei sa che un falso è un reato, e alcune "tavolette" sono falsi clamorosi anche senza perizie. Altri oggetti sono originali ma non nuragici e nemmeno scritti; infine le pietre in campagna sono cose strane e interessanti, da approfondire col tempo e senza pregiudizi ma anche senza infondata partigianeria". E allora un paio di questioni:
1. Gli oggetti "originali ma non nuragici" di che epoca sono?
2. Quanto tempo ci vorrà per dire qualcosa sulle "pietre in campagna" e, soprattutto, quanto tempo occorre perché queste pietre comincino ad essere esaminate?
3. Se alcune "tavolette" sono "falsi clamorosi", e quindi reato, a chi spetta dare il via ad una indagine giudiziaria che porti alla punizione dei colpevoli? E chi, se non quanti sono convinti del falso, in tribunale si prenderà l'incarico di provarlo e il rischio di una smentita?
Tempi necessari e riservatezza sono evidentemente degni del massimo rispetto. Ma anche noi cittadini siamo o dovremmo essere degni di rispetto.

PS - Ricordate la querelle intorno alle "Colonne d'Ercole" di Sergio Frau e alla sua tesi secondo cui la civiltà nuragica fu cancellata da uno tzunami? Domani ne vorrei parlare con voi.